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USO DEI BIOMARCATORI NELLA GESTIONE DELL’ASMA

Poiché l’asma è definita come una malattia in cui il processo infiammatorio delle vie aeree sta alla base delle manifestazioni cliniche della malattia, ne deriva che la misurazione del tipo e del grado di infiammazione bronchiale potrebbe essere utile alla valutazione della malattia. Da quando le recenti conoscenze hanno evidenziato il ruolo chiave dell’infiammazione nella patogenesi della malattia, sono effettuati numerosi tentativi per studiare l’infiammazione bronchiale nell’asma. Lo sviluppo di metodiche non invasive ha permesso lo studio di questo particolare aspetto, fornendo informazioni importanti per la comprensione dei meccanismi che stanno alla base di questa patologia.

In particolare sono stati presi come parametri della valutazione dell’infiammazione bronchiale: la ipereattività bronchiale, l’ossido nitrico (NO) nell’aria espirata e gli eosinofili nell’espettorato indotto. Alcuni autori hanno poi studiato la possibilità di usare questi marcatori nella pratica clinica ponendo come obiettivo della terapia non solo il miglioramento delle condizioni cliniche del paziente e della funzione polmonare, ma anche la riduzione dell’infiammazione bronchiale misurata attraverso queste metodiche. L’obiettivo è quello di capire se riducendo l’infiammazione bronchiale si ottiene un miglior controllo della malattia asmatica. Purtroppo gli studi fino ad ora effettuati hanno ottenuto risultati contrastanti e non ci permettono di utilizzare i marcatori dell’infiammazione come parametri validi nella pratica clinica.

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Sont si è posto come obiettivo quello di migliorare il controllo clinico dell’asma utilizzando l’ipereattività bronchiale come ulteriore guida, oltre ai sintomi e alla funzione polmonare, nel trattamento dell’asma a lungo termine. Per fare ciò sono stati selezionati 75 adulti con diagnosi di asma lieve e moderato, e sono state eseguite visite periodiche ogni 3 mesi per due anni; ad ogni visita è stato valutato il FEV1 ed è stato effettuato il test alla metacolina per valutare l’ipereattività bronchiale, e nel periodo che intercorrente tra una visita e l’altra è stato fatto compilare un diario dove venivano appuntati i sintomi, la necessità di utilizzare β2 agonisti e la misura del picco di flusso. La terapia con corticosteroidi è stata regolata con un approccio a step in base al grado di ipereattività ottenuto con il test alla metacolina. Inoltre, all’ingresso nello studio e dopo due anni è stata effettuata biopsia bronchiale mediante broncoscopia con fibroscopio. I pazienti trattati in base alla valutazione dell’ipereattività bronchiale hanno avuto un numero di riacutizzazioni minore rispetto al gruppo di controllo. Anche il FEV1 è migliorato in misura maggiore

nei pazienti trattati in base alla valutazione dell’ipereattività bronchiale rispetto al gruppo di controllo. Alla biopsia bronchiale i pazienti del primo gruppo hanno evidenziato inoltre una riduzione dello strato reticolo subepiteliale rispetto al gruppo di controllo. In conclusione la valutazione dell’ipereattività bronchiale, insieme al controllo dei sintomi e della funzione polmonare, determina un miglior controllo della malattia asmatica. Ciò implica un ruolo per il monitoraggio dell’ipereattività bronchiale o di altri marcatori dell’infiammazione nella gestione a lungo termine dell’asma.

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Figura 9

Smith invece ha preso come parametro di riferimento l’NO nell’aria espirata, oltre ai sintomi e alla funzione polmonare, come alternativa per l’adeguamento della terapia con corticosteroidi inalatori. Sono stati studiati 97 pazienti con asma che ricevevano terapia con corticosteroidi inalatori; la dose di corticosteroidi è stata regolata in step in base alla valutazione dell’NO nell’aria espirata, oppure con un algoritmo basato sulle linee guida e valutando solo il controllo clinico e funzionale. Dopo che la dose ottimale di corticosteroidi è stata determinata, i pazienti sono stati controllati per 12 mesi. Sono state poi valutate la frequenza delle riacutizzazioni nei due gruppi e la dose quotidiana di corticosteroidi. Alla fine del periodo di studio è stato osservato che la dose giornaliera di corticosteroidi inalatori nei pazienti in cui veniva valutato anche l’NO era di 370 µg/die, mentre nel gruppo trattato secondo le linee guida era di 640 µg/die . Il tasso di riacutizzazioni era di 0.49 episodi per paziente nel gruppo in cui veniva valutato l’NO e di 0.90 per paziente nel gruppo di controllo, che però non rappresenta una riduzione significativa. Non c’erano differenze significative negli altri marker del controllo dell’asma, uso di prednisone per via orale, funzione polmonare e

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livelli di infiammazione polmonare misurata con la conta degli eosinofili nell’espettorato indotto. In conclusione l’utilizzo della valutazione dell’NO permette di utilizzare dosi di corticosteroidi inalatori più basse ma non influenza significativamente il controllo dell’asma.

