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teoria, modelli, pratica

4.5 Come “calendarizzare” i percorsi di apprendistato di primo livello

4.5.2 Il tempo “circolare”

dell’apprendistato

Il percorso di apprendistato di primo livello avviato all’I.I.S.S. “Carlo Emilio Gadda” ha il merito senz’altro di rappresentare un primo tentativo di superamento di un rapporto occasionale tra scuola e impresa, tra realtà scolastica e rete territoriale, presupponendo una progettazione congiunta e un tentativo di raccordo tra scuola e tessuto attivo e

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produttivo del territorio. La scelta unanime di tutte le imprese coinvolte di adottare la formula full-time per i contratti, dimostra, infatti, la volontà di dare un senso compiuto al progetto, valorizzando le potenzialità dello strumento dell’apprendistato e del ruolo della pratica lavorativa. Così facendo la sperimentazione riconosce la validità di un’applicazione metodologica di apprendimento sul campo che, a pieno titolo, richiede l’utilizzo articolato del tempo scuola.

Non si può negare quindi che un tentativo di articolazione differente del tempo sia stata compiuta. Tuttavia il cronoprogramma, pur creando prime reti di comunicazione e collaborazione tra soggetti diversi e metodologie differenti, non pare giungere alla inversione di quella «teoria dei due tempi»

che distingue nettamente nella vita dello studente il momento da dedicare allo studio e quello da destinare al lavoro, ovvero di quella epistemologia, tuttora profondamente radicata nella cultura italiana, fondata sul paradigma della separazione tra pensare ed eseguire, tra speculazione astratta e fare concreto, tra teoria e prassi1. Se la logica dell’apprendistato deve, infatti, presuppore l’abbandono dell’idea della scuola come sola sede del sapere e delle conoscenze e soprattutto della logica dei tempi e dei luoghi circoscritti, la calendarizzazione dell’I.I.S.S. “Carlo Emilio Gadda”, articolata in periodi che assomigliano a frontiere, non pare avere ancora, se non solo embrionalmente, la capacità di fare rete e superare la frattura tra formazione e produzione. Osservando la cronologia del primo anno di apprendistato dell’istituto di Fornovo di Taro, il paradigma, che tanta parte ha avuto nella costituzione di quel retaggio culturale e normativo che da oltre un secolo curva il sistema educativo nazionale in una successione di tempi che dividono e pongono in successione gerarchica, il momento del pensiero e il momento dell’esperienza, la scuola e il lavoro, la mente e la mano, non

1 G. Bertagna, Pensiero manuale. La scommessa di un sistema educativo di istruzione e di formazione di pari dignità, Rubettino, Soveria Mannelli 2006, pp. 105-106.

sembra meno.

Rifiutando il pregiudizio dia-bolico e separativo 2 tra momento dello studio e momento del lavoro, tra libri e azienda, tra sapere e fare, l’apprendistato è al contrario chiamato infatti ad abbandonare quel fordismo culturale, didattico e organizzativo che vede e vuole separate scuola e impresa.

Di più. Compiendo questo passo verso il con-creto 3 e il sim-bolico, l’apprendistato riconosce come infondata non solo la separazione tra dimensione professionale e dimensione scolastica, ma anche, e soprattutto, tra dimensione professionale e vita (intesa come tempo “altro”, tempo

“libero” per l’appunto dal lavoro) ovvero tra neg-otium e otium, quasi come se il primo servisse al secondo ma i due siano destinati a non incontrarsi mai.

La possibilità di unire scuola e mondo del lavoro, formazione e impresa si può avverare quindi nell’esperienza dell’apprendistato di primo livello, che rappresenta un’occasione di superamento della dicotomia tra epistème e téchne, due generi di sapere sempre intrecciati l’uno all’altro in modo indissolubile. Se la téchne implica un fare, non si possiede veramente la téchne fino a quando non si sa e si rende ragione di questo fare pienamente e in tutti i suoi aspetti. In altre parole fino a quando non se ne possiede la theorìa4.

L’apprendistato può costituire così un’eccellente occasione da un lato di esperienza e dall’altro di apprendimento.

Anzi, come ricorda Giuseppe Bertagna, l’apprendistato è la strategia di apprendimento più antica e storicamente consolidata al mondo 5 . Siamo noi che lo abbiamo

2 Id., Scuola e lavoro tra formazione e impresa. Nodi critici e (im?)possibili soluzioni, in G. Bertagna (ed.), Fare Laboratorio. Scenari culturali ed esperienze di ricerca nelle scuole del secondo ciclo, La Scuola, Brescia 2012, p. 63.

3 Id, Dall’esperienza alla ragione e viceversa.

L’alternanza formativa come metodologia dell’insegnamento, «Ricerche di Psicologia», 3 (2016), p. 323.

