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La tetrapodia anapestica, la pentapodia anapestica e l'esapodia anapestica.

I. Poesia e prosa: questioni di metodo

I.2 Il ritmo come peculiare configurazione prosodica

I.2.2 La melodia, o unità melodica

5. Fra la metrica del racconto e la metrica del canto

5.4 Prima tipologia ritmica: il settenario, il decasillabo, la tetrapodia, la

5.4.3 La tetrapodia anapestica, la pentapodia anapestica e l'esapodia anapestica.

pentapodia e dell'esapodia anapestiche perché fanno parte di quel tipo di versificazione lunga, che è elemento importantissimo nella prima produzione poetica pavesiana. Di tali strutture, in particolare della tetrapodia anapestica, Pavese aveva sperimentato la dinamicità e l'efficacia già da giovanissimo, quando, poco più che

350 DL, I due. 351 DL, La rupe. 352 DL, L'inconsolabile. 353 Ibidem. 354 DL, Il fiore. 355 DL, Gli Argonauti.

ventenne, l'autore mette insieme la sua prima raccolta di poesie (Sfoghi), contenente una serie di liriche degli anni 1923-1926, destinata alla lettura degli amici, ai quali chiedeva consigli e pareri sull'evoluzione della sua poesia. Pavese in questi anni è un giovane studente, un aspirante scrittore alla ricerca di un proprio stile di scrittura. Queste poesie dimostrano già la ricerca da parte dell'autore di una riga più ampia, dal riconoscibile ritmo anapestico. Emerge all'orecchio la tetrapodia anapestica, struttura che sarà alla base di Lavorare stanca a cominciare da I mari del Sud.

I primi esperimenti di metrica libera, in particolare di verso lungo, e la ricerca artistica e poetica procedono negli anni successivi al '25356. Nel settembre del 1928 (anno decisivo per la sua ricerca poetica) Pavese scrive una lettera all'amico Pinelli, nella quale afferma di essere finalmente arrivato, attraverso un nuovo verso, a comporre delle belle poesie:

Mi pare, e tu scrivimi se proprio è vero, di essere riuscito a riorganizzare la mia arte, […] di aver trovato la mia interiorità più istintiva, il mio mondo esteriore, le mie immagini, di avere un mio, qualunque esso sia, sistema tecnico, scoperto a poco a poco faticosamente nella mia stessa sensibilità, di essere insomma al punto di far davvero delle belle poesie. In altri termini, sarebbe scomparsa la natura frammentaria dei miei versi […] Ti mando alcune delle poesie che io ritengo nuove, e tu vedi un po' se c'è quel miracolo.357

Ed, effettivamente, il miracolo di cui parla l'autore si stava attuando sempre più concretamente. L'elemento anapestico stava prendendo piede nelle sue composizioni poetiche, e si concretizzava anche quella “certa tiritera di parole”358, quella monotona

ritmicità della sua poesia che lo accompagnerà durante tutta la sua vita artistica. Nella raccolta Lavorare stanca il verso non ha misura fissa, e varia da un minimo di dodici posizioni ad un massimo di diciotto posizioni, seguite, generalmente, dall'atona finale. Rimane costante quel preciso ritmo ternario, precisamente quello

356 A proposito dell'evoluzione dell'anapesto nella poesia pavesiana rimando all'articolo dello studioso Matteo Zoppi, “Una certa tiritera di parole”: genesi, forma e funzione dell'anapesto in

Lavorare stanca, in LEVIA GRAVIA, I, 2009, pp. 135-155.

357 C. Pavese, Vita attraverso le lettere, Torino, Einaudi, 2004, cit. p. 41, lettera del 27 settembre 1928.

anapestico, elemento, questo, presente massicciamente anche nella prosa dei Dialoghi. Pavese intendeva dare alla struttura metrica lunga una valenza “epica”, ampia, discorsiva, con cadenze lente ed estremamente narrative.

