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La trasformazione delle migrazioni internazionali nell'era della globalizzazione

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TR IESTE (pagine 117-122)

GLOBALIZZAZIONE E MIGRAZIONE

4.2 La trasformazione delle migrazioni internazionali nell'era della globalizzazione

Uno dei principali effetti che la globalizzazione ha sortito sulle migrazioni internazionali, nel caso in cui i migranti abbiano accesso ai media tradizionali e alle ICT, è l'accelerazione del fenomeno di “socializzazione anticipata”106. Con questa espressione ci si riferisce alla «acquisizione, prima che ne esistano le condizioni di esplicazione, di un orientamento all’azione idoneo a un determinato contesto» (Merton 1957). Con questo termine ci si riferisce, negli studi sulla migrazione, a quella che potremmo definire come acquisizione dei valori e degli orientamenti propri del luogo di destinazione già nel luogo di partenza. La socializzazione anticipata è stata favorita, oltre che dai media, anche dalla presenza di multinazionali su vari territori, dal turismo e dal business internazionale. A questo si può facilmente aggiungere che il processo di globalizzazione culturale ha facilitato notevolmente la comprensione di modelli culturali che divergono notevolmente da quello di appartenenza. La socializzazione anticipata ha avuto particolare rilievo nell’acquisizione del modello culturale occidentale (e in particolar modo quello americano). Oggigiorno, quasi da qualsiasi parte del mondo si ottengono informazioni sulle elezioni statunitensi o sulle varie zone calde del pianeta; in quasi tutti gli stati che hanno adottato il sistema di libero mercato, è possibile reperire i prodotti delle grandi multinazionali; inoltre, la scolarizzazione di massa ha diffuso una almeno minima conoscenza delle lingue franche del pianeta (in particolar modo di quella che oggigiorno viene considerata la lingua franca del pianeta, ossia l’inglese). D’altro canto gli “occidentali” normalmente hanno una conoscenza assai limitata del resto del mondo.

È proprio per l’enorme influenza dell’Occidente sul resto del mondo che spesso si parla di “occidentalizzazione”. Tale termine è stato utilizzato per la prima volta dallo scienziato sociale Latouche nel suo saggio L’occidentalizzazione

del mondo del 1992. Ad ogni modo, è necessario sottolineare che Latouche,

analizzando il processo di occidentalizzazione, è piuttosto critico: egli, infatti, attacca l’Occidente, accusandolo di avere pretese universalistiche solo a parole, mentre nei fatti mal tollera le opposizioni e si rivela essere del tutto etnocentrista. Quello che non si adatta all’occidente, viene totalmente distrutto. Secondo Latouche, i Paesi occidentali stanno ancora seguendo l’ideologia cha ha accompagnato l’espansione coloniale, promuovendo quelli che vengono definiti “interventi democratici e civilizzatori”, ma che in realtà sono degli atti mirati a rafforzare il proprio dominio sul globo (Latouche 1992).

Come abbiamo visto in precedenza, la globalizzazione ha però portato ad una crescita degli scambi culturali e l’accresciuta mole di questi scambi ha generato anche un altro fenomeno: avendo presente un modello culturale107 che ostenta ricchezza e benessere, nei Paesi “fonte” della migrazione viene a crearsi un senso di deprivazione, che spesso influisce quasi quanto l’effettiva povertà di uno stato sulla decisione di emigrare verso un altro stato. Tale fattore influisce in particolar modo sugli “stati intermedi”, dato che gli stessi offrono molte più possibilità di accesso, grazie all'importante presenza di media che importano il modello culturale dei paesi economicamente più sviluppati. Il problema in questo caso sorge con l’avvenuta migrazione, in quanto spesso si verifica che il migrante si ritrova in una realtà molto differente da quella ostentata dai vari mezzi di comunicazione di massa; pertanto, l’adattamento alle nuove circostanze si rivela essere più difficoltoso di quanto previsto. Questo “adattamento difficoltoso” può essere un incentivo all’illegalità per l’immigrato ma anche ad una “ri-culturalizzazione” avversa alla cultura d’approdo.

