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Cap 5.3 ANALISI PALEOISTOLOGICHE E GEOCHIMICHE Cap 5.3.1 ANALISI PALEOISTOLOGICHE

IL TESSUTO OSSEO NEI PESCI (VIVENTI)

Dal punto di vista istologico, le ossa dei pesci sono simili a quelle dei vertebrati superiori (Cohen et al., 2012). A differenza dei mammiferi, tuttavia, i pesci non hanno elementi ematopoietici all'interno dell'osso (Campbell and Murru, 1999). In generale, ci sono due tipi di tessuto osseo nei pesci: cellulare e acellulare (Fig. 5.3.1 A, B, C, D). Il tessuto osseo cellulare contenente osteociti si trova in ordini inferiori, come i Salmoniformi. Pesci di ordini superiori, come i Perciformi di solito hanno il tessuto osseo di tipo acellulare, che si origina per morte cellulare degli osteoblasti che rimangono imprigionati nella matrice (Parenti, 1986). Essendo la principale funzione delle ossa quella meccanica, questo suggerisce che l’evoluzione dell’osso acellulare conferisca un vantaggio meccanico allo scheletro (Cohen et al., 2012). L’istogenesi delle ossa si svolge in due modi, diretta e indiretta. Nella formazione ossea diretta, l'osso si forma in associazione con il derma, mentre quella indiretta, è formata dalla ossificazione pericondrale della cartilagine ialina. Gli osteoblasti del periostio poiché vengono chiusi non lasciano cavità; infatti, gli spazi originariamente occupati da queste cellule vengono riempiti da una sostanza "ossea" costituita principalmente da fosfato di calcio (Mumford et al., 2007).

IL TESSUTO OSSEO PACHIOSTOSICO NEI PESCI FOSSILI – Aphanius crassicaudus

Il primo lavoro in letteratura sul ritrovamento di Aphanius crassicaudus presentanti pachiostosi del tessuto osseo è quello di Meunier & Gaudant del 1987. Nell’articolo viene comparato il tessuto pachiostosico di es. di Aphanius crassicaudus provenienti da vari giacimenti mediterranei (Creta, Italia, Spagna) del messiniano superiore (6.3 – 5.2 M.a.), con il tessuto osseo non-pachiostosico di A. dispar di taglia equivalente. La differenza sostanziale tar i due tipi di tessuto e nel diametro osseo, maggiore in quello fossile, che di conseguenza ne cambia la forma generale. I due tessuti ossei, di Aphanius fossile e di quello vivente, vengono definiti sostanzialmente uguali (acellulari, avascolari), con l’unica differenza che quello vivente risulta volumetricamente meno esteso e sono presenti rari canali vascolari. Il tessuto osseo di Aphanius crassicaudus viene inoltre descritto compatto, sprovvisto di osteociti; la sostanza ossea risulta essere a fibre parallele o lamellare, indicatrice di un’osteogenesi relativamente lenta. Inoltre l’assenza di linee congiungenti di reversione indicano che non c’è del rimaneggiamento osseo (Meunier & Gaudant del 1987). Due ipotesi eziologiche vengono illustrate dai medesimi autori per spiegare il fenomeno della pachiostosi.

1. Ossa ipertrofiche compatte quali correttori di equilibrio in acque ipersalate e più dense dell’ambiente evaporitico, visto che era stata riscontrata solo su individui di una certa taglia e

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disseccata delle sebkha in sud-Algeria, non risultava presente la pachiostosi;

2. La sedimentologia dei giacimenti; ambienti a salinità variabile di tipo mesoalino. I pesci affetti da pachiostosi sono conservati sia nelle marne evaporitiche associate a dei depositi di gesso, sia nei banchi di gesso finemente laminati di facies “balatino”. Inoltre sembrerebbe non esserci una differenza significativa tra il ipo di pachiostosi che affligge gli esemplari di Aphanius crassicaudus fossilizzati nelle marne sia calcitiche che dolomitiche (quest’ultime arricchite di Mg, sembrano formatesi in condizioni evaporitiche. Dunque sembra che non si possa invocare il Mg quale fattore che induce la formazione della pachiostosi, anche perché a Cherasco, in Piemonte, sono stati rinvenuti esemplari indenni da pachiostosi, in sedimenti aventi la medesima concentrazione di Mg. Inoltre non è stato rinvenuto alcun esemplare pachiostosico in Spagna, nel deposito diatomitico del bacino di Hellin (Miocene superiore), nettamente più acido dei precedenti.

La presenza di Gobius ignotus affetto da pachiostosi nel deposito messiniano di Cherasco in Piemonte, con il medesimo tessuto osseo compatto e praticamente avascolare, sembrerebbe suggerire un’influenza dell’ambiente sul processo iperostosante.

Per quanto concerne il tessuto osseo dei pesci, la sua descrizione e la nomenclatura relativa fa riferimento in letteratura a quella di Francillon-Vieillot et al., 1990. Essa viene ripresa da Gaudant & Meunier, 1996, per una dettagliata descrizione ed un confronto tra il tessuto osseo pachiostosico di un Clupeidae - Sardina? Crassa (Sauvage, 1873) che è acellulare e quello cellulare di un Cyprinodontidae – Aphanius crassicaudus (Agassiz, 1832) e di due Gobiidae – Gobius aidouri (Arambourg, 1927) e Gobius ignotus (Gaudant, 1978). Tutti e quattro le specie sopracitate sono fossili del Miocene terminale. Nel lavoro di Gaudant & Meunier, 1996, sono state analizzate sezioni istologiche di: un parasfenoide normale ed uno pachiostosico di Sardina? Crassa; una costola, una vertebra ed una neurapofisi di Gobius ignotus; vertebre, costole ed epineurali di Aphanius crassicaudus. L’analisi delle foto delle sezioni istologiche analizzate nel lavoro di Gaudant &Meunier, 1996 (Fig. 5.3.2), sono state molto utili al fine di poter comparare quelle da noi effettuate su Aphanius crassicaudus e Gobidii provenienti da tre diversi siti italiani (Monte Castellaro - Marche, Monte Tondo – Emilia Romagna, Podere Pane e Vino – Toscana). L’obiettivo della nostra ricerca istologica era quello di poter definire una differenza netta tra tessuto osseo non - pachiostosico o normale e quello pachiostosico, quale strumento di sicura identificazione dell’appartenenza di ogni singolo individuo delle popolazioni studiate ad uno dei due fenotipi. Infatti in letteratura fino ad oggi, nello specifico della specie Aphanius crassicaudus, si è fatto riferimento all’indice di Gaudant (Gaudant, 1979 c; vedasi i dettagli descrittivi nel capitolo: Materiali e metodi), che nell’analisi su larga scala, sia di numero, sia di siti di provenienza degli esemplari, è risultato in taluni casi non valido. Infatti, si è evidenziato che nel caso in cui l’indice di pachiostosi era

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occhio si vedeva un ingrossamento scheletrico ascrivibile al fenomeno della pachiostosi; la presenza di pachiostosi in questi esemplari veniva in molti casi confermato successivamente dalla relativa sezione istologica. Una volta ottenuta una sicura ripartizione degli individui tra non-pachiostosici e pachiostosici, si è provveduto ad effettuare un’indagine geochimica che potesse apportare nuove conoscenze sull’eziologia di questo interessante fenomeno di Bony Mass Increase. Per la determinazione dell’appartenenza degli esemplari di Aphanius ai due fenotipi non- pachiostosico e pachiostosico si è proceduto anche al confronto con il materiale istologico di Aphanius provenienti dal giacimento di monte Castellaro (D’Anastasio, 2004).