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Un diritto labile Politiche abitative e immigrazione

Nel documento L'abitare migrante (pagine 37-39)

Uno degli elementi necessari per capire entro quali limiti, e vincoli, prende forma l’abitare dei migranti è rappresentato dalle possibilità di accedere all’edilizia popolare. Si tratta, dunque, di inquadrare l’accesso dei migranti all’alloggio di edilizia residenziale pubblica nel più vasto quadro dello sviluppo delle politiche abitative in Italia. L’analisi si sviluppa a partire da una ricostruzione del modo in cui il welfare abitativo ha preso concretamente forma in Italia, mettendo in evidenza come la preferenza per la casa di proprietà (oltre il 75% della popolazione vive in immobili di proprietà) non sia ascrivibile ad un dato “culturale” ma rappresenti l’esito di un preciso percorso storico e che tale situazione influisce in maniera significativa sulla definizione dell’orizzonte delle opportunità (e dei limiti) sulla base del quale i migranti danno forma alle proprie pratiche dell’abitare. Il testo affronta, poi, la questione del quadro normativo attraverso il quale il diritto alla casa è concretamente accessibile per la popolazione immigrata, avendo cura di sottolinearne le evoluzioni e le contraddizioni. Il quadro che emerge da questoexcursus storico nel campo della legislazione della casa consente di mettere a fuoco i tratti di una peculiare condizione sociale. Esclusi dalle possibilità di accedere alla casa attraverso il trasferimento intergenerazionale ed al di fuori dai meccanismi categoriali (e/o clientelari) garantiti dal diritto di voto, con i quali hanno preso forma tanto le politiche per la casa, quanto le politiche di risposta all’abusivismo edilizio (tolleranza, condoni, ecc.), i migranti riescono a penetrare le maglie di accesso alwelfare abitativo, solo in ragioni di specifiche configurazioni di marginalità economica e sociale. Per il resto, la questione dell’abitare resta totalmente “addossata” a loro, che, nelle pratiche che riescono a mettere in campo per dare risposta alle problematiche abitative, sperimentano una dinamica che il sociologo tedesco Beck (2000) ha, icasticamente, definito: “soluzioni biografiche a contraddizioni sistemiche”.

Le fonti del diritto alla casa

Sul piano giuridico il “diritto alla casa” rimanda, sia al diritto internazionale, sia al testo costituzionale. Relativamente al diritto internazionale, va ricordata la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, che all’art. 25 recita: “Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari; e ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia o in altro caso di perdita di mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà”. Il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (ICESCR) delle Nazioni Unite (1966) all’articolo 11 stabilisce che “gli Stati parti del presente Patto riconoscono il diritto di ogni individuo ad un livello di vita adeguato

per sé e per la propria famiglia, che includa un’alimentazione, un vestiario ed un alloggio adeguati, nonché il miglioramento continuo delle proprie condizioni di vita”.17

Relativamente all’ordinamento giuridico italiano, va invece osservato che, pur in mancanza di un riferimento esplicito, l’idea della “casa come diritto” trova riscontro nel combinarsi di una serie di principi, che trovano spazio in varie parti della Costituzione, e che, insieme, conferiscono un fondamento costituzionale alle pretese abitative delle persone (Scotti, 2015). In particolare, nei principi fondamentali, all’art. 3 laddove riconosce come dovere della Repubblica la rimozione degli “ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Nei rapporti economici, laddove afferma che “la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti” (art. 42), dove sancisce che la Repubblica “favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese” (art. 47) e dove stabilisce che “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa” (art. 36). Inoltre, nei rapporti etico sociali, si sancisce il principio che “La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose” (art. 31).

Esiste poi una giurisprudenza costituzionale che riconosce il diritto all’abitazione come diritto ad interventi volti a favorire la disponibilità di alloggi per chi si trova in condizioni di necessità. Un diritto che, tuttavia, trova limiti, nella tutela di altri interessi costituzionalmente rilevanti (es. il diritto del proprietario), compresi quelli di pareggio di bilancio (Art. 81)

L’idea della casa come diritto sembra configurarsi come un “diritto sociale di grandi incertezze” (Caretti 2005; Bilancia 2010) che trova possibilità di applicazione solo se posto in relazione con altri diritti individuali e pubblici. E che concretamente può assumere forme diverse come: a) il diritto ad accedere ad una casa in assegnazione; b) il diritto alla stabilità di godimento del proprio alloggio; c) il diritto strumentale a godimento di altri diritti e libertà (connesse alla casa) (Scotti, 2015; 17). In questo quadro, la presenza dei migranti come soggetti portatori di una condizione giuridica complessa – prodotto di una molteplicità di status a diritti limitati – apre ad ulteriori incertezze.

17È importante rilevare che proprio a partire da questo testo si giunge ad una definizione degli elementi

che costituiscono il cosiddetto adequate housing (garanzia del godimento; disponibilità di servizi, materiali,

agevolazioni ed infrastrutture; accessibilità economica; abitabilità; facilità di accesso; collocazione; adeguatezza culturale). (Scotti, 2015)

Per pochi. Il welfare abitativo italiano

Che la maggior parte degli italiani vivano in una casa di proprietà è un fatto noto. Secondo Violante e Lucciarini (2006) i tratti fondamentali del modello abitativo italiano sono riassumibili in quattro punti: a) una peculiare configurazione di “tenure status” caratterizzata dall’elevata incidenza di abitazioni in proprietà e una quota di alloggi di edilizia residenziale pubblica residuale; b) il significativo ruolo di supporto economico della famiglia d’origine per l’acquisizione della casa; c) un forte ruolo dell’abusivismo edilizio; d) una forte diffusione di “seconde case” per usi non primari.

Relativamente al primo punto – una peculiare configurazione di “tenure status” - i dati provenienti dal database EU-SILC (aggiornati al 2014), consentono di dare maggiore profondità a questa affermazione.

Grafico 1. Distribuzione della popolazione per titolo di godimento dell’alloggio e paese (Italia,

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