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3. Progettazione energetica e problemi ambientali

3.3 Verifiche dell’involucro esterno

3.3.2 Trasmittanza e condensa in Normativa

Come visto precedentemente, la Normativa UNI EN ISO 6946 prescrive un metodo per il calcolo della resistenza termica dei componenti e degli elementi per l’edilizia, escluse porte, finestre, pareti vetrate e componenti che scambiano calore con il terreno. In particolare i valori di resistenza termica superficiale riportati sono:

Figura 27: Resistenza termica superficiale in funzione del flusso termico FONTE: Normativa UNI EN ISO 6946

Per quanto riguarda invece i limiti di trasmittanza termica delle strutture opache, nel corso dell’ultimo decennio si sono susseguite numerose modifiche e aggiornamenti che, come possiamo vedere, sono sempre più restrittivi ed erano definiti in funzione della zona climatica di appartenenza:

Figura 28: Valori limite di trasmittanza termica U per zona climatica FONTE: Normativa UNI EN ISO 6946

Recentemente, dal 1° luglio 2015 sono entrati in vigore dei nuovi valori limite di trasmittanza per strutture opache, perciò nell’appendice B dell’Allegato 1, Capitolo 4, sono riportate delle nuove tabelle più restrittive dei requisiti minimi caratteristici suddivisi per elementi edilizi, che riportano chiaramente una visione per la progettazione futura:

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 Una colonna contrassegnata dalla dicitura 2015 riguarda i valori limite validi dal

1° luglio 2015 per tutti gli edifici;

 Una colonna contrassegnata dalla dicitura 2021 che riguarda i valori limite validi dal 1° gennaio 2021 per tutti gli edifici.

Figura 29: Trasmittanza termica massima per strutture opache verticali FONTE: Appendice B, Allegato 1, Capitolo 4, Decreto 26 Giugno 2015

Figura 30: Trasmittanza termica massima per strutture opache orizzontali o inclinate di copertura FONTE: Appendice B, Allegato 1, Capitolo 4, Decreto 26 Giugno 2015

Figura 31: Trasmittanza termica massima per strutture opache orizzontali o inclinate di pavimento FONTE: Appendice B, Allegato 1, Capitolo 4, Decreto 26 Giugno 2015

87 Come si può notare, ogni tabella fa riferimento ad una precisa zona climatica dell’Italia. La classificazione climatica dei Comuni italiani è stata introdotta dal Decreto del

Presidente della Repubblica n. 412 del 26 agosto 1993 (tabella A e successive

modifiche ed integrazioni) in merito al Regolamento recante norme per la progettazione, l'installazione, l'esercizio e la manutenzione degli impianti termici degli edifici ai fini del contenimento dei consumi di energia, in attuazione dell'art. 4, comma 4, della L. 9 gennaio 1991, n. 10.

In breve gli oltre 8.000 comuni sono stati suddivisi in sei zone climatiche, per mezzo della tabella A allegata al decreto. Sono stati forniti inoltre, per ciascun Comune, le indicazioni sulla somma, estesa a tutti i giorni di un periodo annuale convenzionale di riscaldamento, delle sole differenze positive giornaliere tra la temperatura dell'ambiente, convenzionalmente fissata a 20 °C, e la temperatura media esterna giornaliera; l'unità di misura utilizzata è il grado giorno (GG).

La zona climatica di appartenenza indica in quale periodo e per quante ore è possibile accendere il riscaldamento negli edifici.

Queste zone sono quindi utilizzate per dare un riferimento ragionato a tutti i valori limite di trasmittanza indicati in Normativa.

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Figura 32: Suddivisione dell'Italia in zone climatiche a seconda dei gradi giorno GG FONTE: DPR 412/93

Il rischio di condensazione interstiziale e superficiale oltre che di formazione di muffa invece è un argomento presente in tutti gli interventi relativi ad edifici di nuova costruzione e sull’esistente: dal 2005 la richiesta del rispetto di tale verifica (rischio di condensa) è esplicita e da argomentare all’interno della relazione tecnica Legge 10/91 e s.m.i. da presentare all’Ufficio Tecnico del Comune.

