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DISCREPANTI DOSAGGI DI CATENE LEGGERE LIBERE IN PLASMA E URINE IN UN CASO DI DISCRASIA PLASMACELLULARE CLONALE NON MIELOMATOSA TRATTATA CON PLASMAEXCHANGE

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI RICERCA TRASLAZIONALE E DELLE NUOVE TECNOLOGIE IN MEDICINA E CHIURURGIA

SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE IN PATOLOGIA CLINICA E

BIOCHIMICA CLINICA

Direttore: Prof.ssa Silvia Pellegrini

TESI DI SPECIALIZZAZIONE

DISCREPANTI DOSAGGI DI CATENE LEGGERE LIBERE IN PLASMA

E URINE IN UN CASO DI DISCRASIA PLASMACELLULARE CLONALE

NON MIELOMATOSA TRATTATA CON PLASMAEXCHANGE

ANNO ACCADEMICO 2017/2018 CANDIDATO

Dott.ssa Elona Koni

RELATORE

Dott. essa Laura Caponi

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INDICE

RIASSUNTO ... 4

INTRODUZIONE ... 6

1. Le catene leggere e pesanti delle immunoglobuline ... 6

1.1 Il dominio variabile delle catene leggere e pesanti delle immunoglobuline ... 8

1.2 Sintesi dei domini variabili e costanti delle catene leggere e pesanti ... 10

1.3 Processo di ricombinazione somatica V(D)J ... 15

2. Il valore clinico delle catene leggere libere nei disturbi delle plasmacellule neoplastiche . 20 2.1 Catene leggere libere e diagnosi di disturbi plasmacellulari ... 21

2.2 FLC e stratificazione del rischio di disturbi plasmacellulari ... 22

2.3 FLC per la valutazione della risposta terapeutica e della minima malattia residua .... 23

2.4 L'uso del test delle catene leggere libere in pazienti con malattia renale cronica ... 23

2.5 FLC nella diagnosi e gestione clinica dell'amiloidosi AL ... 24

3. Test di laboratorio per la ricerca delle catene leggere libere ... 25

3.1 Elettroforesi e immunofissazione ... 26

3.2 Metodi per il dosaggio delle catene leggere libere nel siero ... 27

3.3 Variabilità inter-test dei dosaggi FLC: problemi con gli indici derivati ... 31

3.4Variabilità inter-test dei dosaggi FLC: problemi specifici con indici di amiloidosi AL 31 4. Plasmaexchange ... 33

4.1 Linee Guida della American Society for Apheresis (ASFA) ... 36

4.2 Iperviscosità in Ipergammaglobulinemia trattata nelle Linee Guida ASFA 2019 ... 43

SCOPO DELLA TESI ... 46

MATERIALI E METODI ... 47

Elettroforesi delle sieroproteine ... 47

Immunofissazione Siero ... 48

Elettroforesi su gel di poliacrilammide (SDS-PAGE) ... 48

Preparazione dei campioni per l’elettroforesi ... 50

Western blot ... 51

Nefelometria ... 52

Spettrometria di massa ... 53

Sistemi SpectraOptia della TERUMO BCT ... 54

Anamnesi Generale - Inquadramento clinico ... 56

RISULTATI ... 61

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3 CONCLUSIONI ... 76 BIBLIOGRAFIA ... 77

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RIASSUNTO

Introduzione: Le gammopatie monoclonali includono uno spettro eterogeneo di disordini

plasmacellulari ad insorgenza tardiva che variano da forme premaligne, quali la gammopatia monoclonale di significato incerto e il mieloma multiplo asintomatico, a forme maligne, quali il plasmacitoma solitario, il mieloma multiplo, l’amiloidosi a catene leggere e la macroglobulinemia di Waldenstrӧm. Nelle linee guida prodotte dall’International Myeloma Working Group gli esami fondamentali per l’individuazione delle discrasie plasmacellulari sono l’elettroforesi delle proteine sieriche, l’immunofissazione del siero e delle urine e la determinazione quantitativa delle catene leggere libere delle immunoglobuline nel siero (sFLC). La determinazione sFLC ha assunto un ruolo consolidato nella diagnosi, valutazione della prognosi nelle diverse discrasie plasmacellulari.

I reattivi maggiormente utilizzati per la determinazione automatizzata delle FLC sono la Freelite® della TheBindingSite e il reattivo N Latex FLC della Siemens. Pur dimostrando entrambi una buona specificità nei confronti del loro target, sono note possibili discrepanze nei valori di catene leggere libere misurate nel siero di pazienti con patologia primaria plasmacellulare clonale. Descriviamo un caso clinico che evidenzia come tale discrepanza possa rivelarsi anche in patologia linfoproliferative diverse, rendendosi evidenti sia su plasma che su urine.

Materiali e metodi: Donna di 56 anni nel 2010 fu diagnosticata la leucemia linfatica cronica

(LLC) trattata con schema terapeutico tradizionale. Nel 2014 manifesta riacutizzazione di malattia con linfocitosi, piastrinopenia, splenomegalia e linfoadenopatie sopra e sottodiaframmatiche. Le indagini midollari evidenziarono massiva infiltrazione di elementi linfoidi secernenti IgM kappa.Dal gennaio del 2018 il tracciato elettroforetico mostrò un incremento del picco in zona  e della componente monoclonale (CM) IgM (5760 mg/dl), il tracciato elettroforetico delle siero proteine mostrava il picco in zona . La paziente manifestò sintomi da iperviscosità con comparsa di epistassi e alterazione del campo visivo. Date le elevate IgM iniziò il ciclo di trattamento con plasmaexchange (PEx) bisettimanale scambiando 1 volemia con Albumina al 5%, riservando l’uso

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5 del plasma al compenso delle alterazioni coagulative. In occasione delle sedute di plasmaexchange vengono raccolti campioni sui quali sono eseguite ulteriori analisi.

Risultati: Sul campione prelevato prima della seduta di plasmaexchange (8 Aprile 2019) le IgM

sono 9320 mg/dl, e l’immunofissazione sierica evidenzia componente monoclonale IgM kappa. Dopo plasmaexchange le IgM sono ridotte a 5950 mg/dl. Le FLC kappa plasmatiche, misurate rispettivamente con il reattivo Freelite® della TheBindingSite e con il reattivo N Latex FLC della

Siemens su nefelometro BNII, prima del plasmaexchange sono 6,3 mg/dl e 64 mg/dl, mentre dopo la seduta di plasmaexchange 5,65 mg/dl e 52,6 mg/dl evidenziando una discrepanza tra i due reattivi. Il plasma, sottoposto a Western blot (WB) sviluppato con anti-kappa, evidenzia la banda corrispondente alle IgM e le FLC presenti prevalentemente come monomero.

