6 Tipo: a canale
C. VALERI FIRMAṆ[I]
IV. Laterizi e dolia
IV.1 Valore e significato dei bolli sull’opus doliare
Il significato da attribuire ai bolli impressi su laterizi è una delle questioni più dibattute negli studi incentrati sulle attività artigianali in epoca romana1.
Uno tra gli aspetti maggiormente indagati, basandosi in particolare sullo studio dei bolli del II sec. d.C. – i cui testi forniscono nella forma più completa l’indicazione dei domini, dei
praedia, delle figlinae, il nome degli officinatores e talora la data consolare –, è quello
economico-giuridico dei ruoli e del rapporto tra domini e officinatores.
L’immagine tradizionale2 dei domini progressivamente coinvolti nella produzione laterizia,
che costituiva l’unica attività «industriale» di cui la classe più elevata della società romana potesse apertamente occuparsi – probabilmente per la sua stretta connessione con l’agricoltura – sino a privare i liberi artigiani della loro indipendenza e a giungere, infine, al monopolio sulla produzione del più nobile tra loro, ovvero l’imperatore, venne scossa negli anni Settanta dagli studi di T. Helen3, il quale, anzitutto, rifiutò la definizione, proposta da H.
Dressel4 e tradizionalmente accettata, del termine «figlinae» come di unità di produzione,
sottoposte al dominus – cioè il proprietario della terra – e suddivise in officinae dirette da
officinatores. Riprendendo una tesi di G. Cozzo5, lo studioso finlandese sostenne infatti che
tale parola avesse prevalentemente il significato di «cave d’argilla» e che, dunque, non implicasse alcuna struttura organizzativa; la formula «ex figlinis illius» sarebbe pertanto da
1 L’aspetto più eclatante, comune a tutte le categorie dell’instrumentum domesticum, che pare confutare
un’interpretazione dei bolli come meri marchi di fabbrica, è il fatto che non tutti gli esemplari venissero contrassegnati. Su quale fosse il criterio adottato, occorre limitarsi ad avanzare ipotesi: è possibile che venissero bollati gli esemplari più esterni tra quelli messi insieme ad essiccare oppure uno ogni tanti pezzi stivati o, ancora, il primo di ogni filare.
2 Tra i principali fautori di tale ipotesi si annovera H. Bloch, che evidenziò come nel I sec. d.C., a Roma almeno,
era predominante la figura del fornaciaio privato indipendente e che solo successivamente, come esemplificato dalle vicende della figlina Marciana, il libero artigiano perse la sua indipendenza ed i piccoli proprietari di fornaci divennero impiegati dei grandi latifondisti privati o dell’imperatore. Egli inoltre sostenne che ad aumentare l’interesse dei ricchi e spesso nobili proprietari terrieri verso l’industria laterizia avesse contribuito l’ordine di Traiano – cui accenna Plinio il Giovane nella lettera VI, 19 – che imponeva ai candidati per i pubblici uffici di investire un terzo dei capitali in beni immobili in Italia. Di conseguenza, agli inizi del II sec. d.C., si sarebbe verificata una progressiva concentrazione della produzione laterizia in mano alla classe senatoria e, in seguito, una monopolizzazione da parte dell’imperatore, già conseguita in età severiana, probabile riflesso del forte accentramento del terreno agricolo nelle mani del princeps (BLOCH 1938, pp. 334-340).
3 HELEN 1975.
4 CIL XV, p. 4. Dressel comparò l’occorrenza dei termini «figlina» e «officina» nei bolli e notò che entrambi
indicavano il luogo di produzione dell’opus doliare; in particolare, la figlina sarebbe un’unità produttiva composta di varie «sezioni» o officinae.
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considerare come una semplice indicazione del luogo di produzione, così come le espressioni «ex praedis huius» ed «ex figlinis huius» si riferirebbero entrambe al proprietario del terreno6.
