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L'art. 74 c.c. e l'adozione in casi particolari

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Scuola Superiore Sant’Anna

Classe Accademica di Scienze Sociali

Settore di Scienze Giuridiche

T

ESI DI LICENZA

L

ART

.

44

DELLA LEGGE N

.

183

DEL

1983

ALLA LUCE DELLA RIFORMA DELLA NOZIONE DI PARENTELA

Da fattispecie tipica a norma di chiusura del sistema della filiazione

R

ELATORE

Chiar.ma Prof.ssa Valentina Calderai

CANDIDATO

Dr. Nicola Chiricallo

T

UTOR

Chiar.mo Prof. Alberto Di Martino

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SOMMARIO

1. I.STORIA ED EVOLUZIONE DELL’ARTICOLO 74 C.C. ... 3

II.LA NUOVA NOZIONE DI PARENTELA E L’ADOZIONE IN CASI PARTICOLARI

1.IL CONTESTO DELLA PROBLEMATICA ... 10 2.L’ADOZIONE IN CASI PARTICOLARI: PRESUPPOSTI ED EFFETTI ... 11 3.UN CONFRONTO TRA L’ADOZIONE IN CASI PARTICOLARI E

L’ADOZIONE DEL MAGGIORENNE ... 18 4. ADOZIONI IN CASI PARTICOLARI E ART.74 C.C. ... 23

III.IL CASO DELLA MATERNITÀ SURROGATA:

1.UNA BREVE INTRODUZIONE ALLE QUESTIONI GIURIDICHE ... 30 2.LE SEZIONI UNITE DEL 2019:

L’ADOZIONE IN CASI PARTICOLARI COME MEZZODI BILANCIAMENTO ... 34

IV. CONCLUSIONI:

VERSO UN’INTERPRETAZIONE COSTITUZIONALMENTE ORIENTATA DELL’ART.74 C.C. ... 46

V. BIBLIOGRAFIA………...51

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I. STORIA ED EVOLUZIONE DELL’ARTICOLO 74 C.C.

Nel diritto di famiglia italiano, assurge ad un ruolo fondamentale, per la sua portata ad un tempo assiologica e sistematica, quanto disposto dall’articolo 74 del Codice Civile, nel quale è contenuta la definizione in senso giuridico di parentela. Rimasta immutata, nella sua stringata formulazione originaria, tale disposizione fino al 2012 recitava:

“La parentela è il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite”

Con interpretazione praeter legem, e malgrado l’entrata in vigore della Costituzione, la quale, all’art. 30, comma 3°, “assicura ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale”, una parte rilevante della dottrina anteriore alla riforma del diritto di famiglia del 19751 riteneva che il rapporto di parentela si

1 Ex multis, GRASSETTI, Famiglia (diritto privato), in NN.D.I., VII, Torino,

1961, p. 51 ss; cfr. BARBERO, Sistema istituzionale del diritto privato italiano, I,

Torino, 1958, 161, dove si distingue tra una forma di parentela legittima, la quale avviene in costanza di matrimonio, e una parentela naturale, di origine extramatrimoniale, fermo restando, ovviamente, l’avvenuto riconoscimento da parte del genitore. In senso contrario, CAMPAGNA,

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fondasse non soltanto sull’elemento naturale del rapporto di consanguineità, ma altresì sul presupposto giuridico del matrimonio: in tal modo, si faceva coincidere la nozione di parentela con quella di famiglia legittima, la quale, peraltro, costituiva l’unico modello familiare giuridicamente (e socialmente) rilevante. La supposta identità tra parentela e famiglia legittima, del resto, rappresentava il precipitato giuridico di una più risalente visione ideologica2, la quale attribuiva alla famiglia, considerata alla stregua di un “organismo etico”3, una fondamentale funzione di tipo economico-sociale, sicché la procreazione al di fuori del matrimonio, in virtù dello stigma sociale che ne derivava, non poteva considerarsi suscettibile di dar vita ad un vero e proprio rapporto di parentela neppure a seguito del riconoscimento.

Orbene, soltanto a seguito della grande riforma del diritto di famiglia del 1975, la quale affermava, seppur in linea di principio, la parità tra i figli legittimi e figli naturali - rispetto ai quali, si bandì dal codice la dizione “illegittimi” – si arrivò a riconoscere che il matrimonio non fosse condizione necessaria

in maniera netta, invece, tra famiglia e parentela, essendo quest’ultima un mero fatto naturale mentre la famiglia si fonda sull’atto di matrimonio.

2 In questo senso, CICU, Il diritto di famiglia. Teoria generale, 1914, 7 ss., dove

si afferma la funzione “essenzialmente sociale” dell’istituzione famigliare.

3 Tale espressione, adoperata nel testo succitato da Antonio Cicu,

costituisce un’esplicita citazione di HEGEL, Filosofia del diritto, trad.

Messineo, § 163, laddove viene anche accostata all’organismo etico per eccellenza, lo Stato. Parimenti, una concezione analoga della famiglia si rinviene in un’altra eccellente fonte ispirativa del pensiero di Cicu, cioè SAVIGNY, Sistema del diritto romano attuale, trad. it. Di Scialoja, Torino, 1886.

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per la nascita del vincolo di parentela, il quale sarebbe incardinato, invece, nella mera discendenza dal medesimo stipite: una simile lettura, peraltro, appariva più coerente non soltanto con il dettato della Costituzione, ma anche con la littera legis dell’art. 74, il quale non fa alcun riferimento al matrimonio4. Ciononostante, pur spezzato il legame di corrispondenza necessaria tra matrimonio e parentela, si continuava ad affermare, nelle prevalente giurisprudenza5 e in parte della dottrina6, come permanessero delle significative differenze tra parentela “legittima” e “naturale”: in particolare, a questo proposito, si interpretava l’art. 258 c.c. - disposizione che, nella sua previgente formulazione, stabiliva che “il riconoscimento non produce effetti che riguardo al genitore da cui fu fatto, salvo i casi previsti dalla legge” – nel senso che il riconoscimento del figlio naturale, al di fuori dei casi eccezionali stabiliti dalla legge, producesse i propri effetti soltanto nei confronti del genitore artefice del riconoscimento medesimo, sicché, di conseguenza, alcun rapporto di parentela si sarebbe instaurato tra il figlio riconosciuto e i parenti del genitore. Tale orientamento,

4 LUPO, La parentela e i suoi effetti, in Trattato di diritto di famiglia diretto da

Bonilini, I, UTET, 49, dove si nota come un qualcosa di analogo avvenisse anche in epoca giustinianea con la nozione di cognatio, la quale designava la parentela di sangue e si contrapponeva alla adgnatio, fondata invece sulla patria potestas.

5 Si veda, tra le altre, Cass. 10 settembre 2007, 19011, in Banca dati De Jure;

in senso contrario, invece, si veda Cass. civ., 6 ottobre 2006, n. 21628, Banca dati De Jure, la quale equiparava i parenti legittimi a quelli naturali.

6 In questo senso, DOGLIOTTI, Famiglia (dimensioni della), in Digesto civ., VIII,

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nonostante il dissenso della dottrina maggioritaria7, che ne aveva anche segnalato il potenziale contrasto con l’articolo 30, comma 3°, della Costituzione aveva ricevuto l’autorevole avallo della Corte Costituzionale, la quale, chiamata più volte a pronunziarsi sulla legittimità costituzionale di alcune norme implicanti la nozione di parentela - segnatamente in materia successoria - ha sempre confermato come tra più figli naturali del medesimo genitore non si instauri alcun tipo di rapporto, continuando a descrivere uno scarto, sia pur ridotto, tra la nozione di consanguineità e quella di parentela, apprezzabile in particolare con riferimento alla linea collaterale8.

7 Ex multis, così affermava BIANCA, Diritto civile, 2, I, La famiglia, Milano,

2005, 21, dove, con riferimento all’art. 74 c.c., si notava come “se anche la norma sulla parentela presentasse un dubbio interpretativo, tale dubbio dovrebbe essere sciolto adottando l’interpretazione più conforme al principio costituzionale”. Secondo tale indirizzo, dunque, il riferimento contenuto nell’articolo 258 c.c. ai “casi previsti dalla legge” doveva interpretarsi nel senso che il riconoscimento fatto da un genitore non producesse normalmente effetto nei confronti dell’altro, ma che tale norma non facesse in alcun modo riferimento all’art. 74 e al problema della parentela naturale.

