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UNITA’ 2 Gli esperiment

2.1 UNA QUESTIONE DI METODO

L’LTP e l’LTD sono due fenomeni sperimentali di plasticità sinaptica che sono studiati da oltre trenta anni. A parte alcuni motivi di sociologia della scienza, il persistere dell’interesse per questi meravigliosi fenomeni trova le sue radici nella storia del pensiero neuroscientifico. Tra la fine degli anni 70 e l’inizio degli anni 80 furono descritte tre proprietà basilari dell’LTP NMDA-dipendente nell’ippocampo: la cooperatività, la specificità d’ingresso e l’associatività. Con queste tre caratteristiche in tasca l’LTP fu subito riconosciuto come un’ottima implementazione sperimentale del postulato di Hebb. Hebb aveva previsto che l’apprendimento e la memoria dovessero implicare un rafforzamento sinaptico innescato dall’attività coordinata del neurone presinaptico e di quello postsinaptico. In effetti, già con Ramon y Cajal, le neuroscienze avevano più volte sostenuto che le modificazioni sinaptiche dovevano avere un ruolo nell’apprendimento e nella memoria. L’LTP e in seguito l’LTD divennero così i correlati neurobiologici dei meccanismi d’apprendimento rispettivamente

hebbiani e anti-hebbiani escogitati dai computazionisti connettivisti che allora

stavano conquistando la scena. I loro primi modelli cercavano di simulare le memorizzazioni effettuate dall’ippocampo che sicuramente, allora più che oggi, era considerato l’organo della memoria esplicita, e dal cervelletto implicato nella memoria implicita. Il connettivismo fu entusiasta del fatto che l’LTP era stato descritto per la prima volta nell’ippocampo e l’LTD nel cervelletto. Oltretutto, esperimenti di LTP ed LTD extracellulari su fettina potevano essere condotti facilmente in qualsiasi laboratorio aveva un minimo d’apparecchiatura necessaria. La popolarizzazione del fenomeno condusse per contrapasso alla pubblicazione di numerosi lavori di dubbia qualità o non riproducibili. L’LTP e l’LTD sono due oggetti da maneggiare con molta cura, nel senso che sono molto importanti i controlli e cosa si va a misurare. In quegli anni si cominciò a scoprire che l’LTP era inducibile anche in altre regioni fuori dell’ippocampo, ma solo negli ultimi anni si è compreso che il potenziamento o la depressione elettrica delle sinapsi possono implicare l’uso di meccanismi molecolari diversi in rapporto alla regione del cervello in cui il fenomeno viene indotto e al protocollo seguito. I risultati erano quindi spesso contraddittori e molti ricercatori cominciarono a pensare che l’LTP fosse solo un giocattolo, l’unico, con cui altri ricercatori si trastullavano perdendo di vista studi più seri. In effetti, ci sono due grossi problemi che inficiano l’ipotesi che LTP ed LTD siano alla base dell’apprendimento: primo, i protocolli d’induzione prevedono intensità e tempi di stimolazione inverosimili in condizioni fisiologiche; secondo, i grandi incrementi o decrementi delle risposte sinaptiche extracellulari che si possono osservare nelle registrazioni di campo sembrano incompatibili con i vincoli d’efficienza e capacità di una rete neurale in un modello di memoria distribuita. Oltretutto, oggi sappiamo che i neuroni sono in grado di operare anche altre forme di plasticità diverse da LTP e LTD come ad esempio l’omeostasi sinaptica ( Turrigiano et al 2007 ) e la redistribuzione delle efficacie sinaptiche ( Markram e Tsodyks 1996). Ancora oggi non si è riusciti a realizzare un esperimento diretto che dimostri definitivamente che LTP ed LTD sono alla base dei normali fenomeni di apprendimento e memoria che hanno luogo nel cervello di un animale. Molto probabilmente la dimostrazione o la confutazione di quest’ipotesi saranno possibili nei prossimi anni grazie allo

sviluppo delle tecniche di patch-clamp in vivo mirato e all’uso di protocolli d’induzione di LTP ed LTD basati sulla teoria della spike time dependent

plasticity (STDP). Per ora bisogna accontentarsi d’osservazioni indirette deboli

come gli studi di correlazione o un po’ più forti come quelli d’occlusione o saturazione.

