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Tutela della qualità e libera circolazione delle merci nel mercato unico

Nel documento UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PARMA (pagine 128-142)

3. Un solo mercato e tanti segni di qualità: il rapporto tra marchi, indicazioni geografiche e istanza concorrenziale nell’ ordinamento comunitario

3.1 Tutela della qualità e libera circolazione delle merci nel mercato unico

Quanto al primo aspetto, la conciliazione del principio di libera circolazione delle merci e della tutela dei diritti di proprietà intellettuale si pone – come si diceva- a motivo della forte connotazione territoriale di questi ultimi, soprattutto nella fase anteriore alla creazione di strumenti comunitari assicuranti una tutela uniforme in tutti gli Stati membri, quali il marchio comunitario, il brevetto europeo o le stesse DOP e IGP.

Il Trattato CE, agli artt. 28 e 30, ha offerto le regole fondamentali cui fare riferimento, e proprio in applicazione di tali disposizioni la Corte di Giustizia si è pronunciata con le sue prime sentenze sugli istituti del diritto industriale.

Una serie importante di principi di soluzione del conflitto sono stati elaborati nel corso del tempo, con riguardo soprattutto ai marchi e ai brevetti, oltre che alle indicazioni geografiche: è

358Cfr M TAVASSI., Diritto della proprietà industriale e antitrust nell’ esperienza comunitaria e italiana, in Riv. Dir. Ind., I, 1997, p. 148.

importante ricordare brevemente tale quadro generale, prima di esaminare specificamente la rilevanza del principio di libera circolazione con riguardo al settore agro-alimentare, in cui pure vi sono state diverse decisioni importanti della Corte del Lussemburgo, che ancora in tempi recentissimi è stata chiamata a pronunciarsi sul punto:Ciò conferma che l’interesse per tali aspetti è lungi dall’esaurirsi e non si è affatto esaurito con il raggiungimento dell’obiettivo- fissato per il 1992- di completamento del mercato unico(anzi, con l’allargamento a 27 Stati Membri ,gli stessi - e nuovi- problemi di integrazione già affrontati dagli Stati membri di più vecchia data vanno riproponendosi).

Si noti che il tema è particolarmente interessante perché istituti giuridici fortemente legati alla territorialità da un lato nell’ordinamento comunitario sono tutelati proprio in ragione di tale legame con il territorio (che ne costituisce, come si è visto, la principale forza dal punto di vista competitivo); dall’altro tale territorialità rischia di essere pericolosa ai fini dell’obiettivo concorrenziale inteso come dinamicità del mercato comune in cui le imprese devono poter competere senza discriminazione dovuta alla nazionalità.

3.1.1 Gli artt. 28 (già 30) e 30 (già 36) del Trattato comunitario

.Il Trattato comunitario, subito dopo aver sancito, all’ art. 1, l’ istituzione della Comunità Europea, stabilisce all’ art. 2 che gli obiettivi che tale Comunità deve promuovere vanno perseguiti

“mediante l’ instaurazione di un mercato comune e di un’ unione economica e monetaria”, oltre che mediante l’ attuazione di politiche e azioni comuni. Di conseguenza, il mercato comune è stato sempre la grande preoccupazione delle istituzioni comunitarie359, l’ obiettivo – a sua volta strumentale rispetto alle finalità ultime della Comunità (tra le quali bisogna sottolineare lo sviluppo armonioso ed equilibrato delle attività economiche e l’ alto grado di competitività e di convergenza dei risultati economici) - da tenere sempre presente nell’ esaminare le peculiarità del diritto comunitario della concorrenza e le esigenze sottese alla giurisprudenza comunitaria in tema di rapporto tra marchio/indicazioni geografiche e libera circolazione delle merci.

Ai fini dell’ art. 2, poi, l’ art. 3 prevede che l’ azione della Comunità comporti in particolare:

“a) il divieto, tra gli Stati membri, dei dazi doganali e delle restrizioni quantitative all’ entrata e all’ uscita delle merci come pure di tutte le altre misure di effetto equivalente; b) un mercato interno caratterizzato dall’ eliminazione, fra gli Stati membri, degli ostacoli alla libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali; g) un regime inteso a garantire che la concorrenza non sia falsata nel mercato interno”.