8 In questo senso, C. cost. 23 novembre 2000, n. 532, chiamata a

pronunziarsi sulla legittimità costituzionale dell’articolo 565 c.c. nella parte in cui la norma, in mancanza di altri successibili chiamati all’eredità, non prevedeva la successione legittima dei parenti naturali di quarto grado (cugini naturali); in senso analogo, C. cost. 7 novembre 1994, n. 377. Con riferimento alla parentela in linea retta, invece, si veda C. cost. 12 maggio 1977, n. 76, in cui, a differenza di quella in linea collaterale, le si attribuisce una rilevanza generale.

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Se, dunque, la mera consanguineità non era ritenuta suscettibile di produrre un effetto giuridico completamente assimilabile a quello della parentela “legittima”, producendo questo, in alcuni casi, un trattamento ancora in peius nei riguardi dei parenti naturali in linea collaterale, è da rimarcare come già la legge n. 184 del 1983, in materia di adozione legittimante, stabilisse chiaramente, all’art. 27, che “per effetto dell’adozione l’adottato acquista lo stato di figlio nato nel matrimonio degli adottanti, dei quali assume e trasmette il cognome”: in questo caso, dunque, la legge, tuttora in vigore, profila una parentela piena pur in assenza di consanguineità. Del resto, ciò è facilmente comprensibile laddove si guardi alla funzione sociale assunta dall’adozione piena: essa, infatti, sancendo la prevalenza dei vincoli affettivi su quelli biologici, consente una migliore integrazione dell’adottato nel nuovo nucleo famigliare, sì da ricreare un modello socialmente apprezzabile, meritevole quindi di essere sostanzialmente ricompreso, quanto agli effetti giuridici, nel modello della famiglia "legittima"9.

9 A questo proposito, già prima della legge sulle adozioni del 1983, la

quale annullava ogni differenziazione residua tra posizione dell’adottato e quella dei figli legittimi, la dottrina assimilava fortemente la posizione dei due soggetti: in proposito, CAMPAGNA, Famiglia legittima e famiglia

adottiva, cit., 99 ss., dove si afferma come l’adozione costituisca, al pari del matrimonio, un atto in grado di costituire la famiglia. Inoltre, IB., op. cit.,

pag. 116, confrontandosi la famiglia legittima con quella adottiva, si enuncia: “dal punto di vista dell’ordinamento giuridico, la famiglia legittima non è “più vera” della famiglia adottiva, così come questa non è “più artificiale” della famiglia legittima. L’una e l’altra sono due strutture familiari che, nel nostro ordinamento, stanno sullo stesso piano e che, pur essendo fondate su presupposti

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Orbene, soltanto con la legge n. 219 del 2012 e il d.lgs. n. 154 del 2013, di attuazione della delega in essa contenuta, fu codificata per la prima volta l’unicità dello stato di figlio, stabilita all’art. 315 c.c.: alla stregua di questa disposizione, come in ultimo riformata, “tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico”. Tale fondamentale innovazione, dunque, venne trasposta anche nei succitati articoli 74 e 258 c.c.: in particolare, nel primo articolo si specifica, finalmente, che la parentela sorge “sia nel caso in cui la filiazione sia avvenuta all’interno del matrimonio, sia nel caso in cui si avvenuta al di fuori di esso”; nel secondo, invece, si chiarisce come il riconoscimento produca effetti non solo verso il genitore da cui fu fatto, ma anche “riguardo ai parenti di esso”. In questo modo, si osservava in dottrina10, si poneva fine ad ogni residua forma di

di fatto diversi, presentano, tuttavia, sotto il profilo degli effetti giuridici, profonde analogie”.

10 SALANITRO, La riforma della disciplina della filiazione dopo l’esercizio della

delega, in Corriere giur., 2014, 543, dove si sostiene come la parentela sia il più significativo effetto della riforma della filiazione nel quale si registra un’effettiva unificazione dello stato. Una parte autorevole della dottrina, nondimeno, notava come l’abrogazione svolta con legge ordinaria contrasterebbe l’articolo 30, comma 3°, della Costituzione, la quale parrebbe riservare alla famiglia legittima una posizione privilegiata rispetto agli altri modelli familiari, i quali, purtuttavia, sarebbero tutelati non come famiglia ma come quelle “altre formazioni sociali” in cui si svolge la personalità dell’individuo, ex art. 2 Cost.: sul punto, si veda BONILINI,

L’abrogazione della norma concernente il diritto di commutazione, in Famiglia e diritto, 2014, 517 ss., dove si nota come la riforma della filiazione sia apprezzabile, ma sarebbe dovuta avvenire insieme alla riforma degli articoli 29 e 30 della Costituzione; contra, invece, PALAZZO, La filiazione, 2°

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discriminazione tra figli legittimi e figli naturali, nonché, di conseguenza, tra parentela legittima e naturale, potendosi distinguere, oggi, un’unica specie di parentela: con la riforma del 2012, infatti, appare cristallizzato il principio per cui la parentela nasce come effetto della consanguineità, la quale, pur costituendo una componente essenziale dello status filiationis accertato, svincolato dal matrimonio e valevole per tutti i figli, nondimeno non coincide con il mero rapporto biologico11. In effetti, da un lato, nella filiazione fuori dal matrimonio, non è sufficiente il fatto biologico della procreazione, ma è necessario che la filiazione sia riconosciuta ovvero dichiarata giudizialmente per instaurare il rapporto di parentela; dall’altro lato, l’attuale articolo 74 c.c., nella sua nuova formulazione, stabilisce che sussiste un rapporto di parentela tra soggetti che discendono da uno stesso stipite anche “nel caso in cui il figlio è adottivo”, in assenza, dunque, anche in questo caso, di un legame biologico.

Nondimeno, proprio quest’ultimo sintagma del primo periodo della disposizione, specie se letto congiuntamente a quanto stabilito dal secondo periodo - “il vincolo di parentela non sorge nei casi di adozione di persone maggiori di età, di cui agli articoli 291 e seguenti” - ha sollevato in dottrina le più significative problematiche in ordine all’attuale ambito di applicazione

edizione aggiornata alla L. 219 del 2012 sullo status di filiazione, Milano, 2013, 581 ss.

11 LUPO, La parentela e i suoi effetti, cit., 50 ss, dove si precisa come mentre

la parentela creata dalla legge si può dire parentela “civile”, quella “biologica” si basa sulla procreazione.

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dell’art. 74 c.c.: in considerazione della rilevanza della questione, dunque, se ne tratterà nel successivo paragrafo.

II. LA NUOVA NOZIONE DI PARENTELA E L’ADOZIONE IN CASI PARTICOLARI

1. IL CONTESTO DELLA PROBLEMATICA

Uno degli aspetti più controversi, dunque, della riforma della parentela è stato fin da subito individuato, da parte della dottrina, nella significativa difficoltà, ad un tempo testuale ed interpretativa, di inquadrare o meno l’istituto dell’adozione in casi particolari nel perimetro di applicazione dell’articolo 74 c.c. Orbene, dal punto di vista testuale, come si è già rilevato nel paragrafo precedente, la disposizione, da un verso, allarga la nozione di parentela all’adozione piena, la quale, del resto, è ad ogni effetto equiparata alla filiazione; dall’altro, esclude che il legame di parentela sorga allorquando sussista un caso di adozione del maggiorenne. Nessun riferimento, dunque, viene fatto dalla norma all’adozione in casi particolari, sicché è necessario procedere ad un esame di carattere interpretativo e sistematico volto a chiarirne la collocazione rispetto alle altre due forme di adozione, nonché, di conseguenza, la possibilità di qualificarla come fonte di un rapporto di parentela ex art. 74. Al fine di orientarsi in questa complessa operazione interpretativa, appare necessario inquadrare, a livello generale, l’istituto

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dell’adozione in casi particolari, ponendolo a confronto con l’adozione piena e quella del maggiorenne.

2. L’ADOZIONE IN CASI PARTICOLARI: PRESUPPOSTI ED EFFETTI

Per quanto concerne, invece, l’adozione in casi particolari, questa, alla stessa stregua dell’adozione “legittimante”, rinviene ancora la sua disciplina nella l. n. 184 del 1983. In particolare, l’articolo 44 della legge menzionata dichiara che i minori possono essere adottati, pur in assenza delle condizioni ai fini dell’adozione piena:

a) da persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo, nel caso in cui risulti orfano di entrambi i genitori;

b) dal coniuge del genitore;

c) se il minore sia affetto da handicap e sia, parimenti, orfano dei genitori;

d) nel caso di constatata impossibilità di affidamento preadottivo.