Alcuni studi di correlazione si basano sulla considerazione che un qualsiasi trattamento farmacologico o di delezione/inserzione genica che influenzi l’LTP e l’LTD debba influenzare anche l’apprendimento di un animale. Alcuni esperimenti di questo tipo li abbiamo già incontrati nel capitolo precedente alla fine della sezione sui meccanismi molecolari di plasticità sinaptica nella corteccia peririnale. Altri esperimenti classici sono quello sul blocco della memoria spaziale del ratto mediante antagonisti NMDA infusi in ippocampo ( Morris et al. 1986 ); quello sulla fosforilazione d’ERK nell’amigdala in seguito a fear

conditioning, e l’abolizione di questa risposta appresa quando è somministrato un

inibitore della MAP chinasi (Atkins et al 1998); il blocco del consolidamento della memoria spaziale e di riconoscimento in topi CBP(HAT-) (Korzus et al 2004); il blocco del consolidamento del fear conditioning in topi con restrizione dell’mRNA della CAMKII nel soma (Miller at al 2002). Altri studi di correlazione cercano di simulare con opportuni protocolli di stimolazione elettrica procedure comportamentali che influenzano l’apprendimento di un animale. Se ripetiamo più volte un protocollo d’induzione dell’LTP si consolidano di più gli aumenti di guadagno sinaptico proprio come la pratica migliora le prestazioni apprese. Un altro esperimento di questo tipo si basa sul fatto che la contiguità di uno stimolo condizionato e di uno stimolo incondizionato non sono sufficienti a garantire l’apprendimento; in un protocollo di fear conditioning, l’aggiunta di stimoli incondizionati non appaiati mantiene la contiguità, ma non la contingenza dei due stimoli, per cui l’associazione fra lo stimolo condizionato e quello incondizionato s’indebolisce. Un blocco analogo dell’LTP può essere ottenuto nell’amigdala laterale depolarizzando la cellula post-sinaptica al picco d’ogni EPSP indotto mediante stimolazione delle fibre talamiche e aggiungendo un’altra depolarizzazione dopo ogni accoppiamento EPSP/depolarizzazione (Bauer et al 2001).

Gli studi di correlazione presentano, però un gran caveat: è difficile dimostrare che il trattamento farmacologico dell’animale non abbia modificato il modo in cui il cervello elabora le informazioni, piuttosto che la funzionalità sinaptica; questo è tanto più vero negli animali transgenici dove è molto probabile che intervengano processi complessi di compensazione.

Gli studi d’occlusione sono un po’ più causali. La ratio che sottende questi esperimenti è che se due processi condividono lo stesso meccanismo allora saturando un processo anche l’altro sarà saturato. La saturazione bilaterale dell’LTP nel giro dentato dei ratti diminuisce la capacità d’apprendimento spaziale dell’animale (Moser et al 1998) così come l’apprendimento di una risposta di inhibitory avoidance diminuisce l’inducibilità in vivo dell’LTP nella CA1 del ratto (Whitlock et al 2006). Come capite, si tratta di una procedura tecnicamente difficile da realizzare per questo più spesso si preferisce optare per la tecnica inversa: “consumare” con l’addestramento le capacità mnemoniche di un animale e poi vedere in vitro se l’LTP è occluso. E’ questo il procedimento usato da Donoghue per dimostrare il ruolo dell’LTP della corteccia motoria nell’apprendimento di un compito motorio (Rioult-Pedrotti et al 2000) e da Brunelli per dimostrare il ruolo dell’LTP ippocampale nel contextual fear

conditioning (Sacchetti et al 2001). Questa è anche la tecnica che abbiamo usato

nel nostro lavoro.

Abbiamo ipotizzato che se fosse vero che la memoria di riconoscimento visivo comporta delle modificazioni plastiche nelle sinapsi della corteccia peririnale e se queste modificazioni fossero dovute a meccanismi simili all’LTP o all’LTD, allora, sottoponendo ad un inteso compito di familiarizzazione visiva il topo, avremmo diminuito le probabilità di indurre in seguito nella sua corteccia peririnale in vitro un LTP o un LTD che durasse almeno 45 minuti.

Quando Berardi e Pizzorusso mi hanno proposto il problema ho dovuto subito affrontare due difficoltà. Una riguardava il metodo d’induzione dell’LTD a lungo termine nella corteccia peririnale e l’altra consisteva nel trovare un protocollo comportamentale di familiarizzazione visiva che garantiva un utilizzo quanto più spontaneo, specifico ed intensivo della corteccia peririnale da parte degli animali.

