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Il teatro deve essere una luce per l’intelligenza. Esso deve contribuire a fare il giorno nella terribile mente del

l’uomo, piena d’ombre, di segreti, di mostri. Poco fa noi abbiamo messo in guardia contro la tendenza degli artisti a credere che tutti i loro pensieri siano adatti al popolo. Ma non si tratta affatto di risparmiargli ciò che fa pensare. La mente dell’operaio generalmente riposa intanto che il suo corpo lavora: è utile esercitarla; e per poco che lo si sappia prendere, sarà un piacere per lui, come è un piacere per

ogni uomo forte qualsiasi esercizio che distenda le sue mem­ bra intorpidite da una lunga immobilità. Che gli si insegni dunque a vedere e a giudicare chiaramente le cose, gli uomini e se stesso.

La gioia, la forza e l’intelligenza: queste le condizioni fondamentali d’un teatro popolare».

(Il teatro del popolo, 1903)

6. Firmili Gémier Esiste un disaccordo totale tra la società moderna e le tendenze del teatro.

Mentre nella nostra epoca gli individui partecipano sem­ pre più alla vita pubblica, mentre l’orizzonte delle democrazie oltrepassa le frontiere degli stati, il teatro, in luogo di diven­ tare mondiale, si fa strettamente mondano, si restringe, si raggrinza come una pelle di zigrino, tende ad annullarsi.

E probabilmente, in effetti, presto sparirà per far posto a un nuovo teatro, più in armonia con la società di domani.

Lo spirito antidemocratico, così nocivo alla nostra arte, è provato d’altronde non soltanto dal moltiplicarsi delle 6om- bonnières, di cui ho parlato, ma anche dall’aspetto delle nostre sale più grandi. Poiché esse sembrano costruite appositamente per impedire qualsiasi fusione tra i diversi elementi del­ l’uditorio.

La preoccupazione principale dei direttori e degli archi­ tetti è di separare le condizioni sociali con una sapiente sud- divisione, secondo il loro grado di ricchezza, di moltiplicare le paratìe stagne tra gli spettatori, di procurar loro palchetti, bugigattoli, ripostigli nei quali siano chiusi gli uni separati dagli altri, di sovrapporli a piani, d’evitare con cura che si mischino e fraternizzino.

Il risultato è assolutamente il contrario di quell’ardente comunione che è il primo requisito dell’arte drammatica.

Che il teatro moderno apra le sue porte completamente! Che lo Stato sopprima le sue assurde tasse! Che in luogo di gravare la nostra arte, le accordi sovvenzioni meno misere di quelle che le concede, più generose e rispondenti al nostro ruolo sociale! Che i prezzi siano abbassati perché nessun pubblico sia escluso! Che ogni separazione sia abbattuta! Che sia fatta entrar l’aria nelle sale in cui fermentano i microbi della pornografìa e dello snobismo! Che si chiami il popolo, come ai tempi di Sofocle, come nel Medioevo, come ai tempi di Shakespeare e di Molière! E l’arte drammatica, diventata anemica, riprenderà il suo antico vigore.

Insomma, il teatro ideale sarebbe semplicemente una pub­ blica piazza, che nelle nostre piovose contrade dovrebbe essere coperta.

E’ pressappoco il dato che realizzavano i teatri antichi assai più razionali dei nostri.

7. Jacques Copeau

8. Jean Vilar

e Jean-Paul Sartre

In quei grandi anfiteatri che accoglievano una folla im­ mensa, niente separava le gradinate: popolo e aristocratici vi erano raccolti, e il riso o l’angoscia liberamente vi circo­ lava, come il vento clje fa ondeggiare le mèssi mature.

Le emozioni si diffondevano senza fatica e salivano di gradinata in gradinata fino alle più lontane ».