L’adozione in casi particolari, dunque, rinviene la propria ratio nel consentire di adottare minori anche in assenza dei presupposti per dichiarare, nei loro confronti, lo stato di adottabilità, la quale costituisce condizione indefettibile dell’adozione piena: in questo modo, il legislatore consente l’inserimento del minore in un nucleo familiare nel caso in cui non sussista lo stato di abbandono, ovvero, pur sussistendo lo

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stato di abbandono, questo non possa condurre ad un’adozione piena, come dimostra la lettera d) del succitato articolo 4412. Di conseguenza, l’adozione in casi particolari si configura come un istituto destinato a trovare applicazione in ipotesi limitate e tassative13: in particolare, essa mira a soddisfare bisogni che, altrimenti, non potrebbero essere soddisfatti, realizzando in tal modo l’interesse del minore ad una vita familiare14. Inoltre, l’adozione in casi particolari si distingue dall’adozione piena per la più elastica disciplina della legittimazione ad adottare15, nonché per il più snello procedimento giudiziale che conduce alla sua statuizione: quest’ultimo, avviato su istanza di parte e non d’ufficio, infatti richiede, oltre al consenso dell’adottante e dell’adottato, anche quello dei soggetti che subiscono gli effetti

12 In CATTANEO, voce “Adozione”, in Dig. Civ., I, Torino, 1987, 117, si rileva

come l’art. 11 della legge n. 184, in base al quale il tribunale dei minori non provvede a dichiarare lo stato di adottabilità, laddove sussista un’istanza di adozione semplice, consenta di sostenere come la presenza di una situazione di abbandono e l’eventuale dichiarazione di adottabilità non costituiscano ostacolo per l’operare dell’adozione in casi particolari.

13 BUSNELLI, in Commentario, a cura di Bianca-Busnelli-Franchi-Schipani,

Padova, 1984, p.12; nello stesso senso, inoltre, C. cost., n. 383/1999.

14 RUGGERI, in Adozione nazionale, Commentario alla l. 28 marzo 2001, n. 149,

a cura di Bianca-Rossi Carleo, in Leggi civ. comm., 2002, sub. art. 25, 1036, dove si afferma come “l’adozione di cui all’art. 44 (…) risulta strumento indispensabile per rendere effettivamente possibile a tutti i minori, anche a quelli in situazioni particolarmente svantaggiate, la realizzazione dell’interesse a sviluppare la propria personalità in un nucleo familiare, protetto dalla Costituzione, in quanto strumento indispensabile di promozione della persona”.

15 GIUSTI, L’adozione in casi particolari, in Trattato di diritto di famiglia diretto

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dell’adozione, quali i genitori e il coniuge dell’adottando (se esistenti e identificabili)16.

Nondimeno, ai sensi della legge del 1983, le differenze più rilevanti tra le due forme di adozione vengono individuate sul piano degli effetti. Infatti, da un lato, in virtù dell’art. 48, secondo l’opinione maggioritaria17, sorge in capo all’adottante una vera e propria responsabilità genitoriale, con il contestuale richiamo agli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione ex art. 147 c.c.18., sicché tra adottante e adottato si instaura un rapporto che, nella sostanza, parrebbe ricalcare quello tra genitore e figlio19; dall’altro, tuttavia, a differenza di quanto previsto in

16 La ratio dell’insuperabilità del diniego dei genitori esercenti la

responsabilità genitoriale e del coniuge dell’adottando viene individuata, come affermato da C. cost. n. 182 del 1988, in valori costituzionalmente rilevanti, quali “la conservazione della compagine familiare e della società effettivamente vissute...che prevalgono anche in presenza degli opposti consensi manifestati dall’adottante e dall’adottando”.

17 In questo senso, ex multis, ROSSI CARLEO, L’affidamento e le adozioni, in

Trattato Rescigno, IV, Persone e Famiglia, III, 1997, 415; COLLURA, L’adozione

in casi particolari, in Tratt. Zatti, II, 2012, 1018.

18 In TOMMASINI, Commento agli artt. 44-57 della legge sull’affidamento e

adozione dei minori, in Commentario Cian-Oppo-Trabucchi, VI, 2, 488, si osserva come il richiamo all’art. 147 c.c. sia indicativo di come l’adozione in casi particolari sia disposta in funzione dell’interesse del minore, al quale deve essere garantita “ogni assistenza morale e spirituale al fine di una crescita armonioso e di un idoneo inserimento nella vita di relazione, anche dopo che l’adottato abbia raggiunto la maggiore età”.

19 COLLURA,op. cit., 1019, dove si precisa, peraltro, come anche sul genitore

di sangue, laddove presente, permanga “un’attività di guida e di controllo non riconducibile alla potestà, quanto piuttosto al potere-dovere di educazione; in

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materia di adozione piena, dove l’art. 27 precisa che “per effetto dell’adozione l’adottato acquista lo stato di figlio nato nel matrimonio degli adottanti”, l’equivalenza con il rapporto di filiazione non viene formalizzata, e alcuni aspetti della disciplina sembrano più riportare alla figura del tutore che a quella del genitore20: in particolare, l’adottante in casi particolari non gode dell’usufrutto legale sui beni dell’adottato21 e, proprio alla stessa stregua del tutore, egli risponde per la mala gestio del patrimonio dell’adottato con la perdita del potere di amministrazione medesimo.

Le maggiori divergenze tra adozione in casi particolari e adozione piena, nondimeno, emergono da quanto disposto dall’art. 55, il quale recita:

“si applicano al presente capo le disposizioni degli artt. 293, 294, 295, 299, 300 e 304 del codice civile”.

In considerazione, dunque, del richiamo ad alcune delle più significative disposizioni in materia di adozione del

tal senso paiono andare anche alcune decisioni di merito, come Trib. Min. Torino, 3 agosto 1993, in Dir. fam. 1994, n. 655, dove si sostiene come “il lato interno della potestà”, consistente nel dovere di cura e di educazione dei figli, questo non si estingua in capo al genitore naturale, e dunque richiede un coordinamento con la guida e il controllo esercitati dall’adottante.

20 GIUSTI, L’adozione in casi particolari, cit., 3967. La ratio degli articoli 48 e

49, in particolare, come affermato in DOGLIOTTI, Affidamento e adozione, in

Trattato Cicu-Messineo, VI, 3, 1990, 330, è da individuarsi nell’intento del legislatore di impedire l’instaurarsi di rapporti di filiazione di tipo interessato

21 Di questo avviso, ex multis, COLLURA, op. cit., 1019, sulla base

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maggiorenne, appare opportuno procedere esaminando le più significative tra tali norme, procedendo poi col porre a confronto l’adozione del maggiorenne con quella in casi particolari.

In primo luogo, può considerarsi l’art. 299 c.c., disposizione in materia di cognome dell’adottato: alla stregua del primo comma di tale norma, “l’adottato assume il cognome dell’adottante, e lo antepone al proprio”. A differenza, dunque, dell’adozione legittima, la quale rimuove completamente il previo legame con la famiglia di origine e, conseguentemente, anche il cognome della stessa22, nell’adozione in casi particolari, in virtù del richiamo a questa disposizione, il nuovo cognome non sostituisce il precedente, ma vi si antepone soltanto. In questo modo, l’adottato risulterà avere due cognomi, quello dell’adottante e quello della famiglia di origine, anche laddove questa avesse abbandonato il minore (come può verificarsi nel caso dell’art. 44 lett. d) e non avesse con quest’ultimo alcun legame effettivo23.

22 L’art. 27 della legge n. 184 fa esplicito riferimento anche alla disciplina

del cognome, affermando che questi “degli adottandi assume e trasmette il cognome”.

23 Sul punto, in COLLURA, op. cit., 1023, si osserva criticamente come,

almeno in alcune delle ipotesi che danno luogo all’adozione in casi particolari, non appaia opportuna la preservazione del cognome della famiglia originaria, peraltro anche in considerazione del fatto che l’art. 299 c.c. pare rivolto, in positivo, a riconoscere dignità sociale al vincolo adottivo anche laddove non estingua i rapporti con la famiglia di origine dell’adottato, mentre parrebbe estraneo alla sua ratio quello di imporre, in negativo, quanto prevede conseguenzialmente il suo richiamo piano e indistinto da parte dell’art. 55.

