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N EL LICEO E N ELLE DUE CLASSI SUPERIORI DEL GINNASIO.

L ic e o

N e lla scelta d e 'te m i d e lle co m p o sizio n i ita lia n e e la tin e n el L ic e o , si è badato in n a n zi tutto a f a r sì, che p e r la lo ro n a tu ra e p e r la loro v a rie tà riu scissero non p u r e a svo lg ere arm o n ica m en te le fa c o ltà m e n ta li d e ’ g io v a n i, a sn o d a re e in v ig o r ire la in te llig e n z a , a e s erc ita re la f a n ta s ia , a p e r fe z io n a r e il sentim en to d el bene e d e l bello , m a a d a v v e z za rli a n c o ra a ve n tila re e discu tere alcu n i p u n ti p iù m a la g e vo li d i c ritic a . È vero che a lc u n i d i q u esti a rg o m e n ti sem bran o a p r im a g iu n ta difficili e p o co a cc o m o d a ti a lla c a p a c ità d e ’ g io v a n i che stu dian o n el L iceo ; m a ch i co n sid e ra che la p iù p a r te d i essi sono q u istio n i a g ita te e p r e s e a d isa m in a n ella s c u o la , v e d rà ch e son o i p iù fa c ili.

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L E T T E R E ITA LIANE

( P r o f . F r a n c e s c o L i . n g u . i t i )

I. D escrivete quel vecchio e cieco gram m atico perugino, il quale, secondo il racconto che ne fa il P e tra rc a in una delle S en ili, XVI, 7 , corse dietro al P oeta per tu tta l’ Italia, m òsso dal desiderio di baciare quella fronte d a cui erano sta te p en sate e la m ano d a cui erano s ta te scritte le cose che ta n ta m araviglia gli avevano destata.

II. Contradizione di alcuni filosofi ed economisti italiani del secolo p assa to ; i q u a li, m entre predicavano la indipendenza della n a z io n e , non tem evano d’ in­ sozzare la lingua di b a rb a rism i, e di attin g ere , troppo serv ilm en te, n ella critica e nella s c ie n z a , alle fonti straniere. E non si avvedevano che di loro poteva a buon diritto rip etersi ciò che T acito o sserv av a de' B r itia n n i s n e r v a ti d a lla g e n ­ tile zza r o m a n a, che , com e non -p ra tic h i, ch ia m a va n o g e n tile z z a ciò ch e e r a u n a sp ecie d i va ssa lla g g io .

III. Le grandi riform e non si compiono senza su p e ra re molte difficoltà e senza sosten ere m olte lotte.

IV. D ichiarate questa sentenza di Cicerone : N eq u e e n im fie ri p o t e s t, u t d o le a t is q u i a u d it, ut p e r tim e s c a t a liq u id , u t a d fletu m m is e ric o rd ia m q u e d e d u c a tu r, n isi om n es ii m otu s quos o r a to r a d h ib ere vu lt, in ip so o ra to r e im p r e ssi esse a tq u e in u sti vid ea n tu r. ( De Orat. Lib. II, 45. )

N on dim enticate i versi di D ante :

Io mi son un che quando ec.

V. I grandi uomini m irano a prom uovere piuttosto g l’ in teressi della p a tria che quelli della fazione a cui a p p a rte n g o n o , e antepongono a lla v an a a u ra po­ polare la fam a appo coloro

Che questo tem po chiam eranno antico.

VI. Eroism o di una m adre che ai suoi privati affetti preferisce 1’ am ore della p atria. (Ippolita degli A z z i, nobile donna di A re zzo , dopo la b attag lia di C am ­ paldino, an. 1289.)

