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Utilizzo di coloranti ad elevata sensibilità associati a tamponi ad alta

CAPITOLO 4 – Determinazione quanti-qualitativa della proteinuria

4.3 Metodi qualitativi

4.3.2 Tecniche elettroforetiche

4.3.2.1 Elettroforesi zonale

4.3.2.1.2 Utilizzo di coloranti ad elevata sensibilità associati a tamponi ad alta

concentrati.

Una delle colorazioni più utilizzate è l’oro colloidale che garantisce un’elevata riproducibilità oltre a essere semplice e pratico nell’utilizzo. A seconda del tipo di substrato e di colorante utilizzato è possibile optare per una lettura visuale o densitometrica (12) . (Fig. n. 13 )

Fig. n. 13: Sezione A: schematizzazione dl quadro complessivo del tracciato elettroforetico; procedendo verso destra, le proteine vengono suddivise anche in base al peso molecolare. La linea verticale (all’estremità destra della figura) traccia le aree di migrazione secondo le quali vengono normalmente separate le proteine. Sezione B: schemi di alcune possibili letture densitometriche relative ai principali pattern di proteinuria.

Questa figura mostra la separazione delle proteine urinarie attraverso l’elettroforesi zonale e si può intuire che la lettura densitometrica

consente solo una sommaria distinzione dei diversi pattern di proteinuria sia perché nella stessa area di migrazione (α1, α2, ß1, ß2, γ) possono coesistere proteine di diverso peso molecolare che rappresentano diverse sedi di lesioni, sia perché alcune proteine, dotate di carica elettrica eterogenea, costituiscono bande sfumate e non nitide la cui lettura è sottostimata e difficoltosa. Ad esempio il marker

tubulare α1-microglobulina si presenta come una banda sfumata lungo

tutta l’area α1. La sua identificazione è difficoltosa a causa della

sovrapposizione dell’ α1-antitripsina, proteina di peso molecolare

maggiore che invece costituisce una banda nitida.

Albumina, transferrina, proteina legante il retinolo e ß2 –microglobulina formano invece bande ben definite. Tale caratteristica insieme al fatto che in tale zona si localizzano altre proteine a più elevato peso

molecolare, come ad esempio l’ α1-antitripsina, rende relativamente

indaginosa la sua evidenziazione anche nell’immunofissazione. La coesistenza di proteine di differenti pesi molecolari nella medesima area di migrazione, può costituire una reale difficoltà nell’interpretazione dei tracciati elettroforetici così ottenuti.

Le proteine di origine tubulare danno luogo ad un tracciato elettroforetico caratterizzato dalla presenza di molteplici bande la cui posizione nella migrazione non corrisponde a quella del profilo sierico. La concentrazione modesta delle microproteine nel siero infatti, non

porta alla formazione di bande nitide e visibili, contrariamente a quanto avviene esaminando l’urina in presenza di un danno tubulare che ne determina il mancato riassorbimento e la conseguente aumentata eliminazione.

Impiegando l’elettroforesi zonale è possibile individuare delle modificazioni all’interno di aree di migrazione ma non è possibile individuare i singoli marker proteici.

Anche l’interpretazione visiva del tracciato è rischiosa perché in medicina veterinaria non è stato delineato un tracciato di riferimento.

4.3.2.1.3 Immunofissazione

Questa tecnica prevede che il medesimo campione venga fatto correre contemporaneamente più volte su un supporto di agarosio o di cellulosa. Dopo la separazione elettroforetica, una corsa viene fissata e colorata ( in essa sono evidenti tutte le bande e viene utilizzata come riferimento) mentre le altre vengono poste in contatto con anticorpi monospecifici per deposizione o immersione. Gli anticorpi diffondono nel gel e formano complessi insolubili. Durante le successive fasi di lavaggio nel gel rimangono solo questi complessi che, una volta colorati, vengono evidenziati come bande. Confrontando le posizioni e la morfologia è possibile localizzare ogni singola banda nella corse di riferimento.

Il vantaggio di questa tecnica consiste nel fatto che è possibile interpretare il tracciato ottenuto senza un campione di controllo, in quanto vengono fissate e colorate unicamente le proteine marcate con l’antisiero. Questo indica che è possibile identificare con certezza la presenza delle proteine coniugate con gli anticorpi specifici, siano esse di origine glomerulare, tubulare o catene leggere(12) .

