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Chiara Micolonghi

Dipartimento di Biologia, Università degli Studi "Roma Tre", Roma

L’esercitazione consente agli studenti di osservare e valutare eventuali effetti tossici o mutagenici di una sostanza chimica sulle cellule.

Per l’esecuzione del test è stato scelto il lievito* Saccharomyces cerevisiae*. Si tratta di un organismo facilmente reperibile (è il comune lievito di birra che si usa in cucina), economico e semplice da coltivare. Inoltre, essendo un organismo eucariote, è utilizzabile come modello con riferimento alle cellule degli organismi superiori.

È opportuno tuttavia tenere presenti alcuni limiti dell’utilizzo del lievito: in primo luogo, esso possiede una parete cellulare estremamente resistente e risulta quindi meno facilmente permeabile rispetto, ad esempio, alle cellule umane. Inoltre, pos- siede specifici meccanismi di riparazione del DNA, differenti da quelli delle cellule umane. Infine, nelle cellule di lievito sono assenti molte vie metaboliche che nei mammiferi sono responsabili della conversione di sostanze in agenti tossici o muta- genici per l’organismo (si pensi alle reazioni enzimatiche che avvengono a livello del fegato).

L’esecuzione del test comporta la semina delle cellule di lievito su un terreno di coltura* solido dove la tossicità di una sostanza è facilmente rilevabile.

Predisposto il terreno colturale in una piastra di Petri*, si distribuisce sulla superficie una sospensione di cellule di lievito e si deposita al centro della piastra un dischetto imbevuto con la sostanza da saggiare. In questo modo nel terreno si determina un gradiente di concentrazione, dal centro al bordo della piastra; se la sostanza è tossica, le cellule non cresceranno nelle vicinanze del dischetto e daran- no origine a colonie a partire dalla zona dove la concentrazione della sostanza è sufficientemente bassa, “permissiva”.

Si è scelto di saggiare l’effetto della formaldeide sulle cellule di lievito.

Se si utilizza il lievito per pizza, disponibile in commercio sotto forma di panetti, è consigliabile lasciar “riprendere” le cellule prima di iniziare l’esperimento. Le cellule che compongono il panetto, infatti, mediante l’adozione di particolari accorgimenti, sono state “abituate” a praticare un metabolismo quasi unicamente fermentativo, a scapito della respirazione. Per ristabilire il metabolismo normale nel quale coesisto- no respirazione e fermentazione, è sufficiente sciogliere in mezzo bicchiere di acqua una porzione del panetto delle dimensioni di un pisello e seminare una goccia della sospensione ottenuta su una piastra di coltura, con un cotton fioc (Figura 1).

Se la piastra è mantenuta 24 ore alla temperatura di 30 °C (o 48 ore a tempe- ratura ambiente), le cellule hanno modo di riattivare il normale metabolismo e di duplicarsi, dando origine a colonie.

Alcune delle colonie così ottenute, composte da cellule metabolicamente attive, sono prelevate e stemperate in un bicchiere d’acqua con l’aiuto di uno stuzzica- denti. Si effettuano quindi opportune diluizioni seriali della sospensione con l’aiuto

di una siringa da 10 ml, in modo da seminare su piastra con un cotton fioc qualche centinaio di cellule. Al centro della piastra è depositato, con pinzette, un dischetto di carta assorbente imbevuto di formaldeide. È bene disporre anche di una piastra di controllo, su cui non si depone il dischetto imbevuto di formaldeide.

Le piastre sono lasciate per 24 ore a 30 °C, oppure per 48 ore a temperatura ambiente.

Si confronta la disposizione delle colonie nelle due piastre. Mentre sulla piastra di controllo si osserveranno colonie distribuite in modo abbastanza omogeneo su tutta la superficie, sulla piastra contenente il dischetto di formaldeide non saranno presenti colonie intorno al dischetto. Questo indica che la formaldeide ha impedito la riproduzione delle cellule: è quindi tossica per le cellule di lievito.

In generale, il diametro dell’alone di inibizione della crescita è tanto maggiore quanto più è alta la tossicità di una sostanza per le cellule (Figura 2).