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Altra norma di grande rilievo, gravida di conseguenze dal punto di vista successorio, è l’art. 304 c.c., il quale, al primo comma, stabilisce chiaramente che “la adozione non attribuisce all’adottante alcun diritto di successione”, precisando al secondo, poi, che “i diritti dell’adottato nella successione dell’adottante sono regolati dalle norme contenute nel libro II”. In questo modo, di conseguenza, si esclude ogni reciprocità tra adottante e adottato sul piano successorio, attribuendosi la qualità di erede esclusivamente all’adottato: in conseguenza di ciò, l’adottato acquista il diritto a succedere all’adottante per successione legittima nonché il diritto alla quota di riserva ai fini della successione necessaria. Questa norma, del resto, deve essere coordinata con l’articolo 567 c.c., comma 2°, c.c., in virtù del quale “i figli adottivi sono estranei alla successione dei parenti dell’adottante”, disposizione che viene generalmente interpretata24, in ossequio al menzionato art. 27 della legge n. 184, come non riferibile all’adozione piena, ma soltanto alle altre due forme di adozione, ovverosia l’adozione in casi particolari e quella del maggiorenne.

Le disposizioni già esaminate, nondimeno, non sono altro che le necessarie conseguenze normative dell’art. 300, senza dubbio la norma fondamentale in materia di effetti dell’adozione del maggiorenne (e di quella in casi particolari, in virtù del rinvio), la quale afferma:

“L’adottato conserva tutti i diritti e i doveri verso la sua famiglia di origine, salve le eccezioni stabilite dalla legge.

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L’adozione non induce alcun rapporto civile tra l’adottante e la famiglia dell’adottato, né tra l’adottato e i parenti dell’adottante, salve le eccezioni stabilite dalla legge”.

Appare subito evidente, dunque, come il richiamo di questa norma ex art. 55 della legge n. 184 metta in luce, dal punto di vista degli effetti, delle rilevantissime differenze rispetto all’adozione piena: in primo luogo, vengono preservati i legami con la famiglia di origine, nonché, di conseguenza, vengono mantenuti dal minore adottato tutti i diritti e i doveri patrimoniali verso di questa25; in secondo luogo, soprattutto, il secondo comma, prevedendo la limitazione del costituitosi rapporto alle sole persone dell’adottante e dell’adottato, appare ispirato alla ratio, di natura piuttosto tradizionale e risalente nel tempo, di non esporre a pregiudizio gli interessi economici degli altri membri della famiglia dell’adottante e dell’adottato26.

Potrebbe dunque sorprendere che, nell’atto stesso di introdurre una forma di adozione, dal valore segnatamente solidaristico e contraddistinto da un carattere fortemente personalistico27,

25 EBENE COBELLI, Adozione e affidamento dei minori, sub. art. 44, l. n.

184/1983, in Nuove leggi civ. comm., a cura di Bianca- Busnelli-Franchi-Schipani, 1984, 181; GIUSTI, L’adozione in casi particolari, cit., 3967, dove si

specifica come invece, per quanto concerne il profilo personale, tale adozione porti invece ad una sostituzione del genitore di origine con quello adottivo, ad eccezione del caso dell’unico adottante coniuge del genitore dell’adottando.

26 GIUSTI, L’adozione in casi particolari, cit., 3967.

27 In questo senso, TOMMASINI, op. cit., 1024 ss., dove si evidenzia come “il

rapporto adottivo del minore previsto dal diritto per ottenere l’attribuzione di un nucleo familiare ad un soggetto che non può realizzare

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eminentemente rivolto al “soddisfacimento del preminente interesse del minore”28, il legislatore ne abbia contestualmente limitato in modo così significativo gli effetti, i quali vengono agganciati, invece, a quelli dell’adozione del maggiorenne: per comprendere, dunque, una scelta di tale natura, è necessario soffermarsi su quest’ultimo istituto, al fine di tratteggiarne la ratio e i tratti distintivi.

3.UN CONFRONTO TRA L’ADOZIONE IN CASI PARTICOLARI E L’ADOZIONE DEL MAGGIORENNE

L’adozione c.d. “del maggiorenne”, attualmente disciplinata negli articoli 291 e seguenti del codice civile, era dapprima nota come “adozione ordinaria” in contrapposizione alla previgente forma di adozione piena, c.d. “speciale”, e poteva in taluni casi trovare applicazione anche per i soggetti minori di età29, sì da creare uno spazio di sovrapposizione tra i due istituti: risultava ammissibile, cioè, in presenza di determinati presupposti, adottare un minore anche con la forma di adozione più attenuata, secondo il modello romanistico dell’adoptio minus

il proprio interesse a crescere nella famiglia biologica certamente può prevedere soluzioni graduate ed articolate che meglio possano contribuire a realizzare il valore perseguito nella diversità delle situazioni sostanziali presupposte”.

28 C. cost. n. 27 del 1991, per cui vd. anche infra.

29 Sul problema dell’interferenza tra adozione ordinaria e adozione

speciale, ROSSI CARLEO, Il “conflitto” fra adozione ordinaria e adozione speciale

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plena30, la quale poteva rivolgersi, indifferentemente, a soggetti di qualunque età. Nondimeno, la legge del 1983, riformando completamente il sistema delle adozioni nel nostro ordinamento, ha ristretto l’ambito di applicazione dell’adozione ordinaria ai solo soggetti maggiorenni31, sicché, ai minori di età, potranno applicarsi esclusivamente l’adozione piena e il nuovo istituto dell’adozione in casi particolari.

Orbene, l’adozione del maggiorenne, quanto alla disciplina, presenta plurimi tratti in comune con la species dell’adozione in casi particolari: come questa, infatti, l’adozione del maggiorenne prevede un procedimento più snello, la possibilità di revoca (esclusa, invece, in quella piena), la necessità del consenso dei soggetti interessati e, soprattutto, come si è già detto in precedenza, in virtù del richiamo dell’art. 55, la produzione dei medesimi effetti ex art. 300, più “limitati” rispetto a quelli dell’adozione piena.

Cionondimeno, malgrado le notevoli affinità di disciplina tra le succitate forme di adozione, sussistono alcune significative differenze: in primo luogo, l’adozione del maggiorenne non prevede presupposti di applicazione specifici, quali invece quelli

30 BRANCA, voce “Adozione” (dir. rom.), in Enciclopedia del diritto, I, 1958, 579

ss., dove in proposito si dice: “l'adottato resta nella famiglia originaria e non cade sotto la potestà dell'adottante, che perciò può essere anche una donna orbata dei figli: egli nei riguardi dell'adottante, acquista solo i diritti di successione ab intestato”.

31 In particolare, oltre alla modifica del Titolo in “Dell’adozione di persone

maggiori di età”, sono stati abrogati gli articoli 296, 2° e 3°comma, 301, 302, 303, 308 c.c.

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previsti all’art. 44 per l’adozione in casi particolari, in quanto l’elemento centrale non è la particolare condizione dell’adottando, ma la volontà delle parti di porre in essere l’adozione medesima, al fine di produrre quegli effetti patrimoniali, nei rapporti tra adottante e adottato, che si sono evidenziati32; in secondo luogo, sempre rispetto ai presupposti, in senso inverso, l’art. 291 ha un campo di applicazione più limitato, in quanto esclude che possano svolgere l’adozione del maggiorenne persone che abbiano già dei discendenti33.

Soprattutto, come emerge del resto dalle due citate differenze, può evidenziarsi una diversa ratio tra i due istituti: nell’adozione del maggiorenne, l’interesse centrale e primario è quello, da un lato, di proteggere l’interesse del soggetto adottante che, privo di discendenza, intende trasmettere il patrimonio ed il cognome ad un soggetto a cui è legato da rapporti affettivi34, dall’altro, di realizzare l’interesse dell’adottato a godere del vantaggio sociale ed economico derivante dal nuovo status, seppur limitato rispetto a quello di adottato pieno35. L’adozione del minore in casi particolari, invece, rinviene la sua prioritaria ratio essendi, come si è già anticipato, nella realizzazione dell’interesse del

32 URSO, L’adozione dei maggiori di età, in Il diritto privato nella giurisprudenza,

a cura di Cendon, La famiglia, VII, Adozione, I, Utet, 2001, 499.