359 Cfr D. WYATT –A. DASHWOOD, European Union Law, London, 2000, p. 498 ss.

L’ instaurazione di un mercato comune- completata e rafforzata dall’ unione monetaria realizzata da qualche anno con l’ introduzione dell’ euro- presuppone la creazione di uno spazio economico unico agli Stati membri, ove gli scambi si effettuino alle stesse condizioni di quelle vigenti in un mercato interno. Per questo il Trattato si è proposto -come strumento- la realizzazione delle “quattro libertà”, tra cui ai nostri fini rileva particolarmente quella sulla circolazione delle merci.

Il primo passo fondamentale per la costruzione del mercato comune è stata l’ abolizione delle dogane intra - comunitarie; obiettivo invece sempre da attuare è la lotta a “misure di effetto equivalente”360 (tra cui possono venire in rilievo le privative industriali). 361

Ora, la tutela dei diritti di proprietà industriale è suscettibile di entrare in conflitto con la realizzazione di tali obiettivi del Trattato per due ragioni fondamentali.

In primis, perché per loro natura tali diritti conferiscono ai titolari la possibilità di eliminare ogni concorrenza nella misura del diritto esclusivo che è loro garantito. In secondo luogo, perché la protezione della proprietà intellettuale è soggetta , come si è detto, al principio di territorialità, che limita la tutela al territorio nazionale, e ciò può ostacolare la libera circolazione dei beni all’ interno del mercato comune, aggiungendosi a ciò la circostanza della divergenza delle legislazioni nazionali sulla proprietà intellettuale.362

Il carattere territoriale della protezione è proprio il profilo che viene maggiormente in rilevanza analizzando il rapporto tra marchio, indicazioni geografiche e libera circolazione, mentre il profilo dell’ esclusività del contenuto del diritto rileva particolarmente per l’ aspetto antitrust.363

Tenendo presenti tali considerazioni, si deve ricordare che uno specifico articolo del Trattato, l’

art. 30 ( ex 36) contempla proprio la tutela della “proprietà industriale e commerciale” tra gli interessi da salvaguardare anche a costo di limitare il principio della libera circolazione delle

360 Vietate ai sensi dell’art. 28 del Trattato comunitario. Cfr A. FRIGNANI - M.WAELBROECK, Disciplina della concorrenza nella CEE, Napoli, 1983, p. 4 e 5.

361 Stretto è il legame con il diritto della concorrenza: esponendo le imprese di ciascuno Stato membro alla competizione di quelle degli altri, gli scambi vengono ampliati e la concorrenza intensificata. Le imprese meno efficienti sono destinate a scomparire, mentre quelle più agguerrite possono crescere in dimensione e realizzare economie di scala, di cui l’ intera collettività potrà beneficiare. Il pungolo concorrenziale diviene causa di continua rimessa in discussione di situazioni date per acquisite, stimolando spirito di iniziativa, innovazione, progresso tecnico ed economico.

362 Cfr E. BONASI BENUCCI, Abuso del marchio, cit., , pp. 2260 ss.

363 Cfr A.FRIGNANI – M.WAELBROECK, Disciplina, cit., p. 336.

merci. Peraltro, tale tutela è a sua volta soggetta a limiti, poiché non può costituire un “mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri”364.

Peraltro, come ha più volte precisato la Corte di giustizia, anche se ai sensi dell’ art. 30 del Trattato sono compatibili col mercato unico divieti e restrizioni di importazione, esportazione e transito di prodotti e servizi in ragione di alcune esigenze fondamentali, tra cui la tutela della proprietà industriale, “si tratta pur sempre di eccezioni al principio fondamentale della libera circolazione dei prodotti e dei servizi, che, in quanto tali, debbono essere interpretate restrittivamente”365.

