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Il tema della libertà.

A partire da questo sfondo e a partire dalle connessioni teoriche che abbiamo, per ora, solo delineato è possibile scorgere il rapporto con un ultimo tema, quello della libertà, che l’intera critica74 ha riconosciuto come centrale per il dibattito stesso.

È Heidegger ad indirizzare gli interpreti in questo senso in un suo intervento. Egli, infatti, afferma:

La distinzione appare nel modo più preciso nel concetto di libertà. Io ho parlato di una liberazione nel senso che la liberazione della trascendenza interna dell’esserci è il carattere fondamentale del filosofare stesso. Dove, poi, il senso proprio di questa liberazione non si trova nel liberarsi, in una certa misura, per le immagini figurative della coscienza e per il regno della forma, ma nel liberarsi per la finitezza dell’esserci, entrare proprio in quella condizione che è l’essere gettato.75

Qui vediamo immediatamente posta l’idea di una differenza di fondo, che emerge e si evidenzia anche nel tema della libertà.

Le considerazioni sulla libertà sono, perciò, tanto in connessione con la differenza fondamentale di atteggiamento riguardo il modo di concepire, da un lato, l’essere e, dall’altro, la cultura, quanto sono in conseguente collegamento con le riflessioni sull’essere umano. Solo in questa struttura concettuale appare veramente comprensibile, infatti, la differenza nel modo di intendere la libertà nei due autori.

Per Heidegger, in conformità a quanto già accennato, si tratta di un processo di riacquisizione della prospettiva della dimensione umana originaria, che vede l’uomo come assegnato alla relazione con l’essere. In questo senso Heidegger parla qui di un “liberarsi per la finitezza dell’esserci”. Non si tratta, infatti, di acquisire una qualche forma di libertà di o da qualcosa, ma di una riscoperta dell’autentica libertà dell’essere umano. Tale riscoperta passa, però, dalla comprensione dell’autentica condizione esistenziale del Dasein, dall’immersione nella condizione di gettatezza, nella quale l’uomo può riscoprirsi in originaria correlazione con l’essere. Si tratta di scavare e rimuovere le sedimentazioni culturali, antropocentricamente connotate, e insieme di svincolarsi dalla dimensione d’esistenza media, inautenticamente declinata, per cogliere l’autentico significato della gettatezza. Essa viene, infatti, determinata

74Indipendentemente dalla valutazione data del dibattito, indipendendentemente dalle scelte interpretative

compiute tutti coloro che hanno dedicato una certa attenzione al tema del dibattito hanno riconosciuto nella questione della libertà un nucleo fondamentale e un aspetto centrale. Il punto però è comprendere come e in relazione a cosa questo tema emerga per poter effettivamente cogliere la sua centralità. Cfr. a titolo di esempio Kaegi D, Rudolph E., 70 Jahre Davoser Disputation, Hamburg Meiner 2000

75 Dibattito di Davos in In Martin Heidegger, GA 3. Kant und das Problem der Metaphysik, Klostermann,

Frankfurt a.M. 1991. trad.it. M. E. Reina, riveduta da V. Verra, Kant e il problema della metafisica, Laterza, Roma-Bari 2004, pg. 230

come coglimento della propria nullità da parte dell’uomo76, che a sua volta viene a tema unicamente in quanto in relazione all’essere.

Nel sottolineare la nullità connessa al tema della gettatezza, nullità che viene colta solo seguendo lo snodarsi della riflessione sulla libertà, la filosofia di Heidegger mostra qui uno dei tratti che hanno più profondamente colpito la critica e che più hanno suscitato la diffidenza cassireriana.

Non solo il tema della gettatezza verrà negli anni americani esplicitamente criticato da Cassirer, che lo intende come forma di rinuncia al compito di “vigile critica”77, che l’esistenza orientata dalla filosofia dovrebbe assumere, ma già a Davos appare chiara la separazione dei due autori su queste conseguenze della riflessione heideggeriana.

Durante il dibattito, infatti, Cassirer aveva tentato, una connessione tra la propria idea di libertà e quella heideggeriana, rileggendo nei termini di una forma di acquisizione di infinità l’espressione di Heidegger: “liberarsi della libertà nell’uomo”78. Questo tentativo, immediatamente bloccato dalle precisazioni heideggeriane, dice però quale fosse il modo di Cassirer di intendere il tema.

Egli connette il tema dell’acquisizione di una forma di infinità all’idea di una progressività della liberazione umana. È l’idea dell’”autoliberazione“, che si incontra negli scritti cassireriani e che risuona a Davos nel passaggio in cui Cassirer dice che: “la filosofia deve far sì che l’uomo diventi libero quanto può diventarlo”79.

Anche qui, il ruolo della filosofia è collegato al tema della libertà. Ma a differenza di quanto avveniva in Heidegger, dove la riflessione filosofica doveva portare alla luce la libertà propria dell’essere umano, una volta che esso si fosse riconosciuto nella sua collocazione originaria, qui la riflessione filosofica impegna l’uomo ad un compito di liberazione che può avvenire unicamente sulla via della cultura.

