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Una via alternativa per il trasferimento tecnologico?

3.2 Il ruolo della scienza aperta in ambito universitario

3.2.3 Una via alternativa per il trasferimento tecnologico?

La spinta a brevettare nelle università americane, conseguente al Bayh-Dole Act e alle circostanze degli anni ‘20, ha caratterizzato gran parte delle università e il loro futuro, dandone un’impronta industriale e commerciale. Questo fenomeno ha influenzato anche

388 E. GIGLIA, Accesso aperto ai dati della ricerca come vettore per la scienza aperta, in JLIS.it, 2015, VI n. 2, 225, 227-

230, disponibile all’URL: « https://www.jlis.it » [ultimo accesso: 5/11/2018].

389 Ibidem.

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altri Paesi, compresi quelli europei e l’Italia stessa. Essi, emulando il modello nord- americano, hanno incominciato a sviluppare norme in materia di proprietà intellettuale per proteggere opere e invenzioni create al loro interno e per agevolare in tal modo il mercato tramite il trasferimento tecnologico. La proprietà intellettuale, quindi, è divenuta imprescindibile per l’istruzione superiore e negli ambienti accademici: la conoscenza, le idee, le espressioni e la ricerca sono stati trasformati in prodotti essenziali della cosiddetta “era dell’informazione”, a causa di forze economiche, politiche e sociali dominanti.391

Al giorno d’oggi, l’economia dei Paesi è determinata in gran parte dalla loro capacità di sviluppare e commercializzare le innovazioni tecnologiche e scientifiche: per far ciò si è considerato imperativo l’utilizzo degli IPRs, ritenuti i soli mezzi legali idonei a proteggere i beni. È stato spesso trascurato il fatto che vi siano altri strumenti, diverse modalità di organizzazione e numerose funzioni alternative per favorire il trasferimento tecnologico.392 Non è un caso che in molti ordinamenti gli strumenti di proprietà intellettuale soffrono di alcune limitazioni, come quella per uso sperimentale, per studio privato o per motivi di ricerca: esse esentano i terzi dal rispettare i diritti esclusivi su alcune opere o invenzioni, coperte da copyright e brevetti. Un esempio che dimostra quanto i diritti intellettuali possano nuocere al progresso della conoscenza è dato proprio da un caso giuridico riguardante la experimental exception.393 Si tratta della già citata sentenza Madey vs. Duke

University (307 F3d 1351 – Fed Cir 2002)394 che ha previsto la condanna della Duke University poiché aveva violato alcuni brevetti di Madey. I giudici, ritenuto irrilevante lo status no profit dell’università, hanno sancito la validità dell’eccezione di ricerca solo per attività di divertimento, soddisfacimento della pura curiosità o per indagini strettamente filosofiche.395 Questa sentenza è emblematica della condizione precaria che vigeva e vige

tuttora nelle università, dominate dall’uso dei brevetti e degli altri strumenti di protezione. Questi ultimi, in molti casi, precludono agli scienziati e ai ricercatori di accedere ai dati o agli esperimenti, anche in alcuni casi di ricerca scientifica.396

L’opinione diffusa ritiene che l’università debba partecipare al trasferimento tecnologico (e delle conoscenze in generale) tramite la commercializzazione della ricerca per mezzo dei brevetti. Si sostiene, infatti, che la proprietà intellettuale consenta agli scienziati accademici e, quindi, alle università stesse di far progredire la conoscenza, avvantaggiando e portando al pubblico molti benefici.397 Per questo motivo, negli ultimi

anni si è assistito a una crescita eccessiva degli IPRs, ritenuti fondamentali per molte aziende, incentivandole a intraprendere progetti rischiosi e a distribuire equamente i profitti.398 Questa convinzione è stata smentita, soprattutto negli ultimi tempi: molto spesso

391 J. C. SUN, B. BAEZ, Intellectual property in the information Age: Knowledge as Commodity and its legal implications for

Higher education, in 34:4 ASHE Higher Education Report, 3 (2009).

392 CASO, Scientific knowledge unchained: verso una policy dell’università italiana sull’Open Access, cit., 51. 393 LISSONI, MONTOBBIO, op. cit., 148.

394 L’eccezione per uso sperimentale e la sentenza Madey v. Duke University vengono trattate in modo più

approfondito nel paragrafo 2.3.4 del Capitolo II del presente elaborato.