Nella sentenza Keurkoop 366, la Corte di giustizia ha affermato che ragioni di tutela dei diritti sui beni immateriali possono giustificare limitazioni alla libera circolazione delle merci ma esse non devono costituire una restrizione dissimulata agli scambi perché

“l’ art 36 (ora 30) intende sottolineare che il contemperamento delle esigenze della libera circolazione delle merci con il rispetto dovuto ai diritti di proprietà industriale e commerciale va realizzato in modo da tutelare il legittimo esercizio, connesso ai divieti di importazione, dei diritti attribuiti dagli ordinamenti nazionali, rifiutando, invece, la tutela ad ogni abuso di tali diritti, atto a conservare e a creare artificiali suddivisioni nell’ ambito del mercato comune. L’

esercizio dei diritti di proprietà industriale e commerciale attribuiti dall’ ordinamento nazionale va quindi limitato nella misura necessaria a tale contemperamento”367.

In altri termini “la regola generale è che le merci devono poter circolare liberamente all’

interno del mercato comune. La libera circolabilità può però trovare alcuni limiti nei diritti di proprietà industriale”368.

3.1.2 Criteri generali di soluzione del conflitto tra DPI e concorrenza (uso ragionevole, esistenza / esercizio, oggetto specifico, rule of reason)

364 Si riporta l’art. 30 (già 36) del Trattato: “Le disposizioni degli articoli 28 e 29 lasciano impregiudicati i divieti o restrizioni all'importazione, all'esportazione e al transito giustificati da motivi di moralità pubblica, di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di tutela della salute e della vita delle persone e degli animali o di preservazione dei vegetali, di protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale, o di tutela della proprietà industriale e commerciale. Tuttavia, tali divieti o restrizioni non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, nè una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri”.

365 P. IANNANTUONO, La proprietà industriale, in Trattato di diritto privato, diretto da M. Bessone, XXVI, Torino, 2000, p. 1093.

366 CGCE,14 setembre 1982, C- 144 / 81, Keurkoop BV v. Nancy Kean Gifts BV.

367 Sic il par. 24della sentenza citata.

368 G. GHIDINI - S.HASSAN, Diritto industriale e della concorrenza nella CEE, Milano, 1991, p. 26.

E’ opportuno quindi ricordare alcuni criteri generali di soluzione del conflitto tra diritti di proprietà intellettuale (caratterizzati da territorialità ed esclusività del diritto) e principio concorrenziale. 369

a) Secondo una corrente dottrinaria, ormai superata370, le regole comunitarie non potrebbero pregiudicare l’ esercizio dei diritti di proprietà industriale se non quando questo sia anormale o abusivo secondo il diritto nazionale, mentre un uso normale o ragionevole secondo il diritto nazionale sfuggirebbe ai divieti del Trattato

Questa tesi è stata giustamente respinta dalla giurisprudenza perché non considera che le norme comunitarie sono direttamente applicabili negli Stati membri e che quindi limitano l’ uso dei diritti di proprietà industriale in base all’ ordinamento degli stessi Stati membri, sicchè un uso sarà in effetti “normale” solo se conforme tanto al diritto nazionale quanto a quello comunitario.371

b) Una soluzione, invece, più fondata cui la giurisprudenza comunitaria si è riferita è la distinzione tra l’ esistenza del diritto di privativa - lasciata impregiudicata dal Trattato - e l’esercizio di tale diritto – che invece può venirne limitato372.

Questo criterio373, adottato dalla Corte dal celebre caso Grundig374 - che riguardava licenze di marchio atte a compartimentale il mercato unico - in poi, è stato criticato in dottrina perché la privazione totale della facoltà di esercitare un diritto porta pregiudizio alla sua stessa esistenza, per cui il problema è piuttosto sapere in quale misura l’ esercizio del diritto può essere limitato senza pregiudicarne l’esistenza.375 Oltre a non fornire indicazioni su ciò, spesso a formare oggetto della limitazione, più che l’esercizio, sembra essere stato il contenuto stesso del diritto.376

Tali critiche hanno stimolato la ricerca di ulteriori criteri, sebbene spesso permanga pure il ricorso al criterio dell’ esistenza / esercizio.

