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4. CONDIZIONE OCCUPAZIONALE E FORMATIVA DEI

4.3. Tipologia dell’attività lavorativa

Ad un anno dalla laurea il lavoro stabile riguarda 39 laureati su cento (che lavorino soltanto o siano impegnati anche nello studio), soprattutto grazie alla diffusione dei contratti a tempo indeterminato che caratterizzano quasi un terzo degli occupati (Fig. 16). Tale quota è diminuita di oltre 3 punti percentuali rispetto alla precedente rilevazione.

Lavoro stabile e lavoro atipico

Il lavoro stabile è individuato dalle posizioni lavorative dipendenti a tempo indeterminato e da quelle autonome propriamente dette (imprenditori, liberi professionisti e lavoratori in proprio). La scelta di classificare le posizioni autonome nell’area del lavoro stabile deriva dall’accertamento che questo tipo di lavoro non è considerato dai laureati un “ripiego”, un’occupazione temporanea in mancanza di migliori opportunità. La verifica è stata compiuta attraverso le indagini ALMALAUREA realizzate in questi anni con riferimento a: soddisfazione per il lavoro svolto, guadagno, ricerca di una nuova occupazione.

Il lavoro che abbiamo definito atipico (temporaneo o precario, secondo altre impostazioni) comprende il contratto dipendente a tempo determinato, il contratto di collaborazione (contratto a progetto e di consulenza, collaborazione coordinata e continuativa o occasionale), il lavoro interinale, il contratto di associazione in partecipazione, il contratto di prestazione d’opera, il lavoro intermittente, il lavoro ripartito e il lavoro occasionale accessorio. Sono stati compresi in questa categoria anche i lavori socialmente utili, di pubblica utilità ed il piano di inserimento professionale, che pure non prevedono l’instaurarsi di un vero e proprio rapporto lavorativo. È stato inoltre deciso di tenere distinti i contratti di inserimento/formazione lavoro e quelli di apprendistato, che pure in un’accezione più ampia avremmo potuto comprendere tra i lavori atipici, una volta verificata, sicuramente nel caso dei laureati esaminati, la loro natura di anticamera del lavoro stabile.

Il 43% degli occupati dichiara invece di avere un contratto atipico (tale quota è corrispondentemente aumentata di circa 3

punti rispetto allo scorso anno); in particolare, il 16% degli occupati ha un contratto di collaborazione mentre 19 laureati su cento hanno un contratto a tempo determinato.

Circa il 6% dei triennali occupati dichiara di essere stato assunto con un contratto di inserimento, formazione lavoro o di apprendistato; la restante quota, pari al 12%, lavora senza alcuna regolamentazione contrattuale. Come si vedrà meglio più avanti, in tal caso si tratta soprattutto di attività saltuarie, intraprese da chi decide di continuare gli studi ritagliandosi comunque un po’ di tempo per lavorare.

Gruppi disciplinari

L’elevata richiesta delle professioni sanitarie da parte del mercato del lavoro è confermata anche dalla stabilità lavorativa ad un anno dalla conclusione degli studi, che risulta su livelli decisamente elevati (il 52% degli occupati può contare su un lavoro stabile, in particolare a tempo indeterminato, 38%). Ma sono soprattutto i laureati del gruppo giuridico (la maggior parte dei quali, si ricorda, prosegue il medesimo lavoro iniziato prima della laurea) a contare su un impiego stabile, che riguarda il 56% degli occupati, assunti in particolare con contratto a tempo indeterminato (44%). Valori di stabilità superiori alla media si rilevano anche tra i laureati dei gruppi politico-sociale, economico-statistico ed insegnamento (il primo attestato al 45%, mentre il secondo e il terzo al 40%); all’opposto si ritrovano i percorsi linguistico, geo-biologico, educazione fisica, letterario e scientifico, all’interno dei quali la stabilità non raggiunge il 30% degli occupati.

Chi lavora, chi lavora e studia e chi prosegue il lavoro iniziato prima della laurea

Ovviamente, il quadro generale tratteggiato fino ad ora non deve dimenticare l’articolata struttura del collettivo di primo livello, composto non solo da coloro che si dedicano esclusivamente ad un’attività lavorativa (due terzi del complesso degli occupati) ma anche da una quota rilevante che coniuga studio e lavoro (il restante terzo). Inoltre, a fianco di coloro che proseguono il lavoro iniziato prima di ottenere il titolo triennale (46% degli occupati) ci sono i laureati che sono entrati nel mercato del lavoro solo al compimento degli studi universitari (38%). Come ci si poteva attendere, infatti, la stabilità lavorativa (in particolare il contratto a tempo indeterminato) riguarda in misura assai più consistente coloro che sono impegnati esclusivamente nel lavoro (46 occupati su cento) rispetto a quanto avviene tra coloro che

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contemporaneamente studiano (27%). Elevata stabilità caratterizza anche gli occupati che proseguono il lavoro iniziato prima della laurea (53%, contro 28 di chi ha iniziato a lavorare dopo; Fig. 16).