Il protocollo d’induzione dell’LTP a lungo termine fra le connessioni orizzontali degli strati II/III della corteccia peririnale del roditore era già stato descritto in letteratura (Ziakopoulos 1998) e consiste nel classico pattern di quattro pacchetti di theta burst. Ma come s’induce l’LTD a lungo termine nella peririnale? I lavori fino ad oggi pubblicati descrivono due metodi: uno consiste nel perfondere la fettina con carbacolo, un agonista colinergico, per 10 minuti e l’altro si basa sulla spike time dependent plasticity in cui bisogna accoppiare la stimolazione a 5 Hz delle fibre presinaptiche con un’opportuna depolarizzazione della cellula postsinaptica mediante voltage-clamp. Clampare una cellula in una fettina di cervello di un animale adulto è un’impresa eroica e a bassissimo rendimento tanto che finora è stato fatto solo su ratti di giovanissima età in cui la relativa immaturità della cicuiteria inibitoria e della matrice extracellulare evita molti problemi di impedenza e di difficile individuazione delle cellule. Il mio scopo era però quello di mettermi nelle migliori condizioni per studiare la memoria di riconoscimento visivo e quindi avevo bisogno di lavorare con topi giovani-adulti e pienamente maturi dal punto di vista percettivo e mnemonico. Anche la tecnica del carbacolo era da scartare. Quando un animale sfrutta una certa area del suo cervello per imparare qualcosa, è quasi impossibile che esaurisca completamente le capacità plastiche delle sue sinapsi; ciò che si modifica è piuttosto la successiva possibilità di una sinapsi di modificare il suo guadagno in positivo e in negativo: se l’animale durante l’apprendimento ha usato un meccanismo simile all’LTD il guadagno delle sue sinapsi è spostato verso il pavimento del suo range sinaptico, ma di certo non lo tocca ancora. Ogni induzione in vitro di LTD sposterà solo di qualche gradino verso il basso il guadagno delle sinapsi finché non si raggiungerà il pavimento. E’ quindi difficile trovare una differenza di LTD dopo una sola induzione fra l’animale che ha eseguito il compito e l’animale di controllo; la differenza si vedrà solo dopo un certo numero d’induzioni. Questo fa sì che l’esperimento su una singola fettina duri minimo tre o quattro ore e così si corre sempre il rischio che il tutto fallisca perché nel frattempo le cellule si sono rovinate. Il carbacolo dopo essere stato perfuso per indurre l’LTD deve essere lavato affinché si possa tornare nelle condizioni di partenza e questo richiede parecchi minuti; oltretutto, è noto che il carbacolo, a differenza del suo agonista fisiologico, l’acetilcolina, non è degradabile da parte dell’acetilcolinesterasi e quindi la sua presenza potrebbe sporcare ulteriormente l’esperimento.

Secondo i lavori pubblicati, i classici protocolli d’induzione dell’LTD mediante stimolazione a 1 Hz e a 5 Hz non funzionano in peririnale ed, in effetti,

ho potuto constatare sperimentalmente che questi due protocolli inducevano solo il depotenziamento di sinapsi in precedenza potenziate, ma non un LTD che durasse più di 15 minuti.

Ho pensato che probabilmente il problema stesse nel fatto che l’LTD nella corteccia peririnale dell’adulto dipende più dalla stimolazione colinergica che da quella glutammatergica. L’LTD ACh-dipendente si sviluppa nell’adulto non per una riduzione degli NMDA, ma per un aumento dei recettori muscarinici che prendono il sopravvento (Jo et al 2006). Anche nella corteccia visiva primaria adulta i classici protocolli di induzione elettrica di LTD NMDA-dipendente sono inefficaci. Questo avviene perché alla fine del periodo critico il tono inibitorio aumenta. E’ probabile che una cosa simile avvenga anche nella corteccia peririnale. Allora, l’induzione dell’LTD mediante l’attivazione NMDA/mGluR diventerebbe inefficiente ed è sostituita da quella mediata dai recettori muscarinici. Se però fossi riuscito a depolarizzare le cellule immediatamente prima d’ogni stimolo a 1 Hz forse avrei ingannato il problema. In poche parole, non dovevo far altro che somministrare una stimolazione a bassa frequenza ad impulsi accoppiati (paired-pulse LFS). Quando ho provato questo protocollo sul mio preparato, finalmente ho ottenuto una depressione dei potenziali di campo che durava anche più di un’ora. Il blocco dei recettori glutammatergici con acido chinurenico eliminava la componente postsinaptica della risposta registrata lasciandone inalterata la parte presinaptica e, inoltre, una successiva induzione di LTP ripotenziava la risposta in precedenza depressa fino al livello iniziale assicurandomi che la depressione ottenuta era puramente sinaptica e non era dovuta al danneggiamento del tessuto. Nel prossimo capitolo vedremo che questo LTD è NMDA-dipendente.