369 P. GROVES,Intellectual property and the internal market of the European Community, London, 1993, p.1: “Intellectual property rights are both exclusive and territorial in their application. As the European Court has found on a number of occasions, they have the potential for dividing markets. National intellectual property rights are, in short, inherently difficult to reconcile with the creation of a common market” .

370 Per i sostenitori di questa tesi, si rimanda a A.FRIGNANI - M.WAELBROECK, Disciplina della concorrenza nella CEE, cit., in nota 4 a p. 338.

371 A. FRIGNANI– M.WAELBROECK, Disciplina, cit., p. 338.

372 Cfr G. GHIDINI - S.HASSAN, Diritto industriale, cit., p. 164.

373 Si veda anche L. DANIELE, Il diritto materiale della comunità europea, Milano, 2000, p. 63.

374 CGCE, causa n. 56 e n. 58 / 64 Etablissements Consten SA e Grundig Verkaufs GmbH v. Commissione della C. E.; Grundig – Verkaufs GmbH v. Commissione delle Comunità Europee.

375 Così A.FRIGNANI - M.WAELBROECK, Disciplina, p. 339.

376 G. GHIDINI - S. HASSAN, Diritto industriale, cit., p. 165.

c) Un ulteriore criterio di frequente utilizzato è quello dell’ “oggetto specifico del diritto”

(specific subject matter).

Partendo dalla constatazione della eccezionalità dell’ art 30 rispetto al principio della libera circolazione, la Corte di Giustizia ha limitato l’ applicazione della deroga in esso prevista alla sola tutela delle facoltà che costituiscono l’oggetto specifico del diritto, cioè solo a ciò che è strettamente connaturale ad essi, inerente all’ essenza dell’istituto di proprietà industriale377.

.

Un esercizio che travalichi questi confini, incorre nei divieti del Trattato.378

Ma vi è una limitazione nella limitazione: “anche se rimane all’ interno dell’ oggetto specifico, l’ esercizio di un diritto di proprietà industriale sarà lecito solo se conforme alla ‘funzione essenziale’ del diritto, come definito dalla Corte”379; per il marchio, ad esempio, la Corte ha definito a volte funzione essenziale quella di garanzia dell’ identità di origine del prodotto.

Questo criterio appare preferibile ai precedenti, anche se attribuisce un ampio potere discrezionale all’interpretazione giudiziale.

d) Anche se sembra non potersi optare per un criterio risolutivo, pare che il tentativo di soluzione più appagante sia quello della rule of reason, di matrice statunitense.

Più che una nuova soluzione, si tratta, in effetti, dell’ applicazione congiunta, a seconda dei casi, di alcuni o di tutti i vari criteri suddetti.380

Prendendo in esame, cioè, la ratio delle norme, di volta in volta si cerca un contemperamento – cioè una reciproca limitazione - degli interessi coinvolti: quelli dei titolari delle privative alla tutela delle loro esclusive, e quelli del sistema economico, alla libertà di concorrenza.

Anche nel settore agro-alimentare non si può prescindere da tale rule of reason, come criterio elastico di interpretazione. Tale parametro- capace per la sua elasticità di consentire un’evoluzione interpretativa- può essere assunto come chiave di lettura anche nell’esame della giurisprudenza della Corte di Giustizia sul rapporto tra segni di qualità e principio di libera circolazione delle merci.

3.1.3 Principi e soluzioni giurisprudenziali nel settore agro- alimentare

377 Cfr CGCE, C - 16/74, Centrafarm BV v. Winthrop Bv, par. 8 “l’ oggetto specifico è particolarmente di garantire al titolare il diritto esclusivo di utilizzare il marchio, per la prima messa in circolazione del prodotto, e così di proteggerlo contro i concorrenti che volessero abusare della posizione e della reputazione del marchio vendendo prodotti cui tale marchio sia stato apposto in modo illegittimo”.

378 Cfr M. TAVASSI., Diritto della proprietà, cit., p. 153.

379 CGCE, C–102/77, Hoffmann La Roche & Co. AG v. Centrafarm Vertriebsgesellschaft Pharmazeutischer Erzeugnisse mbH.

380 Cfr M.TAVASSI , Diritto della proprietà, cit., p. 157.

La giurisprudenza comunitaria relativa ai segni di qualità può dividersi fondamentalmente in due grandi filoni, che corrispondono alle due prospettive di rapporto tra segni dia qualità e principio concorrenziale, cui si accennava.

