• Non ci sono risultati.

2. DALLO SVILUPPO SOSTENIBILE ALLA CREAZIONE DI VALORE CONDIVISO

2.1. IL PROBLEMA DELLO SVILUPPO SOSTENIBILE

2.1.1. Le teorie ambientaliste

I beni ambientali, come illustreremo nel dettaglio successivamente, soffrono il limite di non poter essere valutati con esattezza mediante l'approccio economico tradizionale, perché esso presuppone che la valutazione venga effettuata con riferimento all'efficienza economica nell'utilizzo delle risorse produttive: secondo tale criterio una risorsa viene utilizzata ottimamente se si riesce a trarre la massima utilità dalla quantità utilizzata. E' evidente come questo metodo di valutazione mal si conforma con le caratteristiche delle risorse naturali: non si può infatti pensare di poter sfruttare al massimo risorse come l'acqua, l'aria o il suolo, come viene fatto per gli altri fattori produttivi, in quanto la loro sopravvivenza all'interno dell'ecosistema è fondamentale per l'esistenza dell'uomo. L'essere umano è incline a non tenere conto del fatto che l'ambiente può sopravvivere senza lui, ma lui non può sopravvivere senza ambiente.

Gli economisti, resisi conto del limite del metodo dell'efficienza economica nella valutazione dei beni ambientali, hanno dunque lanciato il concetto di sviluppo sostenibile, che si basa sull'idea di un utilizzo delle risorse disponibili tenendo conto anche delle generazioni future, rispettando l'equità distributiva dei beni e la qualità ambientale.

Il problema dei beni ambientali però è di non avere un mercato di riferimento dove viene determinato un prezzo per quantità consumata e prodotta e di conseguenza per anni il loro valore è stato sottostimato. Questo ha provocato un continuo utilizzo e

consumo di queste risorse da parte delle imprese, senza che nessuno considerasse l'impatto ambientale delle loro azioni e i costi sulla società da essi inflitti. Non si tratta solo di considerare le esternalità (vedi dopo) prodotte dalle imprese nel ciclo produttivo ma anche di porre un limite al consumo sconsiderato di risorse esauribili e necessarie non solo per gli esseri umani che popolano il mondo oggi, ma anche per quelli che lo popoleranno in futuro.

Gli ecologisti sono dunque intervenuti, proponendo nuove concezioni del ruolo delle risorse naturali all'interno dell'economia, tutte molto diverse tra loro ma con alcuni caratteri in comune (Turner, Pearce, Bateman, 1994). Secondo queste ideologie i sistemi economici odierni devono focalizzare la loro attenzione sulla soddisfazione dei bisogni della collettività nel suo complesso piuttosto che su quelli del singolo individuo; l'“economia verde” viene concepita come rispettosa del concetto di sostenibilità ed essa deve riuscire a separare la crescita economica dagli effetti che provoca sull'ambiente tentando di rendere meno impattante l'utilizzo di alcune risorse da parte delle imprese. In base al principio secondo il quale bisogna separare la crescita economica dagli effetti da essa prodotti sull'ambiente, la teoria economica ambientale può dividersi in “tecnocentrismo” ed “ecocentrismo” (Turner, Pearce, Bateman, 1994).

Il tecnocentrismo si fonda sull'assunto che non debbano esserci imposizioni o vincoli sui consumatori e sui mercati al fine di frenare l'utilizzo e il consumo delle risorse naturali e si può dividere in Teoria dell'abbondanza o Teoria accomodante. La prima avanza l'ipotesi che il mercato debba essere libero e che sarà la tecnologia a farci uscire dai vincoli e limiti imposti sul consumo dei beni ambientali. Le caratteristiche di questa teoria possono essere riassunte così: uno sfruttamento normale delle risorse naturali all'interno di mercati liberi e senza vincoli; un obiettivo di massimizzazione della crescita economica che troverà nel progresso tecnico la capacità di sostituire le risorse il cui utilizzo è limitato; un ragionamento etico razionale alla base che si prefigge di soddisfare i diritti e gli interessi degli esseri umani che vivono nel presente, dando dunque alla natura un mero valore strumentale.

La seconda invece afferma che i mercati possono essere liberi solo se gli individui agiscono e si comportano secondo criteri “verdi”: in questo modo si presuppone che alcuni limiti inerenti il consumo delle risorse debbano rimanere per garantire una loro

utilità anche per le generazioni future. Le caratteristiche di questa corrente invece si sintetizzano così: una concezione di gestione e conservazione delle risorse all'interno di un'economia “verde” dove i mercati vengono guidati da sistemi di incentivazione economica (da qui in poi SIE, come ad esempio le imposte sull'inquinamento); un obiettivo di crescita basata sulla sostituzione limitata tra capitale naturale e altri capitali (regola del capitale costante); un ragionamento etico basato sull'equità intergenerazionale e intragenerazionale ma che vede il valore della natura sempre strumentale.