(Il Teatro, Colloqui raccolti da P. Gsell, 1925)

« Praticando il teatro, studiando le sue origini e i suoi sviluppi, io mi sono persuaso che esso non progredisce allo stesso modo delle cognizioni pratiche e scientifiche, che rinun­ ciano a verità acquisite per levarsi, al di sopra di esse, verso altre verità che prendano il loro posto, in attesa di essere a loro volta corrette o sostituite. In arte c’è un rinnovamento delle forze interne che si effettua alla maniera del gigante della favola, attraverso un ritorno periodico al focolare pri­ mitivo, al grembo materno.

Se vogliamo fare opera sana e naturale, opera vitale, essenziale e durevole, è a questo rinnovamento delle forze interne che ci legheremo. Esso darà un senso a tutti i nostri sforzi, si confonderà con l’aspirazione unanime del paese, con l’unico dovere di tutti i francesi di oggi : restaurare la Francia.

Non c’è alternativa, non c’è scelta possibile. Ciò che ci occorre è un Teatro della Nazione.

Non un teatro di classe e di rivendicazione: un teatro d’unione e di rigenerazione.

Il primo passo in questa direzione sarà l’organizzazione d’un centro di studi, dove si riuniranno, in piccolo numero, uomini abbastanza maturi per parlare d’esperienza, abba­ stanza giovani per ripensare l’avvenire del teatro secondo nuovi metodi e per nuove esigenze.

La prima di queste esigenze è la creazione e l’organizza­ zione, prima di tutto e alla base di tutto, d’un centro di cultura teatrale».

(Il teatro popolare, 1942)

Jean Vilar:

« Ringraziando Iddio, c’è ancora della gente per la quale il teatro è un nutrimento altrettanto indispensabile alla vita del pane e del vino. E’ ad essa, innanzi tutto, che si rivolge il Teatro Nazionale Popolare.

Il T.N.P. è dunque, in primo luogo, un servizio pubblico, esattamente come il gas, l’acqua, l’elettricità. Altra cosa: private il pubblico — quel pubblico che diciamo « grande » perché è il solo che conta — di Molière, Corneille, Shake­

speare: non c’è dubbio, una certa qualità dell’animo si atte­ nuerà in lui. Ora il teatro, se non è popolare e patetico al tempo stesso, non è niente. La nostra ambizione è quindi evidente : far partecipi quanti più possibile di quel che fino ad ora s’era creduto riservato ad una élite. In fondo, la ceri­ monia drammatica trae la sua efficacia anche dal numero di quanti vi partecipano ».

(Il T.N.P. servizio pubblico, in « Paris-Théâtre », n. 83, 1954)

Jean-Paul Sartre:

« Secondo me, il T.N.P. non realizza questo concetto di teatro popolare. Non esprimo un giudizio sul lavoro di Vilar, constato un fatto. Vilar stesso non c’entra affatto, è la situa­ zione del T.N.P. che è in causa.

Innanzi tutti il T.N.P. è un teatro sovvenzionato, il che significa un teatro che presenta opere che deve scegliere nel repertorio, e con la massima prudenza; opere che non sono state scritte per le masse di oggi, opere che in altre epoche, senza dubbio — penso a Shakespeare — erano il prodotto d’un autentico teatro popolare, che erano state scritte per il pubblico di quei tempi, ma che ora sono diventate forme di cultura, appartengono all’eredità culturale della borghesia.

Rappresentare Don Giovanni o Racine è giusto, è utile, ma viene dopo. Ad un pubblico popolare bisogna presentare, prima di tutto, opere per lui, scritte per lui e che parlano di lui.

Eccomi così al secondo ordine di ragioni del « fallimento » del T.N.P.: la questione del pubblico. In verità il T.N.P. non ha un pubblico popolare, un pubblico operaio. Il suo è un pubblico piccolo-borghese, un pubblico che, senza il T.N.P. e il prezzo relativamente basso dei suoi posti, non andrebbe affatto o andrebbe pochissimo a teatro, ma non un pubblico operaio. Neanche quando lascia la sua sede e va a dare spet­ tacoli in periferia.