Il primo riguarda il rapporto tra marchi e indicazioni geografiche (in tutte le diverse tipologie), da una parte e norme del Trattato sulla libera circolazione delle merci (gli artt.28 e 30 attuali, prima 30 e 36) dall’altro: in questa prospettiva, l’istanza concorrenziale è intesa come necessità di assicurare libertà di competere sul mercato comune, senza che vi siano ostacoli agli scambi intra -comunitari e, quindi, discipline che, con lo scopo di tutelare a livello nazionale prodotti di qualità, si risolvano in discriminatorie misure ad effetto equivalente.

Il secondo filone giurisprudenziale, molto più eterogeneo, riguarda specificamente i casi di conflitto tra marchi e indicazioni geografiche, nonchè l’interpretazione dei regolamenti comunitari sulle indicazioni geografiche in relazione ad alcuni aspetti particolarmente problematici:in questa seconda prospettiva, pure viene in rilievo il principio concorrenziale, ma sotto l’aspetto dell’efficacia degli istituti di svolgere adeguatamente e armonicamente il loro ruolo pro-concorrenziale, già evidenziato. Di questo secondo aspetto, che, come si è detto, attiene alla trasparenza concorrenziale e alla difesa dei diritti di esclusiva come strumenti di tutela dei produttori e dei consumatori, ci si occuperà nelle prossime sezioni di questo capitolo e nel capitolo successivo.

Si tratta dunque ora di ripercorrere il cammino che la giurisprudenza comunitaria ha percorso affrontando il problema della compatibilità della protezione della qualità con le regole di concorrenza sul mercato unico, dal momento che la Corte di Giustizia, anche nel settore dell’agro-alimentare, ha creato diritto, precedendo o interpretando le scelte legislative e sempre dando un impulso decisivo alla riflessione sulla tutela della qualità agro-alimentare nel suo rapporto con la concorrenza381. L’esame si concentrerà sulle decisioni più rilevanti- esaminate quando possibile in ordine cronologico, onde sottolinearne l’evoluzione giurisprudenziale- mettendo in luce quelle soluzioni e quei principi che hanno un grande interesse per tentare di risolvere alcune questioni

381 Circa l’importanza della giurisprudenza comunitaria in materia, si legga F. ALBISINNI, La tutela comunitaria dei prodotti agroalimentari europei, relazione tenuta a Bruxelles il 27 novembre 2007 e disponibile in:

http://www.scianet.it/ciapuglia/svl/allegatiRead?recid=8972&allid=6197, ove si leggono alcune considerazioni utili come chiave di lettura generale per le pagine che seguono. A p.9 si legge che “una decisiva sollecitazione verso il mercato unico, con la posizione degli istituti giuridici che lo hanno caratterizzato (ed anzitutto con l’affermazione del principio del mutuo riconoscimento) è venuta dalla Corte di giustizia. Ma questa giurisprudenza, articolata lungo linee dinamicamente collegate, è suscettibile di plurime letture e di differenziati esiti evolutivi, non riducibili in una logica di omologazione banalizzante, quale prospettata da alcune letture solo parziali nell’oggetto e talvolta nelle stesse ispirazioni, siccome espressione di prospettive unilateralmente intese ad assolutizzare a rango di principi ciò che nelle pronunce della Corte era piuttosto soluzione flessibile ed articolata. Le decisioni nel loro insieme costituiscono un testo, che necessitatamente richiede una lettura nel contesto in cui la Corte ha consapevolmente operato. Contesto al cui interno ha assunto un ruolo centrale il bilanciamento di interessi, fra regole del mercato unico e tutelabilità anche giudiziale del radicamento territoriale della produzione alimentare”.

molto attuali, e ancora prive di una univoca soluzione pratica382. Dopo aver delineato il quadro dei principi giurisprudenziali, si esamineranno- con alcuni esempi concreti- alcune questioni particolarmente controverse che richiedono una risposta.