Il calcolo predittivo è da realizzarsi in accordo con la norma UNI EN ISO 13788 (recentemente revisionata a livello europeo, in fase di recepimento da parte di UNI) che ha come scopo la definizione di un metodo di riferimento per determinare la temperatura superficiale interna minima dei componenti edilizi per evitare il rischio di crescita di muffe e condensazioni superficiali e interstiziali a valori prefissati di temperatura e umidità relativa interna.

89 La UNI EN ISO 13788 prevede la verifica condensa solo su strutture leggere.

Temperatura esterna: per le strutture leggere i valori di temperatura dell’aria esterna

sono la media delle minime annuali, cioè la media delle temperature medie giornaliere più basse di ogni anno e, per le strutture pesanti, è opportuno utilizzare cautelativamente le stesse temperature esterne delle strutture leggere o le temperature di progetto.

Umidità esterna: per le strutture leggere il valore di umidità relativa dell’aria esterna è

95% come, cautelativamente, per le strutture pesanti.

Temperatura interna: per le strutture leggere la norma prescrive di usare la stessa

temperatura definita per la muffa (appendice nazionale) mentre, Per le strutture pesanti utilizzare la stessa temperatura o la condizione più probabile per il locale in esame.

Umidità interna: per ambienti non climatizzati la norma definisce l’umidità interna a

partire dalle condizioni climatiche esterne, con l’aggiunta dei contributi per tipologia d’uso. Va valutata la condizione con il 100% di RH in prossimità della superficie che, anche se per periodi di tempo brevi, porta alla formazione di condensa.

Figura 33: Condizioni per formazione di condensa superficiale FONTE: Convegno Anit 2015

90 Considerando una temperatura interna di 20°C il massimo contenuto d’umidità è 17,33 g/m3, corrispondente al 100% di umidità relativa. Perciò per evitare la formazione di condensa superficiale, ogni superficie interna deve avere una temperatura non inferiore alla rispettiva temperatura di rugiada.

Il metodo però assume alcune importanti semplificazioni quali l’assenza di umidità da costruzione negli strati e non tiene conto di alcuni importanti fenomeni fisici quali:

 la dipendenza della conduttività termica dal contenuto di umidità;

 lo scambio di calore latente;

 la variazione delle proprietà dei materiali in funzione del contenuto di umidità;

 la risalita capillare e il trasporto di acqua liquida all’interno dei materiali;

 il moto dell’aria attraverso fessure o intercapedini;

 la capacità igroscopica dei materiali.

La stessa norma nell’introduzione indica che: “La trasmissione del vapore all'interno delle strutture edilizie è un processo molto complesso e la conoscenza dei suoi meccanismi, delle proprietà dei materiali, delle condizioni iniziali e al contorno è spesso insufficiente, inadeguata e ancora in via di sviluppo. Perciò la presente norma propone metodi di calcolo semplificati, basati sull’esperienza e sulle conoscenze comunemente accettate. La standardizzazione di questi metodi di calcolo non esclude l’uso di metodi più avanzati. I metodi di calcolo utilizzati forniscono in genere risultati cautelativi e quindi, se una struttura non risulta idonea secondo questi in base ad un criterio di progettazione specificato, possono essere utilizzati metodi più accurati che ne dimostrino l’idoneità”. Dal 2007 perciò, con la pubblicazione della norma EN 15026, è disponibile un modello di calcolo predittivo più accurato che consente di studiare cosa accade ad una struttura in modo più vicino alla realtà, evitando quindi le semplificazioni imposte dalla UNI EN 13788.

Analizzeremo nei paragrafi successivi le principali differenze tra i due metodi proposti dalle due Norme, entrando nel merito delle condizioni di calcolo e dei punti a favore e quelli critici.

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