I campioni ricevuti dal Laboratorio devono essere immediatamente trattati. Il laboratorio può essere multidisciplinare e può quindi porre in essere tutte le tecniche diagnostiche necessarie, ma più spesso, la settorializzazione e la specializzazione delle discipline di laboratorio fa si che le indagini microbiologiche possano non essere eseguite laddove invece si effettuano quelle istologiche, siero immunologiche, o viceversa. E’ buona norma, al momento della raccolta, prelevare idonee e necessarie aliquote diverse di campione da inviare ai competenti Laboratori.
Esame Istologico: un buon esame istologico, oltre ad evidenziare la presenza dei
lieviti in un tessuto o in un parenchima, può fornire corrette informazioni anche sullo stato della flogosi locale e della reazione cellulare dell’ospite. I campioni possono essere liquidi, per aspirazione di materiale da lesioni o utilizzo di escreati e bronco lavaggi, o solidi, per asportazione bioptica di tessuto. E’ necessario quindi in dipendenza del tipo di materiale, procedere alla centrifugazione/concentrazione, o alla fissazione. Il fissativo più comunemente utilizzato in passato era quello di Papanicolaou, costituito da una miscela in parti uguali di alcool etilico a 95° ed etere etilico. Data l’infiammabilità della miscela, si privilegiano fissativi a base di formolo, (liquido di Bouin o liquido di Gendre) o fissativi forniti dall’industria in pratiche confezioni spray. I materiali possono essere inclusi in agar o paraffina, oppure si possono allestire direttamente i vetrini, ma al fine si procede ai passaggi di colorazione. Le strutture fungine eventualmente presenti si mettono bene in evidenza utilizzando le colorazioni ematossilina-eosina o acido periodico di Shiff (PAS). Queste tecniche di colorazione non sono specifiche per la ricerca dei lieviti, ma
ottenendo soprattutto con la PAS, la messa in evidenza dei polisaccaridi semplici, vengono evidenziate le struttura parietali in modo assai netto.
Esame diretto: è consigliabile su tutti i materiali pervenuti in Laboratorio, anche
perché evidenziando l’una o l’altra forma fungina, si possono trarre informazioni importanti per procedere alla scelta dell’idoneo terreno di coltura. Anche se l’indagine microscopica diretta, può portare al massimo ad una “identificazione parziale e presuntiva”, i risparmi in termine di tempo e di risorse saranno notevoli se la prosecuzione dell’indagine colturale, sarà razionalmente decisa sulla base delle evidenze microscopiche (Tabella 10). Data la natura del materiale, può rendersi
Tabella 10. Identificazione presuntiva basata sull’esame microscopico diretto
necessario talvolta procedere ad una omogeneizzazione, aggiungendo piccole quantità di Nacetil-cisteina o KOH al 10%, se necessario riscaldando alla fiamma del becco Bunsen. Talvolta invece può essere necessario concentrare il materiale, come nel caso del Liquor e si può procedere a centrifugazione per 10-15 minuti a 1500 r.p.m. o usando siringhe tipo Swinnex. Tra le indagini dirette si può elencare anche quella per la ricerca di Cryptococcus neoformans mediante sospensione del
materiale in inchiostro di china. Moderne tecniche di agglutinazione si vanno sostituendo a questa pratica, offrono notevoli vantaggi, in considerazione del fatto che la sensibilità dei test al Lattice è di circa il 95-100% contro quella del 30-50% del test all’inchiostro di china. Dei materiali liquidi o omogeneizzati si possono anche allestire vetrini da colorare con la tecnica di Gram. Le strutture fungine, appaiono di solito in viola scuro per assorbimento e precipitazione del cristavioletto. Un buon ausilio può venire dalla microscopia a fluorescenza che permette di rilevare le strutture fungine ed in particolar modo le ife, dopo aggiunta di reattivi come il “Calcofluor White” o analoghi preparati. Ottimi risultati per l’evidenziazione delle strutture fungine si ottengono (Roberts et al., 1983) utilizzando il microscopio a contrasto di fase. I preparati non necessitano di nessuna colorazione e la visione dei vari elementi nel campo microscopico è notevolmente più chiara e dettagliata rispetto al normale microscopio. L’identificazione dei miceti filamentosi si basa prevalentemente sulle evidenze strutturali dei miceli vegetativi e riproduttivi. Anche se il campione analizzato non è un fluido biologico, ma materiale prelevato da colture, segnaliamo in questo paragrafo le tecniche microscopiche messe in uso. A partire da colture approntate in laboratorio, si può prelevare una porzione di preparato mediante ansa piccola o aghi e preparare uno striscio diretto su vetrino, aggiungendo una goccia di blu di lattofenolo o bleu di Porrier. La fragilità delle strutture conidiali non permette spesso una buona identificazione. Più appropriato è lo scotch test. Con nastro adesivo trasparente e non ruvido, si asporta una porzione del micelio aereo. Si applica lo scotch ad un vetrino portaoggetti facendolo ben aderire e si aggiunge con una pipetta Pasteur una piccola goccia di colorante che penetra per capillarità tra il vetrino e il nastro. Questa tecnica semplice e rapida consente di mantenere più salde le strutture dei funghi in esame, consentendo una migliore osservazione. E’ poi possibile operare una coltura diretta su vetrino, depositando un quadratino di un centimetro di lato di agar Sabouraud su un portaoggetti e seminando alla superficie di contatto una porzione di colonia in esame. Questa tecnica permette di osservare a tempi diversi l’evoluzione della coltura, ma richiede tempi lunghi, e notevole pratica di Laboratorio, per cui è raramente posta in essere.