33 CATTANEO, voce “adozione”, cit., 125.

34 FERRANDO, Dell’adozione di persone maggiori di età, in Codice civile annotato

con la giurisprudenza, a cura di Cendon, I, 1991, 616

35 DE GIORGI, sub. art. 60, Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori,

in Commentario alla riforma dell’adozione, a cura di Franchi-Schipani-Bianca-Busnelli, in Nuove leggi civ. comm., 1984, 197.

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minore a vivere in famiglia36, alla stessa stregua dell’adozione piena: in questo senso, dunque, l’adozione dei minori intesa in senso lato, vista l’identità di ratio e nonostante le profonde differenze in termini di disciplina, appare costituire un unico genus, contrapponibile a quello dell’adozione del maggiorenne37. Resta, a questo punto, da comprendere come mai, il legislatore, nel regolare un istituto che, a tutta evidenza, risulta maggiormente aderente alla ratio dell’altra species del proprio genus, abbia richiamato in così larga misura, specie in quanto agli effetti, la disciplina dell’adozione del maggiorenne. Orbene, questa scelta, all’apparenza di difficile comprensione, potrebbe forse essere spiegata nel fatto che, nel momento di riforma del sistema delle adozioni, avvenuto del 1983, in cui già si equiparava, attraverso l’art. 27 della legge n. 184, lo status dell’adottato a quello dei figli legittimi, appariva forse come eccessivo consentire all’adozione di spiegare quei medesimi effetti anche in assenza dello stato di abbandono o, comunque,

36 In C. cost. n. 27 del 1991, si dice che l’istituto dell’adozione in casi

particolari “non solo è ben lontano dall’adozione ordinaria di tipo tradizionale (dove era prevalente l’interesse di chi continua attraverso un figlio-erede) ma è effettivamente improntato alla tutela del preminente interesse del minore”.

37 In questo senso, in giurisprudenza, App. Torino, 26 aprile 1989, in Dir.

fam. Pers., 1989, 648 ss., dove si rigetta la richiesta di delibazione di un provvedimento straniero di adozione di un minore con efficacia di adozione ex artt. 291 ss., dal momento che questo avrebbe comportato la violazione della disciplina delle adozioni. In dottrina, v. d. COLLURA,

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delle condizioni per addivenire all’adozione piena: in altri termini, quella del legislatore appariva una scelta compromissoria tra il lasciar prive di una qualsiasi tutela tutte quelle situazioni nelle quali risultasse impossibile ricorrere all’adozione legittimante e l’introduzione di un’unica forma di adozione dei minorenni, meno rigida quanto a presupposti e condizioni e, dunque, “capace di dare il giusto riconoscimento alla diversità di situazioni sostanziali presupposte ma senza prescindere da una tendenziale unitarietà di regolamentazione”38. Un tale compromesso, del resto, oltre ad ottenere l’approvazione di autorevole dottrina39, veniva avallato anche dalla Convenzione di Strasburgo40, la quale, nel suo articolato, fa salva la possibilità di applicare ai minori due differenti forme di adozione, le quali, pur con diversa intensità di effetti, fossero entrambe orientate a perseguire il preminente interesse del minore41.

Nondimeno, altra parte della dottrina42, fin dal momento della novella del 1983, contrastava l’introduzione di questa figura

38 GIUSTI, L’adozione in casi particolari, cit., 3948.

39 EBENE COBELLI, Adozione e affidamento dei minori, cit., 173; TOMMASINI,

Commento, cit., 464.

40 Si fa riferimento alla Convenzione europea sull'adozione dei minori,

siglata a Strasburgo il 24 aprile 1967.

41 L’art. 24 afferma: “Ogni parte contraente la cui legislazione preveda più tipi

di adozione avrà la facoltà di applicare ad uno solo di tali tipi le disposizioni dei paragrafi 1,2,3 e 4 dello articolo 10 e dei paragrafi 2 e 3 dell'articolo 12 della presente convenzione”, laddove invece l’art. 10 disciplina i possibili effetti dell’adozione.

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ibrida di adozione, paragonata ad una sorta di tertium genus: in particolare, si contestava come, in tutti i casi in cui vi fosse impossibilità di affidamento preadottivo, si applicassero i medesimi effetti dell’adozione ordinaria, in tal modo finendosi per favorire maggiormente le esigenze dell’adottante piuttosto che quelle dell’adottato. Soprattutto, si contestava che una forma di adozione introdotta nell’interesse del minore, quale quella in casi particolari, finisse paradossalmente, in questo modo, per porre in essere una discriminazione tra minori, offrendo una tutela inferiore proprio a quei minori che, per una delle specifiche ipotesi ex art. 44, si ritrovassero in una condizione di maggiore debolezza43.

4.ADOZIONI IN CASI PARTICOLARI E ART.74 C.C.

Così tracciato, pur brevemente, il quadro del sistema di adozioni tuttora vigente nel nostro ordinamento ed i rapporti tra le differenti forme di adozione, può tornarsi ad affrontare il problema principale, se, cioè, le adozioni in casi particolari rientrino nel primo ovvero nel secondo periodo della nuova versione dell’art. 74 c.c., e se siano, cioè, costitutive o meno di un vero e proprio vincolo di parentela: in proposito a tale fondamentale questione, la dottrina appare fortemente polarizzata, sostenendo con validi argomenti sia la prima che la seconda interpretazione.

43 DOGLIOTTI, La nuova legge sull'adozione, valutazioni e commenti, in

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Orbene, un primo orientamento44, nel respingere la possibilità di estendere il vincolo di parentela anche agli adottati in casi particolari, mette in evidenza come tale lettura implicherebbe una sostanziale abrogazione dell’art. 55 della legge sulle adozioni e del conseguente richiamo agli articoli in materia di adozione del maggiorenne: in tal modo, l’adozione in casi risulterebbe indirettamente equiparata, quanto agli effetti, all’adozione piena, dalla quale preserverebbe soltanto il differente ambito di applicazione e le diversità procedurali già poste in evidenza; inoltre, laddove l’adottato in casi particolari acquistasse un vincolo parentale anche con la famiglia dell’adottante, costui finirebbe per avere doppio legame parentale, in tal modo finendo per essere posto in una condizione di ingiustificato vantaggio rispetto all’adozione piena45. A favore di tale orientamento, del resto, a livello di teoria generale dell’interpretazione, vi è da considerare uno dei principi fondamentali di cui la giurisprudenza è solita avvalersi nel risolvere quei conflitti che insorgano tra norme successive, principio secondo il quale “lex posterior generalis non derogat priori

44 In questo senso, SESTA, L’unicità dello stato di filiazione e i nuovi assetti delle

relazioni familiari, in Fam. e dir., 2013, 236; BIANCA, La legge italiana conosce

solo figli, in Riv. dir. civ., 2013, 2.

45 VELLETTI, La nuova nozione di parentela, in La riforma della filiazione, a cura

di Bianca, in Leggi civ. comm., 2013, 449; in senso sostanzialmente analogo SESTA, ult. op. cit., 236, dove si nota come “ciò significherebbe collocare il

figlio in più famiglie, stravolgendo la natura stessa della società familiare, alla quale l’istituto dell’adozione è chiamato a conformarsi”.

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speciali”46: in ossequio a tale regola, dunque, pur essendo la novella dell’art. 74 c.c. chiaramente successiva rispetto all’art. 55 della legge del 1983, quest’ultimo, a stretto rigore, dovrebbe continuare a prevalere sul primo in virtù del suo rapporto di specialità rispetto al Codice civile.

Un secondo orientamento 47 , invece, affermando un’interpretazione restrittiva del periodo “il vincolo di parentela non sorge nei casi di adozione di persone maggiori di età, di cui agli articoli 291 e seguenti", e guardando alla supposta identità di ratio dell’adozione del minore in casi particolari con quella piena, rappresentata dal preminente interesse del minore, sostiene proprio che la riforma dell’art. 74 c.c. avrebbe determinato l’abrogazione implicita del combinato disposto tra l’art. 55 della legge sulle adozioni e gli articoli del Codice civile in materia di adozione del maggiorenne. Al contrapposto orientamento, peraltro, in riferimento al problema della instaurazione di un doppio legame parentale, viene messo in luce come questo, in certa misura, si venga a verificare lo stesso, dal momento che, l’adottato in casi particolari, almeno dal punto di vista personale, preserva comunque una doppia relazione, sia con la famiglia originaria che con l’adottante, nel caso di cui alla lettera b)48. Con

46 Una lucida disanima di tale principio viene offerta da GUASTINI,

Interpretare e argomentare, Milano, 2011, 122.