VII. Lo s t u d i o d e l l a l i n g u a h a p u r e u n a i m p o r t a n z a p o l i t i c a . R i c o r d a t e c i ò

che avvenne nel P a r l a m e n t o S u b a l p i n o , q u a n d o e r a P r e s i d e n t e i l G i o b e r t i . D i s c u ­

tendosi n o n so q u a l e q u i s t i o n e , dopo c h e A m e d e o R a v i n a e b b e e s p o s t o il s u o p a r e r e

rincalzandolo con sode r a g i o n i , s o r s e u n a l t r o D e p u t a t o : e , io d i v i d o , d i s s e , l ’ o p i­ n ione d e ll'o n . R a v in a .Io ho d r itto , r i p i g l i ò il R a v i n a , d i p r e te n d e r e , ch e m i si la sc ii n t e r a la m ia op in io n e , e non s i d i v i d a. S o bene che i tir a n n i seg u ita n o il p r i n ­ cip io : Di v i d e e t i m p e r a ; m a io non p a tir ò m a i ch e in q u est’ a u la e a ll’ o m b ra d e lla b a n d ie ra tric o lo re si abbia a Di v i d e r e e So v e r c h i a r e. E q u a n d o i l D e p u t a t o osservò

che n e l P arlam ento n o n si f a n n o q u i s t i o n i d i g r a m m a t i c a e d i l i n g u a : No, r i p r e s e

il R a v in a , la g ra m m a tic a h a i su oi d r itti in tim a m en te co n n essi con q u e lli d e lla n a zio n e. F r a le c a u s e , o S i g n o r i , che va lsero a m a n ten ere in te g re e in d ip e n d e n ti le n a zio n i, p o tis sim a io repu to il culto d e lla lin g u a e d il risp etto d e lla g ra m m a tic a . R ic h ie g g o a du n qu e d a l P re s id e n te , che f a c c ia risp e tta re la in te g r ità d elle o p in io n i e i d r itti d ella g ra m m a tic a . (Ilarità g e n e r a l e e d a p p l a u s i )

Scriverà bene chi n a rre rà il fatto con brio e movimento dram m atico.

V ili. Quando nella le tte ra tu ra sorge la im itazione, e p erch è g l’ im itatori più a ’ difetti si attengono, che a ’ pregi de’ loro modelli ?

IX. F e rm a ti, feriscimi piuttosto nel petto, affinchè i miei amici non abbiano ad arro ssire credendo, che in fuga io fossi rim asto colpito da tergo.

Cosi diceva a un T e b a n o , n e’ cam pi di L eu ttra dove aveva com battuto da prode, uno Spartano m ortalm ente ferito.

D escrivete la b attag lia di L eu ttra e la m orte gloriosa di questo eroe.

X. A ccettare nelle cose della lingua soltanto 1’ uso popolare senza correggerlo e forbirlo collo studio de’ c la s s ic i, to rn a il m edesim o che preferire alla D iv in a

C om m edia le rozze visioni del Medio Evo, al D ecam eron e i f a b lia u x , al C an zon iere

del P e tra rc a quello di F ra Jacopone, o al brillante forbito, te rso , faccettato an ­ teporre il brillante ancora coperto di terriccio, come è uscito d alla miniera.

XI. R ecate in prosa la bella descrizione che fa l’ Ariosto dell’ incontro di Orlando co’ m asnadieri.

XII. Giova talvolta ne’ dram m i ed anche in altre specie di poesie rap p resen ­ ta re il vizio in tu tta la su a bru ttezza per m etterlo in orrore ed abom inio, nello stesso modo che gli Spartani ponevano a ’ lor figliuoli in abom inazione 1’ u b bria- chezza, rappresentandone i tristi effetti.

R icordate i versi del M etastasio :

Nè è vero già che dipingendo i falli Gli altri a fallir s ’ inviti. È della colpa Sì orribile 1’ aspetto

Che p arla contro lei, chi di lei p arla, E per farla a b o rrir, b asta ritrarla.

XIII. I fatti si vogliono giudicare non dall’ esito a cui vanno a m etter capo, m a dal loro intrinseco c a rattere m orale e dal fine a cui sono indirizzati.

Scrivete sopra di questo argom ento un dialogo , in cui si finga una disputa fra due giovani intorno al monumento d a innalzarsi a ’ prodi che caddero in Lissa. Uno degl’ interlocutori non sa in te n d e re , perchè si debbano onorare i v in ti, e l’ altro gli prova che le azioni si debbono giudicare in sè, non già ne’ loro risul- tam enti, e che un popolo si renderebbe reo di g rave ingratitudine, se non onorasse la m em oria di coloro che lo d ife s e ro , anche quando non arrise loro la vittoria.