Il fatto è che esiste una straordinaria resistenza degli operai al teatro. Guardate il mio caso: Nekrassov è stato sostenuto, incondizionatamente, dai comunisti, dalla C.G.T., dal T.E.C. I loro organi di stampa ne hanno parlato, sono stati messi a disposizione dei biglietti a prezzo più basso... Ebbene, gli operai sono venuti stancamente, pochi alla volta. Per gli operai il teatro è ancora qualcosa che ha del cerimo­ niale — che partecipa della cerimonia borghese. Essi ne dif­ fidano, e quando ci vanno, si debbono affaticare : i posti sono cari (anche quelli del T.N.P.), ci sono i bambini a cui bisogna badare, i teatri sono lontani, a Parigi, in centro... e gli operai sono stanchi ; e allora, se vogliono distrarsi, vanno a vedere un’operetta.

Ciò significa che occorre dar loro il loro teatro : far scom­ parire la diffidenza (basta una parola ad allontanarli dal teatro : guardate quel che è accaduto per La morte di Danton di Buchner; i comunisti si sono scherati contro e nessuno è andato a vedere le rappresentazioni date in periferia da Vilar. Con i borghesi succede il contrario, il teatro è una cosa che li riguarda direttamente: durante la tournée del Diavolo e il buon Dio, il vescovo, dal pulpito, tuonava contro, tutti erano lì ad ascoltarlo e la sera tutti gli stessi si ritrovavano a teatro), discutendo a teatro il loro problema, che è un pro­ blema politico.

Il T.N.P. in sé e per sé non è in causa; ma il suo caso è rivelatore. Esso non ha un vero pubblico popolare, perché questo pubblico presuppone delle opere che siano state scritte per lui.

(Jean-Paul Sartre ci parla di teatro, in « Théâtre Populaire », n. 15, 1955)

II. T e a tr o te d e s c o

9. Bruno W ille « Chi scrive vede l’organizzazione del Libero Teatro Po­ polare (Freie Volksbühne) pressappoco in questo modo: la società è formata da un gruppo dirigente e dai soci. I diri­ genti scelgono le opere da rappresentare e gli attori. I soci, mediante il pagamento di una quota trimestrale, acquistano il diritto ai biglietti per tre rappresentazioni. Ogni mese, e precisamente di domenica, ha luogo una rappresentazione. Le quote hanno esclusivamente lo scopo di coprire le spese per l’affitto del teatro e per gli onorari degli attori, e biso­ gnerà cercare che siano basse per quanto possibile ; è spera­ bile che il prezzo dei biglietti si possa calcolare in un marco e mezzo per ogni trimestre (ossia per tre rappresentazioni).

Tutti coloro che desiderano diventare soci del Libero Teatro Popolare organizzato secondo questi criteri, sono pre­ gati di segnalare allo scrivente a mezzo di cartolina postale:

a) Cognome, nome e indirizzo.

b) L’ammontare del contributo trimestrale che riten­ gono di poter versare.

Queste segnalazioni non sono impegnative, hanno soltanto lo scopo di poter stabilire su quanti soci i fondatori del Libero Teatro Popolare possono approssimativamente contare e a quanto perciò è possibile ridurre i contributi. Nel caso si raccogliesse un numero sufficiente di adesioni, sarebbe assi­ curata un’ iniziativa che può portare un certo contributo all’elevazione spirituale del popolo ».

(Appello per la fondazione d’un Libero Teatro Popolare, in « Berliner Volksblatt », 23 marzo 1890)

10. Erwin Piscator « Credo che il rinnovamento del teatro non dipenda sol­ tanto dalla scena, ma, in proporzione eguale, dal pubblico.

Non si deve considerare l’arte soltanto dal punto di vista del divertimento, ma come un laboratorio del comportamento dell’uomo e della sua educazione morale (Diderot e Schiller lo hanno pensato prima di me). Bisogna considerarla in fun­ zione della costruzione della società e della sua trasformazione in una vera società umana.