47 In questo senso, DOSSETTI, La parentela, in Dossetti-Moretti-Moretti, La

riforma della filiazione, Aspetti personali, successori e processuali l. 10 dicembre 2012, n. 219, Bologna, 2013, 22; FERRANDO, La nuova legge sulla filiazione, in

Famiglia e dir., 2013, 529.

48 ROMAGNO, Dalla filiazione naturale alla parentela naturale. Alcune riflessioni

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riferimento, poi, al profilo dei criteri di risoluzione delle antinomie, a sostegno di questa tesi potrebbe rilevarsi come, se l’argomento della legge speciale è molto usato in giurisprudenza, quest’ultimo non trovi alcun aggancio normativo49, al contrario di quello cronologico, di cui all’art. 15 delle “Preleggi”, e che, ad ogni modo, la valenza del principio “lex posterior generalis non derogat priori speciali” sia stata fortemente ridimensionata da una sentenza della Corte Costituzionale, che in un’importante decisione50 ne ha affermato il carattere relativo e non assoluto, dovendosi valutare nel caso concreto quale fosse la reale intenzione del legislatore.

A questo riguardo, deve segnalarsi come nella Relazione illustrativa51, corredata allo schema del decreto legislativo con cui si dava attuazione alla l. 219 del 2012, si affermasse, sulla base del richiamo all’art. 55 della l. n. 184, che l’estensione alla parificazione “ai figli adottati” dovesse essere ristretta agli adottati con adozione piena, mentre, agli adottati in casi particolari, dovessero continuare a trovare applicazione le norme sull’adozione del maggiorenne. Trattasi, senz’altro, di una presa di posizione particolarmente autorevole in favore del primo orientamento, ma priva, nondimeno, di forza di legge: al fine di

49 GUASTINI, op. cit., 122.

50 Si fa riferimento, qui, a C. cost. n. 29 del 1976, dove si afferma: “…non è

escluso che in concreto l’interpretazione della voluntas legis, evidenzi una latitudine della legge generale posteriore, tale da non tollerare eccezioni, neppure da parte di leggi speciali, che restano, in tal modo, tacitamente abrogate”.

51 Schema di decreto legislativo recante revisione delle disposizioni

vigenti in materia di filiazione. in http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/714350.pdf.

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eliminare l’ambiguità, infatti, il legislatore avrebbe dovuto optare per un’esplicita presa di posizione in tal senso ovvero, comunque, avrebbe potuto emanare una vera e propria di interpretazione autentica, la quale avrebbe “costretto” l’interprete ad adottare la prima interpretazione52.

Alla luce dei validi e razionali argomenti posti a sostegno dell’uno e dell’altro orientamento, la questione appare di difficile soluzione: nondimeno, alla luce delle notevolissime ricadute di una scelta piuttosto che di un’altra, si ritiene che una posizione a riguardo debba necessariamente essere assunta.

Dal punto di vista dei legami familiari, infatti, estendere l’alveo dei parenti anche agli adottati in casi particolari comporterebbe una sostanziale equiparazione tra costoro e gli altri figli (eventuali) degli adottanti, sicché entrerebbero a far parte del novero dei parenti di questi ultimi; analogamente, sorgerebbero dei legami di parentela tra i parenti degli adottanti e l’adottato. Tutto ciò, come è evidente, oltre a comportare l’insorgere di nuove potenziali obbligazioni alimentari, produce i suoi principali effetti patrimoniali in tema di successioni mortis causa: infatti, se si ritiene che l’adottato in casi particolari subentri nella famiglia del (o dei) genitori adottivi, nei suoi confronti

52 In questo senso, DOGLIOTTI, Dopo la riforma della filiazione: i nuovi

successibili, in Fam. e dir., 2015, 945, dove peraltro si mette in luce come l’argomento espresso nella Relazione alla legge appaia debole: infatti, esso “rovescia il rapporto che deve instaurarsi tra un principio e i suoi effetti: sono questi che devono essere adeguati al nuovo principio e non viceversa, tanto è vero che per le norme incompatibili con un nuovo principio si parla di abrogazione implicita”.

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diverranno possibili, parimenti, sia la successione degli ascendenti degli adottanti, sia quella dei fratelli e delle sorelle acquisiti dall’adottato attraverso l’adozione. In particolare, in proposito alla successione degli ascendenti, come evidenziato in dottrina53, si rende necessario distinguere: nel caso, infatti, in cui il figlio sia adottato con adozione particolare ex lett. b), si sarebbe innanzi a due successibili di pari grado, il genitore adottivo ed il genitore biologico, tra loro in concorrenza, sicché potrebbe ritenersi applicabile, per analogia, la regola del riparto prevista dall’art. 569 c.c.: metà del patrimonio spetterebbe al genitore biologico e metà al genitore adottivo.

Rispetto, invece, alla successione di fratelli e sorelle, il discorso è ancora più complesso: in questo caso, infatti, come l’art. 570 c.c. distingue la quota ereditaria a seconda che si tratti di fratelli unilaterali e germani55, così bisognerà distinguere alla luce delle situazioni venute a creatisi a seguito dell’adozione in casi particolari. In questo modo, dunque, se l’adottante è una persona singola con figli propri, rispetto a costoro l’adottato sarà fratello unilaterale, in quanto mancherà il rapporto familiare con l’altro genitore dei fratelli adottivi; viceversa, nel caso in cui l’adozione in casi particolari sia effettuata, ex lett. b), da un coniuge nei riguardi del figlio dell’altro coniuge avuto da un preesistente rapporto, accadrà che costui sarà fratello germano nei confronti

53 DOGLIOTTI, Dopo la riforma della filiazione, cit., 949 ss.

55 L’art. 570, comma 2°, c.c., afferma “I fratelli e le sorelle unilaterali

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degli eventuali figli comuni ai due coniugi, in virtù proprio della nuova lettura dell’art. 74 c.c.56.

Nondimeno, al di là delle fondamentali ricadute giuridiche, interpretare in un modo piuttosto che in un altro il riformato articolo 74 c.c. ha anche un importantissimo significato sociale: vuol dire, infatti, riconoscere o meno uno status sostanzialmente equiparabile a quello di figlio nato nel matrimonio anche all’adottato in casi particolari, e vuol dire, soprattutto, affermare il principio per cui l’adozione di un minore, con qualunque modalità sia svolta, conduce sempre al risultato dell’instaurazione di un rapporto parentale.

La questione dell’inquadramento dell’adozione in casi particolari, peraltro, assume un significato ancora più rilevante alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale in materia di maternità surrogata, rispetto alla quale, stante l’impossibilità di trascrivere l’atto di nascita formato all’estero, si riconosce, in via residuale, la possibilità dell’adozione ex art. 44, lett. d): orbene, in considerazione della sempre maggiore frequenza e, soprattutto, dell’enorme significato sociale rivestito dal ricorso a tale pratica, la quale ha portato, consequenzialmente, nuova enfasi su questa precipua forma di adozione, si ritiene utile, ai fini di una presa di posizione sul quesito di ricerca, ripercorrere in breve la problematica della maternità surrogata, considerando in ultimo le conseguenze che, anche in relazione ad essa, l’adozione di una posizione piuttosto che un’altra potrebbe comportare.

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III. IL CASO DELLA MATERNITÀ SURROGATA

1.

U

NA BREVE INTRODUZIONE ALLE QUESTIONI GIURIDICHE

Tra le numerose pratiche di procreazione medicalmente assistita oggi disponibili, quella che, fin dal momento in cui ha iniziato a diffondersi, ha ingenerato le maggiori problematiche di carattere, ad un tempo, giuridico ed etico, è senza dubbio la c.d. maternità surrogata (o surrogazione di maternità). Per la verità, il sintagma “surrogazione di maternità” è soltanto un’espressione sintetica, una mera etichetta che racchiude in sé una molteplicità di tecniche diverse: in generale, può comunque distinguersi tra le forme di surrogazione “omologa”, con cui si fa riferimento ai casi in cui la c.d. “madre surrogata” si limita alla gestazione di una gravidanza avviata con materiale genetico completamente proveniente dalla coppia committente (sia gli ovociti che il seme), e quelle di surrogazione “eterologa”, la quale può presentare differenti livelli di complessità, ma rinviene un elemento comune nel fatto che il corredo genetico dell’embrione sia almeno da una parte diverso rispetto a quello dei committenti57.

