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Theoretical framework La decisione indagata attraverso la lente dell’aS

La decisione ‘critica’ (In)capacità informativa nell’era delle ICT

5. Theoretical framework La decisione indagata attraverso la lente dell’aS

Il concetto di “decisione” appare particolarmente interessante in relazione allo scenario di riferimento in cui le organizzazioni sono inserite ed, all’interno dei quali, è richiesta al management

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la capacità di essere, al più possibile, performanti attraverso congrui processi di problem solving e decision making (Saviano e Di Nauta, 2011).

L’Approccio Sistemico Vitale, ASV, fondato sul pensiero sistemico, si distingue dalle altre teorie sistemiche per la sua capacità di definire ed analizzare condizioni di complessità e di suggerire adeguati strumenti per gestirla.

Occorre innanzitutto precisare che in questa trattazione l’impresa verrà interpretata come sistema vitale. La finalità precipua di un sistema vitale immerso in uno specifico contesto è la sopravvivenza e tale finalità viene perseguita attraverso la soddisfazione delle attese proiettate da attori percepiti come rilevanti dal proprio Organo di Governo sulla base della criticità delle risorse da essi detenute e dell’influenza esercitabile (Golinelli e Barile, 2008).

Il contesto per l’Approccio Sistemico Vitale è inteso come insieme di componenti sistemiche, sovrasistemi, cui il sistema vitale si rivolge per reperire risorse, e con i quali cercherà di instaurare condizioni di sopravvivenza attraverso un processo di armonizzazione di finalità (consonanza) e nel tentativo di generare valore tale da migliorare le probabilità di vitale sopravvivenza per tutti (risonanza) (Barile, 2008).

La caratteristica fondamentale del contesto in cui il sistema vitale opera è la complessità. Il contesto in cui le imprese oggi instaurano le proprie relazioni e successive interazioni si presenta come sempre più globale, innovativo e competitivo (Fahy, 2002), elementi che ne determinano l’elevato grado di complessità (Golinelli e Barile, 2008).

La complessità, a sua volta, rappresenta oggi un interessate fenomeno, oggetto di studi, in ragione della diffusa convinzione secondo cui, ciascuna realtà organizzativa, nell’ affrontare situazioni e riuscire ad essere vitale nel proprio contesto, caratterizzato da numerosi fattori e morfologie di dinamicità, spesso si affidi a schemi interpretativi esistenti, basati su soluzioni predefinite e standardizzate, i quali potrebbero spesso rivelarsi inadeguati.

Tuttavia, “la complessità nell'ambito delle scienze sociali, e quindi nelle organizzazioni imprenditoriali, interviene quando il soggetto decisore è costretto ad abbandonare la prospettiva strutturale e ha bisogno di valutare ‘oggetti’, tangibili o intangibili, non enumerabili sulla base di criteri di calcolo noti, caratterizzati dai confini relazionali che diventano indistinti, in riferimento a relazioni che cambiano nel tempo e nello spazio e segnate da comportamenti discontinui ed emergenti” (Barile e Saviano, 2011), per cui, associando al concetto di complessità la possibile incapacità da parte delle organizzazioni di agire, ed essere flessibili, in un contesto instabile, l’unica azione per poter fronteggiare questa condizione di incertezza risiede nella possibilità di ampliare i propri confini e definire relazioni con altri attori che, in diverso modo, operano nel medesimo contesto.

La capacità di gestione della complessità contestuale, connessa alla capacità di definire interazioni dinamiche con entità presenti all’interno del contesto di riferimento e dunque alla possibilità di sopravvivere nel medio-lungo periodo, porta a ridefinire la necessità di un comportamento adattivo e propositivo attraverso un opportuno processo decisionale.

Questo permette di rileggere in una nuova ottica anche gli sviluppi in merito alla generazione del valore, che non viene più ora considerato come il semplice frutto di un’azione individuale, bensì come il risultato di un contributo multi-attore, la co-creazione di valore, perseguibile attraverso un’efficace integrazione di risorse tra le parti interrelate ed interagenti, necessario in un’azione strategica orientata alla vitalità (Carrubbo, 2013).

La complessità rappresenta però un concetto soggettivo e relativo, non è mai definibile in assoluto ma dipende dalle caratteristiche specifiche del contesto di riferimento, in relazione ai tratti qualitativi del fenomeno osservato. Soltanto attraverso l’utilizzo di un approccio olistico all’interpretazione del fenomeno (Barile, 2009b), lo stesso può essere semplificato e possono essere individuate le tre dimensioni di complessità che lo caratterizzano, la varietà, ossia le possibili varianti con cui un fenomeno può presentarsi all'osservatore, la variabilità, ovvero l’ulteriore varietà osservabile nel tempo ed in relazione a specifiche condizioni dell’osservatore, e l’indeterminatezza, connessa alla capacità di comprendere pienamente il fenomeno osservato (Barile, 2008; Golinelli, 2010).