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Anche Shaw nel suo studio ha valutato l’utilizzo dell’NO nell’aria espirata per titolare la dose di corticosteroidi inalatori, per valutare il numero di esacerbazioni e la dose di corticosteroidi inalatori necessaria a controllare la malattia, rispetto al gruppo trattato secondo le linee guida. Centodiciotto pazienti sono stati divisi in due gruppi in terapia con corticosteroidi basata: sulla misurazione dell’NO per 58 pazienti, e sulle linee guida per 60 pazienti. I pazienti venivano valutati mensilmente per i primi 4 mesi e poi ogni due mesi per i restanti otto mesi. La media stimata della frequenza di riacutizzazioni è stata dello 0.33 per paziente per anno nel gruppo in trattamento valutando l’NO e dello 0.42 nel gruppo di controllo. In conclusione la strategia di trattamento dell’asma basandosi sull’NO nell’aria espirata non determina un significativa riduzione delle riacutizzazioni e nella somma totale del corticosteroide inalatorio somministrato nei 12 mesi di studio rispetto all’utilizzo delle linee guida.

Figure 4. Cumulative exacerbations in the control (dotted

line) and FENO (solid line) groups.

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Green ha valutato invece i livelli di eosinofili nell’espettorato come obiettivo della terapia rispetto all’utilizzo, in base alle linee guida, solo dei sintomi e delle funzionalità polmonare. Sono stati reclutati 74 pazienti di cui un gruppo è stato trattato valutando gli eosinofili nell’espettorato e un gruppo invece è stato trattato secondo le linee guida. I pazienti sono stati sottoposto a nove visite in 12 mesi. L’obiettivo dello studio era quello di valutare il numero di riacutizzazioni misurando l’eosinofilia nell’espettorato. La conta degli eosinofili nell’espettorato era del 63% in meno nei pazienti in cui veniva utilizzato questo parametro per il dosaggio della terapia rispetto ai pazienti in cui la terapia veniva stabilita in base alle linee guida. Nei pazienti del gruppo di studio anche il numero di riacutizzazioni era minore rispetto ai pazienti del gruppo di controllo. La dose giornaliera di corticosteroidi somministrata per via orale o per via inalatoria non era significativamente diversa nei due gruppi. In conclusione la strategia di trattamento che mira a ridurre la conta degli eosinofili nell’espettorato riduce le riacutizzazioni asmatiche senza la necessità di ulteriori trattamenti.

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Anche Jayaram, ha valutato nel suo studio l’utilizzo dei livelli di eosinofili nell’espettorato per guidare la terapia nei pazienti con asma allo scopo di ridurre le riacutizzazioni. Nello studio sono stati osservati 117 pazienti con asma, sono stati divisi in due gruppi. In un gruppo la strategia di trattamento si basava sui sintomi e la spirometria, come previsto dalle linee guida. Nell’ altro la conta degli eosinofili nell’espettorato era usata per guidare la terapia con corticosteroidi con l’obiettivo di mantenere la conta degli eosinofili al di sotto del 2%. I sintomi e la spirometria, e la frequenza delle riacutizzazioni, venivano usati per valutare il controllo della malattia. Lo studio è diviso in due fasi nella prima fase è stata individuata la dose minima di corticosteroidi necessaria per raggiungere il controllo della malattia, nella seconda fase il trattamento è stato mantenuto per i due anni successivi. I primi risultati sono stati una riduzione del rischio di riacutizzazioni, e un allungamento del tempo tra una riacutizzazione e l’altra. Gli autori hanno anche esaminato la gravità delle riacutizzazioni e la dose cumulativa di corticosteroidi necessari per la terapia. La durata e il numero delle riacutizzazioni era simile nei due gruppi nella prima fase. Nella seconda fase ci sono state 126 riacutizzazioni di cui 79 nel gruppo sottoposto a strategia clinica e 47 nel gruppo in cui veniva controllata l’eosinofilia nell’espettorato. La maggior parte delle 126 riacutizzazioni sono state lievi. La maggior parte delle riacutizzazioni in cui la conta la conta degli eosinofili sull’espettorato è stata fatta prima di qualsiasi trattamento non sono state accompagnate da un aumento degli eosinofili nell’espettorato. Nei pazienti in cui veniva effettuata la conta degli eosinofili dell’espettorato, la prima riacutizzazione è avvenuta più tardi rispetto al gruppo di controllo, specialmente in quei pazienti in cui era richiesto trattamento con β2 agonisti a lunga durata d’azione, ed inoltre anche la dose di corticosteroidi inalatori era ridotto durante le riacutizzazioni. Questo beneficio è stato visto soprattutto in quei pazienti che necessitano di trattamento con

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corticosteroidi inalatori in una dose giornaliera di 250 mg di fluticasone. La dose cumulativa di corticosteroidi è stata simile in entrambi i gruppi. In conclusione il monitoraggio degli eosinofili nell’espettorato ha trovato beneficio nei pazienti con asma moderato o grave riducendo il numero delle riacutizzazioni associate ad aumento degli eosinofili nell’espettorato e riducendo la severità delle riacutizzazioni sia eosinofiliche che non eosinofiliche senza aumentare la dose di corticosteroidi totale. Non ha avuto invece influenza sulla frequenza delle riacutizzazioni non eosinofiliche che sono state quelle che si sono presentate con maggiore frequenza.

Figura 13

Alla luce di questi risultati contrastanti tra di loro, resta ancora aperto il quesito sull’utilità o meno della valutazione degli indici di infiammazione nell’approccio terapeutico al paziente asmatico.

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