XIV. Con esempi, più che con teoriche, m ostrate in che dimori la bellezza. XV. A veva Eschilo in una su a trag ed ia introdotto un personaggio a p arlare oltraggiosam ente contro di Giove e degli altri Dei. A ccusato innanzi all’ areopago e convinto di reità, era per esse r lapidato, quando il fratei suo per nome Am inta, ivi allora presente , tra sse in mezzo , portatovi da egual impeto di dolore e di am or fraterno, e, M e a n co ra , disse, o g iu d ic i, co n d a n n a te in siem e con E sch ilo m io f r a te llo a lla m edesim a m orte , g ia c c h é , m o rto lu i che m i sostien e in vita , non m i rim a n e on de vivere. M io f r a te llo è sta to em p io ; m a la su a em p ietà è sta ta d i p a ro le e d i p a r o le non sue, m a d el p e r so n a g g io ch e ha in tro d o tto a p a r la r e . A l c o n tra rio la m ia verso d i v o i , o g iu d ic i, verso d i te e i tu o i D e i, o A t e n e , verso tu tta la G r e c ia , non è stata p ie tà d i p a r o l e , nè fin ta ra p p re se n ta zio n e te a tr a le ; ed eceone la p ro v a . E cosi dicendo , tra sse di sotto la veste e levò alto un m oncherino , avanzatogli dalla fam osa b attag lia di Salam ina.

I giudici, a queste parole profondam ente com m ossi, assolvettero Eschilo in in g ra zia del fratello.

D escrivete questa scena, e riproducete il discorso di Am inta ampliandolo. XVI. Interrogato una volta S ocrate intorno a un potente m o n a rc a , se fosse avventuroso e g ra n d e: N o n s o , risp o se, s e s i a f o r n ito d i virtù e d i d o ttr in a .

XVI. N e’ migliori tempi di G recia e di Rom a si ebbero in m aggior pregio la ragione e l’ onestà che l’ utile e il guadagno.

XVIII. Pigliando le m osse dalla spiegazione della parola H u m a n ita s e del- 1’ aggiunto di H u m a n io res che i nostri buoni antichi davano agli studi c la s s ic i, m o strate dove propriam ente m irano cosi fatti studi, e i vantaggi che se ne traggono.

XIX. R isposta di T em isto cle, esiliato da A te n e , a Serse che l’ invitava a m ettersi a capo dell’ esercito persiano e a m uovere contro la patria.

XX. Com m entate il sonetto del P e tra rc a : V inse A n n ib à i e c ., e dite 1’ occa­ sione in cui fu scritto.

XXI. Il Goldoni, viaggiando da Milano a M odena dove dim orava la m a d re , fu aggredito d a’ m asnadieri che lo spogliarono di quanto aveva indosso. Giunto a casa, provava un grande conforto nel leggere agli amici la trag ed ia il B e lisa r io ,

unico oggetto che avesse potuto salv are dalle mani de’ ladri.

XII. Coll’ esempio della canzone del P e tra rc a sulla G lo ria m ostrate l’ indole e il c a rattere dell’ allegoria.

XXIII. Gian Vincenzo G ravina, passeggiando un giorno d’ estate n e’ dintorni di R o m a , udi uscire da un capannello di g ente ferm a dinanzi a u na m odesta botteg a di civaie un insolito canto. E ra un fanciullo in su ’ dieci anni che improv­ visav a versi con tale spontaneità e soavità di voce da p arere un prodigio. Bello e ra e biondo, e dagli occhi, dalla fronte spaziosa, dal sorriso trasp a riv a l’ ingegno precoce e m irabile. Il Gravina, preso da am m irazione, volle condurlo s e c o , e lo fece educare negli studi classici e nella filosofia. Il giovanetto e ra Pietro M etastasio.

Ingegnatevi di ritra rre con vivacità questo incontro del M etastasio col G ravina. XXIV. L a ingratitudine de’ cortigiani.

