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I tratti di un politeismo improprio

2. Reductio ad unum: tempo sociale, tempo indivi duale:

2.4. I tratti di un politeismo improprio

Grazie al contributo di Weber si è mostrato il senso in cui la cono- scenza scientifica possa dirsi strutturalmente temporale. In aggiunta, si è visto come tale struttura assuma connotazioni cangianti e mai net- tamente definibili nei termini di una temporalità esclusivamente so- ciale ovvero individuale. Nel prosieguo del discorso, vorrei ora speci- ficare le ragioni che inducono a riconoscere il carattere unitario del tempo anche al di là del mero agire scientifico, denunciando – per es- sere chiari sin da subito – l’inconsistenza di un approccio divisivo che giustifica e alimenta la proliferazione dei tempi in nome di una loro presunta connaturata difformità.

Per cominciare, sarà utile ripercorrere brevemente i nodi essenziali che segnano l’evoluzione storica dell’idea di tempo. La costruzione di un affollato universo di tempi non è affatto recente, al contrario, vanta origini lontane che risalgono almeno all’epoca dell’antica Grecia, quando già potevano contarsi ben quattro nozioni di tempo: chrònos,

kairòs, aiṑn ed eniautòs. Tuttavia, fra queste vi sono elementi di con-

nessione che l’analisi etimologica mostra in maniera assai chiara. A titolo d’esempio, già Aristotele sosteneva che «il cielo sensibile e Chronos, il tempo “cronico”, appartengono […] non al dominio del divenire e perire ma rappresentano la loro compiuta realizzazione nell’Aion, nell’eternità»; parimenti, «se Aion rappresenta la durata eterna dell’essere divino, Kairos è, entro questo Aion, il brillare di un’idea divina» (Philippson, 1949, pp. 90-91, corsivo aggiunto). Tut- tavia, malgrado i rapporti di comunanza, le distinzioni hanno preso progressivamente il sopravvento sfociando nella polarizzazione tra

chrònos e kairòs. Il primo termine rappresenta «il tempo che numeri-

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Verrà appunto a significare la forma di tempo del divenire, con un ini- zio e una fine» (Taroni, 2012, p. 36). Diversamente, il secondo, con- trapponendosi «all’idea “cronica” del tempo, come forma ordinatrice dell’accadere», esprime «l’attimo geniale, cioè fecondamente crea- tore, nel quale una pienezza di Essere, che altrimenti si svolge in uno sviluppo “cronico” del tempo, brilla e giunge al suo punto culminante» (Philippson, 1949, pp. 90-91).

Sul solco del conflitto tra chrònos e kairòs si è andato poi svilup- pando il dualismo fra tempo sacro e tempo secolare (o profano). Da un lato, infatti, la concezione kairotica del tempo viene mantenuta me- diante riti e festività religiose che permettono di entrare in contatto con i cosiddetti “tempi superiori”, i quali «raccolgono e riordinano il tempo secolare, introducendo “distorsioni” e apparenti incoerenze nell’ordinamento temporale profano» (Taylor, 2007, p. 79). Essi co- stituiscono metaforiche porte d’accesso attraverso cui l’uomo si proietta nella dimensione sacra della realtà, governata da un ordine cosmico eterno. D’altro canto, in contrasto con l’eterogeneità di kai-

ròs, chrònos evoca un ordinamento temporale omogeneo, rappresen-

tato da un tempo vuoto, lineare, misurabile e irreversibile. Sono pro- prio queste le caratteristiche principali del tempo secolare18, in cui «una

cosa accade dopo l’altra e quando qualcosa è passato, è passato» (ivi, p. 78).