Il teatro politico, nella sua necessità storica, è nato da questa concezione.

Per quello che mi riguarda, io non faccio i miei spettacoli unicamente per mostrare la mia arte, ma per far compren­ dere agli spettatori (al popolo, per conseguenza) che la loro vita privata e le loro azioni individuali sono determinate dal mondo che li circonda.

Dal 1914 in poi, sono sempre gli stessi pensieri che mi hanno guidato. Il destino totale dell’uomo non è un destino religioso né un destino astrologico, è un destino storico, e noi possiamo correggerlo, possiamo prenderlo in mano. Il destino greco, sì, ma trascritto da Marx, immesso nuova­ mente nella realtà sociale e politica. Il problema, per l’uomo di teatro, è di rivelare allo spettatore la sua propria storia, la storia della società, la storia politica. E quando dico politica io penso alla parola greca polis, cioè alla città. In conclusione, si tratta di mettere in evidenza il legame tra il macrocosmo (mondo storico totale) e il microcosmo (personaggio indivi­ duale). Poiché nessuno può evadere dal mondo, ognuno è obbligatoriamente legato al mondo, non attraverso legami misteriosi, ma dalla realtà stessa che ci circonda».

{Erwin Piscator ci parla di teatro, in « Théâtre Populaire », n. 19, 1956) 11

11. Bertolt Brecht « Generalmente il teatro popolare è un teatro grezzo e senza pretese, e l’estetica dotta o non ne parla per nulla, o lo tratta con degnazione. In quest’ultimo caso non lo auspica diverso da quello che è, proprio come anche certi regimi desiderano che sia il popolo : grezzo e senza pretese, un teatro di burle grossolane e di facile sentimentalità, di morale rozza e di sensualità a buon mercato. I cattivi vi sono puniti, mentre i buoni si sposano; i laboriosi ricevono un’eredità, e i pigri restano con un palmo di naso. La tecnica degli autori di questo genere teatrale è, si può dire, intemazionale e presso­ ché invariabile. Quanto agli attori, basta che parlino con affettazione e si comportino sulla scena con naturale vanità: basta insomma una buona dose del deprecato tran-tran dilettantesco.

Il livello culturale di un teatro si misura, tra l’altro, dal grado in cui quel teatro riesce a superare il contrasto fra la recitazione «n o b ile » (eletta, stilizzata) e quella realistica

(« còlta dal vivo »). Spesso si ammette che la recitazione rea­ listica abbia « per sua natura » qualcosa di « volgare », così come quella « nobile » avrebbe in sé qualcosa di antirealistico. Con ciò s’intende che, non essendo nobili le lavandaie, se si presenta in modo verace un gruppo di lavandaie non può risultarne nulla di nobile; ma in una rappresentazione rea­ listica c’è invece da temere che non risultino nobili nemmeno le regine. Questi ragionamenti sono zeppi di errori. Il fatto è che quando l’attore ha da rappresentare la volgarità, la perfidia, la bruttezza — si tratti di lavandaie o di regine — non può assolutamente fare a meno di finezza, né del .senso del giusto e del bello. Un teatro di vera cultura non acqui­ sterà il suo realismo a prezzo della rinuncia alla bellezza artistica. Anche se la realtà è brutta, non per questo deve esser bandita da una scena preoccupata di problemi stilistici.

La smania di abbellire è di per se stessa cosa del tutto vile, tanto quanto l’amore del vero è di per se stesso cosa nobile. L’arte è capace di rappresentare con bellezza il brutto della bruttezza e con nobiltà il vile della viltà, giacché gli attori sono pure in grado di rappresentare con grazia ciò che è sgraziato e con vigore la debolezza. La materia della commedia che tratta della ” vita comune ” non si sottrae affatto alla nobilitazione. Il teatro può servirsi di tinte deli­ cate, di raggruppamenti piacevoli e significativi, di una mimica originale, di ” stile ” insomma ; ha a disposizione spirito, fantasia e saggezza per dominare il brutto. E’ neces­ sario trattare questo argomento, perché i nostri teatri non sono così disposti a far uso di quella cosa eletta che è lo stile nel caso di opere che, per contenuto e per forma, rientrino nella categoria dell’arte popolare».