Da tali considerazioni T. Helen ne dedusse che i domini giocassero un ruolo marginale nella produzione, limitandosi ad affittare le terre in cui si trovavano le cave d’argilla; sarebbero stati dunque gli officinatores – persone di rango inferiore, spesso liberti, in larga parte indipendenti dal punto di vista giuridico dai domini, coi quali erano legati probabilmente da un contratto del tipo locatio-conductio rei7 – a condurre le imprese laterizie, le officinae, a produrre
mattoni, a trasportare le merci e ad avere interessi nel loro smistamento8.
In contrasto con la posizione di T. Helen si è espressa E. M. Steinby, restia ad accettare l’idea che i senatori, ma soprattutto gli equites e i domini imperiali, avessero completamente e volontariamente rinunciato al controllo di un settore centrale nell’attività edilizia quale la produzione laterizia9; per quanto riguarda il significato del termine «figlinae», la studiosa ha
riproposto l’ipotesi che esso includesse sia la cava di argilla, sia i mezzi di produzione, le fornaci e le tettoie necessarie per il funzionamento delle officine10. In quest’ottica, l’indicazione «ex
figlinis illius» preciserebbe sì il luogo di produzione, ma potrebbe anche implicare un’unità di
produzione; allo stesso tempo, l’interscambiabilità delle espressioni «ex praedis huius» ed «ex
figlinis huius» non significherebbe la comparsa del dominus sempre come mero proprietario
della terra, bensì il possesso dei praedia implicherebbe quello delle manifatture e viceversa. Quanto al rapporto tra dominus ed officinator, la studiosa ha proposto di riconoscere nelle iscrizioni su opus doliare nel II sec. d.C. una forma abbreviata del contratto del tipo locatio-
conductio operis11, che prevedeva che l’officinator venisse pagato dal dominus per produrre
una quantità pattuita di laterizi, che rimanevano pertanto proprietà di quest’ultimo, il quale provvedeva in proprio al loro trasporto e alla vendita12. In tale interpretazione, l’officinator
avrebbe mantenuto comunque il suo status di libero imprenditore, agendo per mezzo di schiavi o liberti che conducevano gli impianti produttivi ed ai quali era affidata, dietro
6 HELEN 1975, pp. 37-88.
7 Dove la «res», l’oggetto di transazione sarebbe stata la cava d’argilla ed il prodotto finito sarebbe dunque
rimasto all’officinator.
8 Cfr. HELEN 1975, pp. 108-109 e 130. 9 Cfr. STEINBY 1982, p.231.
10 Cfr. STEINBY 1982, pp. 231-232; STEINBY 1993, p. 141.
11 In tale epoca, infatti, i bolli documentano il nome del dominus, ossia il locatore, del conductor, del luogo della
produzione e dell’oggetto della produzione nonché, in area urbana e per il periodo 110-164 d.C., la datazione consolare.
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compenso, la produzione che rimaneva alla fine nelle mani del proprietario della terra, svolgendo così un ruolo attivo e primario nell’industria laterizia13.
In base a queste considerazioni, E.M. Steinby si è espressa anche sul significato dei bolli sull’opus doliare, che non avrebbero esaurito all’interno delle officine e dei tegularia che ne raccoglievano i prodotti la loro funzione; essa poteva, infatti, esprimersi su due piani: a livello produttivo, per distinguere le produzioni di officinatores che usavano le stesse figlinae – cioè per definire la quantità della loro produzione allo scopo di calcolarne il compenso o di verificare che fosse stato eseguito il lavoro pattuito – e a livello della commercializzazione, per distinguere i prodotti provenienti da diverse figlinae facenti capo alla stessa amministrazione centrale o quelli di diversi domini che usavano gli stessi tegularia14. L’esistenza stessa del bollo
viene dunque interpretata come segno di attività produttive a livello «industriale» e commerciale, e la sua funzione sarebbe stata sostanzialmente organizzativa, esaurendosi dopo la vendita del prodotto, senza dunque alcuna valenza di marchio di qualità15, dato che
era sicuramente più rapido verificare la qualità di un laterizio – che tra l’altro poteva variare notevolmente in base alla cottura – osservando l’oggetto stesso che decifrando il testo di un bollo.
