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a […] perché non vada a male il ragazzo che tengo nel ventre […]

Capitolo III. Progetti di internamento coatto nell’Italia Settecentesca: il caso d

4.11. a […] perché non vada a male il ragazzo che tengo nel ventre […]

In un primo momento, nel Reclusorio bolognese, vennero accolte donne che avevano commesso reati inerenti alla sfera sessuale, ma una lettura attenta dei

181 documenti rivela una realtà molto più articolata, rispetto a quella deducibile dal Regolamento.

Già a partire dall’anno 1829 il criterio quantitativo e qualitativo di internamento cominciò a variare, aspetto che ci fa riflettere su come i regolamenti siano destinati ad essere ripensati nel corso del tempo. La reclusione nel Discolato, calata nella dimensione del suo funzionamento quotidiano, in realtà cominciò a deviare dal chiaro intento punitivo, modificando anche in modo rilevante il significato stesso dell’internamento.

Il Reclusorio offriva un contesto in cui le pratiche correzionali e le pratiche assistenziali spesso si confondevano tra loro, ed in cui comunque - anche se non esplicitamente dichiarato - la dimensione assistenziale diventava quella predominante.

Sulla base dei dati analizzati, occorre far presente che, all’interno del Reclusorio, nel corso degli anni, emergono nuove categorie di recluse. Basti considerare l’assistenza elargita alle donne incinte (13,98 %), giustificata come una necessaria forma di protezione. In tal senso, appare emblematico il caso di Marianna Gennasi che ricostruisce in questi termini i motivi alla base del suo internamento:

“Credo che sarà stato perché non vada a male il ragazzo che tengo nel ventre, non sapendo più l’ora del parto e sapendo la Polizia che non ho mezzi da poter soddisfare la Casa degli Esposti, si sarà voluto assicurare della mia persona, per non perdere il ragazzo che starà per nascere, questi è quanto posso credere che mi abbiano fatto mettere in questa Casa”431.

Le donne gravide recluse venivano poi ospitate nell’Ospedale degli Esposti, mostrando evidenti collegamenti tra le due istituzioni:

182 “Nella scorsa notte […] la reclusa Genassi Marianna diede alla luce un bambina la quale […] è stata portata alla Pia Casa degl’Esposti. Per il giorno 17 la Mamana ha fatto credere che si potrà eseguire il trasporto della med.ma Genassi alla Casa indicata […] per essere destinata al baliaggio”.

Figura n.9. Bolletta della reclusa Marianna Gennasi432

183 Molto simile il caso di Menzardi Anna:

“Cert’Anna Menzardi servente di campagna, giovane di scarso intelletto fu vittima di uomo libertico che profittando della costei semplicità la rese incinta ed ora trovasi nel quinto mese di gravidanza. Lo stato infelice di sua cognizione, a cui si aggiunge la presente sua situazione hanno per tal motivo alterato il di lei fisico[…] in tal stato di cose avendo io invocata la Superiore autorizzazione ho ottenuto di poter collocare detta donna in via di semplice deposito e non già come reclusa in codesto Stabilimento fino a che dal Tribunale competente al quale mi accingo di rimettere gli atti relativi sia deciso a chi spettar debba l’obbligo di pensare in seguito al di lei mantenimento”433

Nel Regolamento poi non viene mai enunciata la dicitura “in semplice custodia”, o “in deposito” ritrovata, invece, all’interno del Registro e dei fascicoli personali analizzati, rappresentati rispettivamente dal 2,87% e dal 26,88% dei casi (graf. 7). Risulta, inoltre, che tali recluse non venivano assoggettate alla “solita disciplina”, all’interno dell’istituto correzionale; lo testimonia la lettera di ammissione al Discolato della reclusa A. Giustini:

“Faccio accompagnare col mezzo del Signor Commissario del quartiere di S.Giovanni in Monte a codesto Stabilimento per ordine di S. E. V. il S. Cardinale Legato… certa A. Giustini perché sia ivi ricoverata e provveduta di lavoro senza assoggettarla alla disciplina di vigore, ma però senza permetterle di uscire neppure di giorno. Imperocché quantunque non si rinchiuda in codesta casa coattivamente, ma però spontanea sua dimanda non avendo tetto ove ripararsi, tuttavia la vita dissoluta e libertina condotta

184 dalla medesima la rendono meritevole di custodia finché non siansi indotti i di lei parenti a prenderne dovuta cura”434.

Nel Discolato venivano perciò internate anche ragazze che non avevano commesso alcun reato, ma spesso le motivazioni più disparate erano alla base del loro “deposito”: laddove per esempio l’abbandono morale da parte della famiglia di appartenenza non ne garantiva la sussistenza, non essendo possibile trovare una sistemazione negli altri istituti assistenziali cittadini, del resto sempre sovraffollati. Questo è il caso di Gentilini Carlotta che dichiara essere internata “perché non trovo alcuno che mi dia ricovero essendo da tutti abbandonata” e il caso di Luccarelli Teresa, detenuta in semplice deposito, “trovandosi nella necessità di pregare di essere ammessa in questo reclusorio, per trovarsi nella miserabile situazione di non avere ove ricoverarsi, né mezzi di sussistere”.

Altro il caso di Fantelli Palma che racconta: “potevo avere circa sette anni o otto al più quando un giorno di Carnevale che mia Matrigna era andata al Teatro con delle sue amiche […] e io dormivo in cameretta […] quando mi svegliai e vidi che vi era il lume nella Camera e mio padre mi aveva scoperta ed ebbi vergogna per trovarmi ignuda e […] voleva fare cose che ebbenchè fossi piccola pure conobbi essere cosa inconveniente, minacciai di gridare […]. Dopo mezz’ora ritornò nella mia Cameretta e mi fece molti discorsi fra quali mi disse che voleva essere egli il primo a servirsi di me […]”; in questo ultimo caso è evidente come l’abbandono dovesse intendersi in senso morale per il fatto che lo stare in famiglia costituiva un pericolo di promiscuità o di abuso da parte degli stessi genitori.

Questa tipologia di recluse, inoltre, godeva di un diritto quasi illimitato al ricovero, dato che, anche dopo esserne uscite, potevano farvi ritorno se si ritrovavano in condizioni negative. Ne è un esempio il caso già citato di Teresa Manzini435, che dimostra come il Reclusorio continuasse ad accogliere alcuni individui nonostante questi avessero concluso il periodo di detenzione, che

434

Ivi, fascicolo della reclusa Giustini Angiola. 435Ivi, fascicolo della reclusa Teresa Manzini.

185 versavano in condizioni disagiate innanzitutto per la mancanza di un lavoro e di una rete familiare cui potersi riferire; il fine era quello di evitare che all’esterno fossero esposti ad eventuali pericoli.