Paradossalmente – e con buona dose d’ironia – è l’ascesa stessa del cattolicesimo a rafforzare la posizione del tempo secolare a discapito del tempo sacro. A ben vedere, infatti, il cattolicesimo non può che fondarsi su una temporalità lineare per almeno due ragioni: in primo luogo, perché gli eventi legati alla figura di Gesù accadono nel mondo, e dunque nel tempo storico e secolare, dove, se “ciò che è passato è passato”, ogni evento assume carattere di unicità e irripetibilità; in al- tre parole, «Dio fa il suo ingresso nel dramma del tempo» (ivi, p. 80). Ciò implica che il ritorno del figlio di Dio – quantomeno nelle mede- sime vesti di Gesù – non è contemplato. La sua nascita, allora, diviene lo spartiacque di un tempo dove il “dopo Cristo” succede al “prima di

18 Non a caso «le persone che vivono nel secolo sono inserite nel tempo ordinario, vivono

cioè la vita di quel tempo. Il termine [secolare] viene perciò usato per indicare il tempo ordi- nario in contrapposizione al tempo superiore» (Taylor, 2007, p. 78).

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Cristo”, in questo ordine esatto e senza possibilità d’inversione. In se- condo luogo, la linearità è insita nell’assunzione di un percorso che, svolgendosi ugualmente lungo la freccia del tempo, è ricompreso fra un’origine precisa, la creazione, e una fine ineluttabile, il giudizio uni- versale.

Nondimeno, per quanto ridimensionato, il tempo sacro e superiore continua ovviamente a rivestire un ruolo fondamentale nella vita di tutti i giorni anche dopo l’anno zero. Il principio secondo cui «una porzione di tempo è identificata non solo dalla sua collocazione nell’ordine del tempo secolare, ma anche dalla sua prossimità ai tempi superiori» (ivi, p. 83), continuerà ad essere valido ancora per molto, e infatti la coabitazione di tempi cronici e kairotici rimane pacifica fino al XVII secolo, allorquando

la scienza meccanicistica seicentesca ha offerto un’interpretazione completamente diversa della realtà stabile che si nasconde dietro al cambiamento. Non più l’eternità – non più, cioè, qualcosa che stia oltre il tempo, né tempo condensato – bensì la legge dei mutamenti nel tempo. C’è un’analogia con il tempo oggettivo antico, solo che ora non sono più ammesse deviazioni. Il mondo sublunare obbedisce esatta- mente a queste leggi, così come le stelle. L’eternità della matematica non trascende il mutamento, ma lo guida costantemente: è equidistante da tutti i tempi. In questo senso non si tratta di un tempo “superiore”. (ivi, p, 84).

Il passaggio da una realtà cosmica ed eterna a una in continuo mu- tamento, governata da leggi inderogabili che le scienze della natura mostrano di poter afferrare, segna un punto di non ritorno nel rapporto, fino ad allora sostanzialmente complementare, fra chrònos e kairòs. Sempre più lontani, essi rivendicano maggiore autonomia, e in parti- colare chrònos, la cui temporalità assurge a paradigma fondamentale della scienza galileiana, accresce la sua pregnanza. Non a caso «il tempo vuoto e omogeneo, scomponibile in istanti di eguale durata, è in effetti il prodotto di una particolare epoca storica, quella del pro- gresso scientifico e delle grandi trasformazioni tecnologiche» (Lec- cardi, 2009, p. 17).

Pertanto, a seguito della rivoluzione scientifica, si assiste a una vera e propria disintegrazione del tempo, dove le nuove forme croniche, per legittimare la loro autonomia, inducono alla formulazione di altret- tante nemesi kairotiche. Si fronteggiano dunque tempo esterno ed in- teriore, tempo oggettivo e soggettivo, tempo vuoto-omogeneo e tempo

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pieno-eterogeneo, tempo lineare e tempo ciclico e così via. Ma nel caotico imperversare della guerra tra dicotomie, la posta in palio è chiara e ben definita: la conquista del concetto di tempo tout court, plasmato secondo la dottrina dei vincitori19.