D. Manacorda ritiene che l’interpretazione proposta da E.M. Steinby, pur essendo probabilmente corretta, non spieghi completamente le ragioni dell’apposizione di bolli sui laterizi16. Essa, infatti, non giustifica il perché si bollasse anche prima del II sec. d.C. – momento
in cui sui bolli comparvero i contratti – e vi fossero marchi del solo dominus o del solo
officinator; inoltre, se si fosse effettivamente trattato di una questione del tutto interna
all’organizzazione dell’impresa, parrebbe privo di senso l’utilizzo di termini giuridici. Nella loro forma più stringata, i bolli laterizi indicherebbero la proprietà dell’oggetto al momento della sua produzione, che può manifestarsi attraverso l’indicazione di proprietà17, di
13 Queste considerazioni sul ruolo del dominus non devono però essere generalizzate: sicuramente vi furono,
infatti, molti proprietari di terreni adatti che preferirono un guadagno forse meno elevato, ma comodo affidando la produzione ad un affittuario (cfr. STEINBY 1982, p. 230).
14 Cfr. STEINBY 1993, p. 141; STEINBY 1993a, p. 14.
15 Questo ruolo era già stato suggerito da T. Helen relativamente all’indicazione della figlina Marciana (HELEN
1975, p.49). Il totale rifiuto di un siffatto significato pare a chi scrive eccessivo, in quanto non giustificherebbe, ad esempio, la produzione di laterizi e lucerne con l’indicazione Mutinensis.
16 Cfr. MANACORDA 1993, p. 46; MANACORDA 2000, p. 141.
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appartenenza18 o di destinazione19. Da tali considerazioni ne deriva che non tutta la
produzione bollata era destinata alla commercializzazione e che, per la parte avviata sul mercato, la stampigliatura consentiva, invece, l’attribuzione del materiale ad un responsabile della fabbricazione. Il sistema di bollatura appare quindi prevalentemente indirizzato proprio a governare il passaggio del prodotto sul mercato: consentendo di risalire al produttore, la bollatura avrebbe permesso in questa fase di tenere sotto controllo le origini delle diverse partite ed offerto quelle garanzie qualitative e metrologiche necessarie a gestire il rapporto fra il produttore e il cliente, e in particolar modo fra industria laterizia e industria edilizia20. Il
fatto che i bolli extra-urbani siano in genere più semplici viene poi interpretato come segno di una situazione di mercato meno evoluta o soltanto più tradizionale, che tendeva a limitare le informazioni al nome del proprietario o del gestore della figlina, e talora a quello dell’officina stessa21.
Recentemente è stato proposto da M.T.Pellicioni22, come ipotesi di lavoro da sviluppare, di
sottintendere all’utilizzo nei bolli cosiddetti «di privati» di caratteri capitali simili a quelli lapidari ed al fatto che i marchi presentino frequentemente gli stessi interpunti e legature di nessi nonché lettere interpuntate, alcune delle quali molto ricorrenti, l’esistenza di una sorta di ‘tipografia ante litteram’, con personale dal buon grado di alfabetizzazione, addetto a redigere il contenuto dei testi ed una possibile presenza di organismi ufficiali preposti alla redazione ed alla registrazione dei bolli stessi23, consegnati all’atto della stipula del contratto
di appalto, o al controllo sulla produzione. Il meccanismo troverebbe applicazione soprattutto per i marchi ricompresi fra la fine del I sec. a.C. e la metà del I sec. d.C., sulla base di un’ampia casistica concernente l’intera area cispadana, nell’ambito di una generale riorganizzazione della produzione laterizia da parte del potere centrale, volta a favorire gli interessi della colonia o dell’amministrazione statale in senso lato con interventi limitativi sui quantitativi prodotti. Questo controllo avrebbe avuto inizio fin dalla fondazione dei centri urbani, e
18 Qualora il bollo riporti il committente, che può acquisire in fabbrica la proprietà del prodotto ordinato; in
questo caso è da escludere una comparsa sul mercato del materiale.