57 Per la distinzione tra surrogazione di tipo omologo ed eterologo,

senz’altro ispirata a quella tra fecondazione omologa ed eterologa, si veda SCALISI, Maternità surrogata: come “far cose con regole”, in Riv. dir. civ., 2017,

1097, dove si mette in luce, peraltro, come la surrogazione eterologa possa presentarsi in forme estremamente complesse, come il caso in cui l’ovocita fecondato appartenga ad una terza donna: in questo caso, infatti, si assiste

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Orbene, ciò premesso, il ricorso alla maternità surrogata, pur non costituendo l’oggetto, in un primo momento, di uno specifico divieto58, ha fin da subito presentato alcuni elementi di grave criticità in rapporto con il nostro ordinamento: alcune risalenti decisioni di merito 59 , infatti, qualificavano l’accordo tra i

alla presenza di addirittura tre possibili figure materne, cioè la madre committente, quella partoriente e quella genetica. Nondimeno, esistono differenti forme di classificazione della maternità surrogata: in MOLASCHI,

La procreazione medicalmente: uno sguardo comparato tra Italia e Inghilterra, in Fam. pers. Succ., 2010, 524 ss., dove, guardandosi alla posizione della partoriente, si distingue tra surrogazione “totale” e surrogazione “parziale” a seconda che la madre gestante metta a disposizione o meno il proprio ovulo per la fecondazione; si veda, inoltre, in dottrina, FARAONI,

La maternità surrogata. La natura del fenomeno, gli aspetti giuridici, le prospettive di disciplina, in Il diritto privato oggi, Milano, 2002.

58 Nondimeno, già in assenza di una regolamentazione del fenomeno di

rango primario, il 3 ottobre 1998 era stato approvato dal Consiglio Nazionale della Federazione degli Ordini dei medici e chirurghi e degli odontoiatri il nuovo codice deontologico, il quale, all’art. 42, sanciva quanto segue: “Le tecniche di procreazione umana medicalmente assistita hanno lo scopo di ovviare alla sterilità. È fatto divieto al medico, anche nell’interesse del nascituro, di attuare: a) forme di maternità surrogata; (…)”.

59 In questo senso, in particolare, le argomentazioni citate nel testo sono

tratte da Trib. Monza, 27 ottobre 1989, in Nuova giur. Civ. comm., 1991, 191, con nota di LANDOLFI, Inseminazione artificiale e tutela del nascituro; in senso

contrario, tuttavia, Trib. Roma, 17 febbraio 2000, in Corr. Giur., 483, con nota di SESTA, Il caso e la soluzione del giudice, dove si mette in luce come

l’ordinanza del tribunale capitolino, nel consentire l’impianto degli embrioni generati in provetta nell’utero della gestante, in contrasto con il codice deontologico dell’Ordine dei medici, abbia in realtà omesso di considerare i profili di contrasto di un accordo siffatto con l’ordine pubblico, con il buon costume, nonché, pur in assenza di un divieto

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committenti e la gestante come un contratto nullo, da un lato, per il combinato disposto degli articoli 1418, comma 2°, e 1346 c.c., non potendo costituire oggetto del contratto gli status personali né, in particolare, la potestà dei genitori ed il corrispondente diritto del minore ad essere cresciuto dal genitore che lo ha generato; dall’altro, per nullità della causa ex art. 1343 c.c. nell’ipotesi in cui il contratto presentasse il carattere dell’onerosità.

Finalmente, a seguito di un lungo e complesso dibattito dottrinario, la legge n. 40 del 2004 interveniva a colmare il non più sostenibile vuoto normativo, stabilendo, all’art. 12, comma 6°, che “chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro”. Si può affermare, pertanto, che il legislatore italiano, alla luce di un asserito grave disvalore associato alla pratica di surrogazione di maternità, in qualunque forma questa venga effettuata, abbia prescelto la via della repressione penale: in questo modo, attraverso la leva della funzione general-preventiva della pena, si tentava di disincentivare in misura massiva il ricorso a tali tecniche di procreazione, specie in considerazione dell’elevato importo

esplicito, con alcune norme imperative, tra cui gli artt. 269, 239 e 248 c.c., laddove è enucleato il principio per cui la maternità deriva dal fatto fisico del parto, e non pare possibile individuare la madre in figura diversa dalla partoriente; inoltre, non parrebbe condivisibile un ulteriore assunto dell’ordinanza del tribunale di Roma, cioè l’esistenza di un diritto costituzionalmente garantito ad essere genitori.

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economico della sanzione. Nondimeno, in punta di effettività, è da osservare che, a partire dalla sua introduzione, si è assistito ad una vera e propria opera di depenalizzazione in concreto da parte della giurisprudenza, la quale giunge frequentemente, per il suddetto reato, all’assoluzione degli imputati60.

Inoltre, la legge n. 40 esprime la propria riprovazione verso l’istituto della maternità surrogata anche indirettamente, guardandosi agli effetti provocati dalla sua messa in pratica in violazione del divieto: se, infatti, nei riguardi del nato da fecondazione eterologa, pratica pur vietata in modo assoluto dalla l. 40/2004 fino alla sentenza della C. cost. n. 162/201461, si afferma l’improponibilità dell’azione di disconoscimento della paternità62, in tal modo salvaguardandosi lo status giuridico del nato come figlio, la legge medesima nulla prevede nei riguardi del nato da maternità surrogata, omettendo di regolare tutti quei casi, tutt’altro che sporadici, in cui venga fatto comunque ricorso

60 Svolge questa osservazione SCALISI, op. cit., 1099; in giurisprudenza, ex

multis, si può citare Cass. pen., sez. VI, 26 febbraio 2016, n. 8060, in Banca Dati De Jure.

61 C. cost., n. 162/2004, che ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 4, terzo c., della legge nella parte in cui stabilisce il divieto del ricorso a tecniche di PMA di tipo eterologo, in caso di sterilità o infertilità assolute e irreversibili.

62 Si tratta, in particolare, dell’art. 9, comma 1°, della legge 40, dove si

afferma: “Qualora si ricorra a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo in violazione del divieto di cui all'articolo 4, comma 3, il coniuge o il convivente il cui consenso è ricavabile da atti concludenti non può esercitare l'azione di disconoscimento della paternità nei casi previsti dall'articolo 235, primo comma, numeri 1) e 2), del codice civile, né l'impugnazione di cui all'articolo 263 dello stesso codice”.

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a tale pratica di procreazione assistita. Nondimeno, la politica del “tamquam non esset”, se da un lato permetteva al legislatore di eludere la problematica dello status giuridico del nato da una pratica considerata a tal punto immorale da non meritare una disciplina per i casi di trasgressione, dall’altro poneva evidentemente un grave vuoto normativo: in questo modo, lungi dal corroborare la ratio del divieto, il legislatore finiva in realtà per riporre la soluzione di tale ineludibile questione nelle mani della giurisprudenza, alla cui discrezionale valutazione veniva affidato, in ultima analisi, di decidere le sorti del nato.

2.LE SEZIONI UNITE DEL 2019:

L’ADOZIONE IN CASI PARTICOLARI COME MEZZO DI BILANCIAMENTO

Innanzi, dunque, al tassativo ed ineludibile divieto al ricorso alla maternità surrogata, legato all’introduzione della legge n. 40, se da un lato si è quasi completamente scongiurato il ricorso a tali pratiche all’interno dello Stato italiano, dall’altro si è parallelamente rafforzato il meccanismo elusivo della legislazione italiana: infatti, un numero sempre crescente di coppie fruisce della surrogazione di maternità all’estero, recandosi in quegli stati dove questa è consentita e in cui è legittimata, parimenti, l’instaurazione di un rapporto di filiazione tout court tra i genitori c.d. “sociali” e i soggetti attraverso il ricorso a tale pratica. Il problema, del resto, non era stato affrontato neppure dalla legge Cirinnà63, cioè la legge

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introduttiva delle unioni civili tra coppie dello stesso sesso: ad esito, infatti, di una lungo e complesso iter parlamentare, l’introduzione della possibilità di adottare da parte delle coppie omosessuali che fossero unite civilmente venne stralciata dal testo normativo, il quale, al comma 20°, stabilisce soltanto che “resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti”, formula evidentemente ambigua, ma che, alla luce dell’art. 6 della legge n. 18464, esclude le coppia omosessuali dall’adozione piena65.