Tutt’oggi, non è difficile comprendere quale delle due parti abbia avuto la meglio, laddove la storia racconta il progressivo affermarsi del tempo misurabile delle scienze esatte, sebbene, all’inizio del XX secolo, le scoperte di Einstein – e non solo – avanzassero seri dubbi sulla legittimità di una concezione assoluta del tempo, rimasta immu- tata da Newton in poi (cfr. § 1.2.). Tuttavia, proprio quando la ricerca scientifica segnala l’opportunità di relativizzare la nozione di tempo, la società, folgorata dal sogno di una crescita tecnica ed economica senza fine – che, bisogna ricordarlo, è alimentata dagli esiti di quella stessa ricerca – spinge in senso contrario, ossia verso l’ipostatizza- zione di un tempo omogeneo, uniforme, lineare e unidirezionale; un tempo meramente newtoniano. E così

il primo secolo della modernità è stato il secolo del tempo come sogno. C’era una grande varietà di sogni. […] La tecnologia ci avrebbe liberato non solo dal lavoro, ma anche dal gran numero di ore spese a lavorare. La natura, vale a dire la storia, si sarebbe evoluta verso la libertà. Saremmo arrivati alla fine della storia e avremmo potuto ricostruire tutto il nostro sviluppo, nonché prevedere e creare il nostro futuro. E così via (Heller, 2003, p. 57).

Con la rinnovata fiducia verso il tempo della fisica classica, evi- dentemente connaturato a quell’idea di progresso che costituisce lo

zeitgeist dell’epoca, la distinzione fra tempi kairotici e cronici, lungi

dall’essere un mero ritaglio analitico, scivola vieppiù sul piano onto- logico, suggerendo l’esistenza di diverse temporalità tra loro incom- mensurabili. Frattanto, la colonizzazione del tempo sociale ad opera di

chrònos prosegue speditamente, mentre le istanze kairotiche, retaggio

di una visione sacra, cosmica e incantata del mondo, trovano sempre

19 Tutto ciò si inserisce nell’ambito di un più ampio processo di scissione concettuale in cui la

natura viene «identificata col campo di esplorazione delle scienze naturali, in particolare della fisica. Per converso, l’umanità nelle sue diverse manifestazioni – società, cultura, esperienza e quant’altro – è posta al di fuori della sfera della “natura”». Di conseguenza, a livello più generale emergono e/o si rafforzano ulteriori contrapposizioni che tutt’ora perdurano, basate «su divisioni concettuali come [appunto] “natura e società”, “natura e cultura”, “soggetto e oggetto”, “spirito e materia” o “tempo fisico e tempo esperito”» (Elias, 1984, p. 100).

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meno spazio nella società – o meglio, nella società occidentale avan- zata e secolarizzata – ripiegando, semmai, entro la dimensione più in- tima della vita individualizzata, figlia della divisione del lavoro e del conseguente sfaldamento emotivo e relazionale.

L’ascesa dell’economia industriale rappresenta il mezzo attraverso cui il tempo delle scienze naturali si innesta nelle maglie del tessuto sociale. In questo percorso

il passo decisivo viene compiuto attraverso l’analogia con la macchina. Questa di- viene portatrice del tempo naturale quando vengono costruite al suo interno le suc- cessioni fisiche di movimenti. Diviene così elemento regolatore dell’ordine sociale del tempo degli uomini, che su di esso devono orientarsi. La struttura temporale del continuum lineare, omogeneizzato divisibile a piacere viene dalle macchine trasfe- rito dall’ambito della natura a quello della società (Nowotny, 1989, p. 87).

Sono dunque gli operai della fabbrica, «incessante “motore di pro- duzione” del tempo sociale» (Bevilacqua, 2018, p. 48), i primi a sof- frire la schizofrenia di un tempo cronico-tayloristico patentemente avulso dai ritmi biologici e privo di qualsiasi conformazione kairotica. Così, il processo dissociativo cui il tempo è sottoposto raggiunge l’acme con la dittatura dell’orologio che, pur essendo «stato a lungo un misuratore per così dire pubblico della giornata, diventa uno stru- mento personale sempre più diffuso, di massa, per la regolamentazione della vita sociale e individuale» (ivi, p. 19). Da ciò si evince il ruolo dirimente dell’orologio nella battaglia dei tempi: alla stregua del “pa- cifico” cavallo di Troia, esso penetra nella sfera individuale per espu- gnare la resistenza di una temporalità interna ancorata al vissuto, all’identità, e alla memoria. Tale conflitto, ben lungi dalla sua conclu- sione, permane tutt’oggi come uno degli elementi di maggiore criticità nel rapporto fra uomo e tempo.