Ne Il verso di Pavese (in Teoria e prassi della versificazione), Costanzo di Girolamo afferma che il confine tra prosa e poesia, nella composizione artistica dell'autore landino, è assai labile; ammette una presenza ritmico-prosodica nella produzione in prosa di Pavese, ma ne riconosce i limiti oggettivi imposti innanzitutto dalla diversità del genere letterario. Preferisce, e con lui anche noi, parlare di brandelli ritmici astraibili dalla struttura sintattica. Di Girolamo riconosce che non si può trattare di un cursus involontario, o addirittura normale nella lingua italiana; basti pensare, infatti, alle pagine non narrative come i Saggi letterari o il Mestiere di vivere, in cui tali sequenze si riscontrano solo eccezionalmente, tanto da non avere significato oggettivo. Nonostante si riconosca, quindi, la presenza forte del ritmo metrico- prosodico nella prosa, non si può parlare di un cursus regolarizzato:

[…] del resto, anche nei testi poetici successivi al 1939 Pavese aveva ormai rinunciato al sistema regolare, introducendo di continuo elementi di dissonanza, come prima si è osservato. Tali elementi sono ancora più presenti nella prosa; ma anche qui, la discontinuità del sistema ritmico si confronta, e si scontra, costantemente con il sistema stesso: ne risulta una pagina con accenti intensi e fortemente marcati. E che Pavese si lasciasse guidare, nello scrivere, dal flusso ritmico, è evidente da tutta una serie di piccole operazioni linguistiche, che modificano, anche lievemente, la frase, allo scopo di adagiarla all'interno di un determinato schema ritmico.359

Le operazioni linguistiche - che modificano la pagina scritta e il ritmo che ne consegue – di cui parla Di Girolamo possono essere, ad esempio, una parte dei costrutti anaforici che si caricano di motivazione prosodica, oppure per i casi di apocope, importantissimi per il computo sillabico del segmento preso come oggetto di osservazione.

Tornando, quindi, alla prosa dei Dialoghi, si può affermare che il ritmo anapestico è più che presente, e si attua, principalmente, nelle tre forme metriche in precedenza citate: la tetrapodia, la pentapodia e l'esapodia anapestiche.

Procediamo con l'analisi di alcuni esempi. Nei Dialoghi tali strutture raramente si susseguono una all'altra. Piuttosto si accompagnano ad altre strutture, come il decasillabo anapestico, o il novenario con accenti di seconda, quinta e ottava sede. Nella maggior parte dei casi si tratta di brandelli autonomi rispetto al resto del periodo di cui fanno parte: sono delimitati, infatti, dal punto fermo, il quale conferisce al brandello ritmico un'autonomia del tutto speciale.

La monotonia ritmica, l'anapesto e gli accenti fissi danno al segmento di frase una caratteristica valenza di sentenza finale.

Non è superfluo, a tal proposito, ricordare che per Pavese la parola è innanzitutto strumento melodico e veicolo retorico di persuasione, e questo concetto va inserito sempre nell'ottica della scrittura per la lettura ad alta voce, con il costante coinvolgimento del lettore e dell'ascoltatore.

Già nel primo dei Dialoghi, La nube, ci troviamo di fronte a strutture di tetrapodia che valgono come sentenza, come affermazione che ha il sapore della massima generale:

[C'è una légge, Issióne, che príma non c'éra. (tetrapodia anapestica)] [E che cósa è mutáto, Neféle, sui mónti? (tetrapodia anapestica)] [Solaménte cosí salverái la tua sórte. (tetrapodia anapestica)] [Ho paúra. Ho vedúto le címe dei mónti. (tetrapodia anapestica)] [Siamo tútti asservíti a una máno più fórte. (tetrapodia anapestica)] [Non sfidáre la máno, Issióne, è la sórte. (tetrapodia anapestica)] [Li ho vedúti, Issióne, non sái quel che díci. (tetrapodia anapestica)] [Oh Issióne, Issióne, la tua sórte è segnáta. (tetrapodia anapestica)]

Altre volte la tetrapodia si alterna alle altre due strutture lunghe, generando, così, un discorso altamente monotonale, ma dal ritmato e incalzante:

[Vedi dúnque che un dío ti ha insegnáto qualcósa. (tetrapodia anapestica)]360

[Non c'è dío sopra il sésso. E' la róccia ti díco. (tetrapodia anapestica)][Molti déi sono bélve, ma il sérpe è il più antíco di tútti. (esapodia anapestica)] [Quale dío può incarnáre e compréndere tánto? (tetrapodia anapestica)]361

