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R, più schiettamente catalana 137 Coll i Alentorn aggiunge che i discendent

4. Temi, forme metriche, lingua

4.1 La cultura poetica

Stefano Asperti colloca la figura di Pons de la Guardia in una posizione di primo piano nell’epoca alfonsina, identificata come l’apogeo della poesia trobadorica in Catalogna. Asperti sottolinea innanzitutto il fatto che tutti i trovatori d’origine catalana di quest’epoca sono di famiglia nobile, che non sono poeti professionisti e che «incarnano quindi l’ideale del cavaliere-poeta».273 Da queste costanti della

prima lirica trobadorica prodotta da catalani si possono trarre due conclusioni: in primo luogo che evidentemente l’ambiente alfonsino non era ancora completamente sensibilizzato al gusto della lirica in lingua d’oc, ragion per cui non si trovano trovatori catalani professionisti a quest’epoca; in secondo luogo il profilo sociologico dei trovatori «ribadisce l’indissolubilità del nesso iniziale fra ideali cortesi e ceto aristocratico».274

È in questo quadro storico-culturale che va inserito il cavaliere Pons de la Guardia, la cui figura è descritta con estrema ed efficace sintesi da Asperti. Il filologo individua tre caratteristiche fondamentali della cultura poetica del trovatore catalano: egli è «strettamente legato al re, poeta amoroso di grande eleganza, allineato ai canoni formali del trobar leu».275

In queste poche parole si trovano riassunti tutti i capisaldi del profilo di Pons come trovatore. Tutto il suo legato lirico infatti va collocato nel milieu della corte di Alfonso II che il poeta frequentò assiduamente a partire – a quanto sappiamo dai documenti – dal marzo 1176. Lo stretto legame del poeta con il sovrano influenzò probabilmente anche le sue scelte stilistiche e di contenuto.

Quanto allo stile, l’allineamento ai canoni del trobar leu non sarà frutto di semplice arbitrio: è probabile che l’opzione di un dettato scorrevole e agevole a intendersi sia stata in qualche modo favorita da Alfonso, il quale, trovatore lui stesso, prediligeva un poetare più facile. Non solo infatti questo gusto del sovrano

273 ASPERTI 1999a, p. 344. 274 ASPERTI 1999a, p. 344. 275 ASPERTI 1999a, p. 344.

80 appare evidente dalla lettura della canzone d’amore a lui attribuita che ci è pervenuta (BdT 23.1), ma anche Giraut de Bornelh, che fu suo tenzonante in un

partimen (BdT 242.22 = 23.1a), ci informa nella canzone BdT 242.79, composta

mentre si trovava in Spagna, che per essere apprezzata in terra catalana una canzone deve essere purificata dei dichs escurs (v. 4) perché sia leu entenduda (v. 9). Come commenta De Riquer, dunque, «Alphonse II aimait le “trobar leu”, et cette préférence obligeait les troubadours qui se rendaient à sa cour à écarter le précieux et l’obscurité».276 Pons si sarà probabilmente sottomesso a questo gusto del

sovrano.

Ma il rapporto con il re avrà influenzato il canzoniere del cavaliere-poeta anche sul piano contenutistico: il fatto che il suo legato lirico contenga solo canzoni d’amore, mentre nella produzione di altri trovatori catalani a lui contemporanei del calibro di Guilhem de Berguedan o di Uc de Mataplana spiccano diversi sirventesi personali e politici, si potrebbe spiegare sul piano sociologico considerando che Pons, a differenza dei trovatori menzionati, non era un potente signore membro dell’antica nobiltà catalana, bensì un cavaliere cadetto, un miles al servizio del monarca la cui fedeltà alla politica militare e culturale di quest’ultimo gli avrà impedito di assumere nei suoi testi la vis polemica di certi sirventesi del suo periodo.

Questo condizionamento da parte del re si nota nell’unico luogo della sua opera in cui si incontra un riferimento alla realtà contemporanea, ossia nella canzone II, laddove si parla della dona de Burlatz (v. 46) che subì da parte di Alfonso II un’umiliazione. Pons tratta la questione in modo allusivo, non rivolge alcuna accusa diretta al re e si limita a esprimere preoccupazione; al contrario Guilhem de Berguedan non ha nessuna remora nel definire Alfonso reis deschauzitz nel sirventese BdT 210.17 (v. 18) in cui biasima il monarca catalano per la sua condotta proprio nei confronti di Adelaide di Burlatz.