76

Vedi sopra e nota 69

77Ernst Cassirer, Symbol, Myth and Culture. Essays and Lectures of Ernst Cassirer, 1935-1945( a cura di

D.P.Verene), Yale Unviersity Press; New Haven and London 1979, trad. it Ferrara G., Simbolo, mito e cultura, Laterza Roma-Bari 1981, pg. 234, “Nel momento stesso in cui non ha più fiducia nel proprio potere, in cui cede il passo ad un atteggiamento meramente passivo, la filosofia non è più in grado di assolvere il suo più importante compito educativo. Non può più insegnare all’uomo come sviluppare le sue favoltà attive al fine di formare la sua vita individuale e sociale. Una filosofia la quale indulga a fosche predizioni circa il decliono e l’inevitabile distruzione della cultura umana, una filosofia la cui attenzione sia totalmente concentrata sulla Geworfenheit , sull’essere gettato dell’uomo, non può più fare il suo dovere.”

Sulla critica di Cassirer alla Geworfenheit heideggeriana vedi oltre

78Dibattito di Davos in In Martin Heidegger, GA 3. Kant und das Problem der Metaphysik, Klostermann,

Frankfurt a.M. 1991, trad.it. M. E. Reina, riveduta da V. Verra, Kant e il problema della metafisica, Laterza, Roma-Bari 2004, pg. 229

La liberazione diviene, dunque, superamento di una esistenza ferina e metabasi nel regno propriamente umano della cultura, ove l’uomo possa dispiegare appieno la propria umanità. In questo senso si deve leggere l’idea di un “poter- diventare”.

La libertà è il processo propriamente umano del divenire veramente uomo, ossia essere capace di forma80 e dunque capace di cultura.

Poiché però l’autoliberazione diviene così un compito, un fine, essa può acquisire anche il ruolo di risposta ad un’esigenza, l’esigenza di liberare dall’ “angoscia di ciò che è terreno”81. Con questo Cassirer intendeva probabilmente sottolineare il compito di umanizzazione che compete all’uomo stesso, il suo consapevole accedere e sviluppare la dimensione del Geist, anziché il rimanere in un’inaccessibile e muta sfera di vita e d’animalità.

In tale dimensione l’uomo, divenendo a tutti gli effetti tale, entra anche nel cerchio della comunità e della medialità delle forme simboliche, attraverso le quali e grazie ad un proprio, e seppur limitato, contributo creativo accede alla propria infinità. In questo senso Cassirer parla di infinità che “rigetta lontano l’angoscia di ciò che è terreno”82.

Una simile posizione, l’idea di un’esigenza che la filosofia dovrebbe soddisfare e soprattutto l’idea che tale esigenza sia, in fondo, quella di liberare l’uomo dall’angoscia, permettendogli l’accesso a qualche forma di infinità è, nella prospettiva di Heidegger, inaccettabile.

Al contrario, per quest’ultimo, la filosofia dovrebbe riportare l’uomo dinnanzi all’angoscia della propria nullità, affinché in essa egli vi scorga la propria libertà e la propria posizione rispetto all’essere. La filosofia dovrebbe, per usare i termini di Davos, “risospingere l’uomo nell’asprezza del suo destino”83.

Un atteggiamento diverso da quest’ultimo, e in particolare un’atteggiamento che vede nella cultura una possibilità di autoliberazione dell’uomo, viene da Heidegger duramente respinto. Egli parla, infatti, “dell’aspetto pigro di un uomo che si limita a utilizzare le opere dello spirito”84, opere che dunque assorbirebbero l’attenzione dell’uomo, nascondendogli la via per accedere ad una riflessione esistenzialmente autentica.

80 Ernst Cassirer, Nachgelassene Manuskripte und Texte, Band 1, Zur Metaphysik der symbolischen Formen

Felix Meiner Verlag Hamburg 1995,p. 44, trad.it. G. Raio, Metafisica delle forme simboliche, Sansoni Milano 2003 pg. 56, “La definizione più semplice e pregnante che un’ “antropologia”, orientata filosoficamente, potrebbe dare dell’uomo sarebbe forse la determinazione che egli è “capace di forma”. “Capaso formae”, così variando un termine scolastico, si potrebbe definire l’uomo in modo breve e stringato.”

81

Dibattito di Davos in Martin Heidegger, GA 3. Kant und das Problem der Metaphysik, Klostermann, Frankfurt

a.M. 1991, trad.it. M. E. Reina, riveduta da V. Verra, Kant e il problema della metafisica, Laterza, Roma-Bari 2004, pg. 229

82Ibidem. 83

Op.cit. pg. 232

Le stesse opere sono invece, per Cassirer, il luogo ove si concreta l’umanità dell’uomo e dove esso, esprimendo la propria libertà, realizza tanto se stesso, divenendo propriamente umano, quanto il mondo che lo circonda, come cosmo, appunto,umano.