(Osservazioni sul dramma popolare, 1940)

III. T e a tr o r u s s o

12. Nikolai Ostrovski « Un teatro con un repertorio onesto, artistico, sano, è necessario per Mosca ; le pareti dei teatri esistenti sono strette per l’arte nazionale; non vi sono in questi teatri compagnie ben formate per il repertorio realistico e storico, non vi è in essi posto per quel pubblico per il quale vogliono scrivere e sono tenuti a scrivere gli scrittori popolari. Gli autori russi desiderano provare le proprie forze davanti a un pubblico fresco, che non abbia i riflessi troppo lenti, per il quale si esiga una forte drammaticità, una solida comicità, caldi e sinceri sentimenti, vivi e forti caratteri. La poesia dramma­ tica è più vicina al popolo di tutti gli altri generi letterari; tutte le altre opere si scrivono per le persone colte, ma i drammi e le commedie si scrivono per tutto il popolo. Questa vicinanza col popolo non soltanto non distrugge la poesia

drammatica, ma, al contrario, raddoppia le sue forze e non le permette di farsi triviale e di immiserirsi ; solo quelle opere che erano sinceramente popolari in casa loro hanno vinto i secoli, infatti. Queste opere col tempo divennero com­ prensibili e preziose anche per altri popoli, e, alla fine, per tutto il mondo ».

(Memoriale sull’organizzazione a Mosca di un teatro popolare privato, 1882)

1 3 . Nemiròvic - Dàn- cenko

e Stanislavski

Vladimir I. Nemiròvic-Dàncenko :

« Dapprima semplice divertimento, inteso a suscitare nello spettatore soltanto generiche emozioni teatrali e il più vivo interesse per quanto accade sul palcoscenico, il teatro, senza che lo spettatore possa rendersene conto, infonde poi nel suo animo determinate immagini ed idee, esercitando così una grandissima, benefica influenza, altamente educativa. In una lettera diretta a un tale che considerava il teatro alla stregua di un inutile passatempo, Gogol scrisse : « Il teatro non è affatto una sciocchezza o una cosa inutile, se si considera che in una sola volta vi si può raccogliere una folla di cinque o seimila persone e che questa folla, pur così eterogenea nei singoli individui che la compongono, può a un tratto essere scossa tutta insieme, piangere con le stesse lacrime e ridere d’un unico riso generale. Ecco una cattedra dalla quale pos­ sono esser rivolte al mondo molte parole di bontà ».

Che cos’è un teatro « accessibile a tutti » ? Quali sono i suoi compiti artistici? Come distinguere i due concetti, « accessibile a tutti » e « a carattere popolare » ? Ecco pro­ blemi che ancora oggi danno luogo a un certo numero di interpretazioni discordanti. Alcuni sostengono che è necessa­ rio uno speciale repertorio popolare, o strettamente in costume. Altri, definendolo « accessibile a tutti », concepiscono il teatro come una mostra di stampe colorate, con opere vistose, intese ad eccitare gli istinti primitivi e collettivi della folla. Altri ancora danno la preferenza a spettacoli coreografici, privi di profondo significato e di autentica verità, e per finire c’è pure chi considera indispensabile la tendenziosità, che enuclea l’aspetto morale dell’opera a detrimento dei suoi pregi let­ terari. Ma è veramente così? Il repertorio d’un teatro « acces­ sibile a tutti » dovrebbe quindi esser gravato d’intenzioni estranee alla sua natura? A noi sembra che il principale aspetto della questione sia la tendenza a seguire il gusto volgare della folla, mentre, al contrario, il criterio per la formulazione d’un repertorio e per la sua realizzazione scenica dovrebbe esserci offerto dalle esigenze del pubblico più avanzato.