Trobar leu, poesia d’amore e stretto rapporto col sovrano che condiziona

contenutisticamente le sue liriche: tutte queste caratteristiche trovano giustificazione nella tesi di Martin de Riquer a proposito della politica culturale di Alfonso II secondo cui dietro alle vicende letterarie catalane di quel tempo si deve scorgere un problema politico. Scrive De Riquer:

81

Le roi d’Aragon, devenu marquis de Provence, en lutte avec les comtes de Toulouse, cherchait à se rendre populaire et prestigieux en face des petits seigneurs féodaux de ses domaines au nord des Pyrénées, et en même temps qu’il recevait l’hommage des châteaux, des fiefs et des villes, qui lui assuraient la possession d’une partie du Midi de la France, il prêtait son hommage aux principes fondamentaux de la poésie des troubadous et tâchait d’attirer ceux-ci dans son entourage et de les recevoir à sa cour.277

Anche l’opera di Pons dunque si inserisce in questo progetto culturale determinato dalla situazione politica che vedeva schierati da un lato il conte di Tolosa e la casa reale di Francia e dall’altro il conte di Barcellona e i Plantageneti. Andranno letti allora in questo senso i primi versi della canzone VII in cui Pons si augura che le sue canzoni siano ascoltate in Provenza dove sa che piacciono alle donne: «c’ades dei voler de mon chan | que sia volgutz et auzitz en Proensa, | que ben conosc q’a las donas agensa» (VII, BdT 377.1, vv. 3-5).

Il contesto cortigiano in cui veniva cantata e ascoltata la poesia di Pons sarà insomma a grandi linee quello descritto nella Chronica Gaufredis laddove Jofre de Vigés parla della celebre e sontuosa festa indetta da Raimondo V di Tolosa nel 1174 a Bellcaire e che terminò con l’incoronazione del miglior trovatore, Guillem Mita. È in simili ritrovi che la poesia di Pons avrà trovato il suo luogo privilegiato di ricezione nell’ambito della lunga disputa tra conte di Barcellona e conte di Tolosa. Ruth Harvey, nel commentare il brano della Chronica che descrive l’episodio di Bellcaire, affema che «sembla raonable deduir que una reunió tan important com aquella requeria la presència d’un trobador famós com a part de l’espectacle, per contribuir a l’elegància, la distinció i el prestigi de l’ocasió».278 Un trovatore

professionista come Guillem Mita poteva essere considerato membro di un vero e proprio star system, e il suo invito alla festa da parte di Raimondo di Tolosa va interpretato come una mossa di politica culturale. Allo stesso modo Alfonso si fece mecenate di trovatori nella sua corte, invitando poeti e, nel caso di Pons, favorendo l’inclinazione poetica di un cavaliere della sua cerchia così da diffondere anche

277 DE RIQUER 1959, p. 186.

278 HARVEY 2006, p. 15. Questo articolo della Harvey è la versione tradotta e attualizzata di HARVEY

82 negli ambienti catalani un gusto per la poesia d’amore che al di là dei Pirenei era già così ben sedimentato da consentire a diversi trovatori professionisti di vivere della propria attività.

Di fronte a una figura come Pons è interessante considerare quanto dice De Riquer a proposito della differenza tra trovatori professionisti e trovatori dilettanti:

Ci sono trovatori professionisti e trovatori per cui la coltivazione della poesia è un complemento della personalità o uno strumento per esprimere i propri atteggiamenti, cosa che si può concretizzare affermando che i primi vivono della loro arte e i secondi considerano l’arte come un ornamento o un’arma.279

Pons, come visto, rientra nella seconda categoria e anche se nell’affermare che i trovatori non professionisti considerano la propria arte come un’arma De Riquer aveva in mente soprattutto figure come Guilhem de Berguedan, che appunto usarono la poesia come strumento della loro personale politica, si può dire che anche Pons abbia considerato lo scrivere canzoni non solo come un complemento della sua personalità e un ornamento, ma anche come un mezzo per aumentare il favore e l’influenza del suo sovrano e mecenate in terra provenzale.

Anche per il canzoniere di Pons è possibile impostare un’indagine sui temi e le forme del discorso poetico volta a «delineare gruppi di testi gravitanti attorno a un motivo centrale».280 Sono due in particolare i gruppi di componimenti in cui può

essere diviso dal punto di vista tematico il corpus del trovatore.