A questo punto restava da risolvere il problema comportamentale. Tre erano gli obiettivi da raggiungere: studiare l’esplorazione spontanea degli oggetti visivi costringendo al tempo stesso il topo ad utilizzare molto più la peririnale che l’ippocampo; stimolare quanto più intensamente possibile la peririnale; avere oggetti puramente visivi che il topo non avesse mai incontrato prima e che suscitassero la sua curiosità. Vediamo di seguito le tre soluzioni che ho adottato.

Il riconoscimento visivo degli oggetti viene di solito studiato nei roditori utilizzando un’arena quadrata, 1 metro × 1 metro, aperta superiormente, in cui sono collocati gli oggetti da memorizzare. In questo tipo d’apparato, la performance del roditore può essere fortemente influenzata da contributi di carattere spaziale e contestuale. L’animale può stare fino ad un metro dalla parete e perciò è in grado di vedere il contesto della stanza sopra la parete. E’ difficile determinare gli indizi che normalmente un animale usa durante l’esplorazione spontanea. Al fine di minimizzare i fattori di confondimento e garantire la spontaneità del comportamento abbiamo deciso di utilizzare un Y-maze opportunamente modificato per l’esplorazione spontanea degli oggetti (fig. 25, Forwood et al 2003). Questo apparato ha pareti omogeneamente bianche e alte 40 cm in modo tale da evitare che il topo possa guardare nella stanza. I due bracci in cui sono collocati gli stimoli sono corti e stretti (10 cm × 8 cm) così da minimizzare l’esplorazione locomotoria dell’apparato. Nei due bracci sono inseriti dei panelli a portafoglio in plexiglas trasparente antiriflesso che contengono gli stimoli visivi bidimensionali. Il braccio centrale, detto braccio di partenza, contiene una ghigliottina che crea un box di partenza in cui il topo può essere confinato all’inizio delle familiarizzazioni e dei test. L’apparato è posto a 1 metro da terra e sopra di esso è collocata una telecamera che registra tutte le sessioni.

Figura 25 Y-maze v-ORT. Le pareti destre sono trasparenti per scopo illustrativo. La

porta a ghigliottina è sollevata. Dopo l’intervallo il ratto esplora maggiormente il nuovo oggetto.

Si dice normalmente che una caratteristica della memoria dichiarativa è che basta un singolo incontro con lo stimolo perché esso sia memorizzato a lungo termine. Se però il contributo mnemonico-percettivo principale della corteccia peririnale è di tipo implicito allora la memoria sarà tanto più forte quanto più spesso è stato incontrato lo stimolo. Per questo motivo i topi sono stati sottoposti ad un compito d’apprendimento distribuito seguendo un protocollo di familiarizzazione già testato positivamente da Serge Laroche ( Bozon et al 2003).

Gli studi sul riconoscimento degli oggetti hanno stimolato i ricercatori ad inventarsi diversi e strani stimoli come fili di ferro sagomato, modellini di plastilina, sferoidi di metallo, descrittori di Fourier in 2D e frattali.

I criteri che io ho seguito sono questi: gli oggetti sono bidimensionali in modo da non consentire l’esplorazione tattile mediante vibrisse; sono assolutamente nuovi nel senso che non contengono parti d’oggetti già incontrati nella gabbia né sono delle semplici distorsioni di essi; al tempo stesso, gli oggetti sono abbastanza complessi da introdurre una certa feature ambiguity; infine, sono visivamente rilevanti visto che tutti gli animali si sono evoluti per riconoscere determinate classi d’oggetti ecologicamente importanti per loro. Ho tentato quindi di creare degli oggetti che assomigliano a piante o animali senza essere nessuna pianta o animale in particolare. Il modo migliore per farlo mi è sembrato quello di simulare al computer lo sviluppo di un embrione. Ogni pseudoembrione iniziava la sua esistenza con la forma di un icosaedro regolare che doveva rappresentare lo zigote. Le divisioni cellulari erano regolate da gradienti ormonali; l’ormone è secreto da una o più cellule e diffonde lungo gli spigoli che connettono le cellule. Le cellule secernenti nascono e muoiono a caso dirigendo così la crescita

dell’oggetto. Le forze fisiche d’attrazione e repulsione generate dai gradienti ormonali determinano la posizione finale di una cellula. Il risultato è un poliedro ( 8 cm × 8 cm ) composto di tantissimi piccoli poligoni che insieme danno la superficie dell’oggetto. Con Adobe Photoshop Element 2.0® ho infine creato ombreggiature e colori per rendere ancora più naturali gli pseudoembrioni. In questo modo ho creato 20 nuovi oggetti, ma di questi, solo 3 sono stati usati negli esperimenti perché, ad un sommario test, non sembravano essere relativamente preferiti o evitati dagli animali (fig. 26).

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