La discrepanza osservata sui risultati ottenuti nel plasma si conferma sul campione di urine raccolto nella stessa data, nel quale l’immunofissazione evidenzia abbondanti catene leggere di tipo kappa: le FLC misurate con Freelite® risultano 200 mg/dl, e con N Latex FLC 811 mg/dl. Anche il campione di urina sottoposto a SDS-PAGE e WB evidenzia FLC in forma prevalentemente monomerica. Il campione di urina, sottoposto a LC-MS, ha permesso di determinare con esattezza il peso molecolare del monomero, che è risultato di 24605 Da.

Discussioni e Conclusioni: Il caso descritto riporta una discrepanza di risultati tra due reattivi

per le FLC in una paziente con discrasia plasmacellulare non mielomatosa sottoposta alla terapia con plasmaexchange. I risultati sembrano inoltre suggerire che le caratteristiche delle FLC che condizionano la differente reattività nel plasma sembrano mantenersi nel campione urinario.

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INTRODUZIONE

1. Le catene leggere e pesanti delle immunoglobuline

Le molecole anticorpali hanno una duplice simmetria e sono composte da due catene pesanti identiche con peso molecolare di circa 50 kDa e due catene leggere identiche con peso molecolare di circa 25 kDa legate tra loro in maniera covalente da ponti disolfuro. Esistono cinque diversi tipi di catene pesanti (    ) corrispondenti a cinque classi di immunoglobuline (Ig) (IgA, IgD, IgE, IgG, IgM) e due catene leggere, kappa () e lambda (), queste ultime costituite da peptidi di circa 220 aminoacidi. Nell'uomo, circa il 60% degli anticorpi contiene la catena  e il 40% la catena , indipendentemente dalla classe delle immunoglobuline [1]. Ogni catena è costituita da due domini, uno variabile e uno costante. I domini variabili di ciascuna catena (pesante e leggera) si combinano fra loro a formare un sito di legame specifico per l’antigene (FAB= Fragment Antigen Binding), contribuendo entrambi a sviluppare la specificità dell’anticorpo. Invece i domini costanti di entrambi le catene, si combinano a formare il sito funzionale della molecola anticorpale (FC= Frammento Cristallizzabile) [Figura 1].[2].

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7 Sebbene la maggior parte dell'eterogeneità tra Ig diverse si trovi nei domini variabili, esiste un certo grado di eterogeneità nei domini costanti delle catene leggere: almeno quattro isotipi funzionali della catena  [3] e tre allotipi della catena  sono stati segnalati [4]. Le plasmacellule producono più catene leggere (10-40%) rispetto a quelle pesanti [5–7] e le catene leggere in eccesso vengono secrete nel sangue dove sono conosciute come catene leggere libere (Free Light Chain, FLC): è stato stimato che in soggetti sani vengono rilasciati al giorno nel flusso sanguigno 500 mg di catene leggere libere [8,6].

Nel plasma, le catene leggere libere kappa e lambda si trovano come monomeri e dimeri [9-12]: la dimerizzazione non covalente delle FLC dipende principalmente dai legami idrogeno e dalle interazioni idrofobiche tra i residui di aminoacidi del dominio variabile [13,14], mentre la dimerizzazione covalente dipende principalmente dai legami disolfuro intercatena tra i residui di cisteina del dominio costante. Mentre la catena leggera libera lambda ha una tendenza più forte a formare dimeri covalenti, le FLC kappa si trovano principalmente come monomeri o dimeri non covalenti [9-11,13]. I polimeri di ordine superiore possono consistere in aggregati di dimeri tenuti insieme da interazioni non covalenti [12,15].

La concentrazione di FLC nel siero riflette l'equilibrio tra produzione, diffusione negli scompartimenti extravascolari ed anche la clearance renale [16,17]. L’emivita delle FLC  è rispettivamente di 2-4 ore e l'emivita delle FLC  è di 3-6 ore, questo perché le FLC kappa, sono per lo più monomeri e vengono filtrati a un tasso superiore rispetto a FLC lambda che sono principalmente dimeri (~ 40% e 20% all'ora, rispettivamente). In soggetti sani, dopo essere stati filtrati, gli FLC vengono riassorbiti e catabolizzati dalle cellule del tubulo prossimale [8,18-20]. Come risultato della loro rapida clearance, gli FLC sieriche sono circa 1000 volte meno concentrati degli anticorpi, e sebbene FLC di tipo kappa siano prodotti in quantità maggiori, il rapporto sierico    è solitamente inferiore a 1 [21-24].

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1.1 Il dominio variabile delle catene leggere e pesanti delle immunoglobuline

Come abbiamo precedentemente accennato sia le catene leggere che quelle pesanti presentano regioni variabili (V) N-terminali, che insieme formano il sito di legame per l’antigene, e regioni costanti (C) C-terminali con funzione diversa. Le regioni V sono così chiamate poiché contengono tratti nella sequenza amminoacidica che distinguono anticorpi prodotti da un determinato clone di linfociti B da quelli prodotti da altri cloni. Le regioni C della catena pesante interagiscono con molecole e cellule effettrici del sistema immunitario e sono responsabili della maggior parte delle funzioni biologiche svolte dagli anticorpi mentre le regioni C delle catene leggere non partecipano a tali funzioni [25]. Poiché ciascuna molecola anticorpale contiene 2 catene pesanti e 2 catene leggere, ogni anticorpo possiede almeno 2 siti di legame per l’antigene [Figura 2].

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9 Le catene leggere e pesanti come abbiamo precedentemente scritto sono legate tra di loro covalentemente da ponti disolfuro formati tra i residui di cisteina della parte carbossiterminale della catena leggera e il dominio CH1 della catena pesante; anche le interazioni non covalenti tra i domini variabili (VH e VL) delle due catene e tra i domini costanti CH e CL delle due catene contribuiscono alla loro associazione. In modo analogo, le due catene pesanti di ogni molecola anticorpale sono legate covalentemente da ponti disolfuro. A livello delle regioni variabili si riscontrano le maggiori differenze nella sequenza e nella variabilità degli anticorpi: qui sono presenti le regioni ipervariabili. Si tratta di tre brevi segmenti presenti nella regione VH e nella regione VL, corrispondenti alle tre anse che fuoriescono dalla struttura e che connettono i nastri adiacenti dei foglietti β-planari che costituiscono i domini V delle catene pesanti e leggere delle immunoglobuline. Le regioni ipervariabili hanno una lunghezza di circa 10 aminoacidi e, dal momento che sono tre per la catena leggera e tre per la catena pesante, ci saranno complessivamente sei regioni ipervariabili associate a formare una struttura tridimensionale. Si può pensare alle anse ipervariabili come a dita che fuoriescono da ogni dominio variabile e che si uniscono per formare il sito di legame per l’antigene. Poiché queste anse formano una superficie complementare alla struttura tridimensionale dell’antigene, le regioni ipervariabili sono anche dette regioni che determinano la complementarietà (Complementarity-Determing Regions, CDR) [Figura 3].