Il primo comprende le quattro canzoni in cui compare l’invettiva contro i

lauzengier: III, IV, VI, VII (BdT 377.3, 47.8, 63.4, 377.1). Il fatto che il tema dei

maldicenti compaia nella metà dei testi attribuiti al catalano fa del corpus del nostro trovatore uno dei più importanti per lo studio di tale motivo nella lirica provenzale dell’età classica. Una prima affinità di impostazione tra queste quattro canzoni sta nel fatto che l’invettiva contro i malparlieri si colloca sempre nella cobla finale. Inoltre, in tutti i casi in cui viene evocata la figura del lauzengier, il poeta mette sempre a tema, secondo un topos della lirica trobadorica, la propria noncuranza nei confronti delle calunnie: di queste dicerie e menzogne si sottolineano l’inefficacia

279 DE RIQUER 2010, pp. 44-45. 280 ASPERTI 1990, p. 71.

83 di fronte alla bontà del sentimento e la fine infelice che attende coloro che le praticano:

III, vv. 31-36 Us lausengiers me vol far peitz de mort, mas no m’en clam, que mout n’ai bon conort e no·y ay dan, et il fai que vilans.

Ia non s’en lais que pesaria·m fort: qu’esters son grat auray ioy et deport merces midons, a cui baissei las mans

IV, vv. 41-42 e deu aver de si meteus paor

cel qui d’autrui ditz enui ni folor. VI, vv. 46-49 e ia no·n iauzira, so cre:

digua·m n’om un, e tragua·m l’ueill, cui anc ne prezes ben ni gen de dir lauzenias sol un iorn.

VII, vv. 40-42 mas bon conort n’ai quan be m’o consire, c’anc per lauzengiers bon’amor

no vim faillir; mas no rema en lor.

Tra queste quattro canzoni due fanno riferimento a un maldicente in particolare che perseguita il poeta (III e IV) mentre le altre due sviluppano un’invettiva generica contro l’intera categoria dei calunniatori (VI e VII). Frank ritiene verosimile identificare il lauzengier cui fa riferimento Pons con Raimon Gauceran de Pinos, notabile catalano che, come visto, compare di fianco al trovatore in alcuni documenti e, secondo quanto riportato da Bertran de Born nel sirventese Quan la

novela flors (BdT 80.34), sarebbe stato amante di Marquesa d’Urgel.281

Considerando che Marquesa d’Urgel è, nella ricostruzione del filologo ungherese,

On-tot-mi-platz, l’ipotesi relativa a Raimon Gauceran è verosimile, ma se ci si

attiene soltanto a quanto dicono i testi, l’identificazione non vale molto di più di una semplice supposizione: quella del lauzengier, del resto, nella lirica è generalmente una figura stereotipata e non identificabile con un preciso individuo storico.

84 Le canzoni di questo gruppo sono anche accomunate da un incipit incoativo282 in cui (in tre casi) si sottolinea il desiderio di cantare con il termine talan: «Faray chanzo ans que veinha·l laig tems» (III, v.1); «Plus ay de talant que no suil | com pogues far auzir chantan» (IV, vv. 1-2); «Ben es dreitz qu’ieu fassa ueimai | un vers, depos talan m’en ve» (VI, vv. 1-2); «De chantar dei aver talan» (VII, v. 1).

A questi quattro componimenti, infine, anche se non vi compare il termine

lauzengier o lauzenjador, può essere aggiunta anche la canzone VIII (BdT 377.5)

che contiene una lunga polemica contro un amico del poeta rivelatosi in realtà un nemico (secondo Frank si tratterebbe sempre di Raimon Gauceran de Pinos).

Il secondo gruppo si compone invece delle tre canzoni accomunate dalla presenza del senhal On-tot-mi-platz (I, II, V, ossia BdT 377.4, 6, 7). Come già notava Frank, si tratta di una «série des pièces où dominent les chagrins, les reproches, l’amertume et la résignation».283 Se infatti nelle canzoni VI e VII

predomina un clima felice e nelle canzoni III e IV il poeta, pur riconoscendo le difficoltà del suo percorso sentimentale, non perde la speranza, con le canzoni a

On-tot-mi-platz si rileva un passaggio netto al registro del lamento e dello

scoramento e si fa insistito il ricorso, ad esempio, al motivo della morte per amore: «ieu muer, mas a vos non cal» (I, v. 18); «fora·m meils assatz | que fos mortz ab cor iauzen | que s’ara viu malamen» (II, vv. 14-16); «qu’en puesca morir aman» (II, v. 21); «Mort m’a tant es bel’ e pros» (V, v. 29); «mas morir pusc desamatz» (V, v. 35). Frank chiosa giustamente che «Pons le chanteur d’On-tot-mi-platz, est le poète de la soumission totale, de la résignation à la fatalité de l’amour».284 Le prime due

canzoni sono accomunate anche dalla presenza dello stesso topos incipitario del canto controvoglia.

Per quanto sembri profilarsi abbastanza chiaramente la linea che divide i due gruppi di testi segnalati, tutto il canzoniere di Pons presenta una certa omogeneità dell’insieme che ci permette di individuare alcune costanti tematiche che rivelano gli interessi e gli atteggiamenti del poeta di Ripoll.