4.3.3 SDS-elettroforesi

L’SDS-elettroforesi è una metodica particolare che utilizza un eccesso di detergente anionico sodio dodecil solfato (SDS) per convertire le proteine in complessi proteina-SDS. In questi complessi la naturale conformazione della proteina è disgregata in modo che queste assumano tutte la stessa conformazione e la stessa carica elettrica negativa costante per unità di massa. Quando tali complessi, di forma ellissoidale, con asse maggiore proporzionale alla massa molecolare della proteina, sono processati elettroforeticamente su un supporto, le proteine che li compongono si separano in funzione del loro peso molecolare. La migrazione elettroforetica è proporzionale al raggio molecolare effettivo e quindi alla massa della proteina(13).

L’elettroforesi in presenza di SDS separa quindi le proteine principalmente in base alla massa molecolare e i polipeptidi più piccoli migreranno più velocemente. Dopo aver effettuato l’elettroforesi, le

proteine possono essere visualizzate mediante il trattamento con un colorante come il blu di Coomassie, che si lega alle proteine e non al gel. Quando viene confrontata la posizione di una proteina sconosciuta con quella di proteine a massa molecolare nota (vengono sottoposte all’elettroforesi proteine standard), questo sistema diventa un valido metodo per stabilire la massa molecolare di quella proteina.

Il metodo attualmente più risolutivo ed applicabile in campo diagnostico è quello che utilizza come supporto il gel di agarosio: in tampone neutro (pH 7,0 ± 0,1) SDS, la metodica consente di separare le proteine urinarie secondo il loro peso molecolare (massa), e non per carica, e di distinguere quindi facilmente sul tracciato le proteine di origine tubulare da quelle di origine glomerulare (5) . (Fig. n. 14 )

Fig. n.14: proteine separate mediante SDS-PAGE. La figura mostra in modo schematico come le proteine a basso, medio ed alto peso molecolare risultino nettamente separate tra loro in tre zone distinte.

Il limite di sensibilità per ogni singola frazione proteica è di 15 mg/l. Permette di identificare le proteine urinarie con peso molecolare compreso tra 12 kDa e 900 kDa.

4.3.3.1 SDS-PAGE

Questa tecnica può essere eseguita su gel di poliacrilamide prendendo il nome di SDS-PAGE.

E’ una metodica altamente sensibile (0,1-0,5 µg di proteina/campione per la colorazione con il Blue Coomassie e 1-10 ng di proteina/campione per il Silver Stain) e non richiede la concentrazione del campione. Inoltre rispetto alle altre tecniche analitiche rileva meglio le proteine a basso peso molecolare, offrendo una classificazione dettagliata e corretta del pattern di proteinuria (14) .

I gel sono costituiti da polimeri di acrilamide e bisacrilamide (poliacrilamide) legati tra loro a formare un fine reticolo tridimensionale all’interno del quale migrano e si separano le proteine. E’possibile ottenere gel con pori di dimensioni differenti, variando le concentrazioni dei monomeri. La scelta delle dimensioni dei pori dipende dagli scopi prefissati. Se l’obiettivo è separare molecole di dimensioni elevate, come in caso di proteinuria glomerulare, vengono utilizzati gel con pori ampi, mentre se l’interesse è spostato verso le proteine di piccole dimensioni, come in caso di proteinuria tubulare, le

dimensioni dei pori devono essere ridotte. La migliore soluzione per gli studi sui pattern di proteinuria è il gel a gradiente di concentrazione dove durante la migrazione ogni molecola si ferma all’altezza di un poro limite caratterizzato da un diametro inferiore a quello della molecola stessa. Questi gel a gradiente garantiscono una buona separazione elettroforetica di proteine con peso molecolare compreso tra i 10.000 e i 250.000 Da e, conseguentemente, una visione complessiva del pattern di proteinuria.

Durante le migrazioni i campioni vengono fatti correre parallelamente a standard contenenti proteine a peso molecolare noto che costituiscono un ottimo riferimento per l’interpretazione del pattern.