Figura 3. Rappresentazione tridimensionale delle anse CDR ipervariabili nel dominio

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10 Partendo dalle estremità aminoterminale dei domini VH o VL, queste regioni sono chiamate rispettivamente CDR1, CDR2 e CDR3 dove le regioni CDR3 dei domini VH e VL presentano il maggior grado di variabilità. La diversificazione delle sequenze CDR presenti nei vari anticorpi genera strutture uniche, esposte sulla superficie delle anse, che determinano la differente specificità degli anticorpi. I residui aminoacidici delle regioni ipervariabili di VH e VL formano contatti multipli con l’antigene legato e anche se il contatto più esteso avviene a livello della regione CD3, la capacità di legare un antigene dipende anche da altri residui delle regioni conservate che possono venire a contatto con l’antigene. Molte immunoglobuline possono orientare i siti di legame con l’antigene in modo tale che due molecole antigeniche poste su una superficie piana possano essere legate contemporaneamente: questa flessibilità deriva dalla regione cerniera, situata tra i domini CH1 e CH2 le cui dimensioni variano tra i 10 e i 60 aminoacidi a seconda degli isotipi, che è dovuta alla capacità di ciascun dominio VH di ruotare rispetto al dominio CH1 adiacente.

1.2 Sintesi dei domini variabili e costanti delle catene leggere e pesanti

Prima di descrivere la sintesi delle catene leggere e pesanti delle immunoglobuline è importante descrivere e comprendere la configurazione germinativa dei geni che codificano per il dominio variabile e costante di entrambe le catene. Nei linfociti B, i geni che codificano per le catene leggere e pesanti sono localizzati su cromosomi diversi e codificate da loci indipendenti; ciascun locus è costituito da diversi segmenti genici. I segmenti genici all’interno di ciascun locus sono riarrangiati stocasticamente tramite ricombinazione somatica e un meccanismo di splicing del RNA. Nelle catene

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11 leggere  il locus genico è localizzato sul cromosoma 2; per le catene leggere di tipo λ è localizzato sul cromosoma 22 e per la catena pesante sul cromosoma 14 [Figura 4].

FIGURA 4. Organizzazione dei loci Ig umani nella configurazione germinativa.

All’estremità 5’ di ciascun locus vi è un cluster di segmenti genici della regione variabile (V), ciascuno dei quali è costituito da circa 300 bp, occupanti un’ampia regione del DNA di circa 2000 kb. Il numero dei segmenti V varia tra i diversi loci delle Ig e tra le specie: nell’uomo esistono circa 35 geni V per la catena leggera ĸ, 30 per la catena leggera λ e 100 geni per il locus H delle catene pesanti. All’estremità 5’ di ogni segmento V c’è un esone “leader” (L) che codifica i 20-30 residui N-terminali della proteina generando la cosiddetta sequenza leader, la quale durante la sintesi proteica guida i polipeptidi nascenti dai ribosomi al lume del reticolo endoplasmatico. Qui la sequenza leader verrà rimossa e a monte di ogni esone leader c’è un promotore del gene V dove inizia la trascrizione. All’estremità 3’ rispetto ai geni V, si trovano i geni della ricongiunzione (joining, J), lunghi circa 3050 bp separati da sequenze non codificanti, strettamente associati agli esoni che codificano per la

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12 regione costante (C). Tra i geni V e J nel locus H della catena pesante si trovano sequenze codificanti aggiuntive note come segmenti della diversità (diversity, D). Così come per i geni V, il numero dei geni D e J può variare nei diversi loci di Ig e nelle diverse specie. Le sequenze non codificanti dei loci Ig svolgono un ruolo importante nella ricombinazione ed espressione dei diversi loci genici. Infatti, le sequenze che guidano la ricombinazione dei diversi segmenti genici si trovano adiacenti ai segmenti codificanti. Sono anche presenti promotori dei geni V e altri elementi regolatori che agiscono in cis, come le regioni di controllo dei loci, regioni enhancer e soppressorie, che regolano l’espressione del gene a livello della sua trascrizione. Poiché l’organizzazione dei loci per le Ig nella configurazione germinativa, appena descritta, non rende possibile la trascrizione in mRNA funzionali, è necessario che si verifichi un processo di ricombinazione somatica che coinvolge un certo numero di geni permettendo la sintesi finale della catena leggera e pesante dell’immunoglobulina. La sintesi del dominio variabile della catena leggera prevede la scelta casuale di un segmento genico della regione variabile (V) e di un segmento genico (J) con la formazione di un esone VJ che codificherà per la regione variabile della catena leggera. La regione del dominio costante della catena leggera invece è codificata da un esone separato C che sarà unito all’esone VJ con conseguente splicing degli introni presenti nel trascritto primario dell’RNA. La sintesi del dominio variabile della catena pesante avviene in maniera diversa: si ha la formazione di un primo esone DJ, formato dalla scelta casuale di un segmento genico D e di un segmento genico J, al quale solo successivamente verrà aggiunto casualmente un esone V. Questo meccanismo prende in nome di ricombinazione V(D)J. Dato che la regione costante della catena pesante è costituita da più domini, diversi esoni C saranno uniti all’esone V(D)J dopo splicing del trascritto primario RNA, come accade per la catena leggera [Figura 5].

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FIGURA 5. Ricombinazione ed espressione dei geni delle catene pesanti e leggere delle Ig.

È probabile che l’accessibilità dei loci sia regolata da diversi meccanismi, incluse le alterazioni della struttura della cromatina, la metilazione del DNA e l’attività di trascrizione basale degli stessi loci genici. Durante il processo di ricombinazione V(D)J una serie di fattori specifici riconoscono specifiche sequenze di DNA, presenti esclusivamente nei linfociti, definite sequenze segnale della ricombinazione (Recombination Signal Sequences, RSS) localizzate all’estremità 3’ dei segmenti del gene V, all’estremità 5’ dei segmenti J e ai due estremi dei segmenti D [Figura 6].

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FIGURA 6. Sequenze eptameriche e nonameriche delle RSS separate da spaziatori di 12 o 23 bp.

Le RSS sono costituite da una sequenza altamente conservata di 7 nucleotidi definita eptamero, seguita da uno spaziatore di 12 o 23 nucleotidi non conservati che corrispondono rispettivamente a uno o due giri completi di elica del DNA, e da una sequenza altamente conservata di 9 nucleotidi ricchi in AT definitiva nonamero. La ricombinazione tra due segmenti genici si verifica soltanto se uno dei due segmenti è affiancato da uno spaziatore di 12 nucleotidi e l’altro segmento da uno spaziatore di 23 nucleotidi, definendo la cosiddetta “regola 12/23” in modo che vengono ricombinati solo gli appropriati segmenti genici.

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1.3 Processo di ricombinazione somatica V(D)J

FIGURA 7. Inizio del processo di ricombinazione somatica V(D)J.

