Uber Technologies Inc. è un’azienda nata a San Francisco nel 2009, con lo scopo di
mettere in contatto gli automobilisti con potenziali passeggeri, così diminuendo la circolazione di veicoli, promuovendo l’utilizzo dei veicoli in comune.
Il tutto è gestito da una applicazione per cellulare attraverso la quale, il soggetto che si iscrive, dapprima sceglie se essere autista o passeggero, poi viene messo in contatto con l’offerente/richiedente più vicino; la corsa non viene pagata in denaro, ma tramite applicazione, così garantendo una maggiore sicurezza.
106 A partire dal 2011, Uber si è espansa in tutto il mondo, raggiungendo 351 città in 64 Paesi. La valutazione della startup (62,5 miliardi di dollari) la rende tra i colossi della Silicon Valley177.
Attraverso l’utilizzo di tale applicazione, molti “comuni cittadini” hanno avuto la possibilità di diventare autisti semplicemente iscrivendosi all’applicazione. Il problema che da subito si è creato nel nostro Paese è la protesta di chi, invece, per poter fare l’autista ha dovuto affrontare una serie di prove, o chi, come i tassisti, ha dovuto acquistare una costosa licenza. Sfruttando il vuoto normativo creato dall’avvento delle nuove tecnologie, Uber ha fatto il suo ingresso in un mercato altamente regolamentato a livello pubblicistico quale quello del trasporto pubblico non di linea. Un argine a tale fenomeno è stato offerto proprio dalla giurisprudenza, che ha ritenuto non solo Uber e i propri driver concorrenti diretti dei tassisti tradizionali, ma ha accertato la natura sleale della condotta posta in essere dalla società ex art. 2598 n. 3 c.c., atteso l'indebito vantaggio che trae dal mancato rispetto delle regole pubblicistiche poste a tutela dell'esercizio del servizio di trasporto pubblico non di linea e dall'assenza di costi legati alle licenze, con conseguente inibizione alla prosecuzione dell'attività, perché produttiva di un pregiudizio grave ed irreparabile, sebbene anche solo potenziale, alla concorrenza.
Negli ultimi anni, le Corti di merito italiane sono state chiamate a pronunciarsi, prima in via cautelare178 e poi nel merito (nel caso di Torino), sull'effetto dell’avvenuto ingresso
di Uber nel mercato del trasporto pubblico non di linea e degli effetti distorsivi arrecati alla concorrenza.
In particolar modo, il dibattito si è concentrato sull’effettiva esistenza di un rapporto concorrenziale fra tale società e i propri driver, da un lato, e le cooperative radio-taxi e i propri membri, dall'altro, da sempre esercenti l’attività di trasporto pubblico non di linea, con conseguente configurabilità dell’ipotesi di concorrenza sleale a danno della seconda categoria.
Sia nella vicenda torinese179 che in quella romana180, pressoché coeve, il giudicante ha
ritenuto che Uber – sia per l’oggetto dell’attività di impresa che per le modalità
177 B. Simonetta (2016), Effetto Uber sul trasporto pubblico. Ecco l'eredità della startup da 62 miliardi di
dollari, in Il Sole 24 Ore. http://www.ilsole24ore.com/art/tecnologie/2016-02-05/uber-vale-625-miliardi-$- e-apre-ad-altre-startup-094803.shtml?uuid=ACDtMEOC&fromSearch.
178 Cfr. Trib. Milano 25 maggio 2015, nota di GIOVE e COMELLI, Il blocco dell'app. Uber Pop:
concorrenza sleale nei confronti del servizio pubblico di taxi.
179 Cfr. Tribunale Torino, Sez. I, 22 marzo 2017, n. 1553. 180 Cfr. Tribunale Roma, Sez. IX, Ord. 07 aprile 2017.
107 organizzative con cui questa veniva esercitata - fosse a tutti gli effetti un concorrente dei tassisti e l’introduzione del servizio Uber-pop arrecasse un pregiudizio alla concorrenza sul mercato rilevante del trasporto pubblico non di linea talmente grave da meritare l’inibizione in via cautelare.