Anche questa metodica consente una lettura visiva o densitometrica. La lettura visiva, basata sulla valutazione dell’intensità del colore della banda esaminata, indicativa della concentrazione, e il confronto della sua posizione con le bande dello standard, è affidabile e consente la distinzione tra macromolecole e micromolecole e, con una certa approssimazione, tra i pesi molecolari delle singole bande. Tuttavia non è possibile effettuare una sicura identificazione delle bande proteiche attraverso un’interpretazione visiva dell’SDS-PAGE: la limitata estensione delle corse elettroforetiche (pochi cm in cui vengono separate tutte le proteine) e la possibile presenza di bande caratterizzate da peso molecolare pressoché sovrapponibile (differenza di 1.000-3.000

Da) sono elementi che impongono cautela.

L’interpretazione dei tracciati risulta molto semplice: Schultze e Jensen(4) hanno eseguito degli studi su campioni di urina provenienti da cani sani e senza proteinuria e hanno determinato che il rilievo di tre bande elettroforetiche nell’intervallo di peso molecolare che va da 65 a 100 kDa è un reperto fisiologico(15) . (Fig. n. 15)

Figura n. 15 : A: SDS- PAGE di urine provenienti da cani sani. B: lettura densitometrica di urine provenienti da cani sani.

Le proteine al di sotto di 69.000 Da sono quelle a basso peso molecolare e quindi di origine tubulare, quelle con peso molecolare tra 69.000 e 76.000 Da (a medio peso molecolare) e quelle sopra a queste (ad alto peso molecolare) sono di origine glomerulare.

rappresentative sono l’albumina (p.m. 69.000 Da), la transferrina (p.m.

80.000 Da), le IgG (p.m. 160.000 Da) e la ß2-macroglobulina (p.m.

850.000 Da). La loro presenza è indicativa dell’entità del danno subito dal filtro glomerulare, le cui “maglie” allentate possono consentire il passaggio di proteine con elevato p.m. (16) .

La proteinuria glomerulare è perciò caratterizzata dall’aumento della concentrazione di proteine plasmatiche nelle urine; la quota filtrata eccede la capacità di riassorbimento tubulare che peraltro non è compromessa. Se il difetto di permeabilità glomerulare è di modica entità, filtreranno soprattutto proteine con peso molecolare non superiore a 100.000 Da. Sarà quindi una proteinuria selettiva caratterizzata principalmente dalla presenza di albumina e transferrina che saranno prevalenti rispetto alle IgG, presenti in minima quantità. Se il danno strutturale è più grave, il filtro glomerulare perde progressivamente la sua selettività: si riscontra una proteinuria non selettiva, in cui si aggiungono importanti quote di molecole con p.m. maggiore (100-400 kDa). In questo caso la quota di IgG è simile a quella dell’albumina.

Il riscontro nelle urine di alcune proteine caratterizzate da un basso peso molecolare è indice di danno tubulare. L’albumina rappresenta, in questi casi, solo una piccola parte delle proteine urinarie totali.

ß2 –microglobulina: è una proteina globulare con p.m. di 12.000 Da, la cui attività biologica fa parte del sistema di istocompatibilità. Il suo riscontro nelle urine è un indice assai affidabile di nefropatia tubulare, ma il suo impiego è limitato dalla sua labilità. Tale proteina va infatti incontro a rapida degradazione in un ambiente a pH acido.

Proteina legante il retinolo (RBP): ha un p.m. pari a 21.000 Da e

circola nel sangue legata alla prealbumina con funzione di trasporto nei confronti della vitamina A. La maggiore resistenza al pH urinario costituisce un vantaggio nell’utilizzo di questa proteina quale indicatore di lesione tubulare.

α1 –microglobulina: è una proteina plasmatica con p.m. pari a 33.000 Da dalla funzione fisiologica incerta. Gli epatociti e i linfociti sono indicati come sedi della sua sintesi. Nel siero la α1 –microglobulina è presente in forma libera e associata alle IgA, solo la frazione libera è filtrata a livello glomerulare. L’identificazione di questa proteina come indicatore di danno tubulare ha offerto alcuni vantaggi determinati dalla sua notevole resistenza al pH urinario, nonché dai valori di eliminazione urinari maggiori rispetto a quelli della ß2 –microglobulina e della RBP.

Altre proteine plasmatiche rappresentative della proteinuria tubulare

sono la ß1 –glicoproteina acida (p.m. 44.000 Da) e il lisozima (p.m.

Un insulto infiammatorio, ischemico o tossico può condurre ad alterazioni ultrastrutturali, metaboliche e biochimiche a carico degli elementi cellulari del tubulo prossimale.

