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Un cuore di mamma

Nel documento Dino Buzzati scrittore-giornalista (pagine 171-175)

Il secondo caso è più che altro una forte suggestione che deriva dalla lettura dell’articolo Tutto il dolore del mondo in quarantaquattro cuori di mamma, pubblicato su «Il Nuovo Corriere della Sera» il 18 luglio 1947, e il breve racconto intitolato Un avviso sopra il lavabo, contenuto in In quel preciso momento.

Non mi è stato possibile risalire a una datazione precisa per il racconto, posso solo mantenere come indicazione ante quem l’anno di pubblicazione della raccolta 1963, restringendo l’intervallo di tempo in cui Buzzati avrebbe potuto scrivere questo racconto agli anni Cinquanta, perché nella prima edizione di In quel preciso momento, del 1950, questo testo non compare ancora.

Buzzati nel corso dell’articolo Tutto il dolore del mondo in quarantaquattro cuori di mamma insiste sulla sensazione che attanaglia chiunque entri nella camera mortuaria allestita per le piccole vittime della tragedia:14

Chi entrava oggi nell’ambulatorio della Croce Bianca di Albenga sentiva, nel senso letterale della parola, una cosa diaccia e pesantissima entrargli poco più su della bocca dello stomaco dentro al petto.15

Così quella cosa diaccia e pesante entrava come una trave di ferro nel petto di coloro che guardavano. (A, 15)

Poi da Roma giunse in volo Parri, […] e anche nel suo petto vedemmo sprofondare quella cosa diaccia e pesante come metallo, tanto la sua faccia si fece terrea. (A, 16-7)

13 DINO BUZZATI, La «nera» di Dino Buzzati. Crimini e misteri, cit., pp. 60-3.

14 Per informazioni sulla vicenda vedi cap. 1, pp. 31-2.

15 DINO BUZZATI, La «nera» di Dino Buzzati. Incubi, cit., pp. 13-4. Le prossime citazioni tratte da questo articolo verranno segnalate con la sigla A seguita dal numero di pagina.

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Si tratta di un malessere preciso e circoscritto, nella sua descrizione, alla sensazione di gelo e pesantezza, qualità tipiche del metallo. Prendendo invece in considerazione Un avviso sopra il lavabo, è inevitabile non tornare con la memoria all’articolo sulla tragedia di Albenga non appena si leggono queste parole:

Soltanto una specie di grosso chiodo gelido si è conficcato, a motivo del suddetto telegramma, nel paziente cuore della vecchia serva.16

L’insistenza con cui Buzzati aveva rimarcato questa sensazione nell’articolo ferma nell’immaginario del lettore una figurazione precisa, che porta per un istante a supporre che anche nel racconto la donna sia vittima di una tragedia famigliare.

La coerenza di certe espressioni in Buzzati trova conferma nel racconto poche righe più avanti, quando si scopre che la protagonista ha appena saputo della morte del proprio figlio:

Ma tu non ascolti, Giorgina, perché a quest’ora, mentre dal corso lontano giunge un brusio della passeggiata, perché di tuo figlio, per parlarci chiaro, della carne della tua carne, tue viscere, nient’altro resta che una cosa fredda e repulsiva in un ospedale lontanissimo. (R, 257)

È come se nel racconto Buzzati provasse a immaginare cosa deve esser stato per le madri delle vittime di Albenga scoprire che i propri figli, in vacanza in una colonia estiva, non sarebbero mai più tornati. Si tratta appunto di una sensazione così ben circostanziata da lasciar intendere che un legame tra i testi ci sia, anche solo nella stessa rappresentazione del lutto di una madre. Infatti, ricorrono altri elementi affini tra le due vicende. Innanzitutto Buzzati prova a immaginare come una notizia del genere possa essere arrivata alle famiglie:

Non serve dire: 43 anime tenerissime volate in un sol colpo al Creatore; non serve pensare a diecine e diecine di famiglie spezzate all’improvviso da un telegramma o dalla tremebonda ambasciata d’un messo comunale; le parole non servono a niente. (A, 14)

Così nel racconto la routine giornaliera della donna, indaffarata nel suo lavoro di cameriera presso l’albergo, subisce una drastica interruzione:

16 DINO BUZZATI,In quel preciso momento, cit., p. 256. Le prossime citazioni tratte da questo racconto

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«Giorgina!» chiamano dal corridoio. Lei: «Chi c’è? Adesso vengo subito!». Una voce: «C’è un telegramma!». «Come? un telegramma per me?» (R, 256)

L’annuncio devastante arriva all’improvviso a interrompere la quiete di un tardo pomeriggio, lasciando la protagonista nella più profonda disperazione:

«Oh Madonna, Madonna!» si sente il singhiozzo della vecchia cameriera. Poi i suoi passi, poi lei che rientra nella camera 119. «Oh Madonna!» ripete agitando con la destra il telegramma giallo. «Oh Madonna!» e singhiozza come una bambina sperdutissima, ma non c’è nessuno che stia a vedere. (R, 256)