Un teatro di prosa, in linea di principio, non deve mai essere troppo ampio. In una sala troppo ampia l’effetto finisce sempre per disperdersi. Ora, il criterio artistico deve

minare sempre in tutta l’attività del Teatro di Mosca. Q u ello ch e im p o r ta n on è re n d e re p o s s ib ile l’ in g r e s s o ai m en o a b ­ b ien ti, b e n s ì m e tte r e a lo r o d isp o sizio n e , p e r u na m od esta som m a, tu tte q u elle co m o d ità p e r il g o d im e n to d ’un f a t t o a r tis tic o , d elle qu a li il fr e q u e n ta to r e a b b ie n te p u ò d is p o r r e nei te a t r i p iù c a r i ».

(Per un teatro moscovita accessibile a tutti, 1898)

C on sta n tin S. S ta n isla v sk i.

« S e non- c i a c c in g ia m o a q u e s t’ im p re s a con m a n i p u r e r l ’in s u d ice re m o , la r e n d e re m o v o lg a r e , e n on c i r im a r r à a ltro da f a r e ch e se p a ra rci... O ra, n on d im e n t ic a te : n o i ce rch ia m o di p o r ta r e la lu ce alle cla ss i p o v e r e , di o f f r ir lo r o m om en ti di p ia c e r e e s te tic o n elle te n e b r e in cu i v e g e ta n o . N o i a s p i­ r ia m o a c r e a r e il p r im o t e a t r o a cce ssib ile , g iu s t o e m o r a le . Q u esto è il co m p ito a c u i c i v o t ia m o » .

(Allocuzione inaugurale a Pusckino, 1898}

« D u ra n te quel n o s tr o in c o n tr o d e cid e m m o ch e il n o s tr o

te a tr o s a r e b b e sta to popolare e si sa re b b e p r o p o s to a ll’ in -

c ir c a i m e d e s im i c o m p iti e a v r e b b e a d o p e r a to i m ed esim i sis tem i ch e a v ev a s o g n a to O s tr o v s k i. P e r p o p o la r iz z a r e q u e­ s t ’ idea d e cid e m m o in o ltr e di in d ir e c o n fe r e n z e p u b b lich e, d i

p re s e n ta re i n o s tr i p r o g e t t i alla duma m u n ic ip a le di M osca ,

e co s ì v ia .

In s e g u it o rea lizza m m o i n o s tr i p r o p o s iti, m a r is u ltò c h e il r e p e r to r io dei te a tr i p o p o la r i era a ta l p u n to lim ita to a ca u sa della ce n s u ra ch e, in a u g u r a n d o il n o s tr o te a tro com e p op ola re, sa rem m o s ta ti c o s tr e t ti a r e s t r in g e r e n o tev olm en te le n o s tr e a m b iz io n i a r tis tic h e . F u co s ì c h e d e cid e m m o di ch ia m a r e il n o s tr o te a t r o ” a c c e s s ib ile a tu t t i ” » .

(La mia vita nell’arte, 1926)

14. Lev Nicolaievic « L ’ im p re s a ch e v i in te re s s a — il te a tr o p o p o la r e — in t e -

Tolstoi r e ssa m o lto a n ch e m e. E d io sa re i fe lic e se p o te s s i a p p o g ­ g ia rla ... R ifa t e , tra d u ce te , r a c c o g lie t e o p e r e te a tr a li ch e a b b ia n o un co n te n u to p r o fo n d o , etern o, m a s ia n o s o p ra ttu tto c o m p r e n s ib ili a qu el p u b b lic o c h e v a a v e d e r e le b a r a c c h e d e i sa ltim b a n ch i ; m e tte te le in sce n a ov u n q u e s ia p o s s ib ile , n ei