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Variabilità inter-test dei dosaggi FLC: problemi specifici con indici di amiloidosi AL

3. Test di laboratorio per la ricerca delle catene leggere libere

3.4 Variabilità inter-test dei dosaggi FLC: problemi specifici con indici di amiloidosi AL

Sono stati condotti studi per confrontare le prestazioni dei test FLC Freelite® e N Latex nei sieri dei pazienti con amiloidosi, che, come già detto, mostrano valori di FLC inferiori che in altri disturbi plasmacellulari. Sebbene i due test abbiano mostrato una sensibilità diagnostica simile se combinati con l'immunofissazione del siero e delle urine, sono emerse differenze analitiche significative tra i due test nell'amiloidosi  AL, poiché i valori mediani del  FLC sono significativamente più alti

32 quando misurati dal dosaggio Freelite®, mentre valori di FLC  erano simili nei pazienti con  AL amiloidosi [81,88].

Nell'amiloidosi il dFLC ha ricevuto crescente attenzione: come menzionato sopra, nel 2012 l'IMWG ha incluso un dFLC di 180 mg / l tra i principali fattori prognostici per i pazienti con amiloide AL [55], e anche una riduzione del dFLC> 50% è un criterio di risposta per i pazienti trattati con amiloidosi [51]. L'IMWG specifica che i valori si riferiscono al saggio Freelite e quindi, sebbene il test N Latex FLC mostri una sensibilità diagnostica comparabile e un valore prognostico, non può essere utilizzato per la stadiazione [48] perché con questo saggio si modificano i valori assoluti e dFLC sono più piccoli [81]. Complessivamente, anche in questo caso, nonostante una buona concordanza sulla sensibilità diagnostica, i due test mostrano un accordo non ottimale per quanto riguarda la quantificazione di FLC e le discrepanze li rendono non intercambiabili per i criteri di risposta specifici validati per ciascuno.

Un'altra scoperta che evidenzia le discrepanze tra i due test riguarda i pazienti con insufficienza renale cronica. Un rapporto FLC  esteso (0,37-3,1) è stato proposto per i pazienti con insufficienza renale cronica, quando le FLC sono misurate con il saggio Freelite [90], che rileva un aumento proporzionalmente più elevato di catene leggere libere di tipo lambda, specialmente nei pazienti con danno renale più grave (pazienti con dialisi). Viceversa, non è necessario un intervallo di riferimento esteso se si utilizza il test N Latex, perché in insufficienza renale cronica rileva lo stesso aumento sia delle catene leggere libere kappa e lambda, [69,91,92], ma si nota invece una riduzione maggiore delle catene leggere libere lambda misurato dopo la dialisi rispetto alla Freelite [92]. Per spiegare quest'ultima scoperta, che conferma la diversa sensibilità del N Latex e del Freelite per i monomeri delle FLC di tipo lambda [75,93], è stato proposto che le FLC lambda nell'insufficienza renale allo stadio terminale sono principalmente monomeri, avvicinandosi così alla clearance dell'FLC kappa che sono anche facilmente rimosse anche da membrane ad alto flusso [92].

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4. Plasmaexchange

Una procedura terapeutica che, avvalendosi di un separatore cellulare a flusso continuo, consente di separare il plasma dagli altri componenti del sangue. Il plasma viene rimosso e reintegrato con una soluzione di sostituzione con la stessa valenza oncotica ed in volume pari a quello sottratto: ad esempio albumina diluita al 5% in salina al e/o plasma fresco congelato [93]. Il plasmaexchange consente la rimozione non selettiva di una sostanza patologica (Ac, Ic, Ig, lipidi, tossici legati alle proteine plasmatiche, bilirubina) presente nel plasma ed inserita nell’eziopatogenesi della malattia [94]. Durante il PEx inoltre è possibile utilizzare un liquido sostitutivo che abbia determinate valenze terapeutiche: ad esempio il plasma quando è necessario reintegrare i fattori della coagulazione [95]. La separazione del sangue può essere eseguita mediante centrifugazione o mediante filtrazione [96]. Il primo metodo fu riportato per la prima volta nel 1914 John J.Abel e colleghi svilupparono una metodica che, utilizzando la forza centrifuga, consentiva la separazione delle componenti ematiche in base alla loro densità [97]. Nel 1983 furono introdotti i sistemi di filtrazione sviluppando una membrana con porosità di 0,2-0,5 micron capace di separare in base al peso molecolare i componenti cellulari da quelli non cellulari [98]. Entrambi i sistemi sono oggi utilizzati in tutto il mondo, anche se le banche del sangue di solito utilizzano sistemi di centrifugazione le unità di dialisi utilizzano metodi di filtrazione [99]. Secondo le linee guida dell'American Society for Apheresis (ASFA), oltre 50 malattie possono essere trattate con TPE [93]. Con l’attuale tecnologia automatizzata, per il PEx la maggior parte delle apparecchiature utilizza la forza centrifuga per separare gli emocomponenti in base alle differeti densità [100]. [Figura 12]