[Non c'è núlla di ambíguo o di váno, per mé, nei miei giórni. (pentapodia anapestica)] [Anche in mé c'è qualcósa che góde e che sánguina. (tetrapodia anapestica)]362

[La montágna il cavállo la núbe il torrénte. (tetrapodia anapestica)]363

[Non ti páre che il móndo sia méglio tenúto dai nuóvi padróni? (esapodia anapestica)]364

[Lo sapévo da víva e ho cercáto la mórte. (tetrapodia anapestica)]365

[E' accettáre, accettáre, se stésse e il destíno. (tetrapodia anapestica)]366

[Non conóbbi che quálche compágno, le bélve e mia mádre. (pentapodia anapestica)]367

[Una mádre... nessúno conósce la mía. (tetrapodia anapestica)]368

[Lo sapránno i ragázzi che créscono adésso che cósa li atténde? (esapodia anapestica)]369

360 DL, I ciechi. 361 Ibidem. 362 Ibidem.

363 DL, Le cavalle. In un caso come questo l'elemento fortemente ritmico è accentuato dalla mancanza di virgole. 364 Ivi. 365 DL, Schiuma d'onda. 366 Ibidem. 367 DL, La madre. 368 Ibidem. 369 DL, I due.

[Oh perché non rimási sull'ísola in mézzo alle dónne? (pentapodia anapestica)]370

In alcuni casi, come in questo che segue, la tetrapodia è seguita da un'altra tetrapodia senza alcuna interruzione, senza, cioè, alcun segno di interpunzione, in un unico e lunghissimo respiro (sebbene il confine sintattico sia comunque bel delimitato):

[Vorrei éssere l'uómo più sózzo e più víle (tetrapodia anapestica)] [purché quéllo che ho fátto l'avéssi volúto. (tetrapodia anapestica)]371

[Io sentívo parláre di té sulle stráde e alle pórte di Tébe. (esapodia anapestica)]372

In apertura del dialogo L'isola si susseguono tre tetrapodie, intervallate da un decasillabo anapestico e da una sequenza di tredici sillabe. Tali strutture interrompono, sì, il fluire monotono delle strutture più lunghe, ma, allo stesso tempo, diluiscono tale monotonia e, in qualche modo, le conferiscono una struttura tripartita grazie alle sillabe su cui ricadono gli accenti principali:

[Odisséo non c'è núlla di mólto divérso. (tetrapodia anapestica)] [Anche tú come mé vuoi fermárti su un'ísola. (tetrapodia anapestica)] [Hai vedúto e patíto ogni cósa. (10)] [Io forse un giórno ti diró quel che ho patíto. (13)] [Tutti e dúe siamo stánchi di un grósso destíno. (tetrapodia anapestica)]

E ancora, nel dialogo Il lago, a due segmenti di otto sillabe – quindi sostanzialmente strutture più brevi e agili – seguono puntuali due tetrapodie anapestiche che “riaprono”, in qualche modo, il tempo della narrazione:

[Più mi scáldo a questo sóle (8)] [e mi nútro a questa térra, (8)] [più mi páre di sciógliermi in stílle e brusíi, (tetrapodia anapestica)] [nella vóce del lágo, nei

370 Ibidem. 371 DL, La strada.

rínghi del bósco. (tetrapodia anapestica)]

Infine, ne Gli uomini, si assiste, potremmo dire, al processo inverso: il ritmo sembra alternare due tempi, in battere e in levare. Si alternano segmenti di tredici sillabe a tetrapodie anapestiche, in un continuo rallentare-accelerare del ritmo della narrazione:

[Ma non ne ségue che il suo cénno sia scadúto. (13)] [Sono invéce scadúti i signóri del Cáos, (tetrapodia anapestica)] [quelli che un témpo hanno regnáto senza légge. (13)] [Prima l'uómo la bélva e anche il sásso era dío. (tetrapodia anapestica)] [Tutto accadéva senza nóme e senza légge. (13)]

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