107 Si ricorda ancora una volta che esso viene acquisito in maniera massiccia, grazie ai media che spesso presentano una visione distorta della realtà – si pensi ad esempio alle varie pubblicità – che talvolta tramuta il Paese di destinazione in un enorme non-luogo.

Oltre a tutto ciò, con l’attuale processo di globalizzazione si è assistito anche ad una semplificazione degli spostamenti da Paese a Paese, grazie alla riduzione dei costi di trasporto. Si pensi per esempio alle compagnie di volo low-cost che offrono il trasporto, anche per qualche migliaio di chilometri, a prezzi relativamente ridotti. Inoltre, la presenza di istituti di credito che operano sulla scena globale ha anche facilitato i transfer finanziari, permettendo agli immigrati di spostare in maniera molto semplice le proprie allocazioni finanziarie.

Un altro fattore da tenere ben presente sono le reti sociali dei migranti. Le reti sociali (o network) si fondano sulla parentela, l’amicizia, la comune origine, la condivisione di una cultura o di una relazione (Boyd, 1989). Tali reti sociali connettono i migranti con altri migranti che li hanno preceduti o con migranti nelle aree di origine o di destinazione. Zanfrini scrive: «L’appartenenza a un network consente al migrante potenziale di accedere a due fondamentali tipi di risorse: le risorse cognitive – per esempio le informazioni sulle opportunità disponibili, le conoscenze, i contatti, ecc. – e le risorse normative, che riguardano la possibilità di emulare i modelli di comportamento adeguati alle varie situazioni “nuove”che il migrante si trova a dover affrontare. Possiamo a tale riguardo parlare di una funzione adattiva delle reti social, ossia di facilitazione del processo di adattamento alla società ospite. Accanto ad essa, i

network svolgono anche una funzione selettiva, esercitando una profonda

influenza nella selezione degli individui che emigreranno, nei tempi della migrazione (Ritchey, 1976), nella scelta della destinazione. Infatti, se il consolidamento dei legami tra paesi d’origine e di destinazione, e l’operare di fattori di tipo pull e di tipo push rendono probabili le migrazioni, essi tuttavia non spiegano quali persone effettivamente migreranno. Sono invece proprio i network a garantire la connessione tra queste condizioni di tipo macro e i migranti potenziali. Di norma, infatti, le persone non emigrano a caso, e neppure scelgono la meta obbiettivamente più vantaggiosa (dal punto di vista, ad esempio, della ricchezza di opportunità occupazionali e dei livelli salariali),

ma piuttosto si dirigono laddove potranno contare sull’appoggio di altri migranti che li hanno preceduti, guidati in ciò dai meccanismi di richiamo basati sulla cosiddetta catena migratoria. Le migrazioni sono dunque, simultaneamente, un processo network creating e net-dependent, nel senso che da un lato le singole decisioni individuali hanno l’effetto di generare reti di relazioni, e dall’altro queste ultime entrano in gioco nel condizionare e dirigere le successive decisioni» (Zanfrini 2004, 100-101).

È facile dedurre che le persone migrano in un determinato paese perché qualcuno ha parlato loro delle opportunità che si possono trovare in esso. Avendo così un esempio di quello che potrebbero trovare in un determinato Paese di destinazione, essi vengono facilmente attratti. Pertanto anche le reti sociali dei migranti fungono da fattore per la socializzazione anticipata, in quanto i migranti riescono a ottenere informazioni sul Paese di destinazione prima del loro arrivo nello stesso, avvalendosi delle esperienze di chi li ha preceduti. Tutto ciò spiega inoltre perché i migranti di determinati Paesi di origine tendono a migrare massicciamente i un determinato Paese di destinazione, ad esempio dalla Turchia verso la Germania, dalla Polonia al Regno Unito, dalla Romania in Italia, ecc.

