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U NA BREVE INTRODUZIONE ALLE QUESTIONI GIURIDICHE

Tra le numerose pratiche di procreazione medicalmente assistita oggi disponibili, quella che, fin dal momento in cui ha iniziato a diffondersi, ha ingenerato le maggiori problematiche di carattere, ad un tempo, giuridico ed etico, è senza dubbio la c.d. maternità surrogata (o surrogazione di maternità). Per la verità, il sintagma “surrogazione di maternità” è soltanto un’espressione sintetica, una mera etichetta che racchiude in sé una molteplicità di tecniche diverse: in generale, può comunque distinguersi tra le forme di surrogazione “omologa”, con cui si fa riferimento ai casi in cui la c.d. “madre surrogata” si limita alla gestazione di una gravidanza avviata con materiale genetico completamente proveniente dalla coppia committente (sia gli ovociti che il seme), e quelle di surrogazione “eterologa”, la quale può presentare differenti livelli di complessità, ma rinviene un elemento comune nel fatto che il corredo genetico dell’embrione sia almeno da una parte diverso rispetto a quello dei committenti57.

57 Per la distinzione tra surrogazione di tipo omologo ed eterologo,

senz’altro ispirata a quella tra fecondazione omologa ed eterologa, si veda SCALISI, Maternità surrogata: come “far cose con regole”, in Riv. dir. civ., 2017,

1097, dove si mette in luce, peraltro, come la surrogazione eterologa possa presentarsi in forme estremamente complesse, come il caso in cui l’ovocita fecondato appartenga ad una terza donna: in questo caso, infatti, si assiste

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Orbene, ciò premesso, il ricorso alla maternità surrogata, pur non costituendo l’oggetto, in un primo momento, di uno specifico divieto58, ha fin da subito presentato alcuni elementi di grave criticità in rapporto con il nostro ordinamento: alcune risalenti decisioni di merito 59 , infatti, qualificavano l’accordo tra i

alla presenza di addirittura tre possibili figure materne, cioè la madre committente, quella partoriente e quella genetica. Nondimeno, esistono differenti forme di classificazione della maternità surrogata: in MOLASCHI,

La procreazione medicalmente: uno sguardo comparato tra Italia e Inghilterra, in Fam. pers. Succ., 2010, 524 ss., dove, guardandosi alla posizione della partoriente, si distingue tra surrogazione “totale” e surrogazione “parziale” a seconda che la madre gestante metta a disposizione o meno il proprio ovulo per la fecondazione; si veda, inoltre, in dottrina, FARAONI,

La maternità surrogata. La natura del fenomeno, gli aspetti giuridici, le prospettive di disciplina, in Il diritto privato oggi, Milano, 2002.

58 Nondimeno, già in assenza di una regolamentazione del fenomeno di

rango primario, il 3 ottobre 1998 era stato approvato dal Consiglio Nazionale della Federazione degli Ordini dei medici e chirurghi e degli odontoiatri il nuovo codice deontologico, il quale, all’art. 42, sanciva quanto segue: “Le tecniche di procreazione umana medicalmente assistita hanno lo scopo di ovviare alla sterilità. È fatto divieto al medico, anche nell’interesse del nascituro, di attuare: a) forme di maternità surrogata; (…)”.

59 In questo senso, in particolare, le argomentazioni citate nel testo sono

tratte da Trib. Monza, 27 ottobre 1989, in Nuova giur. Civ. comm., 1991, 191, con nota di LANDOLFI, Inseminazione artificiale e tutela del nascituro; in senso

contrario, tuttavia, Trib. Roma, 17 febbraio 2000, in Corr. Giur., 483, con nota di SESTA, Il caso e la soluzione del giudice, dove si mette in luce come

l’ordinanza del tribunale capitolino, nel consentire l’impianto degli embrioni generati in provetta nell’utero della gestante, in contrasto con il codice deontologico dell’Ordine dei medici, abbia in realtà omesso di considerare i profili di contrasto di un accordo siffatto con l’ordine pubblico, con il buon costume, nonché, pur in assenza di un divieto

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committenti e la gestante come un contratto nullo, da un lato, per il combinato disposto degli articoli 1418, comma 2°, e 1346 c.c., non potendo costituire oggetto del contratto gli status personali né, in particolare, la potestà dei genitori ed il corrispondente diritto del minore ad essere cresciuto dal genitore che lo ha generato; dall’altro, per nullità della causa ex art. 1343 c.c. nell’ipotesi in cui il contratto presentasse il carattere dell’onerosità.