Esame colturale: i terreni per la coltivazione dei miceti, si distinguono per quelli
comunemente usati per le colture batteriche per avere un pH acido (intorno a 5.5) anziché neutro. L’aggiustamento del pH avviene solitamente per aggiunta di HCl prima della dispensazione in piastre di Petri. I terreni che storicamente sono stati usati per la coltura di funghi sono il TOC Medium, il terreno di Strippoli, il Cotton Bleu in lattofenolo, il corn-meal agar, ma il più utilizzato è, senza dubbio, il terreno di Sabouraud impiegando come fonte di carbonio il maltosio o, più frequentemente, il destrosio. Il terreno presenta spesso aggiunte di antibiotici allo scopo di inibire la crescita di eventuali batteri presenti. Solitamente sono utilizzati cloramfenicolo e/o gentamicina. Si può considerare il Sabouraud come terreno “standard” per la coltivazione dei miceti, ma occorre sottolineare che esistono terreni specifici per isolare i vari generi che consentono di osservare in modo specifico morfologia e sporulazione altrimenti sacrificate o condizionate. Il terreno di Emmons è un Sabouraud che consente, data la ridotta concentrazione di glucosio, la sporulazione di miceti che solitamente hanno scarso sviluppo di corpi fruttiferi. L’agar BHI, infuso cuore cervello, con aggiunta di cloramfenicolo, è indicato per l’isolamento di H. capsulatum, anche se, una volta isolato, il micete deve essere sottocolturato in terreni privi di sangue per indurre la formazione dei conidi. L’agar Czapek Dox è un terreno povero, ideale per mettere in luce clamidospore e artrospore e per spingere i miceti alla produzione di conidi. Ci sono poi terreni selettivi per dermatofiti, in sostanza si tratta di Sabouraud modificati aggiungendo rosso fenolo (indicatore di pH) capace, mediante il viraggio dall’arancio al rosso, di evidenziare la crescita. Per l’isolamento di Trichophyton spp., si utilizzano terreni alla caseina, addizionati di vitamine, ma è necessario essere sicuri che i materiali non siano contaminati da presenza di batteri, capaci di falsare le prove biochimiche di crecita. Negli ultimi anni sono entrati in uso nei Laboratori i terreni cromogenici, che in presenza di miceti appartenenti a specie diverse sono in grado di generare colonie pigmentate, la cui definizione cromatica consente una identificazione presuntiva. I primi tentativi di utilizzo di tali terreni videro l’uso di BiGGY Agar e Bird Seed Agar, rispettivamente usati per Candida spp. e Cryptococcus spp. Ad oggi sono disponibili terreni policromogenici, capaci di discriminare almeno le cinque principali specie di Candida. Fra questi terreni
ricordiamo l’OCCA della ditta Oxoid Italia, il CAN ID della francese bioMerieux, il CHROMagar dell’americana Becton Dickinson. E’ utile ricordare che, in dipendenza dei terreni usati, le colonie di un’unica specie possono assumere caratteristiche morfologiche diverse. Questi “morfotipi” assumono spesso nomi derivanti dal loro aspetto. Per Candida albicans si riconoscono per esempio colonie a “cervello”, ad “anello”, a “uovo fritto”, a “verruca”. Le temperature ottimali per lo sviluppo delle colture, variano dai 25 ai 35 °C, ma il sospetto che si possano isolare miceti dimorfi dovrebbe far propendere per l’allestimento di due serie di colture da incubare a temperature differenziali.