Allo stesso modo Buzzati aveva trascritto le pietose manifestazioni di dolore, che accompagnarono l’arrivo dei genitori ad Albenga, introdotte da una serie di interiezioni enfatiche:

Tutti, non esagero, piangevano senza ritegno. «Oh, oh, Giorgio mio» si sentiva urlare. «Oh, mamma… il mio Alberto, oh che morte gli hanno fatto fare!... Oh, Signore, dammi la grazia» invocava un’altra coprendo di baci i piedini del suo bimbo. (A, 16)

Il dolore per la perdita di un figlio è un tema più volte affrontato da Buzzati, lo ritroveremo ad esempio in una delle coppie di testi che prenderò in analisi nel prossimo capitolo, però in Un avviso sopra il lavabo si affianca a un particolare uso della reiterazione, stilema buzzatiano.

Nel racconto, infatti, la vicenda è intervallata da brani in corsivo che riportano in maniera ciclica sempre le stesse frasi trascritte su un cartello vicino al lavandino della camera d’albergo, lo stesso lavandino che dà il titolo alla vicenda:

La Direzione dell’Albergo prega… Non spolvera più, non scopa più Giorgina? È stanca? Ha paura delle ombre?... o comunque oggetti che possano… No, non è stanca né ha paura delle ombre… o comunque che possano che possano…(R, 256) La ripetizione di alcune parole, o frasi, ricorre in molti testi buzzatiani a riprodurre il senso dello smarrimento del pensiero posto di fronte all’angoscia.

Nei racconti questa tendenza alla ripetizione, anche di scene intere, come avviene in Equivalenza e Crescendo tratti da Le notti difficili, serve anche a favorire il crearsi di un’ambientazione surreale, in cui il linguaggio normale entra in cortocircuito. Lo stesso vale per le omissioni o l’uso di parole completamente inventate e incomprensibili, cito

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ad esempio Il vento o Odore di tartufo: nel primo caso un forte vento impedisce di cogliere l’intero litigio di una coppia, che si presume termini con l’assassinio di lei, mentre nel secondo il protagonista inizia a parlare a sproposito, senza accorgersene, perché ha contratto un tipo tutto particolare di peste.

Seguendo queste considerazioni sul linguaggio buzzatiano, l’avviso sopra il lavabo è funzionale a creare una dimensione surreale, quel tipo di sensazione che investe una persona còlta completamente alla sprovvista da un’atroce notizia. In effetti, in tutti gli esempi qui citati, la ripetizione spinge faticosamente avanti il protagonista nella narrazione verso un momento cruciale della propria vita.

Anche nell’articolo Buzzati registra il venir meno del linguaggio in momenti drammatici, laddove, parlando di una delle prime madri giunte ad Albenga, scrive:

Parole sconnesse che non si riusciva a capire uscivano dalla sua bocca con crescente precipitazione, mentre si avvicinava all’ingresso della camera ardente. (A, 15)

Sicuramente la tragedia di Albenga impressionò moltissimo Buzzati giornalista, lo dimostrano tutti i successivi articoli che rimandano esplicitamente alla tragedia. Ad esempio in Come allora, scritto per un’analoga tragedia avvenuta a Marsala nel 1964, Buzzati incentra più della metà dell’articolo sui suoi personali ricordi del lontano 18 luglio 1947:

Chissà come, nella tremenda sala, di vivi c’ero solo io. Più tardi sarebbe giunta la folla, da Milano sarebbero arrivati i genitori, le urla i singhiozzi i gemiti la disperazione delle mamme avrebbero riempito la vasta piazza.17

Anche in Oltre il dolore, pubblicato sul «Corriere» il 10 novembre 1971, quindi tra gli ultimissimi articoli scritti da Buzzati, leggiamo:

Erano quarantatré i bambini annegati insieme nel mare di Albenga nel remoto 1947. Dopo tanti anni me li ricordo ancora, spettacolo, di una violenza atroce, allineati uno accanto all’altro sopra un unico pancone a ferro di cavallo nello squallido ambulatorio della Croce Rossa.18

17 DINO BUZZATI, La «nera» di Dino Buzzati. Incubi, cit., p. 178.

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Il legame con il concreto fatto di cronaca è dato dal numero delle vittime: l’articolo venne scritto da Buzzati per la caduta dell’aereo Hercules che trasportava quarantasei paracadutisti italiani e sei soldati inglesi.

La tragedia di Albenga rimase quindi fino alla fine nel cuore di Buzzati e per questa ragione non trovo così difficile, visti anche i rimandi testuali, credere che molto probabilmente influenzò anche Un avviso sopra il lavabo.

Nel documento Dino Buzzati scrittore-giornalista (pagine 171-175)

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