Quando il cadavere di M anfredi fu nel campo di B enevento g ettato ignudo e sozzo di polvere e sangue; fra’ baroni il solo Giordano L an cia osò riconoscere il suo re, e lagrim ando e piangendo ne abbracciò 1’ esanim i spoglie ; e fra ’ rim a­ tori cortigiani di Sicilia e di P ug lia nessuno ebbe un accento di dolore pel po­ vero M anfredi, tran ne il trov ato re provenzale Amerigo di P e g u illa in , che ne cantò le lodi in una serventese.

XXV. O ltre il rogo non vive ir a n em ica. Quando signoreggiavano in F irenze i Guelfi, la repubblica fiorentina con decreto del 12 agosto 1373 erigeva una c a t­ tedra, dalla quale la Divina Commedia, a docu m en to d e l buon v iv e r e , fosse pub­ blicam ente sp ieg ata ; e ne fu dato l’ incarico a Giovanni Boccaccio. E ran o an cora vivi i nemici di D a n te , e i figli e i nipoti di quelli eh ’ erano stati da lui ac re­ m ente v itu p erati, e che forse avevano al fianco le arm i anco ra tinte di san g u e; e pure applaudivano al com m ento della Divina C om m edia, e l’ ascoltavano con am m irazione.

XXVI. Il capitano Boyton nel porto di Salerno. XXVII. Gli scrupoli di Tiberio nelle cose della lingua.

Q uante b arb are crudeltà aveva egli com m esse ! di quali nefande iniquità si era reso reo ! E pure nel p a rla r latino ebbe tenerissim a c o sc ie n z a , e a tanto scrupolo si re cav a il prendere in p restan za da lingue stran iere qualche p a r o la , che M o n o p o l i a n o m in a tu ru s, come dice u n s u o biografo, quell’ anim a tim o rata p r iu s ven ia m p o stu la v it. U na notte, fatto 1’ esam e di coscienza, non potò riposare, perchè si ricordò di av er usato un neologismo. Onde fece venire a sé i più celebri filo­ logi e gram m atici per proporre loro i suoi dubbi.

D escrivete questo stran o c a ra tte re di Tiberio : ritra e te pure il consiglio che tenne co’ gram m atici, e non lasciate di far spiccare la codardia di quell’ ad ulato re, che volle risolvere la quistione con queste parole : Q u am qu am hoc verbo nem o usus est an teh ac ; tam en id tu a cau sa re c ip ie m u s, et in te r vetera referem u s.

XXVIII. Il giorno 15 novem bre 1876 s ’ inaugurò il congresso ginnastico in R om a, e 1’ adunanza si tenne nella sa la degli O ra zi e C u riazi.

F ingete di essere stati invitati a quella festa, e di dover pronunziare un di­ scorso intorno a lla im portanza della ginnastica.

Scrivendo la breve o ra zio n e, giovatevi de’ versi del P arin i nell’ O de su ll' ed u ­ ca zio n e :

G arzon, nato al soccorso Di Grecia, or ti rim em bra P erch è alla lo tta e al corso Io t’ educai le m em bra : Che non può un’ alm a ard ita, Se in forti m em bra h a vita ?

Nè dim enticate 1’ ode VIII, lib. I di Orazio, che si lam enta dello scadim ento degli esercizi ginnastici in Rom a. R ic o rd a te ' pure le parole di Vegezio (D e re mil. 1, 10.) I vecchi R o m a n i, egli d ic e , ch e fe c e r o cotan te b a tta g lie , p r o v a ro n o c o ta n ti p e r ic o li e a m m a e stra ro n o i c a v a lie ri a d o g n i a rte d i c a v a lle ria ; il cam po M a rzio vicin o d e l T evere elessero , n el qu ale i g io v a n i, d i p o ’ le p ro v e d elle a rm i, il su d o re e la p o lv e r e lavavan o, e rip o sa v a n si n otan do p e r l'a c q u a . (T rad. del Giamboni)

XXIX. I grandi uomini sentono ancor essi i p rivati e dom estici a ffe tti, m a sanno, al bisogno, sacrificarli sull’ a ltare della patria.

