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PARTE I DEFINIZIONI E SISTEMI DI CLASSIFICAZIONE DEGLI AGENT

3. VALORI LIMITE DI ESPOSIZIONE PROFESSIONALE

Esistono numerose possibili motivazioni per un aumento della suscettibilità individuale ad una o più sostanze chimiche, inclusi ad esempio l'età, il sesso, l'etnia, fattori genetici (predisposizione), stili di vita e abitudini personali, cure mediche o preesistenti condizioni di disturbo della salute (ad es.: aggravio dell'asma o di disturbi cardiocircolatori). La suscettibilità può dipendere anche dall'attività che il soggetto compie (lavoro pesante o leggero) o di esercizio e se queste vengono svolte a temperature troppo calde o fredde. La Documentazione per ogni TLV adottato quindi deve essere studiata ricordando che altri fattori possono modificare la risposta biologica. Esistono tre tipi di TLV:

TLV-TWA: Time Weighted Average o Valore Limite Ponderato

Rappresenta la concentrazione media, ponderata nel tempo, degli inquinanti presenti nell’aria degli ambienti di lavoro nell’arco dell’intero turno lavorativo ed indica il livello di esposizione al quale si presume che, allo stato delle attuali conoscenze scientifiche, il lavoratore possa essere esposto 8 ore al giorno, per 5 giorni alla settimana, per tutta la durata della vita lavorativa, senza risentire di effetti dannosi per la salute.

Per le sostanze per le quali viene proposto tale limite, inoltre, viene accettata la possibilità di escursioni durante la giornata lavorativa che tuttavia non dovranno eccedere di 3 volte il valore del TLV - TWA per più di 30 minuti complessivi nell’arco del turno di lavoro, e senza mai superare il valore di 5 volte il TLV - TWA.

TLV-STEL: Short Term Exposure Limit o Valore Limite per brevi esposizioni

Rappresenta le concentrazioni medie che possono essere raggiunte dai vari inquinanti per un periodo massimo di 15 minuti, e comunque per non più di 4 volte nell’arco della giornata, con intervalli di almeno 1 ora tra i periodi di punta.

Il TLV-STEL è la concentrazione alla quale si ritiene che i lavoratori possano essere esposti per breve periodo senza che insorgano: irritazione, danno cronico o irreversibile ai tessuti, effetti tossici dose risposta, narcosi di grado sufficiente ad accrescere le probabilità di infortuni o di influire sulle capacità di mettersi in salvo o ridurre materialmente l'efficienza lavorativa. Il TLV STEL non protegge necessariamente da questi effetti se viene superato il TLV-TWA. Il TLV-STEL non costituisce un limite di esposizione separato indipendente, ma piuttosto integra il TLV-TWA di una sostanza la cui azione tossica sia principalmente di natura cronica, qualora esistano effetti acuti riconosciuti

TLV-C: Ceiling o Valore Limite

Rappresenta la concentrazione che non può essere mai superata durante tutto il turno lavorativo.

Tale limite viene impiegato soprattutto per quelle sostanze ad azione immediata, irritante per le mucose o narcotica, tale da interferire rapidamente sullo stato di attenzione del lavoratore con possibili conseguenze dannose sulla persona stessa (infortuni) e/o sulle operazioni tecniche che svolge.

L'ACIGIH (American Conference of Governmental Industrial Hygenists) è del parere che i limite di concentrazione indicati per prevenire irritazione non debbano essere considerati meno vincolanti di quelli raccomandati per evitare l'insorgenza di un danno per la salute. Sono sempre più frequenti le constatazioni che l'azione irritativa può avviare, facilitare o accelerare un danno per la salute attraverso l'interazione con altri agenti chimici o biologici o attraverso altri meccanismi.

Salvo che si possa dimostrare con altri mezzi il conseguimento di un adeguato livello di prevenzione e protezione, il datore di lavoro, periodicamente, e ogni qual volta sono modificate le condizioni che possono influire sull’esposizione, provvede ad effettuare misure degli agenti chimici che rappresentano un rischio per la salute.