Figura 1 - Le cellule possono essere seminate in modo abbastanza omogeneo su piastra imbeven- do il tampone di un cotton fioc nella sospensione e passando più volte il cotton fioc sulla piastra con movimenti a zigzag

Figura 2 - A sinistra, piastra di controllo su cui non è stato deposto il dischetto imbevuto di for- maldeide. A destra, piastra con al centro un dischetto imbevuto di formaldeide. È presente un gradiente di concentrazione della sostanza dal centro ai bordi. Le cellule si riproducono formando colonie solamente a partire da una certa distanza dal dischetto: a tale distanza la concentrazione della formaldeide è sufficientemente bassa, tale da non risultare tossica

Rilevata la tossicità della formaldeide, per saggiarne l’eventuale mutagenicità è utilizzato il carattere “capacità di respirare”, che dipende dalla presenza dei mitocon- dri e dalla inalterata funzionalità dei genomi mitocondriale e nucleare. Sono prese in considerazione mutazioni* che comportano la perdita della capacità di respirare. Per la rilevazione di tali mutanti occorre utilizzare un indicatore disponibile in pro- vette, addizionato a una piccola quantità di terreno colturale.

Si fa fondere il contenuto di due provette e, quando la temperatura scende intorno a 50 °C, lo si stratifica sulle due piastre sulle quali è stato eseguito il test di tossicità. Dopo la solidificazione del “top agar”, le piastre sono incubate per 40 minuti a 30 °C (o 60 minuti a temperatura ambiente).

Il trifeniltetrazolio, ovvero l’indicatore contenuto nel terreno, assume colorazioni diverse a seconda del potenziale ossidoriduttivo: quando tale potenziale è alto (cioè quando la cellula respira, oltre a fermentare) assume una colorazione rossa, men- tre quando tale potenziale è più basso (cioè quando la cellula ha un metabolismo esclusivamente fermentativo) non si colora.

Pertanto, se la sostanza saggiata non ha effetti mutagenici, tutte le colonie appa- riranno rosse.

La presenza di qualche colonia* bianca nella piastra di controllo è attribuibile a mutazioni spontanee. La presenza di colonie bianche sulla piastra contenente la formaldeide (in numero superiore rispetto a quello rilevato nella piastra di controllo) indicherà che sono state indotte mutazioni, la frequenza delle medesime colonie consentirà di valutare la potenza mutagenica della sostanza, e la distanza delle colonie mutate dal dischetto fornirà indicazioni sulla concentrazione alla quale si esplica l’azione mutagenica.

Materiali

• acqua distillata sterile • alcol etilico

• beuta sterile (se non disponibile, un bicchiere precedentemente pulito con alcol) • cappa biologica (se non disponibile, si consiglia di lavorare vicino ad una fiamma) • dischetti di carta assorbente del diametro di 0,5 cm circa

• pipette o siringa graduata •

panetto di “lievito fresco per pizza, pane, dolci” (Saccharomyces cerevisiae) pinzette

• 2 piastre Petri contenenti circa 20 ml ciascuna di terreno di coltura per lievito (estratto di lievito 10 g/l, peptone 10 g/l, glucosio 10 g/l, agar 15 g/l)

• 2 provette da 10 ml contenenti 5 ml di terreno indicatore (glucosio 20 g/l, agar 15 g/l e tri-feniltetrazolio 1,5 g/l)

• sostanza da saggiare

spatola per piastramenti (se non disponibile, cotton fioc, come indicato nel testo) Ai fini di una efficace fruizione dell’esercitazione, è opportuno accertarsi che gli studenti abbiano messo a fuoco nozioni e concetti fondamentali:

• la differenza tra cellule che non respirano in quanto “abituate” a fermentare, ovvero assoggettate a cambiamenti non genetici, a livello di regolazione meta- bolica, indotti mediante pratiche industriali (coltivazione in assenza di ossigeno), e cellule incapaci di respirare a causa di mutazioni geniche o genomiche;

• l’esigenza di disporre di standard o “controlli” sperimentali. Nel caso del test proposto, la piastra di controllo, fornendo informazioni relative al comportamento delle cellule in condizioni di crescita “normali”, permette di capire se e come la sostanza in esame alteri tali condizioni;

• l’utilità relativa all’adozione di condizioni di sterilità. Se si lavora sotto cappa o quantomeno in prossimità di una fiamma si evita di inquinare le colture con con- taminanti ambientali, inficiando i risultati del test;

• la diluizione della sospensione cellulare prima di procedere al piastramento. Un eccessivo numero di cellule determinerebbe una crescita confluente delle colonie, ovvero un tappeto cellulare, in cui non sarebbe possibile distinguere sin- goli “individui”. All’opposto il piastramento di un numero di colonie troppo basso potrebbe impedire di rilevare mutanti in ragione della frequenze di mutazione che raramente supera le unità percentuali. Prove preliminari – quali il preventivo piastramento di campioni derivati da diverse diluizioni della sospensione che si intende utilizzare – consentono di effettuare il test disponendo del numero otti- male di cellule.