Conseguentemente, il danno della cellula, la sua frammentazione, la perdita o l’aumento della permeabilità di membrana può portare ad un incremento nell’eliminazione di determinati componenti cellulari quali, ad esempio, alcuni enzimi(11) . Particolare interesse è stato rivolto verso la ß-N-acetilglucosaminosidasi (NAG)(11) (17) (p.m. 140.000 Da), enzima riscontrabile a livello dei lisosomi del tubulo prossimale e rilasciato nelle urine a seguito di alterazioni cellulari ivi localizzate. La sua attendibilità quale indicatore è però messa in discussione in alcuni studi

che comparano la sua attività con la presenza di ß2 –microglobulina

nelle urine di pazienti umani affetti da disordini sia glomerulari che

tubulo-interstiziali primari. Mentre la concentrazione di

ß2 –microglobulina era significativamente più elevata nei pazienti con

disordini tubulo-interstiziali rispetto a quelli affetti da danni glomerulari, non altrettanto poteva dimostrarsi per il NAG, in quanto la sua eliminazione non differiva nei due gruppi di pazienti.

L’ipotesi è che l’enzima possa essere eliminato nelle urine anche in corso di gravi glomerulopatie non selettive, qualora il filtro glomerulare gravemente danneggiato lasci filtrare anche molecole plasmatiche a elevato p.m..

La medesima ipotesi può essere formulata anche nel gatto. In uno studio effettuato(11), infatti, è stato riscontrato un aumento di NAG nelle urine di gatti “pathogen free” 15-20 giorni dopo l’induzione di una glomerulonefrite immunomediata attraverso l’inoculazione di albumina umana. Lo studio documentava però unicamente i rilievi istopatologici glomerulari mentre non descriveva i danni tubulari.

Il pattern tubulare può evidenziare anche una proteinuria tubulare incompleta (presenza di microproteine con p.m. compreso tra 69.000 e 22.000 Da) e completa ( presenza di microproteine con p.m. compreso tra 69.000 e 11.000 Da o addirittura inferiore) (11) .

Esiste anche il pattern misto: macromolecole (glomerulari) associate a micromolecole (tubulari). Questo pattern è il riscontro più frequente nella pratica clinica. Alla base di tali riscontri sta il fatto che molte forme di glomerulonefrite primarie si manifestano con una proteinuria di notevole entità che, a sua volta, sembra essere correlata a un

successivo danno tubulo-interstiziale. In medicina umana uno studio(11)

effettuato su 89 pazienti affetti da sindrome nefrosica dimostra come le proteinurie non selettive siano significativamente associate a estesi danni tubulo-interstiziali, probabilmente a causa di una tossicità intrinseca della proteinuria stessa sulle cellule tubulari. Sempre nell’uomo in corso di glomerulonefrite membranosa, il danno tubulo- interstiziale risulta significativamente più elevato nei soggetti che

presentano escrezione urinaria di IgG rispetto alle sole albumina e transferrina, facendo supporre una tossicità delle IgG. Secondo altre teorie, le lesioni potrebbero essere mediate da fattori del complemento, la cui presenza nel lume tubulare dipende dalla selettività della proteinuria oltre che dal p.m. dei diversi componenti (per esempio C4, 206 kDa; C3 e C5, 180 kDa; C8, 163 kDa): è stata infatti suggerita la possibilità di una attivazione intratubulare del complemento.

All’interno del pattern misto poi può avere una certa importanza considerare il p.m. delle proteine tubulari riscontrate. Sempre in medicina umana infatti, alcuni studi hanno sottolineato la correlazione esistente tra la presenza di microproteine tubulari con p.m. < 23.000 Da e l’evoluzione a insufficienza renale cronica oltre che con la rapidità della progressione.