XXX. L ettera ordinata a confortare un giovane che sgom entato per la m a­ lagevolezza e la moltiplicità degli studi liceali, si dispone ad abbandonarli.

Non bisogna dissim ulare le difficoltà, nè cadere di animo. Con una volontà forte e c o s ta n te , con 1’ assiduità dello s tu d io , con 1’ attenzione n ella scuola difficoltà si vincono facilm ente; e i vantaggi che da questa m aniera di studi sì ritraggono, ben valgono a com pensare le fatiche gravi che essi richieggono.

I I . a C lasse

I. Leggete il canto XIV del T asso, e vedete se sia il caso di ra p p resen ta le in quel m astro di m agia il potere d ell’ a rte e delle scienze fìsiche , e le m araviglie tecniche dell’ età n ostra in que’ so tterran ei palagi descritti colà in sì v aga m a­ n ie ra , e nella luce viva e perenne che li risc h ia ra e in que’ cenni ed avvisi in modo ignotissim o fatti e scam biati tra personaggi diversi e lontani e nella pic­ cola nave che senza argom ento di rem i e per propria virtù m otrice vola le mille miglia di là dall’ Atlantico.

II. D ichiarate questa sen ten z a: I l bello è d iffic ile ; m a il difficile non è il bello;

e m ostrate quanto s ’ ingannano coloro che confondono il bello col difficile, e come questo scambio fu sem pre effetto e indizio della decadenza dell’ arte. L a poesia degli Arabi sfoggiò in lavori strani di r itm o , in im m aginette ec. Dagli Arabi si travasò il m al gusto ne’ Provenzali, e una vena non troppo sca rsa ne fu derivata n e ’ primi nostri verseggiatori. Nel Seicento ricom parvero quelle freddure e m attie, e ogni cosa fu piena di a c ro s tic i, di a n a g ra m m i, di allitterazioni e di altrettali scempiezze.

III. P aragonando fra loro le descrizioni del tram onto, 1’ una di Virgilio : E t jam sum m a procul villarum culm ina fum ant,

M ajoresque cadunt altis de m ontibus u m b rae, e l’ altra di Dante :

E ra già 1’ o ra che volge il desio ec.,

m ostrate i caratteri che distinguono la poesia m oderna dall’ antica.

IV. Con esempi tolti dalla D iv in a C om m edia m o strate, come Dante im itava i classici, variam ente atteggiando le cose tolte, anzi rifacendole e migliorandole. Vi basterebbe risco n trare il C aronte di Virgilio con quello di Dante e la similitudine dello stesso poeta latino: Q uam m u lta in s y lv is etc. con l’ a ltra : Com e d 'a u tu n n o ec.

V. Ingegnatevi di ritra rre il c a ra tte re dell’ Alfieri con la sua forte tem pera di animo nemico di ogni tirannide, anche di quella della piazza, col disdegno della leggerezza che m ostravano nelle cose religiose i volteriani e V o lta ire , eh ’ egli soleva chiam are : D isin ve n to re o d in v e n ta r d e l n u lla ; non senza un sentim ento religioso, pel quale am m irava la B ib b ia , invidiava i santi esempi della m adre s u a , e nelle trag e d ie, specie nel S a u l, ritra s s e il terro re religioso ec. ec.

VI. L ’ anim a um ana tende incessan tem ente al bene, m a sovente nella ricerca di esso si lascia ingannare da bugiarde apparenze.

A m ostrare questa v erità vorrei che vi serv iste di due luoghi di Dante. L ’ uno è nella D iv in a C om m edia (Purg. c. XVI)

L’ anim a sem plicetta che s a nulla, Salvo che m ossa d a lieto fattore V olentier to rn a a ciò che la trastu lla, Di picciol bene in p ria sente sapore,

Quivi s ’ in g a n n a , e dietro ad esso corre, Se guida o fren non torce il suo am ore.