Ai fini di tutelare la salute nei luoghi di lavoro si attua spesso anche il monitoraggio biologico, che consiste nella misura di un indicatore chimico in un mezzo biologico delle persone esposte (sangue, urina, ecc.). Per valutare i risultati del monitoraggio si utilizzano gli IBE o Indici Biologici di Esposizione, dei valori di

concentrazione al di sotto dei quali si ritiene che la maggior parte dei lavoratori esposti non subisce effetti negativi sulla salute.

A fini della valutazione dei rischi, si considera irrilevante per la salute l’esposizione ad una sostanza se la sua concentrazione è pari o inferiore a 1/10 del TLV-TWA.

In tossicologia il termine DL 50 è l'acronimo di "Dose Letale 50" (in inglese LD 50 da "Lethal Dose 50") e si

riferisce alla dose di una sostanza, somministrata in una volta sola, in grado di uccidere il 50% (cioè la metà) di una popolazione campione di cavie (generalmente ratti, ma anche altri mammiferi come cani, quando il test riguarda la tossicità nell'uomo). Oggi questo parametro tossicologico non è più in uso per motivi etici ed economici.

Questa misurazione fu proposta per la prima volta nel 1927 da J.W. Trevan come tentativo di trovare un modo per stimare la potenzialità tossica di medicine e sostanze chimiche in generale.

Questa misurazione, dato il modo di somministrazione, è un modo per testare il potenziale tossico di una sostanza solo a breve termine (tossicità acuta) e non si riferisce alla tossicità a lungo termine (cioè dovuta a contatto con modiche quantità di una certa sostanza per lunghi periodi).

L'LD 50 viene espresso di solito come quantità di sostanza somministrata rispetto al peso dell'animale usato

come campione, normalmente mg/100g o, più spesso, in mg/kg, ovvero in milligrammi di sostanza per 100 grammi (per piccoli animali) o per chilogrammi (per animali più grandi) di peso vivo.

Per quanto riguarda sostanze gassose invece la via di ingresso è ovviamente per inalazione e viene calcolata come concentrazione di gas in grado di uccidere il 50% delle cavie in un certo lasso di tempo (LCt50), dove C è la concentrazione (espressa come parti per milione) e t è il tempo.

È definita tossica una sostanza o una miscela, in grado di produrre un effetto indesiderato su organismi viventi o di alterare in modo significativo la funzione di organi ed apparati o di comprometterne la sopravvivenza.

Un tossico può entrare nell’organismo umano attraverso la respirazione, il contatto con la pelle o perché ingerito. Gli organi del sistema respiratorio (naso, gola, trachea, bronchi, polmoni) hanno una loro capacità di difesa nei confronti dell’introduzione degli agenti chimici, il cui assorbimento varia anche in relazione allo stato fisico in cui si trova la sostanza.

Tabella 4.1 – Forma in cui l’agente chimico tossico può presentarsi

Una volta assorbita, una sostanza tossica può accumularsi in un tessuto di “deposito” dal quale viene lentamente rilasciata in circolo ed eliminata come forma libera. Il sito di deposito della sostanza tossica raramente coincide con il sito di azione. La diffusione della sostanza in siti dotati di maggiore affinità chimica, avviene grazie alle proteine plasmatiche (sangue) e dipende da vascolarizzazione, permeabilità e presenza di siti di legame.

Il viaggio del tossico nell’organismo può essere associato ad una graduale riduzione dell’azione lesiva (accumulo e neutralizzazione). Il metabolismo delle sostanze avviene principalmente nel fegato: qui vengono trasformate in altre molecole (metaboliti), che possono avere caratteristiche tossicologiche non presenti all’origine (anche più dannose del tossico originario) e acquisiscono maggiore idrosolubilità, in modo da essere rapidamente escrete con le urine.

Il danno conseguente all’azione dell’agente può manifestarsi immediatamente o dopo periodi più o meno lunghi. Nel primo caso si parla di infortunio: il danno si manifesta subito dopo il contatto con l’agente chimico. Ad esempio schizzi di acido possono causare ustioni sulla pelle. In particolare si parla di infortunio sul lavoro quando l’infortunio avviene in occasione di lavoro.

Nel secondo caso l’agente chimico provoca una malattia. La quale si manifesta dopo un certo periodo di tempo dall’esposizione (periodo di latenza), che può essere anche di molti anni nel caso dei tumori. Se la causa è riconducibile in modo dimostrato ad un’esposizione sul luogo di lavoro si parla di malattia professionale.