3.1.3.1 “Sekt” (1975): legame territoriale e ampiezza della zona di produzione

La sentenza “Sekt” segna l’inizio della riflessione giurisprudenziale comunitaria sugli strumenti di tutela della qualità - quando si era ancora ben lontani dall’emanazione dei regolamenti comunitari degli inizi anni Novanta- e sul loro rapporto con la tutela della concorrenza nel mercato unico. Si tratta di una sentenza che pone le fondamenta della successiva costruzione comunitaria e stabilisce principi importanti, che segnano la nascita giurisprudenziale delle indicazioni geografiche383.

a) Nel caso in esame anzitutto la Corte, dopo aver ribadito che “il mercato comune si fonda sul principio della libera circolazione delle merci nell'ambito della Comunità”384, individua come requisito minimo (l’ “oggetto specifico del diritto”) dell’istituto delle indicazioni geografiche il legame tra qualità del prodotto e luogo d’origine (quindi, la qualità territoriale), poi divenuto l’architrave dei regolamenti comunitari. Quindi, non solo le qualità devono effettivamente sussistere, ma devono anche essere causalmente collegate ad uno specifico luogo d’origine385.

382 CGCE, Causa 12/74, 20 febbraio 1975, Commissione delle Comunità europee contro Repubblica federale di Germania. Nella controversia doveva accertarsi se la Repubblica federale di Germania, riservando le denominazioni

"Sekt" e "Weinbrand" alla produzione nazionale e la denominazione "Praedikatssekt" a vini prodotti nel paese a partire da una determinata percentuale minima di uve indigene, avesse violato gli obblighi impostile dal Trattato CEE, in particolare per quanto concerne il divieto di misure d'effetto equivalente a restrizioni quantitative all'importazione.

Secondo la Commissione, riservando le denominazioni "Sekt" e "Weinbrand" ai prodotti nazionali e la denominazione

"Praedikatssekt"al "Sekt" contenente almeno una determinata percentuale minima d'uve indigene, e costringendo nel contempo i prodotti stranieri ad utilizzare in Germania denominazioni meno attraenti o sconosciute ai consumatori, la legislazione vinicola favoriva la produzione nazionale a scapito dei prodotti esteri, ponendo in essere misure d'effetto equivalente a restrizioni quantitative, in contrasto coll' art. 30 del trattato CEE, misure non giustificabili neppure in base all'art. 36 del Trattato, non essendo indispensabili al fine di proteggere i produttori dalla concorrenza sleale ed i consumatori dalle frodi circa la provenienza dei prodotti.

383 Cfr per un commento G. LA VILLA, Denominazioni di origine, cit.,p.154 ss, ove, tra l’altro, l’Autore sottolinea il trattamento unitario riservato dalla sentenza Sekt alle due figure delle DOP e delle IGP:“contrastando la differenziazione tra le due figure, quanto meno sotto il profilo del diritto comunitario della libera circolazione dei beni, esprime così ante litteram l’esigenza di un trattamento unitario delle due fattispecie”.

384 Cfr par.5 della sentenza in esame.

385 Cfr par 7: “Le denominazioni d'origine e le indicazioni di provenienza (…)devono, a prescindere dagli elementi che possono più particolarmente caratterizzarle, possedere un requisito minimo : esse devono mettere in rilievo la provenienza del prodotto da una determinata zona geografica. Nella misura in cui le predette denominazioni sono giuridicamente tutelate, esse devono giustificare tale protezione, cioè apparire necessarie non solo per difendere i produttori interessati dalla concorrenza sleale, ma altresì per impedire che i consumatori siano tratti in inganno da indicazioni fallaci. La loro ragion d'essere consiste precisamente nel designare un prodotto che possiede in effetti qualità e caratteristiche intimamente connesse alla zona di provenienza. Per quanto riguarda più specificamente le indicazioni di provenienza, il collegamento con la zona geografica d'origine deve poter evocare una qualità e caratteristiche tali da consentire una precisa individuazione del prodotto”. Oltre alla chiarezza con cui la Corte sottolinea l’importanza del nesso territoriale come base dell’istituto, è interessante notare il duplice obiettivo di natura