4 Id., Lavoro e formazione dei giovani, La Scuola, Brescia 2011, p. 81.

5 Ibi, p. 13.

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dimenticato. Tuttavia l’apprendimento non è qualcosa che semplicemente “accade”, ma una dimensione che richiede una coscienza e un’autocoscienza del soggetto. L’esperienza che lo studente fa del lavoro implica non solo un suo coinvolgimento fisico, ma anche una compartecipazione spirituale, grazie ai quali si va definendosi il suo essere personale e professionale.

L’apprendistato, se vuole essere occasione per ottimizzare l’apprendimento, deve perciò comprendere un processo ricorsivo di rielaborazione consapevole di ciò che si è sperimentato, adoperando un lavorio circolare ed unitario messo al servizio del pieno sviluppo della persona. In altre parole, l’apprendistato acquista senso, diviene esperienza, dà luogo all’apprendimento e scuola e impresa si incontrano proficuamente, quando e solo quando si ricostruisce il circolo virtuoso prassi-teoria-prassi e quando questi aspetti collaborano ad una dinamica virtuosa, in cui il lavoro rappresenta il mezzo per la formazione e la maturazione integrale dell’apprendista.

Se si disconosce il ruolo del lavoro nella costruzione dell’identità di ogni persona, la distinzione relega il lavoro a un mero momento alienante, estraniante e di sfruttamento 6, un tempo necessario alla sopravvivenza ma in cui l’uomo “svuota” il vero se stesso e compie un’attività lontana dal suo essere più profondo. L’apprendistato deve invece partire dal principio che il lavoro è un mezzo, anzi è il mezzo, per una educazione integrale di ognuno, un tramite attraverso il quale siamo chiamati a trasfigurare l’intero della nostra vita e a tendere proprio alla compiutezza, alla crescita e all’affermazione di noi, in un perenne auto-perfezionarci. Così inteso, il lavoro diventa un’occasione per accrescere tutte le dimensioni della persona, e della società, senza limitarle alla sfera dell’utile e dell’avere, ma legandole indissolubilmente a quelle del bene, e dell’essere più autentico.

In termini educativi l’apprendistato, nel suo

6 Id., Scuola e lavoro tra formazione e impresa. Nodi critici e (im?)possibili soluzioni, cit., p. 14.

essere sim-bolico e con-creto, considera il

‘sapere’ e il ‘saper fare’ (ovvero le conoscenze e le abilità) come occasioni per aiutare l’uomo a scoprire progressivamente le proprie capacità. Esse sono quell’insieme di forze in potenza, la dynamis interna unitaria di ciascuno, che, tramite l’apprendistato, vengono tradotte in competenze personali situate e in atto, ovvero in physis, cioè in doti talentuose uniche e irripetibili che coinvolgono l’intero della persona. In altre parole, il ‘sapere’ e il ‘saper fare’, che sono parte della dimensione dell’avere dell’uomo ma non intaccano il suo essere sostanziale, divengono i mezzi per lo sviluppo dell’essere di ciascuno, che viceversa riguarda le capacità e le competenze7. L’apprendistato rappresenta così un’esperienza di contatto diretto con il mondo del lavoro, e quindi un’autentica occasione formativa che si dà in situazione, in un momento preciso nello spazio e nel tempo, in cui la persona osserva, fa, verifica e riflette, rileggendo criticamente in una ripresa consapevole l’esperienza che ha vissuto, al fine di apprendere e dunque di acquisire competenze.

Un esercizio dell’apprendistato così delineato offre pertanto un’impareggiabile occasione di riverificare nella prassi, in modo circolare e continuo, la pertinenza delle categorie acquisite nell’ambito scolastico formale, ma anche di ricondurre l’esperienza a chiavi di lettura interpretative alla luce della teoria.

Non a caso il termine “competenza” deriva da cum, con, e petere, ovvero dirigersi verso, muoversi in maniera orientata.

Pedagogicamente la competenza è «l’insieme delle buone capacità potenziali di ciascuno portate effettivamente al miglior compimento

7 Si veda G. Bertagna, Dalle conoscenze/abilità alle capacità/competenze: il significato pedagogico e metodologico di una transizione, in G. Bertagna – G.

Sandrone Boscarino (edd.), L'insegnamento della religione cattolica per la persona. Itinerari culturali e proposte didattiche per la formazione in servizio dei docenti di religione cattolica, Centro Ambrosiano, Milano 2009; Id., Apprendistato e formazione in impresa, «Diritto delle Relazioni Industriali», 4 (2011), XXI, pp. 1033-1034.

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nelle particolari situazioni date»8. È così che l’apprendistato, compiendo continuamente questo percorso circolare dall’analisi alla sintesi, spalanca le porte della phrónesis aristotelica, della capacità, cioè, di agire bene in una situazione data9, e della razionalità pratica, attraverso la quale sapere tecnico e sapere teoretico giungono a una sintesi.

L’apprendistato è, così facendo, la dimostrazione dell’unità inscindibile tra théoria, téchne e phrónesis, perché non esiste scienza o sapere teoretico senza fare tecnico (téchne) e senza agire pratico (praxis)10.

4.5.3 I tempi di un apprendistato che vuole