In entrambi i casi, ad ogni buon conto, la giurisprudenza ha dovuto supplire, con i propri strumenti interpretativi, al vuoto normativo creato dall’avvento delle nuove tecnologie e la loro applicazione a settori altamente regolamentati, quali quello in esame.
È evidente come lo sviluppo tecnologico stia di fatto sorpassando l’adeguamento normativo. Va quindi necessariamente valutata la modalità di risoluzione di tali problematiche, verificando se il dislivello possa esser risolto con una “integrazione” nel quadro regolatorio esistente181.
La revisione delle politiche dei trasporti, come pure di strategie e strumenti di regolazione, non può non considerare i cambiamenti causati dalla shared mobility ed in particolare dalla acquisizione delle informazioni riguardanti i passeggeri, i loro movimenti, consumi e abitudini, la loro localizzazione fisica, nonché lo stato e l’utilizzo delle infrastrutture182.
Come anticipato, l’avvento di Uber ha creato non poche problematiche causate, come si è detto, anche e soprattutto dal mancato/inadeguato adattamento della normativa.
In effetti, come sostenuto dall’Avvocato Generale nelle conclusioni del maggio 2017, Uber “non si limita a mettere in relazione domanda e offerta, ma crea, essa stessa,
l’offerta, oltre a disciplinarne le caratteristiche essenziali e a organizzarne il funzionamento”. Ergo, non può essere visto come “un semplice intermediario tra conducenti e passeggeri”, non potendolo “equiparare Uber alle piattaforme di intermediazione”. Difatti, Uber “funge da vero e proprio organizzatore e operatore di servizi di trasporto urbano” in quanto “la prestazione di messa in contatto del passeggero con il conducente non è […] né autonoma, né principale rispetto alla prestazione di trasporto”183.
181 V. in particolare lo studio elaborato per il Parlamento europeo e pubblicato in European Parliament,
Directorate-general for Internal Policies – Structural and Cohesion Policies, Infrastructure funding challenges in the sharing economy, 2017.
182 Proprio nell’anno corrente la stampa quotidiana ha riportato dettagliate notizie sui sistemi di raccolta e
utilizzo dei dati raccolti attraverso il servizio di bykesharing di tipo free floating: Questi nuovi sistemi di ‘data mining’ proprio grazie alla vastissima platea di riferimento, hanno un valore enorme e sembrano consentire una profilazione del consumatore molto dettagliata grazie ai meccanismi di geolocalizzazione (v. tra l’altro La repubblica del 1.2.2018).
183 Cfr. conclusioni dell’Avvocato Generale Maciej Szpunar nella causa C-434/15 – Asociaciòn
108 Come ha di recente confermato la sentenza della Corte di Giustizia, il “servizio
d’intermediazione deve quindi essere considerato parte integrante di un servizio complessivo in cui l’elemento principale è un servizio di trasporto e, di conseguenza, rispondente non al la qualificazione di “servizio della società dell’informazione” … ma
di “servizio nel settore dei trasporti”184.
Alla luce di tali problematiche, sarebbe opportuno un intervento normativo teso a chiarire l’inquadramento di tale innovazione, evitando che la giurisprudenza, volta per volta, interpreti la normativa già esistente, adattandola in malo modo al caso specifico. Il punto è valutare se la nuova tecnologia debba essere collocata all’interno della già esistente normativa sui trasporti, così utilizzando una regolazione omogenea per settore, o se sia necessario considerare regolazioni differenziate. Ciò che sarebbe opportuno chiedersi è se le società basate su piattaforma siano in competizione con le imprese tradizionali confrontandosi sullo stesso tipo di mercato o se abbiano un mercato proprio, differenziandosi185.
In merito, l’Autorità di settore (Autorità di Regolazione dei Trasporti – ART) si è pronunciata chiarendo che il fenomeno dei “servizi tecnologici per la mobilità” intercetta una domanda diversa da quella tradizionale resa disponibile con diverse modalità di erogazione. Perciò “configura la creazione di un nuovo e specifico segmento del mercato
della mobilità urbana non di linea rispetto a quello sottoposto a obblighi di servizio pubblico”. In caso di trasporto urbano però, la shared mobility pare assuma un effetto
complementare piuttosto che sostitutivo. Occorrerà dunque attendere i vari interventi statuali, così verificando e valutando i relativi esiti.