Tale nesso territoriale è ciò che, in seguito, contraddistinguerà le indicazioni geografiche registrate o qualificate, cioè quelle rientranti nel campo di applicazione dei regolamenti sulle indicazioni geografiche.

b) Perchè però vi possa essere un legame specifico tra territorio e qualità del prodotto occorre che la zona di produzione sia delimitata, cosa che non accade quando la zona di provenienza coincide con l’intero territorio nazionale o quando tale zona è definita secondo un criterio linguistico386, anziché essere circoscritta in base a caratteristiche naturali, caratteristiche che sono decisive in quanto capaci di influenzare qualitativamente il prodotto. Dunque, in “Sekt” si stabilisce la rilevanza dell’ampiezza del territorio considerato, che è funzionale alla qualità territoriale: una sua coincidenza con lo Stato membro può invece essere sintomo che in realtà lo scopo (dissimulato) è quello di proteggere la produzione nazionale, compartimentando così il mercato unico.

c) Quando tale legame territoriale387 non sussiste non si è in presenza di indicazioni geografiche (ma si vedrà l’elaborazione della categoria delle indicazioni geografiche semplici) e dunque non può invocarsi l’eccezione dell’art.36 (ora 30) al divieto di misure ad effetto equivalente e, quindi, al principio di libera circolazione delle merci. Dunque, da una parte il Trattato non impedisce agli Stati Membri di legiferare in materia di indicazioni di provenienza; dall’altra vieta l'adozione di provvedimenti aventi come conseguenza effetti equivalenti a quelli delle restrizioni quantitative. Ciò accade appunto quando il legislatore nazionale attribuisce la tutela contemplata per le indicazioni di provenienza a denominazioni le quali, al momento di detta attribuzione, sono semplici denominazioni generiche.

d) Fra le righe della sentenza, si può leggere in nuce una distinzione nel rapporto del principio di libera circolazione con- da un lato- le indicazioni geografiche tutelate a livello

concorrenziale che viene assegnato alle indicazioni geografiche:da un lato, la difesa dei produttori dalla concorrenza sleale, dall’altro la tutela dei consumatori che hanno diritto ad uno strumento di trasparenza sul mercato.

386 Si veda il par.8 della sentenza: “La legislazione vinicola tedesca riserva le denominazioni "Sekt" e

"Weinbrand" a prodotti originari della Repubblica federale di Germania o provenienti da Stati esteri ove il tedesco sia lingua ufficiale nell'intero paese. Una zona di provenienza definita in rapporto all'intero territorio nazionale oppure in funzione d'un criterio linguistico non costituisce un ambito geografico (nel senso in precedenza considerato) cui si possa ricollegare un'indicazione di provenienza. Ciò è tanto più vero se si osserva che i prodotti in esame possono essere ottenuti partendo da uve di provenienza non specificata.

Nella fattispecie, è pacifico che la zona di provenienza determinata dalla legislazione vinicola non presenta caratteristiche naturali omogenee atte a distinguerla dalle zone limitrofe; non si può infatti affermare che le materie prime utilizzate nella fabbricazione dei prodotti controversi presentino necessariamente proprietà naturali diverse a seconda che siano ottenute al di qua oppure al di là della frontiera nazionale”.

387Una volta negata alle denominazioni "Sekt" e "Weinbrand" la natura di indicazioni di provenienza, veniva a cadere anche la possibilità di giustificare le disposizioni controverse con riferimento all'art. 36 del trattato, invocando motivi di tutela della proprietà industriale o commerciale. La Corte concludeva pertanto (par. 18) che riservando “le denominazioni "Sekt" e "Weinbrand" alla produzione nazionale e la denominazione "Praedikatssekt" a vini prodotti in Germania a partire da una determinata percentuale minima d'uve indigene, la Repubblica federale di Germania era venuta meno agli obblighi impostile dall'art. 30 del trattato CEE e, per quanto riguarda gli spumanti, dall'art. 12, n. 2, lettera b), del regolamento del Consiglio 28 aprile 1970, n. 816.

Nel documento UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PARMA (pagine 128-142)