Nel processo di ricombinazione V(D)J interviene un complesso tetramerico, chiamato ricombinasi V(D)J, costituito dalle proteine Rag1 e Rag2 (Recombination-activating gene 1 e 2) come mostrato nella Figura 6. Rag-1, agendo come un’endonucleasi di restrizione, insieme a Rag-2 riconosce e taglia le sequenze di giunzione tra l’eptamero delle RSS e le sequenze V, D o J adiacenti in modo che la terminazione 3’OH dell’estremità codificante (V-J per le catene leggere o D-J per la catena pesante) si leghi covalentamente all’altro filamento formando una struttura a forcina (harpin). L’altra estremità, contenente l’eptamero e il resto delle RSS, viene rimosso sotto forma di anello [Figura 8].

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FIGURA 8. Processo di ricombinazione V(D)J.

Nel caso in cui i segmenti V sono disposti nello stesso orientamento dei segmenti J, come nel locus per le catene ĸ, il DNA a doppia elica viene invertito unendo i segmenti V-J e le RSS non vengono eliminate bensì conservate nel cromosoma. Anche se la maggior parte dei riarrangiamenti avviene per delezione, l’inversione può verificarsi nel locus per le catene K fino al 50% dei riarrangiamenti totali. Una conseguenza della ricombinazione V(D)J è che i promotori all’estremità 5’ dei geni V sono adiacenti a sequenze enhancer situate a valle, negli introni J-C e al 3’ dei geni della regione C. Le sequenze enhancer permettono un’alta velocità nella trascrizione genica e poiché i geni appartenenti ad altri loci possono essere qui erroneamente traslocati e trascritti in modo abnorme, si ritiene che questo fenomeno rappresenti uno dei fattori eziologici dello sviluppo di tumori di linfociti B. Mentre nei loci per la catena leggera si verifica l’unione casuale di un segmento del gene V a un segmento del gene J, nel locus H per la catena pesante si hanno due distinti eventi di riarrangiamento

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17 poiché sia V che J hanno spaziatori di 23 nucleotidi che ostacolano il loro legame: il primo evento unisce un segmento D a un segmento J, il secondo ricongiunge il neoformato segmento DJ a un segmento V. Le regioni costanti C si posizionano a valle degli esoni V(D)J riarrangiati, separati da questi ultimi dagli introni J-C nella linea germinale.

FIGURA 9. Successione degli eventi nella ricombinazione V(D)J.

Con la ricombinazione V(D)J la struttura ad hairpin formata viene scissa in maniera asimmetrica dall’endonucleasi Artemis [Figura 9A] lasciando un tratto di DNA più lungo rispetto all’altro. Il tratto più corto verrà esteso con l’aggiunta di nucleotidi P complementari fino al tratto più lungo introducendo così nuove sequenze nella giunzione V-D-J. Inoltre, vengono aggiunti un massimo di 20 nucleotidi casuali N per azione di un enzima specifico dei linfociti, deossinucleotidiltransferasi terminale (Terminal deoxynucleotidyl Transferase, TdT). L’aggiunta di nucleotidi P e N contribuiscono alla diversità giunzionale ed è per questo che gli anticorpi mostrano la massima variabilità nella regione CDR3 del sito di legame dell’antigene. Al termine del processo interviene il sistema di riparazione delle rotture del doppio filamento che recluta diverse proteine tra cui le proteine Ku70 e Ku80 e l’enzima DNA-PK (DNA-dependent Protein Kinase) e la DNA ligasi [Figura 9B]. A

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18 questo punto l’esone riarrangiato verrà trascritto in un trascritto primario RNA che con il successivo evento di splicing unirà l’esone leader, l’esone V(D)J e l’esone per la regione C, formando così un mRNA funzionale che potrà essere tradotto nei ribosomi ancorati alla membrana del reticolo endoplasmatico rugoso. La proteina trasloca poi nel reticolo endoplasmatico e solo le catene pesanti verranno N-glicosilate durante questo processo di traslocazione. Il corretto assemblaggio delle catene pesanti, la loro associazione con le catene leggere e la formazione dei ponti disolfuro sono regolati dalle proteine chaperonine, comprendenti calnexina e la molecola Bip (Binding Protein) localizzate nel reticolo endoplasmatico. Dopo l’assemblaggio, le molecole Ig si staccano dalle chaperonine, vengono convogliate alle cisterne dell’apparato del Golgi e gli anticorpi all’interno di vescicole vengono trasportati verso la membrana cellulare: gli anticorpi di membrana verranno ancorati alla membrana mentre quelli secreti verranno endocitati.

Il processo di sintesi e di assemblaggio delle catene delle immunoglobuline, appena descritto, si verifica in maniera graduale durante il processo di maturazione dei linfociti B. Inizialmente nella cellula pre-B si ha la ricombinazione dei geni del locus della catena pesante con la formazione di un esone VDJ riarrangiato separato da esoni della regione C della catena pesante. L’RNA nucleare formato viene tagliato a valle di una o di due sequenze di poliadenilazione e diverse adenine (code di poli-A) sono aggiunte all’estremità 3’. Questo trascritto andrà incontro a splicing con rimozione degli introni e ricongiunzione degli esoni e l’mRNA verrà tradotto in proteina µ che associandosi con le “catene leggere surrogate” formerà il recettore delle cellule pre-B ( pre-B Cell Receptor, pre-BCR) espresso sulla superficie cellulare. Il recettore pre-BCR tramite la tirosina chinasi di Bruton genera segnali di sopravvivenza, proliferazione e maturazione necessarie per i linfociti pre-B; e regola anche l’ulteriore riarrangiamento dei geni delle Ig tramite due meccanismi. Il primo prevede l’inibizione irreversibile del riarrangiamento del locus della catena pesante sul secondo cromosoma solo se il primo riarrangiamento è risultato produttivo. Se il primo riarrangiamento non è avvenuto in maniera produttiva, l’allele delle catene pesanti sul secondo cromosoma subirà il riarrangiamento VDJ sul

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19 locus H. Così ogni clone linfocitario B può produrre proteine della catena pesante da solo uno dei due alleli e questo fenomeno è chiamato esclusione allelica e aiuta a garantire che ogni linfocita B esprima un solo recettore mantenendo la specificità clonale. Se entrambi gli alleli subiscono un riarrangiamento non produttivo del gene H, il linfocita in via di sviluppo non produrrà le catene pesanti, di conseguenza non genererà un segnale di sopravvivenza dipendente dal pre-BCR e va incontro a morte cellulare programmata. Il secondo meccanismo è la stimolazione del riarrangiamento della catena leggera (ĸ o λ) con inibizione dell’espressione del gene per le catene leggere sostituitive. Inizialmente il linfocita pre-B riarrangia i geni per la catena k e, se il riarrangiamento è avvenuto in maniera corretta, verrà prodotta la catena leggera che associandosi alla catena µ, precedentemente sintetizzata, produrrà una IgM di membrana. Se il locus k non è stato riarrangiato in modo corretto, la cellula può riarrangiare il locus λ producendo ugualmente una IgM di membrana. L’espressione della IgM sulla superficie cellulare associata alle Igα e Igβ costituisce il recettore per gli antigeni (B Cell Receptor, BCR) permettendo così il passaggio dallo stadio di cellula pre-B allo stadio di linfocita B immaturo. La ricombinazione del locus delle catene ĸ o λ prevede l’unione del segmento V con un segmento J formando l’esone VJ. Tale esone rimane separato dalla regione C da un introne che permane nel trascritto primario del RNA. Lo splicing dell’RNA porterà alla formazione di un mRNA per la catena ĸ o λ. Dato che il riarrangiamento dei loci λ avviene solo se il riarrangiamento del locus ĸ non è avvenuto in maniera produttiva fa sì che un singolo clone linfocitario può esprimere solo uno dei due tipi di catene leggere: questo fenomeno è chiamato esclusione isotipica della catena leggera.