4.3.3.2 SDS-AGE

I gel di agarosio sono stati impiegati per molti decenni per effettuare la separazione delle proteine. Sebbene siano particolarmente utili per separare le proteine di peso molecolare maggiore e i complessi proteici, il loro principale inconveniente consisteva nella mancanza di una sufficiente risoluzione per analizzare le proteine dotate di un peso molecolare inferiore a 30 kDa. Ultimamente è stato trovato un metodo per superare tale svantaggio. Non solo questo sistema separa le proteine

dotate di basso peso molecolare ma possiede anche parecchi vantaggi rispetto alla SDS-PAGE(18) :

1) non sono usati componenti tossici nella preparazione del gel

2) riesce a separare le proteine il cui peso molecolare va da 6 a oltre 200 kDa usando una sola concentrazione del gel

3) la colorazione delle bande proteiche impiegando il Blu Coomassie brillante è uniforme ed ha una sensibilità 50 volte superiore comparandola con SDS-PAGE colorato nelle stesse condizioni

4) la separazione di qualche tipo di proteina poi risulta essere migliore impiegando il gel di agarosio

5) il trasferimento delle proteine alla membrana di nitrocellulosa, impiegata nella metodica del Western blotting, è migliore quando viene effettuato a partire dal gel di agarosio rispetto a quello di poliacrilamide 6) la stabilità dell’agarosio permette al gel di essere conservato per lunghi periodi di tempo.

E’ stato effettuato uno studio(18) per comparare i due tipi di elettroforesi. Un gruppo di proteine è stato separato sia impiegando il gel di agarosio che quello di poliacrilamide ad un gradiente dal 4 al 20%. In entrambi i casi le proteine che possedevano un peso molecolare tra 6,5 e 205 kDa sono state separate, ma alcune proteine come l’ovalbumina (45 kDa) hanno dato origine nel gel di poliacrilamide a delle bande non nitide a differenza di quanto è accaduto nel gel di agarosio. Come già detto in

precedenza, lo studio ha poi evidenziato che la colorazione con il Blu Coomassie brillante è più uniforme e intensa nel gel di agarosio: la colorazione dell’ovalbumina è 50 volte più sensibile rispetto a quella effettuata nel gel di poliacrilamide.

Per quanto riguarda la metodica del Western blotting, il trasferimento di proteine dotate di un peso molecolare tra 25 e 100 kDa è efficiente a partire da entrambi i gel ma per proteine che presentano un peso molecolare superiore a 150 kDa è migliore se effettuato a partire da un gel di agarosio. Inoltre impiegando il gel di agarosio il trasferimento delle proteine alla membrana di nitrocellulosa si completa in 30 minuti mentre con il gel di poliacrilamide occorre il doppio del tempo per completare il passaggio.

Comparando inoltre l’efficienza di un gel di agarosio fresco e di uno conservato a 4°C per 12 mesi si denota che non esiste differenza apprezzabile tra i due gel, mentre il gel di poliacrilamide non è funzionale dopo 4 mesi a 4°C e anche dopo 3 mesi la mobilità dei frammenti più piccoli è notevolmente diminuita(18) .

4.3.4 Isoelettrofocalizzazione (IEF)

Con questa tecnica composti anfoteri, come aminoacidi e peptidi, vengono separati in un campo elettrico lungo il quale viene stabilito un gradiente di potenziale e di pH. Il gradiente di potenziale viene

mantenuto stabile.

La regione anodica (+) è quella più acida e quella catodica (-) quella più basica. Gli estremi di pH vengono scelti sulla base dei punti isoelettrici (pI) dei componenti da separare (14) .

I composti che vengono caricati in una zona di pH inferiore al loro pI sono carichi positivamente e migrano verso il catodo fino a quando raggiungono il proprio pI, mentre quelli caricati in una zona di pH superiore al proprio pI migrano verso l’anodo fino a raggiungere il proprio pI. Dato che i singoli componenti si muovono comunque verso il proprio pI non ha alcuna importanza il punto di applicazione del campione.

E’ una tecnica dotata di un elevatissimo potere risolutivo e dal momento che poche proteine presentano lo stesso pI è estremamente sensibile per separare ed identificare le proteine. Viene impiegata in particolare nella separazione degli isoenzimi: infatti è sufficiente una differenza in punti isoelettrici di sole 0,01 unità di pH per ottenere una separazione apprezzabile.

Il gradiente stabile di pH tra gli elettrodi viene realizzato con una miscela di anfoliti a basso peso molecolare aventi punti isoelettrici che coprono l’intervallo desiderato. Gli anfoliti sono acidi alifatici poliamino-policarbossilici e sono disponibili in miscele che coprono o un ampio (da 3 a 10) o ristretto (da 4 a 5) intervallo di pH.

La separazione può essere condotta o su colonna verticale o su lastra orizzontale di gel (19) .

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