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tra sostituzione, creazione, localizzazione e forme *

Nel documento La nuova grande trasformazione del lavoro (pagine 106-111)

di Emanuele Dagnino

Le interrelazioni tra progresso tecnologico e lavoro si configura-no come quel “soffio moderconfigura-no della vita pratica” (Barassi 1901) cui non si può prescindere dal dare attenzione nel momento in cui ci si rappresenta o si ripensa il trattamento, non solo giuridico, dei rapporti di lavoro.

Il report Technology at work: the future of innovation and employment (Oxford Martin School e Citi GPS, a cura dei proff. Frey e Osborne) offre un’interessante panoramica, che a partire dallo studio del cambiamento della natura dell’innovazione, analizza i fenomeni in corso ed enuclea le sfide del futuro.

Nella sezione 4, dal titolo The World of Work in the 21st Century, l’attenzione si concentra sul quadro macro del futuro mondo del lavoro, articolando la riflessione in quattro sotto-sezioni, rispetti-vamente dedicate a: automazione e sostituzione, tecnologia e

* Pubblicato in Nòva – Il Sole 24 Ore, 18 marzo 2015.

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creazione di nuovi posti di lavoro, ambito geografico di diffusio-ne dei lavori e lavoro autonomo.

Già la scelta delle sezioni e il loro ordine offre alcuni spunti di ri-flessione: in essi si può leggere la storia dei rapporti tra tecnologia e mondo del lavoro. Gli effetti sull’occupazione, sulla sua dif-fusione geografica e sulle forme in cui si esprime sembrano essere le dinamiche macro di fondo del travagliato rapporto tra lavoro e innovazione tecnologica.

La centralità assoluta nel dibattito, sia pubblico sia dottrinale, ac-quisita dai fenomeni di sostituzione della forza lavoro, è conse-guenza dei suoi effetti in termini di disoccupazione tecnologica, che periodicamente turba i sonni di governanti e governati. In connessione a questo tema si è sviluppato lo studio dell’effetto di contrasto, che spiega il non avverarsi delle profezie di fine del la-voro: è l’effetto di capitalisation, per cui alla diminuzione dei prezzi dovuta alla migliore efficienza produttiva si accompagna l’aumento della domanda di beni e servizi e la nascita di nuovi mestieri.

Quanto ai luoghi e alle forme dell’occupazione una prospettiva storica offre la spiegazione della loro rilevanza all’interno dei fe-nomeni in esame: si pensi ai fefe-nomeni di urbanizzazione e alla nascita dell’operaio caratteristici dell’industrializzazione.

Seguendo questa linea di ragionamento è possibile valutare i pro-fondi cambiamenti e le linee di sviluppo prospettate dal report per il mondo del lavoro.

Le prime due tematiche sono sintetizzabili nel binomio occupa-zione/disoccupazione: secondo gli autori la dinamica di

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ciamento assicurata dal contrapporsi di effetto sostitutivo ed ef-fetto di capitalizzazione, potrebbe essere fortemente incisa dall’espansione della portata dei processi di automazione. Il pre-supposto della loro analisi è che l’innovazione tecnologica com-porti la possibilità di automazione di alcune delle mansioni non routinarie, tradizionalmente escluse in quanto fondate su attività la cui codificazione era preclusa: ci sarebbe, quindi, un cambia-mento qualitativo nella natura di questi processi, con conseguen-te difficoltà per le dinamiche di creazione dei nuovi posti di lavo-ro di tenere il ritmo dell’eliminazione degli altri. Si tratta, in parti-colare, dei lavori che prevedono mobilità e destrezza, caratteristi-che caratteristi-che l’evoluzione della robotica sembra poter assicurare alle macchine di domani: l’erosione si espanderebbe in questo modo dall’area dei lavori a media specializzazione a quella dei lavori a bassa specializzazione (trasporto, logistica); bassi rischi corrono, invece, le prestazioni che richiedono competenze di tipo sociale e creativo, afferenti tanto all’area high skill quanto a quella low skill (dal management, all’arte, all’educazione, all’assistenza delle per-sone).