Nell’uomo il 60% circa degli anticorpi è formato da catene leggere ĸ mentre il 40% da catene leggere λ. Come nel locus H della catena pesante, l’espressione di ĸ o λ è selezionata a livello allelico e avviene in uno solo dei due cromosomi parentali. Inoltre, se in un linfocita in maturazione entrambi gli alleli per le catene ĸ e λ non sono funzionali, la cellula non riuscirà a sopravvivere poiché incapace di ricevere i segnali di sopravvivenza e di differenziamento generati dal BCR in base all’affinità con l’antigene self. Se riconoscono l’antigene self con elevata affinità, andranno incontro al processo di

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20 editing recettoriale o di morte cellulare. Viceversa, i linfociti B immaturi non fortemente autore attivi lasciano il midollo osseo e completano la loro maturazione nella milza prima di migrare agli altri organi linfoidi secondari.

2. Il valore clinico delle catene leggere libere nei disturbi delle plasmacellule

neoplastiche

Le gammopatie monoclonali includono uno spettro eterogeneo di disordini plasmacellulari ad insorgenza tardiva che variano da forme premaligne, quali la gammopatia monoclonale di significato incerto e il mieloma multiplo asintomatico, a forme maligne, quali il plasmacitoma solitario, il mieloma multiplo, l’amiloidosi a catene leggere e la macroglobulinemia di Waldenstrӧm. Questi disordini sono caratterizzati dalla produzione di una componente monoclonale che può essere un’immunoglobulina intatta e/o catene leggere libere o raramente solo catene pesanti. È dunque di notevole importanza per la diagnosi e il monitoraggio di questi disordini valutare l’eccesso della componente monoclonale nel siero e/o nelle urine. Poiché le plasmacellule neoplastiche di solito mantengono la loro capacità di secernere le catene leggere libere, la loro espansione è accompagnata da un aumento selettivo di catena leggera libera interessata    (coinvolta), soprattutto anche quando la funzionalità del midollo osseo è compromessa, la ridotta produzione delle FLC policlonali viene infine rilevata come una diminuzione dell'altra catena leggera libera (non coinvolto). I tre indici derivati, ovvero la ratio , il rapporto della catena leggera libera coinvolta/non coinvolta (involved/uninvolved) (i/uFLC) e la differenza assoluta tra differenza della catena leggera libera coinvolta e non coinvolta (dFLC) non sono equivalenti, si aggiungono indipendentemente alla caratterizzazione dei disturbi plasmacellulari nella clinica del laboratorio e sono incluse nelle linee guida cliniche per la loro gestione. D'altra parte, poiché questi indici derivano da operazioni matematiche tra numeri molto diversi tra loro, possono amplificare errori analitici e discrepanze tra i saggi.

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2.1 Catene leggere libere e diagnosi di disturbi plasmacellulari

Tra i disturbi neoplastici delle plasmacellule, la più frequente e benigna, è la gammopatia monoclonale di significato incerto (Monoclonal Gammopathy of Uncertain Significance, MGUS), di solito appare negli adulti oltre i 50 anni e diventa sempre più frequente con l'età: il 3% dei soggetti con età superiore ai 50 anni e il 5% con età superiore o uguale ai 70 anni. I soggetti affetti da MGUS sono asintomatici e devono rientrare nei seguenti criteri:

1) Proteina sierica monoclonale < 30 g/L

2) Plasmacellule clonali nel midollo osseo < 10%.

3) Assenza di segni/sintomi legati al danno d’organo correlabili alla discrasia plasmacellulare. Esistono tre forme di MGUS in base alla tipologia di proteina monoclonale prodotta: IgM MGUS, non-IgM MGUS con produzione di IgG o IgA e FLC MGUS [26]. MGUS può rappresentare la condizione di precursore del mieloma multiplo (MM) in cui un clone plasmacellulare prolifera attivamente, spesso sintetizzando abbondanti quantità di proteina monoclonale e nella quale compaiono segni di espansione clonale, con compromissione della funzione del midollo osseo e dei reni [26-27]. La progressione da MGUS a MM è spesso preceduta da un peggioramento della proliferazione clonale ma senza alcun segno di lesione d'organo, una condizione chiamata Smoldering Multiple Myeloma (SMM), che presenta un rischio più elevato di progressione verso MM rispetto a MGUS. Nel 2014 l’International Myeloma Working Group (IMWG) ha definito i due criteri per la diagnosi di mieloma multiplo asintomatico (smouldering multiple myeloma, SMM) [26] quali: 1) La presenza di proteina monoclonale nel siero (IgG o IgA) ad una concentrazione > o = 30 g/L oppure presenza di proteina monoclonale urinaria > o = 500 mg in 24 ore e/o presenza del 10-60% di plasmacellule tumorali nel midollo. 2) L’assenza di eventi che definiscono il mieloma e l’amiloidosi.

Sia in MGUS che in SMM un anomalo rapporto FLC ĸ/λ nel siero indica un alto rischio di progressione verso la malignità ed è per tal motivo che l’analisi delle FLC sieriche gioca un ruolo

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22 importante nella stratificazione del rischio e nella progressione della malattia. Per decenni, la presenza di immunoglobuline monoclonali nel siero è stata rivelata dall'apparizione di un picco anomalo nell'elettroforesi delle proteine sieriche (ELP) e confermata dall'immunofissazione sierica (sIF), che ha il limite di essere un saggio non quantitativo [28]. L'introduzione di dosaggi automatizzati di FLC nel siero, che ha permesso per la prima volta la quantificazione dell'FLC nel siero e la valutazione del rapporto tra la catena leggera libera coinvolta e non coinvolta, ha profondamente modificato la diagnosi e il monitoraggio del disturbo plasmacellulare, soprattutto considerando che quando vengono sintetizzati solo FLC monoclonali, il modello elettroforetico è generalmente invariato.