Finalmente, a seguito di un lungo e complesso dibattito dottrinario, la legge n. 40 del 2004 interveniva a colmare il non più sostenibile vuoto normativo, stabilendo, all’art. 12, comma 6°, che “chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro”. Si può affermare, pertanto, che il legislatore italiano, alla luce di un asserito grave disvalore associato alla pratica di surrogazione di maternità, in qualunque forma questa venga effettuata, abbia prescelto la via della repressione penale: in questo modo, attraverso la leva della funzione general-preventiva della pena, si tentava di disincentivare in misura massiva il ricorso a tali tecniche di procreazione, specie in considerazione dell’elevato importo

esplicito, con alcune norme imperative, tra cui gli artt. 269, 239 e 248 c.c., laddove è enucleato il principio per cui la maternità deriva dal fatto fisico del parto, e non pare possibile individuare la madre in figura diversa dalla partoriente; inoltre, non parrebbe condivisibile un ulteriore assunto dell’ordinanza del tribunale di Roma, cioè l’esistenza di un diritto costituzionalmente garantito ad essere genitori.

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economico della sanzione. Nondimeno, in punta di effettività, è da osservare che, a partire dalla sua introduzione, si è assistito ad una vera e propria opera di depenalizzazione in concreto da parte della giurisprudenza, la quale giunge frequentemente, per il suddetto reato, all’assoluzione degli imputati60.

Inoltre, la legge n. 40 esprime la propria riprovazione verso l’istituto della maternità surrogata anche indirettamente, guardandosi agli effetti provocati dalla sua messa in pratica in violazione del divieto: se, infatti, nei riguardi del nato da fecondazione eterologa, pratica pur vietata in modo assoluto dalla l. 40/2004 fino alla sentenza della C. cost. n. 162/201461, si afferma l’improponibilità dell’azione di disconoscimento della paternità62, in tal modo salvaguardandosi lo status giuridico del nato come figlio, la legge medesima nulla prevede nei riguardi del nato da maternità surrogata, omettendo di regolare tutti quei casi, tutt’altro che sporadici, in cui venga fatto comunque ricorso

60 Svolge questa osservazione SCALISI, op. cit., 1099; in giurisprudenza, ex

multis, si può citare Cass. pen., sez. VI, 26 febbraio 2016, n. 8060, in Banca Dati De Jure.

61 C. cost., n. 162/2004, che ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 4, terzo c., della legge nella parte in cui stabilisce il divieto del ricorso a tecniche di PMA di tipo eterologo, in caso di sterilità o infertilità assolute e irreversibili.

62 Si tratta, in particolare, dell’art. 9, comma 1°, della legge 40, dove si

afferma: “Qualora si ricorra a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo in violazione del divieto di cui all'articolo 4, comma 3, il coniuge o il convivente il cui consenso è ricavabile da atti concludenti non può esercitare l'azione di disconoscimento della paternità nei casi previsti dall'articolo 235, primo comma, numeri 1) e 2), del codice civile, né l'impugnazione di cui all'articolo 263 dello stesso codice”.

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a tale pratica di procreazione assistita. Nondimeno, la politica del “tamquam non esset”, se da un lato permetteva al legislatore di eludere la problematica dello status giuridico del nato da una pratica considerata a tal punto immorale da non meritare una disciplina per i casi di trasgressione, dall’altro poneva evidentemente un grave vuoto normativo: in questo modo, lungi dal corroborare la ratio del divieto, il legislatore finiva in realtà per riporre la soluzione di tale ineludibile questione nelle mani della giurisprudenza, alla cui discrezionale valutazione veniva affidato, in ultima analisi, di decidere le sorti del nato.

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