282 Francesca Sanguineti e Oriana Scarpati definiscono questa tipologia di incipit come

«metapoetici» (SANGUINETI – SCARPATI 2013, pp. 118-121).

283 FRANK 1949, p. 285. 284 FRANK 1949, p. 281.

85 Prima di passare all’analisi dei motivi più tipici del trobar ponsiano, è interessante considerare i luoghi testuali del suo corpus in cui il trovatore dichiara, secondo un dettato più didascalico, la propria dottrina della fin’amor. Mi riferisco in particolare a due coblas che già Frank definiva «strophes didactique».285 La seconda strofe della canzone I ci informa in particolare sul rapporto tra amore e cortesia secondo Pons:

I, vv. 8-14 Tota corteza fazenda,

solatz, chant e joc e ris moc ben d’Amor, so m’es vis; qu’en tot pretz aiuda e val

Amors trop mais d’autra re, so sapchatz; et ades n’es hom coitatz

de far so que ben esteia.

La quinta cobla della canzone VI invece riflette sull’effetto positivo di miglioramento di sé che l’amore procura all’amante:

VI, vv. 29-35 Ai Dieus, qual meravilla ai

quar ia hom d’amar si recre! Que neus cel a qui peitz en vai sivals n’eschai aitan de be

que n’es francx e n’a meins d’ergueill, e·n vol meils far e plus soven

so don pretz guazanha quec iorn.

La dottrina d’amore che emerge da questi due passi è perfettamente affine a quella esposta dal trovatore che può essere riconosciuto come fondatore del trobar

leu, Bernart de Ventadorn, così come è stata ricostruita, sempre a partire dalle strofe

didattiche, da Appel.286

In effetto, nella poesia di Pons si registrano diversi motivi che rimandano a quel «gioco degli opposita»287 che è una delle caratteristiche principali del mondo poetico di Bernart de Ventadorn secondo la lettura di Pierre Bec.288 Anche i componimenti di Pons, come quelli del maestro limosino, risultano imbastiti sulla

285 FRANK 1949, p. 278.

286 Vd.. APPEL 1915, p. LXXVII e, in generale pp. LXXIII-LXXXVIII. 287 GUIDA 2013, p. 897, n. 18.

86 dialettica e sulla tensione tra poli antinomici. Si registrano per esempio, da un punto di vista verbale e tematico, le due fondamentali linee di forza della lirica di Bernart, ossia la gioia e la non-gioia, la gioia e il dolore, il bene e il male: «mas ben conosc tot cant me fai de be: | lo be·l graesc e·l mal sitot m’en duil. | C’om peitz me fai, can m’esgaran sey uyl, | ai tant de yoy que del mal no·m sove» (III, vv. 15-18); «aixi, entre gaugz e plors, | atendrai vostre socors» (V, vv. 39-40); «ioi n’aurai ieu s’ela·n mi fai | ho ia non aurai d’autra re, | c’autre ioi lo cor no m’acueill; | e s’aquest ioi me fai iauzen, | iamais non puesc aver mal iorn» (VI, vv. 24-28); «E s’ieu ia·m part de leis ni·m tueill, | ia Dieus no·m lais a mon viven | de fin’amor iauzir un iorn» (VI, vv. 40-42). In alcuni luoghi testuali s’intravede quella «zone d’ombre et d’incertitude psychologique […] où la douleur devient joie et la joie douloureuse»:289 «per qu’eu sofer totz mos mals en deport» (III, v. 27). Talvolta, poi, il testo si sviluppa secondo il principio denominato da Bec «cycle inéluctable»290 per cui, per usare le parole di Robert Taylor, «joy leads necessarily to suffering, and suffering leads back to joy in an automatic cycle»:291 le coblas III e IV della canzone III, ad esempio, si strutturano su questa sintesi ciclica di gioia- dolore-goia. Ugualmente presente è la «dialectique du pro et du dan»:292 «Dieus mi laisses vezer ans qu’ieu moris | cum fos mos pros, e ia no fos mos dans, | de vostr’amor, dompna de bon linhatge» (VIII, 37-39). Infine, nel canzoniere ponsiano sono particolarmente frequenti la dialettica tra la vita e la morte (oltre ai passi già citati supra si aggiungano III, v. 11 e VI, v. 8) e il tema dell’amore non ricambiato e dell’insensibilità della donna: «ieu muer, mas a vos non cal» (I, v. 18); «e n’ai dolor, mas vos estatz suau» (III, v. 29); «mas morir pusc desamatz» (V, v. 35).