Orbene, ad esito di una lunga e contrastante stagione giurisprudenziale66, che ha subito l’influenza massiccia anche

64 Quest’ultima norma, infatti, annovera tra i legittimati attivi i soli

“coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni”, in tal modo automaticamente escludendo dall’adozione piena le unioni civili, le quali non sono equiparabili al rapporto di coniugio e debbono invece ritenersi alla stregua di “formazioni sociali” tutelate ex art. 2 Cost: in questo senso, del resto, si era già espressa alcuni anni prima la Corte costituzionale, nella celeberrima sentenza n. 138 del 2010, aveva evidenziato come la disciplina delle unioni omosessuali trovi la propria sedes materiae nell’art. 2 e non nell’art. 29 Cost.

65 La clausola di apertura, invece, viene individuata, come si vedrà infra,

nell’adozione in casi particolari, specie con riferimento all’art. 44, lett. d).

66 Tra le moltissime sentenze in materia, deve svolgersi un discorso

differenziato tra corti di merito e corte di Cassazione. Per quanto attiene alle prime, infatti, si distingue un primo orientamento che, fin dall’entrata in vigore della legge 40, ritiene sempre inammissibile la trascrizione dell’atto di nascita formato all’estero in conseguenza del ricorso a tale forma di PMA: in questo senso, ex multis, può citarsi Trib. dei minorenni Milano 3 agosto 2012, in https://www.tribmin.milano.giustizia.it/it; contra, invece, Trib. Napoli, 1° luglio 2011, in Giur. Mer. 2011, 2695, in cui si obietta

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all’orientamento maggioritario come l’ingresso della norma straniera e dei suoi effetti non porrebbe in crisi i principi fondanti il nostro ordinamento, nonché App. Milano, 28 dicembre 2016, in Ilfamiliarista.it, 9 gennaio 2017, dove si fa riferimento, in particolare, al caso in cui la coppia committente abbia fornito un sia pur parziale contributo di tipo genetico. La corte di Cassazione, invece, nei casi in cui è stata chiamata a prendere una posizione sul punto, nonostante alcune sollecitazioni provenienti dai tribunali di merito, si è sempre opposta alla trascrizione dell’atto di nascita in virtù della contrarietà all’ordine pubblico internazionale del ricorso alla maternità surrogata: si veda, in particolare, Cass. 26 settembre 2014, n. 24001, in Corr. giur. 2015, 471 ss., con nota di RENDA; in senso analogo,

Cass. 22 giugno 2016, n. 12962, in Nuova giur. civ. comm., 2016, 1135, con commento di FERRANDO. Sul punto, in dottrina, si rimanda a CALDERAI,

Modi di costituzione del rapporto di filiazione e ordine pubblico internazionale, in Nuova giur. civ. comm., 2017, 986 ss.

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della Corte europea dei diritti umani67 e, rispetto ad alcuni profili, della Corte costituzionale68, sono finalmente intervenute,

67 In primo luogo, assume rilievo la sentenza CEDU 26.6.2014, ric.

65192/11, in Nuova giur. Civ. comm. 2014, 1132, con nota di CAMPIGLIO,

la quale condannava lo stato francese al risarcimento del ricorrente per violazione dell’art. 8 della Convenzione (“Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza”) nei riguardi non dei genitori committenti, ma del nato da maternità surrogata: in particolare, la Corte europea contestava alla Francia la violazione del diritto al rispetto della vita privata, nella misura impedisce al nato di acquistare la cittadinanza (francese) dei committenti. Un’altra decisione fondamentale, in senso opposto, è data da CEDU, Grande Camera, Paradiso and Campanelli v. Italia, 24 gennaio 2017, ricorso n. 25358/12, in F. it., 2017, IV, 105 ss. con nota di Casaburi: in particolare, tale sentenza, ribaltando quanto sancito dalla Seconda Camera CEDU nel 2015, stabiliva la non contrarietà del decisum dell’autorità giudiziale italiana rispetto all’art. 8 CEDU, affermando ciò in virtù della brevità del legame fattuale instauratosi con il bambino. Infine, più recentemente, è da registrare un parere di grande rilievo: si fa

riferimento, in particolare, a CEDU, G.C. avis consultatif 10 aprile 2019, R.

P 16- 2018-001, nel quale la Corte sostiene come la tutela dell’interesse dei minori, il quale costituisce il fondamentale principio rispetto al quale deve essere ricostruita la disciplina della maternità surrogata, non impone necessariamente la trascrivibilità dell’atto di nascita straniero, ma può essere assolta anche in altri modi, ad esempio mediante l’adozione.

68 Una decisione di particolare rilievo fu data da C. cost. n. 272 del 2017, la

quale, trattando della presunta incostituzionalità dell’art. 263 c.c. nella parte in cui non prevede che l’impugnazione del riconoscimento del figlio minore per difetto di veridicità possa essere accolta solo quando sia rispondente all’interesse dello stesso, concludeva in tal modo: “Si è già visto come la regola di giudizio che il giudice è tenuto ad applicare in questi casi debba tenere conto di variabili molto più complesse della rigida alternativa vero o

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a porre un punto fermo decisivo sulla questione, le Sezioni Unite della Cassazione, le quali, con sentenza dell’8 maggio 2019, n. 1219369, hanno deliberato circa l’ipotesi di trascrivere nei registri dello stato civile il provvedimento straniero che riconosceva lo status filiationis nei confronti del nato da maternità surrogata: in considerazione dell’importanza della questione, prima di procedere al commento della sentenza, appare opportuno ripercorrere brevemente la vicenda fattuale e passare in rassegna alcune delle principali argomentazioni a sostegno del decisum. Una coppia omosessuale di due uomini, uniti in matrimonio secondo le leggi canadesi, al fine di procreare si era avvalsa in Canada della surrogazione di maternità di tipo eterologo: in particolare, questa era stata attuata con la partecipazione di due donne esterne alla coppia committente, una prima donatrice di ovociti e una seconda che, parimenti senza la previa corresponsione di un corrispettivo, portava a compimento la

falso. Tra queste, oltre alla durata del rapporto instauratosi col minore e quindi alla condizione identitaria già da esso acquisita, non possono non assumere oggi particolare rilevanza, da un lato le modalità del concepimento e della gestazione e, dall’altro, la presenza di strumenti legali che consentano la costituzione di un legame giuridico col genitore contestato, che, pur diverso da quello derivante dal riconoscimento, quale è l’adozione in casi particolari, garantisca al minore una adeguata tutela.

Si tratta, dunque, di una valutazione comparativa della quale, nel silenzio della legge, fa parte necessariamente la considerazione dell’elevato grado di disvalore che il nostro ordinamento riconnette alla surrogazione di maternità, vietata da apposita disposizione penale”.

69Cass., Sez. un., 8 maggio 2019, n. 12193. In Nuova giur. civ. comm., 737 ss.,

con commento di SALANITRO, Ordine pubblico internazionale, filiazione

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gravidanza. In tal modo, di conseguenza, il nato presentava un legame genetico unicamente con uno dei committenti, colui il quale aveva messo a disposizione il proprio seme per lo svolgimento della pratica procreativa in questione: nondimeno, in aderenza alle leggi canadesi, la Superior Court of Justice dell’Ontario accertava il rapporto di genitorialità anche con l’altro soggetto committente, il quale non aveva contribuito, geneticamente, alla nascita del minore. In seguito a tale vicenda, l’ufficiale dello stato civile di Trento, a fronte della richiesta della coppia, aveva rifiutato la trascrizione del succitato provvedimento canadese, che avrebbe consentito, in sostanza, di riconoscere la cogenitorialità dei due soggetti; a fronte di tale rifiuto, i due coniugi ricorrevano alla corte d’appello di Trento70, la quale, in contrasto con la già citata giurisprudenza maggioritaria, accoglieva l’appello, affermando come la trascrizione dell’atto di nascita formato all’estero, in cui si riconoscesse lo status filiationis anche nei riguardi del genitore non genetico, non dovesse ritenersi in contrasto con l’ordine pubblico internazionale, laddove l’opposta soluzione appare maggiormente conforme all’interesse del minore, come anche interpretato dalla CEDU. Avverso tale decisione, proponevano ricorso per Cassazione il Pubblico Ministero, il ministero dell’interno e il sindaco di Trento: in seguito, in considerazione “delle questioni di massima di particolare importanza” implicate dai motivi di ricorso, la Prima Sezione della Cassazione rimetteva la

70 App. Trento, 23 febbraio 2017, in Fam. e dir., 2017, 669 ss., con nota di

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