Su questo intreccio che vede il coglimento del signficato della libertà, diversamente intesa dai due autori, come esito delle riflessioni, che si vanno svolgendo, va segnalato un contributo interessante alla lettura del dibattito stesso. Si tratta dell’articolo di Peter Schmid, Angoisse et finitude. Heidegger et Cassirer à Davos en 1929 85.

Qui, pur partendo da premesse simili a quelle esposte, l’autore giunge ad una conclusione che mostra una peculiare discrepanza tra quanto appare essere detto a Davos e quanto ciò effettivamente significa.

Le premesse sono, anche per Schmid, da un lato il rifiuto dell’umanismo e dell’idealismo da parte di Heidegger, che intende restituire l’uomo all’angoscia, e, dall’altro, l’idea cassireriana di un affrancamento dell’uomo.

Ma tale affrancamento dell’uomo va inteso nell’ambito della riflessione cassireriana non già come libertà-da, bensì come libertà-di, secondo gli ideali etici e umanistici dell’Aufklärung. Si tratta, come chiosa Schmid, riprendendo la più estesa analisi di Krois di un’affrancamento dell’uomo dall’ignoranza, dall’angoscia e dall’ingiustizia, affrancamento che libera l’uomo per se stesso, in un moto di liberazione che può essere letto come arco progressivo, il quale può però, al contempo, registrare dei fenomeni regressivi ( il riferimento è agli ultimi studi di Cassirer sul mito e lo stato), per i quali è sempre necessaria la vigilanza critica più sopra evocata.

Per Heidegger, invece, nell’angoscia e nel permanere in essa, l’uomo trova la propria collocazione, che tende, secondo Schmid- che in questo senso vede una sostanziale continuità nella riflessione heideggeriana-, al progressivo “sacrificio dell’uomo per l’essere”. In tale sacrificio si mostra l’aspetto più religioso ed individualista della riflessione heideggeriana. Ma, rileva Schimd, citando Sternberg proprio nell’angoscia, nell’essere-per- la morte, Heidegger trova la consolatoria promessa dell’autenticità.

Nell’autenticità, così come è pensata da Heidegger, si incontra, dunque, secondo Schmid, una forma di salvezza, tramite il sacrificio, del tutto assente nel quadro ottimistico e progressista di Cassirer.

85Schmid, P.A., Angoisse et Finitude. Heidegger et Cassirer à Davos en 1929, Revue de Métaphisique et de

Morale, (3) p. 381, A.Colin, Paris 2000, articolo presente anche nella versione tedesca in Kaegi D, Rudolph E.,

Per quest’ultimo, infatti, la filosofia non può promettere consolazione o salvezza ma soltanto “una limitata speranza, un compito infinito e la responsabilità soggettiva quanto all’evoluzione della cultura [trad. mia]”86.

La prospettiva è così, in fondo, del tutto ribaltata.

Heidegger sembra qui promettere molto più di Cassirer, mentre quest’ultimo sembra riconsegnare l’individuo alla propria responsabilità storica nei confronti di se stesso e della collettività.

Se la conclusione cui giunge Schmid appare, però, in buona parte condivisibile per quanto riguarda Cassirer, essa sembra invece affrettata nei confronti di Heidegger, in particolare in relazione allo snodo tra il tema dell’angoscia e quello del sacrificio dell’essere umano per l’essere.

Di questa difficoltà sembra consapevole lo stesso Schmid, che si appoggia, per realizzare tale snodo, alla citazione della postfazione di molti anni successiva a Was ist Metaphysik?.

La difficoltà è duplice in quanto, da un lato, si tratta in fondo proprio del problema che Heidegger ha in quegli anni, ossia quello di passare da una forma di individuazione, come può essere ancora rilevata nelle considerazioni sul Sein- zum- Tode e sull’angoscia (considerazioni che spingono lo stesso Cassirer a parlare di individualismo religioso in Heidegger) a un pensiero del Dasein che vada oltre- attraverso il passaggio obbligato dell’angoscia- l’individuazione stessa, e, dall’altro, poiché l’argomentazione sul sacrificio salvifico o almeno consolatorio è basata- come detto- solo sul richiamo alla postfazione del 1943 già ampiamente avviata sulla via della risoluzione delle difficoltà, che agitano la riflessione heideggeriana nel periodo di Davos.

Tuttavia, queste considerazioni hanno per se stesse un duplice merito. Da un lato, mostrano la complessità di temi e di possibili letture che il dibattito offre all’interprete e, insieme, costituiscono un tentativo originale di scardinare quegli stereotipi che, invece, impediscono al dibattito di dispiegare la propria complessità.

86 Schmid, P.A., Angoisse et Finitude. Heidegger et Cassirer à Davos en 1929, Revue de Métaphysique et de

Capitolo secondo: Heidegger.

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