395 Madey vs. Duke University (307 F3d 1351 – Fed Cir 2002). 396 LISSONI, MONTOBBIO, op. cit., 148.

397 SUN, BAEZ, op. cit., 83.

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la proprietà intellettuale impedisce l’accesso alle informazioni, ponendosi in posizione antitetica rispetto alla cultura accademica e alla ricerca scientifica.

Si è verificato ciò che molti autori chiamano tragedy of anti-commons (letteralmente: tragedia dei beni non comuni), termine che indica il fenomeno per cui i beni, che dovrebbero essere disponibili per tutti (quali il sapere e le conoscenze scientifiche), sono invece racchiusi nella proprietà individuale di alcuni. Le risorse rischiano di essere sottoutilizzate, dal momento che alcune persone ne escludono altre dall’utilizzo.399

La ricerca scientifica e la diffusione del sapere possono essere favorite in altro modo, in particolare grazie all’utilizzo dell’OS, che può rappresentare lo strumento a salvaguardia dell’autonomia delle università e a protezione della sua mission tradizionale, prima che vengano totalmente inglobate dai meccanismi di mercato.

Come affermato anche da Merton, importante sociologo statunitense, una delle caratteristiche del lavoro scientifico è la condivisone della ricerca: i brevetti, invece implicano proprietà e controllo sulle invenzioni, privilegiando l’interesse del singolo proprietario su quello della comunità. Non sono poche, dunque, le motivazioni che mirano a frenare la corsa alla commercializzazione o privatizzazione del sapere e a privilegiare altri metodi per favorire il trasferimento tecnologico. La prima ragione risiede nel fatto che i brevetti sono contrari al ruolo di servizio pubblico delle università, il quale implica di servire la comunità mettendo a disposizione in modo facilmente accessibile il risultato della ricerca operata al suo interno, senza un riscontro economico. Un altro motivo è dato dalla natura stessa del brevetto, che comporta la segretezza sulle ricerche accademiche: gli scienziati, infatti, inseriti in un clima competitivo, tendono a limitare, ritardare o bloccare la conoscenza scientifica per poter sviluppare la propria idea, brevettarla e assumere il titolo di inventori. Infine, se si analizzano più da vicino le conseguenze del trasferimento tecnologico, si evince che lo sviluppo di brevetti comporta dei costi molto alti, che superano i costi normalmente sostenuti per l’istruzione superiore e la formazione degli studenti, conducendo dunque ad un uso scorretto e inappropriato dei fondi universitari.400

È evidente che un controllo centralizzato, rigido e ferreo sulle informazioni possa nuocere fortemente alla comunità scientifica, limitando sempre più l’accesso alle conoscenze.401

È per questo che non bisogna considerare la scienza aperta come un ostacolo o come qualcosa di totalmente incompatibile con i diritti intellettuali, ma una valida alternativa da utilizzare anche in contemporanea ad essi. Se viene correttamente regolata e definita la struttura di suddetti diritti, essi possono fungere da strumento regolativo della scienza aperta stessa.402 Alcune università di alto calibro, quale il Massachusetts Institute of

Technology (MIT), si sono già attivate nel coordinare le politiche brevettuali con quelle di accesso aperto.403

399 Ibidem.

400 SUN, BAEZ, op. cit., 85-89.

401 CASO, DUCATO, Intellectual Property, Open Science and Research Biobanks, cit., 5.

402 European Commission Joint research center, IPRs, Technology Transfer and Open Science: challenges and

opportunities, 2017, 2.

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È necessario che le parti interessate trovino un punto di equilibrio tra le due politiche, poiché sono entrambe utili e necessarie a far progredire la ricerca e l’innovazione in Europa, pur essendo una strada lunga e spesso non facile. Talvolta, l’Open Science, viene intesa dai ricercatori come un onere, più che un beneficio: condividere i dati e le pubblicazioni, infatti, implica costi elevati e non tutti gli scienziati sono disposti a farlo senza averne un riscontro. La cultura della condivisione aperta dei risultati della ricerca, inoltre, non si è ancora radicata tra gli attori della comunità accademica e non è spontaneo abbandonare i tradizionali metodi di protezione forniti dagli istituti di proprietà intellettuale.404

Dovrebbe diffondersi l’idea che l’OS non è utile solo alla comunità, la quale può beneficiare della conoscenza e delle invenzioni diffuse liberamente. Essa dà, invece, un particolare contributo anche agli autori stessi: ricercatori e scienziati, non sono più costretti a concedere i diritti sui propri lavori e a limitare la circolazione degli stessi, ma hanno finalmente la possibilità di pubblicare o commercializzare il frutto del proprio ingegno come meglio credono.405