La regola del capitale costante (Turner, Pearce, Bateman, 1994) presume che la sostituzione delle risorse naturali che vengono consumate non debba avvenire all'infinito nella speranza dell'arrivo di una tecnologia in grado di sostituirle (come avanzato dalla teoria dell'abbondanza), bensì afferma che il capitale naturale debba essere utilizzato solo se può essere sostituito da altro capitale naturale o da altri tipi di capitale come il lavoro.

L'ecocentrismo invece non accetta l'idea di un continuo consumo delle risorse naturali ed esige l'imposizione di vincoli e limiti del loro utilizzo all'interno dei mercati. Come il tecnocentrismo anche l'ecocentrismo si divide in due teorie distinte: l'econcetrismo comunitario e l'ecocentrismo estremo (Turner, Pearce, Bateman, 1994).

La prima afferma che l'economia non si debba sviluppare ma che debba restare in uno stato stazionario, senza consumare le risorse naturali. Le caratteristiche di questa corrente ideologica sono: una salvaguardia delle risorse naturali all'interno di un'economia profondamente verde grazie all'inserimento di norme SIE nei mercati; un obiettivo di crescita economica nulla; un ragionamento etico basato sull'assunto che gli interessi collettivi superano quelli individuali.

La seconda invece, chiamata anche “ecologia radicale” stabilisce che i sistemi economici debbano essere ad impatto minimo sul territorio, il prelievo delle risorse naturali deve dunque essere altrettanto minimo e ci deve essere una riduzione delle attività economiche, della produzione e della popolazione. Le caratteristiche possono essere riassunte così: una volontà di estrema preservazione dei sistemi naturali all'interno di un'economia rigorosamente verde che ponga vincoli stretti per un utilizzo minimo delle risorse; un obiettivo di riduzione della scala economica, ovvero di

produzione e popolazione; un ragionamento definibile come “bioetica” che considera gli interessi e i diritti morali di tutte le specie, comprese quelle non umane (quindi anche animali ed ambiente), dove la natura assume un valore intrinseco indipendentemente dalla valutazione umana.

Come è evidente le stesse teorie ecologiste si differenziano tra loro in base al diverso approccio e importanza che viene data alle risorse naturali ed al loro possibile utilizzo presente e futuro per il fatto che tali teorie si basano su diverse concezioni di limite allo sviluppo.

Esso si riferisce al fatto che esiste un limite quantitativo delle risorse naturali a nostra disposizione e che il loro utilizzo debba essere relazionato alla capacità dei sistemi naturali di ricevere e assimilare gli scarti derivanti dal sistema economico: questo limite si conforma perfettamente alle fonti esauribili, ma non viene condiviso da tutti con riferimento a quelle rinnovabili. Queste ultime risorse infatti possono essere utilizzate in modo sostenibile se l'uomo lascia il tempo alla natura di rimpiazzare e sostituire la componente di ecosistema andata perduta e con queste accortezze possono essere dunque superati i limiti sopracitati.

Inoltre quest'ultima considerazione non è l'unica critica avanzata verso i sostenitori delle teorie ambientaliste ecocentriche: secondo Turner, Pearce, Bateman (1994) molti economisti sostengono che non esistono limiti allo sviluppo, in quanto la produttività delle risorse naturali aumenta nel tempo e dunque è possibile separare la crescita economica dal suo impatto ambientale; si scopriranno sempre nuove risorse da utilizzare in grado di sostituire le precedenti ed in questo modo viene garantita la regola di capitale costante; le emissioni possono essere controllate e grazie alle tecnologie si possono sostituire le sostanze inquinanti ed infine non essendoci un prezzo di riferimento per questi fattori, una diminuzione di quantità consumata non ne aumenta il valore e di conseguenza le imprese saranno spinte continuamente ad utilizzarle.

E' all'interno del dibattito tra queste varie teorie che si è sviluppato il concetto di sviluppo sostenibile, inteso come lo sviluppo che soddisfa la regola del capitale costante nell'utilizzo delle risorse: la sostenibilità può essere espressa come il diritto delle generazioni future di poter avere a disposizione le risorse per poter godere dello stesso livello di benessere delle generazioni presenti. Vedere lo sviluppo economico in

quest'ottica impone il dovere di salvaguardare maggiormente il benessere sociale delle persone svantaggiate all'interno della società ed allo stesso tempo di non danneggiare le generazioni future. Ciò si scontra però con la natura egoistica degli esseri umani: per realizzare davvero un crescita economica sotto l'ala della sostenibilità non dobbiamo solo limitare i comportamenti negativi verso le risorse ambientali, ma dobbiamo stravolgere il comportamento umano, indirizzandolo verso un rispetto della natura e della collettività presente e futura.