19 Nel caso in cui sul bollo sia scritto il nome dell’edificio, abitualmente pubblico o sacro, cui è destinata la
produzione bollata di laterizi. Non sarebbe dunque prevista un’immissione sul mercato di tali prodotti.
20 Tale controllo non poteva essere affidato alla libera contrattazione tra privati, ma doveva essere un’attività
pubblica che verosimilmente rientrava, nella Roma tardo-repubblicana, nell’ambito della cura Urbis affidata agli edili e, in seguito, in quello della praefectura Urbis. Tracce di questa attività nelle province possono essere riscontrate nelle funzioni amministrative svolte da Plutarco a Cheronea (PLUT., Rei publ. ger. praec., 811C).
21 Cfr. MANACORDA 2000, p. 142.
22 Cfr. da ultimo PELLICIONI 2012, pp. 15-33. 23 PELLICIONI 2012, p. 22.
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corrisponderebbe, sostanzialmente, a quello esercitato sulle più grandi figlinae dell’area deltizia e costiera, specie in età successiva24.
In particolare, il rinvenimento all’interno di una discarica presso la darsena di Cattolica, datata alla metà del III sec. a.C., di alcuni laterizi, tegole e coppi per i quali è ipotizzabile la destinazione per una presunta struttura templare25, cui ricondurre il primo impianto della
fornace, ha portato la studiosa a supporre una relazione tra l’opus doliare ed i sacra e a vedere nell’attività di tale impianto produttivo un’espressione dell’esigenza di autonomia, mezzi e manodopera da parte dei Romani per affrontare l’edificazione delle infrastrutture coloniarie,
in primis il tempio, necessità che si sarebbe sviluppata contestualmente ad ogni fase di
colonizzazione o di edificazione pubblica26.
Le aree prescelte e destinate a svolgere le funzioni sacre, oltre che amministrative, per tutta la comunità di riferimento non potevano che essere scelte in base alla loro posizione strategica ed alla presenza di elementi e risorse naturali – quali l’acqua, il legno e l’argilla – gradite alla divinità e fondamentali per lo sviluppo di attività artigianali e commerciali, fra cui quella figulinaria. Laddove questa assumeva proporzioni industriali, all’interno delle partite immagazzinate e destinate alla distribuzione, il bollo poteva contraddistinguere anche quelle consegnate come decuma, spettante in cambio dell’usufrutto degli immobili concessi all’impresa, sorta però in quanto necessaria all’approvvigionamento per il tempio/città/stato. Il tributo e il ‘con-tributo’ attraverso una percentuale di beni in natura o come prestazione lavorativa da parte di maestranze di fiducia o di personale alle dipendenze e reso come impegno e patto visibile e sottoscritto potrebbe essere quel comune denominatore contraddistinguente i fittili bollati; la conduzione dell’area e quindi della figlina, punto di amministrazione per l’attività, era ambita quale base di censo, ma ancor più se ad essa si legava il conferimento di un incarico pubblico, anche se soltanto quello di magister, ufficializzato dalla consegna del ‘tipario-sigillo’ quale segno di riconoscimento delle funzioni amministrative e di controllo, del ruolo rivestito dal soggetto in quel momento27.
24 PELLICIONI 2006, pp. 75-77. 25 PELLICIONI 2008, pp. 154-155.
26 Una relazione tra figlinae e contesti santuariali potrebbe forse essere confermata dalla proposta,
recentemente avanzata da D. Rigato, di leggere il bollo M.M presente su alcuni laterizi rinvenuti nella zona di Travo, non lontano dal noto santuario di Minerva di Caverzago, come iniziali del teonimo e delle sue epiclesi
Minerva Medica o Minerva Memor (cfr. RIGATO 2008, pp. 356-358; RIGATO 2010, p. 110). Sul problematico rapporto
tra santuari e manufatti iscritti si rimanda, più in generale, a BARATTA, MARENGO 2012.
27 PELLICIONI 2012, pp. 31-33. Significativo al riguardo è il rinvenimento, nel circondario di Bobbio, di un tegolone
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