In un ampio studio retrospettivo della Mayo Clinic, solo la combinazione di ELP, S-IF e FLC sierica ha permesso di identificare il 100% dei casi di MM e SMM e quasi tutti i casi di MGUS [29]. Ciò è dovuto principalmente all'elevata sensibilità analitica del test FLC che raggiunge 1 mg / l, dieci volte più sensibile dell'S-IF. Pertanto, le linee guida proposte dall'IMWG per l'uso corretto del test FLC raccomandano l'uso combinato di ELP, S-IF e FLC come miglior pannello di screening; solo in pazienti con amiloidosi AL o malattia da deposizione di catene leggere (LCDD) l'ulteriore aggiunta di immunofissazione urine (U-IF) ha aumentato significativamente la sensibilità diagnostica [30,31]. Il dosaggio FLC sierico ha anche migliorato la diagnosi di discrasie a catena leggera, ovvero disturbi in cui viene secreto solo FLC monoclonale, inclusa la catena leggera MGUS: diversi casi precedentemente classificati come MM non secernenti sulla base di elettroforesi e S-IF da soli sono stati riassegnati a MM [32].

2.2 FLC e stratificazione del rischio di disturbi plasmacellulari

Poiché il rischio complessivo di progressione da MGUS a MM è dell'1% all'anno, i biomarcatori sono stati indagati per prevedere il rischio individuale di progressione. La presenza dell’immunoglobulina monoclonale della classe IgG, la concentrazione dell'immunoglobulina monoclonale inferiore a 15 g / l e il rapporto FLC    all'interno dell'intervallo di riferimento sono

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23 risultati fattori indipendenti che prevedono un basso rischio di progressione [33]. Anche nella SMM, una condizione più soggetta alla malignità, con una progressione stimata media a MM del 10% all'anno, il rapporto FLC    all'interno dell'intervallo di riferimento è un fattore prognostico favorevole, mentre il rapporto FLC    <0,125 o > 8 prevede un alto rischio di progressione [34,35].

Nella revisione del 2014 dei criteri diagnostici per MM, IMWG ha stabilito che un rapporto FLC (coinvolta/non coinvolta) ≥100, quando il valore FLC assoluto coinvolto è almeno 100 mg / l, prevede il rischio di progressione a MM entro 24 mesi [26].

Nel 2018, sulla base di una rivalutazione dei fattori di rischio per i pazienti con SMM [36], è stata proposta la riduzione del cut-off del rapporto i/uFLC > 20. Un recente studio ha suggerito che potrebbe essere un parametro migliore dFLC, piuttosto che il rapporto i/uFLC per prevedere il rischio di progressione verso MM [37].

2.3 FLC per la valutazione della risposta terapeutica e della minima malattia residua

I criteri IMWG per valutare la risposta alla terapia nei pazienti con MM [38–40] includono il dosaggio FLC sierica sia per definire la malattia misurabile sia per definire il grado di risposta. Nel 2016 un nuovo rapporto dell'IMWG ha confermato l'importanza della FLC, in particolare quando le proteine M sieriche e urinarie non sono rilevabili e le FLC sono l'unico segno misurabile della malattia [41].

2.4 L'uso del test delle catene leggere libere in pazienti con malattia renale cronica

Poiché la clearance renale è un fattore determinante per la concentrazione di FLC nel sangue, la concentrazione sierica di FLC aumenta nei pazienti con insufficienza renale cronica. Anche il rapporto delle FLC    si è dimostrato aumentato, molto probabilmente perché nella malattia renale cronica la clearance renale, che rimuove FLC di tipo kappa ad una velocità superiore rispetto alle

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24 FLC di tipo lambda, è sostituita dalla clearance reticoloendoteliale, che rimuove entrambe le catene alla stessa velocità. [42].

2.5 FLC nella diagnosi e gestione clinica dell'amiloidosi AL

L’amiloidosi AL (anche detta amiloidosi primaria) da catene leggere delle immunoglobuline è la varietà più comune di amiloidosi sistemica. Insorge in età adulta ed è rapidamente progressiva, è espressione dell’espansione di popolazioni clonali di plasmacellule nel midollo osseo e della sintesi aberrante e proteolisi anomala di catene leggere monoclonali, le cui porzioni variabili (o, più di rado, le intere catene) si depositano sotto forma di fibrille amiloidi insolubili negli spazi extracellulari, causando danni agli organi principalmente nel cuore e nei reni [43]. In effetti è stato dimostrato che un effetto proteotossico diretto delle catene leggere amiloidogeniche contribuisce al danno miocardico e conseguentemente all'insorgenza di insufficienza cardiaca [44-48].

Nell'amiloidosi AL, nel siero si trova una quantità relativamente bassa di proteina monoclonale e nella metà dei casi si trova solo la catena leggera libera. [49]

Oltre alla dimostrazione dei depositi di amiloide nei tessuti, la diagnosi di amiloidosi AL richiede la caratterizzazione e la quantificazione dell'FLC amiloidogenico, che comprende l'immunofissazione sierica e delle urine, il dosaggio delle FLC sieriche e il rapporto FLC  30,31].

In particolare, un normale rapporto FLC  ha un valore predittivo negativo del 100% per l'amiloidosi nei pazienti con insufficienza cardiaca [50].

Sebbene l'esito a lungo termine dell'amiloidosi AL sia principalmente condizionato dall'entità del coinvolgimento cardiaco e i biomarcatori cardiaci (peptidi natriutretici e troponine I e T) siano strumenti chiave in questo campo, la sopravvivenza dipende anche dal carico del clone plasmacellulare e dai livelli sierici delle catene leggere libere che parametri che condizionano la stratificazione del rischio nel paziente. Inoltre, nei pazienti trattati per il disturbo plasmacellulare sottostante, la riduzione della FLC sierica e la normalizzazione del rapporto FLC  fanno prevedere risultati migliori [51–54].

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25 I pazienti con amiloidosi AL che mostrano un normale rapporto FLC   alla diagnosi hanno una migliore sopravvivenza rispetto ai pazienti con un rapporto FLC   alterato, indipendentemente dal tipo di FLC (  ) coinvolto [55], e un dFLC superiore a 180 mg / l è un biomarcatore prognostico indipendente che prevede una scarsa sopravvivenza [56].

Inoltre, i pazienti con nuova diagnosi di amiloidosi AL con coinvolgimento renale isolato mostrano valori più bassi di dFLC (mediana 83 mg / l) rispetto a quelli con coinvolgimento cardiaco e renale (234 mg / l) o solo di coinvolgimento cardiaco (349 mg / dl) [57]. Nei pazienti con coinvolgimento renale isolato, un dFLC inferiore (75,89 mg / l) è in grado di discriminare diversi tassi di sopravvivenza [58]. Finora, non sono disponibili dati relativi ai possibili cambiamenti della FLC circolanti nei pazienti che ricevono terapie che colpiscono direttamente i depositi di amiloide o la proteotossicità della amiloide cardiaca [59-61].

3. Test di laboratorio per la ricerca delle catene leggere libere

La determinazione delle catene leggere libere delle immunoglobuline nel siero ha assunto un ruolo importante nella gestione del mieloma multiplo e di altre discrasie plasmacellulari, quali amiloidosi AL e delle malattie da deposizione di catene leggere, associando alla presenza di un’alterazione del rapporto / quella di un clone proliferativo di plasmacellule [62].