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FIGURA 12. Separazione plasmatica

L’ anticoagulante (ACD) è utilizzato in proporzione alla velocità di prelievo, HCT del paziente e tipologia di liquido sostitutivo. La camera di separazione può essere o la campana di Latham o una “Cintura rotante”, dove i componenti si stratificano in base alla loro densità [101]. La frazione obiettivo del trattamento, il plasma, è inviata, alla sacca di scarto mentre gli emocomponenti restanti sono reinfusi con flusso continuo o discontinuo (prelievo e reinfusione utilizzano in modo alternato lo stesso accesso venoso) al paziente uniti al liquido sostitutivo. Tutti i sistemi richiedono kit preconfezionati e monouso di sacche sterili e di tubi specifici per il separatore utilizzato. La maggior parte dei moderni separatori è a flusso continuo. La rimozione di una sostanza patogena mediante scambio di plasma è strettamente correlata alla massa plasmatica processata, alla distribuzione della sostanza tra i compartimenti intravascolare ed extravascolare e alla velocità con cui la sostanza si distribuisce tra questi compartimenti [102]. Le sostanze patogene sono distribuite sia nello spazio intra- che in quello extravascolare e la plasmaferesi, come le altre tecniche di depurazione extracorporea, rimuove sostanze solo presenti nel compartimento intravascolare. Il limite di rimozione di elementi patogeni, in una singola procedura, è determinato da quante volte la massa plasmatica è processata e dalla cinetica dell’elemento patogeno. Per rimuovere il 75% di una sostanza patogena, durante una procedura è preferibile scambiare 1.4 volte il volume plasmatico (VP),

35 quindi 2500-3500 mL circa. Questo volume non dovrebbe, quindi, essere inferiore al VP del paziente [103]. La concentrazione delle sostanze patogene può risalire dopo la procedura a causa della loro cinetica tra i compartimenti extra ed intravascolare. Per questo, la plasmaferesi dovrebbe essere ripetuta più volte, solitamente ogni 24-48 ore.

Solitamente vengono eseguiti 4-5 trattamenti di plasmaexchange, al fine di ridurre la concentrazione delle sostanze patogene di circa il 90% rispetto ai valori di base, in funzione della dimensione della particella rimossa, della sua emivita nel plasma e della velocità di sintesi. Il volume di plasma da rimuovere dovrebbe essere determinato in base alla stima del volume plasmatico (VP) del paziente. Il metodo più comune per determinare il VP è la formula di Nadler che considera il peso corporeo (PC), il sesso e l’ematocrito (Hct) [104]:

VP = PC (Kg) x 0.065 x (1-Hct)

In un paziente di circa 70 Kg e con Hct normale, questo volume è di circa 2.5-2.7 litri.

Nel plasmaexchange in particolare, il controllo dei volumi rimossi è di fondamentale importanza, e richiede un rimpiazzo quantitativamente e qualitativamente adeguato di albumina e plasma fresco congelato. Le soluzioni di albumina (al 4-5% in soluzione fisiologica o soluzioni polisaline) garantiscono un rischio minimo di reazioni anafilattiche/allergiche, e l'assenza di trasmissioni virali, ma comportano la possibilità di una coagulopatia da deplezione ed una perdita netta di immunoglobuline. Il plasma fresco congelato garantisce l'omeostasi proteica e dei fattori della coagulazione, ma aumenta notevolmente la possibilità di un rischio infettivo e di reazioni allergiche: ha quindi indicazione molto ristretta, in particolare nella terapia di alcune malattie, il prototipo delle quali è la porpora trombotica trombocitopenica [105].

Per quanto riguarda la scelta dell’anticoagulante è preferibile il citrato (ACD-formula A), mentre nella filtrazione a cascata come anticoagulante si utilizza l'eparina.

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