Seppur questa lettura debba essere stemperata in ragione delle difficoltà che la tecnologia riscontra nel tentativo di inserirsi nell’ambito di quelle mansioni che richiedono abilità di cui ab-biamo solamente una conoscenza implicita (è quello che Autor definisce Polanyi’s Paradox), la preoccupazione rispetto al tasso di sostituzione tra capitale e lavoro riscontra una grande attualità.

Dal momento, poi, che la creazione di nuovi mestieri e lavori, ol-tre a non essere abbondante, è per lo più riferita a mansioni ap-pannaggio di lavoratori ad alta specializzazione, di grandissima importanza risulterà l’up-skilling della forza lavoro, fondamentale per assicurare le necessarie competenze al sistema produttivo, ma

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anche e soprattutto per evitare fenomeni di segregazione e disoc-cupazione permanente.

Rispetto al tema della localizzazione geografica dei lavori, gli au-tori pongono un rilievo di controtendenza rispetto alle aspettati-ve dettate da un mondo iperconnesso: se, infatti, ci si aspettava l’irrilevanza del luogo fisico rispetto al lavoro, ciò non sembra es-sersi ancora verificato, in virtù della nascita dei clusters. Le città che sono state in grado di offrire competenze adeguate al nuovo mercato del lavoro sono state avvantaggiate dal progresso tecno-logico. All’aumentare dell’attrattiva dovuta a concentrazione di lavori e competenze si è accompagnato l’aumento dei costi di vi-ta, rendendo impraticabile l’accesso a questi centri alle fasce più deboli della popolazione con risultanti effetti di ineguaglianza.

D’altro canto, si segnala, la trasformazione tecnologica del lavoro ha facilitato l’accesso al mercato: da un lato ne ha permesso la globalizzazione (attraverso le piattaforme online i lavoratori pos-sono offrire i propri prodotti e le proprie competenze ad acqui-renti in tutto il mondo: in questo senso l’irrilevanza geografica ha mostrato i suoi effetti), dall’altro ha ridotto i costi di ingresso grazie alle forme di e-entrepreunership.

In questo secondo fenomeno gli autori leggono una della cause dell’emergere delle forme di self-employment (definito the new nor-mal), alla quale aggiungono l’aumento della disoccupazione, il crescente skill gap della forza lavoro che spinge gli imprenditori ad affidarsi ai contractor e una maggiore accettabilità sociale.

La riflessione rispetto a questo punto meriterebbe maggiore ap-profondimento. Limitandosi agli aspetti fisiologici dell’aumento del lavoro autonomo (evitando quelli di patologica fuga dal

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ro dipendente, connessa alla volontà di evitare l’applicazione del-le tutedel-le del lavoro subordinato) occorre delineare una tematica che il report trascura: il cambiamento delle modalità di lavoro e dei modelli di produzione. La Grande Trasformazione, tec-nologica e non, del lavoro è un cambiamento che riguarda la prestazione, che richiede, in molti casi, competenze, autono-mia e collaborazione, distaccandosi dal modello fordista di la-voro.

Se la figura del lavoratore subordinato, esecutore di una presta-zione che si integra in un processo ben delineato ed etero diretto ha caratterizzato il mondo del lavoro del XX secolo, oggi le pra-tiche di gestione della prestazione comportano l’erosione di que-sto predominio e più ampi spazi di diffusione del lavoro auto-nomo.

Con tale diffusione sorge la necessità di assicurare la giusta atten-zione a questa forma di lavoro, da parte delle istituzioni di tutti i livelli, per capirne le dinamiche e fare in modo che la sua espan-sione si conformi a canoni di sostenibilità sociale.

In conclusione leggere e prevedere queste dinamiche è e divente-rà sempre più necessario tanto a livello collettivo quanto indivi-duale: nel primo caso affinché i policy maker possano porre in essere politiche di sviluppo sostenibile e inclusivo; in ottica indi-viduale per non trovarsi “soli e sballottati” in un mercato di cui non si conoscono le regole.

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