Fig. 16 Laureati di primo livello del 2009 occupati ad un anno:

tipologia dell’attività lavorativa per genere, iscrizione alla specialistica e prosecuzione del lavoro iniziato prima della laurea

Corrispondentemente, il lavoro atipico coinvolge soprattutto gli studenti-lavoratori (46%, contro 41 tra chi lavora solamente) e coloro che sono entrati nel mercato del lavoro dopo la laurea (54,5%, contro 29 di chi prosegue il lavoro iniziato prima del conseguimento della triennale). Per ciò che riguarda i primi, ciò è dovuto quasi esclusivamente alla diversa diffusione dei contratti di collaborazione, che riguardano poco più di un quinto di coloro che coniugano studio e lavoro e solo il 13% di chi esclusivamente lavora. Analogamente, la maggiore diffusione dei contratti a tempo determinato caratterizza in particolare coloro che hanno iniziato a lavorare dopo la laurea (29%, contro 9 di chi prosegue il lavoro

iniziato prima), tra i quali sono consistenti anche i contratti di collaborazione (18 contro 12,5%, rispettivamente).

Differenze di genere

La stabilità riguarda in misura assai più consistente gli uomini (45%) delle loro colleghe (35%); entrambe le quote sono diminuite rispetto alla rilevazione 2009 (erano pari, rispettivamente, a 48 e 38%; Fig. 16). Le differenze di genere sono legate alla diversa composizione delle due componenti del lavoro stabile, entrambe a favore della popolazione maschile: il lavoro autonomo riguarda, rispettivamente, 13 uomini e 7 donne su cento (sostanzialmente stabile rispetto alla precedente indagine); il contratto a tempo indeterminato coinvolge il 32% degli uomini e il 28% delle donne (entrambe le quote sono diminuite rispetto alla rilevazione 2009).

Tali tendenze sono confermate anche a livello di percorso disciplinare.

Tra i laureati di primo livello il lavoro atipico risulta caratteristica peculiare delle donne (46%, contro il 38% degli uomini; valori in aumento se confrontati con la precedente indagine). Tale differenziale è dovuto in particolare alla diversa diffusione del contratto a tempo determinato, che riguarda quasi il 22% delle donne e il 16% degli uomini.

Infine, il lavoro senza contratto è leggermente più diffuso tra la popolazione femminile (13 contro 11% degli uomini).

Differenze territoriali

Analogamente a quanto evidenziato nella precedente indagine, ad un anno dal conseguimento del titolo si rilevano differenze consistenti in termini di stabilità lavorativa, che risulta più consistente tra coloro che lavorano al Sud (48 contro 38% del Nord;

Fig. 17). Al contrario, risultano maggiormente presenti al Nord sia i contratti di lavoro atipico sia i contratti di inserimento o apprendistato: i primi presentano un divario di 11 punti percentuali (46% al Nord, 35% al Sud) e i secondi di 4 punti percentuali (rispettivamente 7,5 e 3%).

Ciò pare associato, in particolare, alla più consistente quota di laureati occupati nelle aree meridionali che proseguono la medesima attività lavorativa iniziata prima del conseguimento del titolo triennale. Se infatti si circoscrive, più opportunamente, l’analisi al solo collettivo di laureati che ha iniziato a lavorare dopo la triennale, il differenziale Nord-Sud, in termini di stabilità lavorativa, si riduce a soli 3,5 punti percentuali, imputabile di fatto alla, seppur lieve, maggior presenza nel Mezzogiorno delle forme di lavoro autonomo

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(10%, contro 7% al Nord). Ma le differenze si attenuano anche per quanto riguarda la diffusione del lavoro atipico (scende a 6 punti percentuali, sempre a favore degli occupati al Nord), mentre aumentano di circa un punto percentuale per quel che riguarda il contratto di inserimento e apprendistato.

Fig. 17 Laureati di primo livello del 2009 occupati ad un anno:

tipologia dell’attività lavorativa per area di lavoro

Dal momento che tali tendenze risultano confermate nella maggior parte dei percorsi di studio è lecito ritenere che, almeno ad un anno dal conseguimento del titolo, sia soprattutto la più ampia disponibilità di forme contrattuali legate all’inserimento in azienda a determinare i differenziali territoriali sopra descritti; inserimenti in azienda naturalmente più frequenti al Nord grazie al particolare tessuto economico e produttivo. La più ampia diffusione, tra gli occupati del Sud, del lavoro autonomo sarebbe un ulteriore elemento a conferma di questa ipotesi.

tempo indeterminato

Settore pubblico e privato

Alcune interessanti riflessioni derivano dall’analisi della tipologia contrattuale distintamente per settore pubblico e privato. Si ritiene utile escludere dalla riflessione i lavoratori autonomi effettivi, poiché di fatto la quasi totalità (95%) risulta inserita in ambito privato, nonché coloro che proseguono il medesimo impiego iniziato prima del termine degli studi triennali (perché di fatto più frequentemente assunti nel pubblico). Ad un anno dalla laurea poco meno di un quarto è impegnato nel settore pubblico; in quello privato opera, conseguentemente, il 77% dei laureati.

I contratti di lavoro sono fortemente differenziati fra i due settori: più diffuso nel pubblico il contratto a tempo indeterminato (25 contro 19%) e quello a tempo determinato (46 contro 26%).

Decisamente più utilizzato nel settore privato, invece, il contratto di collaborazione o consulenza (22 contro 15% dei colleghi del pubblico impiego), il contratto di inserimento (attivo ancora come formazione lavoro nel pubblico, seppure decisamente sottoutilizzato: 11 contro 3%) e, come era facile attendersi, il lavoro non regolamentato (13,5 contro 2,5%). Su questi risultati, in particolare sulla maggiore stabilità rilevata nel settore pubblico, incide in misura consistente la composizione per percorso disciplinare, soprattutto l’elevato peso delle professioni sanitarie che rappresentano il 60% degli occupati nel pubblico impiego (solo il 21% nel settore privato).

4.4. Dove lavorano i laureati (ramo di attività economica)