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Ecco il motivo per cui rilevano le caratteristiche soggettive dell’Attore decisore, il quale, nell’espletare il suo ruolo strategico all’interno dell’organizzazione, dovrà essere in grado di stabilire ed organizzare adeguate relazioni, attraverso decisioni idonee a convertire stimoli alla sopravvivenza (Barile et al., 2014) in condizioni di perseguibile equilibrio interno ed esterno all’organizzazione stessa.

Per delineare il profilo dell’attore decisore, così come inteso all’interno del presente lavoro, si rimanda ad uno dei quattro postulati dell’ASV, l’isotropia, secondo cui per poter sopravvivere è necessario che il sistema sia in grado di identificare e perseguire i propri obiettivi attraverso l’area di governo, organo di governo, e di implementare quanto pianificato attraverso l’area di gestione. Area del decidere e area dell’agire rappresentano funzioni indispensabili per la vitalità (Polese, 2013).

Nell’affrontare la descrizione del processo decisionale affrontato dall’organo di governo per pianificare le azioni di governance da implementare, la letteratura opera una netta distinzione in ambito di decisioni, distinguendo quelle relative a questioni di problem solving da quelle relative a questioni di decision making; le prime riconducibili a condizioni note, che richiedono una soluzione individuata attraverso modelli già sperimentati, le seconde legate a condizioni poco circostanziate, connesse al concetto di emergenza e alla necessità che il decisore riesca a preservare la vitalità del sistema vitale che “governa” all’interno dello specifico contesto di riferimento (Barile, 2009b).

Dato che decidere vuol dire risolvere un problema (Palumbo, 2001), nel disbrigare il proprio ruolo decisionale, il soggetto decisore si troverà a dover gestire diverse aree problematiche e ciascuna necessiterà di un preciso e specifico percorso risolutivo in funzione dei diversi livelli di conoscenza.

La decisione dipenderà dalla varietà informativa detenuta da ciascun soggetto e dalla sua percezione del contesto esterno. Ma la varietà informativa, a sua volta, dipende dal processo di acquisizione di conoscenza del decisore, attivabile in base un percorso logico-intellettivo, composto da tre momenti (abduzione, induzione e deduzione), attivabili sulla base di caratteristiche proprie del soggetto decisore (categorie valoriali, schemi interpretativi ed unità informative) (Barile, 2009a).

In prima istanza, il decisore si troverà a dover risolvere una condizione problematica in cui il flusso di informazioni entranti risulta disordinato ed imprevedibile (caos); all’aumentare di informazioni e, contestualmente alla capacità cognitiva del soggetto di veicolarle e codificarle in maniera ottimale attraverso un processo di apprendimento, connesso alla motivazione (Gentile, 2014), definita dalle categorie valoriali del soggetto, l’entropia decresce ed il processo abduttivo permette di muovere da una situazione problematica caotica ad una complessa. Il concetto di entropia interviene in quanto, sebbene ad un aumento di informazioni corrisponda ipoteticamente la possibilità di addivenire ad una soluzione, subentra all’interno del processo risolutivo la possibilità che il soggetto sia incapace di ricondurre le informazioni entranti a specifici schemi interpretativi. L’entropia è così assunta come crecente in caso di incessante flusso di informazioni, tale da impedire al potenziale intellettivo del soggetto di attivare il processo di produzione di conoscenza, qundi la comprensione dell’evento (Barile, 2009a)

Una condizione complessa è caratterizzato da incertezza e varietà di dati, il decisore non può identificare chiaramente tutte le variabili e le relazioni tra di loro intercorrenti. L’induzione è quel momento che permette al decisore di transitare dalla complessità alla complicazione in cui le caratteristiche, le cause e gli effetti delle condizioni di difficoltà sono note e le metodologie risolutive sono identificabili. La deduzione, infine, si configura come il momento di convergenza verso una condizione di consapevolezza (Polese, 2013).

In questo processo categorie valoriali, schemi interpretativi ed unità informative, elementi propri del soggetto, risultano essere fondamentali nella definizione e comprensione del problema e nello sviluppo di dinamiche e modelli in grado di far convergere verso una scelta.

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Fig. 1: Dalla Teoria del Caos alla certezza nel decision making

Fonte: Barile, 2009a, p. 53

A questo punto, rileva come evidenze oggettive come quelle descritte da Shein, esposte nel precedente paragrafo, si arricchiscano di ulteriore criticità laddove intersecate con la percezione che il soggetto decisore ha del problema, sulla base della varietà informativa posseduta (elemento soggettivo). L’appartenenza di un problema oggettivamente descritto da Shein, ad una delle aree problematiche descritte dalla curva del decision making (Fig. 1), dipende dagli schemi interpretativi posseduti dal soggetto decisore il quale, pur trovandosi ipoteticamente in una crisis phase, potrebbe non detenere schemi interpretativi tali da poter avviare dei processi risolutivi rispetto agli elementi noti che richiedono un intervento.