L ’ altro è nel C on vito, T ra tt. IV, dove rassom iglia 1’ uomo al pellegrino che, venuto la prim a volta in u n a città, scam bia l’ albergo da lui eletto con altri. E sicco ­ me p ere g rin o che va p e r u n a via , p e r la qu ale m a i n on f u , che o g n i caso che da lu n gi vede, cred e che sia l ’a lb e r g o ; e n on tro v a n d o ciò essere, d r iz z a la c red e n za a ll’a ltr o ,

e cosi d i ca sa in casa, tan to che all' a lb e rg o vien e (V. C o n v i t o re in te g ra to n el testo con nuovo com m en to d a G . B a t t i s t a G i u l i a n i , Firenze, Le M onnier, 1875, pag. 451.)

VII. Com m entando que’ versi dell’ Alfieri : È repubblica il suolo, ove divine

Leggi son b ase a um ane leggi, e scudo All’ uom può farsi, e ognuno h a il suo co nfine, e quegli altri :

È repubblica il suolo, ove illibati

Costumi h an forma, e il giusto sol prim eggia, N è i tristi van del pianto altrui beati,

m ostrate come nel giudicare del governo degli stati bisogna b ad a re a lla so stan za , non già alle forme, a’ nomi e alle apparenze.

VIII. E nea Silvio Piccolom ini, cioè P a p a Pio II, nel 1459 bandisce a M antova una crociata contro i Turchi, che, im padronitisi di Costantinopoli nel 1453, m i­ nacciavano la C ristianità.

P arlò in quell’ occasione il P a p a con m irabile eloquenza: parlò F ran c esco fi- lelfo : parlò pure in latino Ippolita, figlia di F rancesco Sforza. F in alm ente un am ­ basciatore greco m osse una più vera e profonda pietà col d escriv ere le sven tu re della sua p atria e la feroce crudeltà de’ Turchi.

P ro cu rate di ritra rre quella solenne assem b lea e di ripro d u rre il com m ovente discorso dell’ am basciatore.

IX. Le satire dell’ Ariosto m esse a confronto con quelle di Orazio. Loro im ­ p o rtan z a per la storia de’ tempi e p er la vita del poeta.

X. Q uante volte ci avveniam o in uomini, in cui p are sia individuato quell’ i­ deale, che tanto bene hanno rappresentato, Omero nel suo T e rs ite , e il T asso nel suo G ern a rd o ! R appresentano essi tatto ciò che eh ’ è più vile, codardo e abbietto nella corruzione um ana. Signoreggiati d alla invidia e d alla gelosia, si vendicano del dispregio in cui sono universalm ente tenuti, e dell’ oblio a cui sono condannati, avventandosi come serpi velenose contro tutto quello che si eleva so p ra di lo ro , e versando il lor fiele e il loro veleno su di tutto ciò eh ’ è onesto e rispettabile.

Sentendo voi orrore e ribrezzo per questi c a ra tte ri vilissim i, son certo che riuscirete a descriverli bene.

XI. L e scuole letterarie che riuscirono più perniciose alle nostre lettere, fu­ rono quelle che divisero e sep araro no ciò che deve an d a re congiunto. C on servare e I n n o v a r eecco la legge del progresso, cosi nelle lettere, come in tutte le altre cose. I classicisti e i Rom antici esa g erati violarono questa legge, volendo gli uni

co n se rva re senza innovare, e m irando gli altri a in n o v a re senza conservar nulla. XII. L a rip a ssa ta di un birro che in r ig a d i p a te rn a c u ra ricopri il Giusti di contum elie, e il tradim ento di un amico lo spinsero a scrivere la s a tira politica.

XIII. E sponete le cause del m oltiplicarsi oggigiorno le parole nuove. (Leggete la bellissim a A p p e n d ic e al vocabolario Italiano della lingua p a rla ta del Rigutini, F irenze, B arbera, 187G.)

XIV. P erch è nel sec. X III0 e nel X IV 0 non attecchirono in Italia i poemi cav al­ lereschi, e i fatti de’ cavalieri rim asero pascolo soltanto della curiosità del popolo ? XV. In m orte di Enrico P etrella. T ornav a egli, poco fa, in G enova non per cercarvi plausi e ricevere i trionfi dell’ a r te , come a ltra v o lta, m a p er avere un

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