Nelle linee guida prodotte dall’IMWG gli esami fondamentali per l’individuazione delle discrasie plasmacellulari sono l’elettroforesi delle proteine sieriche, l’immunofissazione sierica e la determinazione quantitativa delle FLC nel siero [30]. Infatti, la recente introduzione del dosaggio delle FLC ha consentito di fare a meno degli esami sulle urine che prima erano invece indispensabili per un corretto inquadramento. L’unico caso nel quale ancora si raccomanda l’esecuzione dell’immunofissazione sulle urine è nel sospetto di amiloidosi dove la quantità delle catene leggere libere nel siero è solitamente bassa dal momento che queste abbandonano rapidamente il circolo.

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3.1 Elettroforesi e immunofissazione

Come detto sopra, nella diagnosi delle discrasie plasmacellulari un esame fondamentale è rappresentato dall’elettroforesi delle sieroproteine che pone il sospetto di presenza di componente monoclonale che sarà poi accertato dall’immunofissazione e dal dosaggio delle FLC. Il principio su cui si basa questa metodica è la diversa velocità di migrazione delle proteine quando sottoposte ad un campo elettrico. La loro mobilità dipende, in relazione diretta, dalla propria carica elettrostatica netta e dall’intensità del campo elettrico e, in relazione inversa dal peso, dalle dimensioni e dalla forma della proteina, dalla viscosità del mezzo e dalla forza ionica del tampone. In condizioni normali il quadro proteico sierico comprende, dall’estremità anodica verso quella catodica, 6 frazioni proteiche rappresentate da albumina, 1, 2, 1, 2 e  globuline; in particolare, la popolazione delle immunoglobuline forma un picco a base ampia nella regione  (Figura 10b), sul quale più spesso si innesta la componente M nei pazienti con discrasie plasmacellulari (Figura 10b).

FIGURA 10. Presentazione elettroforesi delle sieroproteine

Qualunque sia il metodo impiegato, gel di agarosio o elettroforesi capillare, è importante che esso sia dotato di elevata risoluzione, raggiungendo una sensibilità <1 g/l, e che il personale dedicato alla refertazione sia specificamente formato. La tipizzazione immunologica della componente M

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27 viene effettuata mediante immunofissazione del campione di siero su gel d’agarosio dopo corsa elettroforetica, impiegando gli antisieri anti-catena pesante e anti-catena leggera  e ; se la tipizzazione standard risulta positiva per le sole catene leggere, viene eseguita un’ulteriore immunofissazione utilizzando gli antisieri anti- e anti-, per escludere la presenza di una rara gammopatia IgE o IgD [63]. L’immunofissazione ha, quindi, lo scopo di confermare la natura immunoglobulinica e la monoclonalità della banda evidenziata dall’elettroforesi e di caratterizzarla per la catena pesante e quella leggera. La metodica oltre ad avere una sensibilità superiore a quella della sola elettroforesi di circa 10 volte, può mettere in evidenza componenti monoclonali non rilevabili nel tracciato elettroforetico perché di lieve entità o co-migranti con altre proteine presenti fisiologicamente.

3.2 Metodi per il dosaggio delle catene leggere libere nel siero

La messa a punto di un test affidabile per misurare le sole catene leggere libere è stata molto difficoltosa: infatti era necessario un metodo in grado di riconoscere e quantificare le sole catene leggere libere, senza interferenze nel dosaggio da parte delle catene leggere già legate alle catene pesanti nelle immunoglobuline circolanti. Il metodo immunologico per il loro riconoscimento è sembrato un approccio adeguato, ma ci si è scontrati con la difficoltà di produrre anticorpi che potessero legarsi a determinanti antigenici specifici delle catene leggere libere, ovvero non esposti anche dalle catene leggere già incorporate nell’anticorpo completo. [Figura 11]

Occorreva produrre degli anticorpi diretti contro quelle porzioni di catena leggera che nell’assemblaggio della molecola anticorpale risultavano costantemente nascosti.

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FIGURA 11. Presentazione della molecola anticorpale e delle FLC.

Lo sviluppo di un metodo per il dosaggio delle FLC è stato anche ostacolato dalla unicità antigenica delle immunoglobuline monoclonali e dalla loro modesta concentrazione rispetto alle catene leggere legate alle immunoglobuline complete in condizioni di normalità.

Le possibilità di approntare un idoneo reattivo con adeguata sensibilità e specificità erano due: produrre un antisiero policlonale che dimostrasse di non mostrare cross-reattività con le catene leggere montate sugli anticorpi, oppure produrre anticorpi monoclonali diretti specificamente contro gli epitopi nascosti delle catene leggere.

Nel 2001 la ditta TheBindingSite [64] ha commercializzato il primo reattivo per questo scopo, dopo aver scelto l’approccio policlonale: la produzione di anticorpi ad alta affinità specifici per gli epitopi delle catene leggere è stata resa possibile in pecore nelle quali è stata indotta tolleranza nei confronti degli antigeni di superficie delle catene leggere legate alle immunoglobuline complete attraverso protocolli di tollerizzazione intensiva. Le pecore rese tolleranti sono state in un secondo tempo immunizzate con le proteine κ e λ purificate da urine contenenti proteina di Bence Jones ed

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29 hanno fornito anticorpi policlonali ad alta affinità e diretti solo contro gli epitopi nascosti delle catene leggere. Questi anticorpi sono stati quindi utilizzati per la produzione di un saggio immunochimico automatizzabile per la misura delle FLC nei liquidi biologici. L’antisiero policlonale ha il vantaggio avere una più ampia capacità di riconoscimento e pertanto di legame, caratteristica desiderabile dal momento che le catene monoclonali in pazienti diversi possono avere caratteristiche diverse. Il problema è ovviamente la possibile mancanza di specificità qualora nell’antisiero fossero presenti anticorpi che riconoscono epitopi esposti anche sulle catene leggere legate [65]. Questo reattivo ha mostrato alcune criticità che si sono rese evidenti fin da subito [66,67].

Innanzi tutto, una diversa performance dei reattivi appartenenti a lotti diversi. Questa sembrava essere dovuta una immunoreattività diversa tra anticorpi presenti nei diversi lotti, la qual cosa poteva comportare una diversa stima quantitativa di FLC sullo stesso campione. Inoltre, anche in presenza dello stesso lotto l’antisiero utilizzato su apparecchiature diverse poteva fornire risultati discordanti. Inoltre, prove di recupero a diluizioni diverse dimostravano scarsa linearità, con risultati che potevano quindi differire secondo la diluizione del campione.

Inoltre, risultarono evidenti problemi di possibile sovrastima della quantità di FLC probabilmente legate alla possibile polimerizzazione dell’FLC circolante che forniva bersagli multimerici cui si poteva legare una quantità di reattivo superiore [68]. Anche la sottostima rappresentava un problema evidente: in questo caso era il possibile eccesso di antigene (in presenza di elevate quantità di FLC sieriche) a dare il noto “hook effect” con un segnale più basso del dovuto. In questo caso solo la ragionata ripetizione della determinazione sul campione ad una maggiore diluizione consente di ottenere la reale quantificazione delle FLC. Inoltre, il calibratore usato per la messa a punto del test è policlonale, quando l’analita dosato è invece monoclonale e questo può comportare uno scarso parallelismo.