Mi pare molto significativo che lo stesso gioco di opposita, che dimostra la sicura dipendenza dal modello di Bernart de Ventadorn, si incontri anche nel corpus (di due sole canzoni) di un altro cavaliere-trovatore dell’età alfonsina come Pons d’Ortafas.293 Entrambi questi trovatori catalani di estrazione cavalleresca sono

289 BEC 1971, p. 110. 290 BEC 1971, p. 112. 291 TAYLOR 1991, p. 568. 292 BEC 1971, p. 118.

293 Taylor nel suo articolo identifica nella produzione di Pons d’Ortafas il modello paradigmatico di

87 emblematici del fatto che, anche tra i laici, «l’éducation intellectuelle constitue une préoccupation réelle dans la societé catalane des XIe et XIIe siècles».294

Oltre alle costanti più tipicamente riferibili al maestro limosino del trobar leu, ci sono altri motivi tipici del canzoniere di Pons. Il tema più frequentato in assoluto è quello della vista rasserenante della donna che ricorre praticamente in tutte le canzoni del corpus: la vista della donna fa dimenticare al poeta il suo dolore, sia che si tratti di una visione reale, sia di un ricordo visto quindi nel pensiero, con gli occhi del cuore (uils del cor, IV, v. 32): «tal talent ai que la vis | c’un gran gaug complit, coral | m’es quan la vei e mais re tan no·m platz; | car non pot esser iratz | nuils hom lo jorn que la veia» (I, vv. 24-28); «que sel que la ve soven | non pot aver marrimen» (II, vv. 51-52); «mas sol d’aitan cant tot soletz m’estau | e pes de leis ab lo cor que la ve, | aquel douz pes me soiorn’ e·m reve» (III, vv. 21-23); «Ia no serïon las mei uyl | d’esgarar leis ni son semblan» (IV, vv. 22-23); «C’om non pot aver, qui la ve, | ira ni consir ni esmai» (VI, vv. 16-17); «qu’ieu quan la vei de re no·m dueill» (VI, v. 19), «e quan la vei, meillor qu’ieu no sai dire» (VII, vv. 32-33). Assai frequente è anche la dichiarazione di impotenza da parte del poeta che si esprime nella triplice formulazione del non poder, del non saber e del non ausar: «que si·m destreinh, non ay poder de me» (III, v. 20); «e no sai cossi m’esdeve» (IV, v. 12); «no sai don s’eix l’amor» (IV, v. 14); «non ay poder que·m defenda» (V, v. 28); «non l’aus dir mon talen» (VI, v. 20); «mas no li aus mostrar meillor partia» (VII, v. 25); «e quan la vei, meillor qu’ieu no sai dire» (VII, vv. 32-33); «Era no sai deves qual part me vire» (VIII, vv. 7-8).

Quanto alla lode e alla descrizione della donna si può fare per Pons la stessa considerazione fatta da Stefano Asperti per il canzoniere di Raimon Jordan. Asperti ravvisa che «la dama di RmJord praticamente ‘non esiste’ come figura individuale; le lodi alla bellezza fisica ed alle qualità morali, al pregio ed alla virtù si restringono in poche battute stereotipe, molto scarne e retoricamente ridottissime».295 Lo stesso

può dirsi in fondo anche per la donna di Pons le cui lodi sono sempre generiche e stereotipate. Gli unici scarni elementi maggiormente connotanti che vengono citati sono il fatto che sia de lin reial (I, v. 39) e la sua patria catalana: «c’anc om no las

294 ZIMMERMANN 2003, p. 517. 295 ASPERTI 1990, p. 73.

88 vig meillors | Catalanas ni genzors» (V, v. 51-52). Per il resto le lodi della donna sono piuttosto convenziali e sintetiche e non conoscono particolari sviluppi retorici: «bela don’ap clar vis» (I, v. 33); «al bel cors de lin reial, | gai e cortes de mon On- tot-mi-platz; | qu’en lei es bos pretz prezatz» (I, vv. 39-41); «Que las grans beutatz | e·l cors cueind’ e gai | e·l ric pretz verai | e la valor gran | c’a midons» (II, vv. 25- 29); «que sos bels uuyls e sa fresca color» (IV, v. 27); «e remir sas grans beutatz» (V, v. 26); «Mort m’a tant es bel’ e pros» (V, v. 29); «qu’en lei vey tantas beutatz» (V, v. 43); «que ben parl’ e gent acuil, | per qu’es aut sobre·ls milors | sos rics pretz auzitz e sors» (V, vv. 46-48); «sas lauzors | son aut sobre las meillors» (V, vv. 54-