Tuttavia, il flusso d’informazioni che si instaura fra la comunità di origine e di destinazione non è unidirezionale, bensì bidirezionale. I migranti, grazie ai collegamenti che possiedono con la comunità d’origine, possono venire a conoscenza dell’evoluzione della situazione nel Paese che hanno lasciato e ciò è specialmente facilitato grazie alle nuove ICT. Basti pensare che, grazie a determinati programmi informatici108, gli individui nei Paesi di destinazione possono facilmente comunicare in tempo reale con le persone nei Paesi di origine e talvolta in maniera del tutto gratuita. Da un lato, ciò favorisce l’opportunità per i migranti di mantenersi sempre vicini alla propria cultura

d’origine, dall’altro lato potrebbe creare dei problemi nell’adattamento del migrante alla cultura di destinazione.

Come abbiamo visto nelle precedenti pagine, le reti sociali dei migranti facilitano l’accesso in un nuovo Paese; dall’altro lato, essi talvolta creano dei problemi nell’adattamento alla cultura del nuovo Paese. Vediamo di spiegare: con una massiccia immigrazione di persone, provenienti dallo stesso paese, spesso vanno a crearsi delle enclave nel Paese di destinazione, le quali hanno un

background culturale profondamente diverso da quello della “popolazione

autoctona”. Si pensi ad esempio alle Chinatown, sparse in tutto il mondo, oppure alle enclave turche, presenti in Germania. Talvolta può accadere che il migrante, trovando nell’enclave usi e costumi estremamente simili a quelli del Paese di origine, non sentirà il bisogno, né la necessità di adattarsi alla cultura del Paese di destinazione. In certi casi può addirittura accadere che il migrante non apprenda l’idioma del Paese di destinazione, in quanto trovandosi sempre all’interno del suo enclave, non ne ha bisogno per svolgere le sue mansioni sociali. Tale eventualità può aumentare le tensioni etniche fra gli immigrati e gli autoctoni, tensioni che vanno a influire negativamente sull’integrazione degli immigrati.

Ad ogni modo, le reti sociali dei migranti tendono a far aumentare notevolmente le migrazioni: riducono i costi della migrazione, nonché i rischi associati alla stessa, in quanto offrono notevoli possibilità di assistenza, supporto logistico, indirizzano i nuovi migranti verso determinati accessi ad un posto di lavoro, aiutano i nuovi arrivati a non sentirsi alienati nel nuovo contesto. In tal modo i network sociali contribuiscono anche alla perpetuazione della migrazione, in quanto i migranti attireranno nuovi migranti con meccanismi, quali possono essere il ricongiungimento familiare, ecc. Zanfrini (2004, 103) afferma che «man mano che il network si espande, esso diventa anche più eterogeneo nella sua composizione». Ciò significa che, se dapprima a emigrare erano solo persone nel pieno delle loro capacità lavorative, col tempo

i migranti saranno persone di diverse età e diversi obiettivi che non saranno esclusivamente di tipo lavorativo. Tutto ciò porta alla creazione di diverse culture nel paese di destinazione, che vanno ad affiancarsi a quella autoctona. Ciò porta ad elevati scambi culturali che influenzeranno notevolmente le proprie culture di appartenenza, andando a creare dei cambiamenti di notevole entità. Vengono così a crearsi delle società multiculturali, che introducono nei Paesi di accoglienza dell’immigrazione idiomi, religioni, cibi, usi e costumi diversi da quelli locali.

Su un altro versante, la globalizzazione ha anche permesso alle multinazionali di spostarsi senza particolari difficoltà da uno stato all’altro, aprendo stabilimenti in tutto il mondo e spostando le mansioni di produzione dei beni nei Paesi che offrono loro le migliori condizioni economiche, di solito i Paesi in via di sviluppo. In essi, ciò potrebbe essere un deterrente all’emigrazione, in quanto i potenziali migranti potrebbero trovare un lavoro proprio grazie a queste multinazionali; tuttavia, bisogna anche considerare che i salari offerti sono estremamente bassi, considerando i salari nei vari paesi occidentali. Nel prossimo capitolo ci dedicheremo agli spostamenti delle multinazionali in tutto il globo, che in un certo senso potremmo anche definire come “migrazione delle corporazioni”.

4.3 Migrazioni delle multinazionali: l’operato transnazionale

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TR IESTE (pagine 117-122)