Ciò nonostante, grazie a questo reattivo la diagnostica per questi pazienti è decisamente migliorata e numerosi studi hanno dimostrato il valore di tale determinazione che può essere riassunta nelle indicazioni che ancora oggi sono fornite nell’importante linea guida prodotta nel 2009

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30 dall’International MyelomaWorking Group secondo la quale ci sono quattro principali indicazioni per il dosaggio delle FLC nella valutazione e nella gestione del mieloma multiplo e dei disordini clonali plasmacellulari [30]

Per prima cosa, nel contesto dello screening per la presenza del mieloma o disordini relativi, il dosaggio delle FLC sieriche, in combinazione con l'elettroforesi delle proteine sieriche e l'immunofissazione mostra una alta sensibilità, togliendo quindi la necessità dello studio delle urine delle 24h quando si fa lo screening per MGUS o mieloma multiplo.

In secondo luogo, il dosaggio delle FLC ha un importante valore prognostico per qualsiasi disordine plasmacellulare, inclusa la gammopatia monoclonale di indeterminato significato, il mieloma e l’amiloidosi a catene leggere.

In terzo luogo, il dosaggio delle FLC permette un monitoraggio quantitativo dei pazienti con disordini plasmacellulari oligosecretori, inclusi i pazienti con amiloidosi AL, il mieloma oligosecernente e all'incirca due terzi dei pazienti a cui precedentemente è stato attribuito un mieloma non secretorio. Nei pazienti con amiloidosi (AL) e nei pazienti con mieloma oligosecretorio, il dosaggio delle FLC è oltremodo essenziale.

Infine, il rapporto delle FLC è un parametro essenziale per documentare una rigorosa risposta completa alla terapia in accordo con gli International Response Criteria.

Oltre al saggio Freelite® nel 2009 è stato commercializzato un altro reattivo, N Latex FLC (Siemens, Germania) che si basa, come Freelite®, sull’uso di anticorpi specifici diretti contro epitopi nascosti, anche se in questo caso gli anticorpi presenti nel reattivo sono monoclonali di origine murina. Pur dimostrando entrambi i reattivi una buona specificità nei confronti del loro target, è stato notato che in alcuni casi, i due reattivi possono restituire risultati differenti.

Il confronto tra i test N Latex FLC e Freelite® ha rivelato una prestazione clinica sostanzialmente equivalente dei due test in pazienti con diverse discrasie plasmacellulari [68,76-80], inclusa l'amiloidosi [83,84]; tuttavia, in diversi studi sono state riportate differenze nei valori assoluti delle

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31 concentrazioni sieriche di FLC monoclonali e nei loro parametri derivati  rFLC, rapporto i/uFLC e dFLC, specialmente ad alte concentrazioni di FLC [68,77,87,81,83,84], portando alla conclusione che nonostante il loro equivalente valore clinico, i due metodi non sono intercambiabili.

3.3 Variabilità inter-test dei dosaggi FLC: problemi con gli indici derivati

Secondo i criteri rivisti IMWG per MM, un rapporto delle i/u FLC ≥100 nei pazienti con SMM prevede un alto rischio di progressione in MM entro i prossimi 24 mesi, quando il valore assoluto della FLC coinvolta è di almeno 100 mg / L. Le linee guida specificano che i valori proposti sono definiti per le misurazioni effettuate con il reagente Freelite®, indicando così le diverse prestazioni degli altri metodi automatizzati [76,79,87,88].

In uno studio retrospettivo, Bossuyt ha confrontato i valori assoluti di FLC sierica e i rapporti i/uFLC ottenuti con Freelite® e N-Latex FLC in campioni di siero di pazienti con MM: tra i pazienti con un rapporto i/uFLC > 100 con il Saggio Freelite®, meno di un terzo aveva un rapporto i/uFLC > 100 con il test N-Latex. Nei pazienti con MGUS, lo stesso studio ha rilevato che un piccolo numero di pazienti presentava un rapporto i/uFLC > 100 quando analizzato dall'FLC N-Latex, ma nessuno con il dosaggio Freelite®. È interessante notare che gli autori hanno scoperto che la migliore concordanza - ovvero il numero più elevato di pazienti con rapporto i/uFLC significativamente alterato con entrambi i saggi - sarebbe stata ottenuta considerando la ratio FLC  ottenuto dall'FLC N-Latex> 30 o < 0,03 [89].

3.4 Variabilità inter-test dei dosaggi FLC: problemi specifici con indici di amiloidosi AL

Sono stati condotti studi per confrontare le prestazioni dei test FLC Freelite® e N Latex nei sieri dei pazienti con amiloidosi, che, come già detto, mostrano valori di FLC inferiori che in altri disturbi plasmacellulari. Sebbene i due test abbiano mostrato una sensibilità diagnostica simile se combinati con l'immunofissazione del siero e delle urine, sono emerse differenze analitiche significative tra i due test nell'amiloidosi  AL, poiché i valori mediani del  FLC sono significativamente più alti

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32 quando misurati dal dosaggio Freelite®, mentre valori di FLC  erano simili nei pazienti con  AL amiloidosi [81,88].

Nell'amiloidosi il dFLC ha ricevuto crescente attenzione: come menzionato sopra, nel 2012 l'IMWG ha incluso un dFLC di 180 mg / l tra i principali fattori prognostici per i pazienti con amiloide AL [55], e anche una riduzione del dFLC> 50% è un criterio di risposta per i pazienti trattati con amiloidosi [51]. L'IMWG specifica che i valori si riferiscono al saggio Freelite e quindi, sebbene il test N Latex FLC mostri una sensibilità diagnostica comparabile e un valore prognostico, non può essere utilizzato per la stadiazione [48] perché con questo saggio si modificano i valori assoluti e dFLC sono più piccoli [81]. Complessivamente, anche in questo caso, nonostante una buona concordanza sulla sensibilità diagnostica, i due test mostrano un accordo non ottimale per quanto riguarda la quantificazione di FLC e le discrepanze li rendono non intercambiabili per i criteri di risposta specifici validati per ciascuno.

Un'altra scoperta che evidenzia le discrepanze tra i due test riguarda i pazienti con insufficienza renale cronica. Un rapporto FLC  esteso (0,37-3,1) è stato proposto per i pazienti con insufficienza renale cronica, quando le FLC sono misurate con il saggio Freelite [90], che rileva un aumento proporzionalmente più elevato di catene leggere libere di tipo lambda, specialmente nei pazienti con danno renale più grave (pazienti con dialisi). Viceversa, non è necessario un intervallo di riferimento esteso se si utilizza il test N Latex, perché in insufficienza renale cronica rileva lo stesso aumento sia delle catene leggere libere kappa e lambda, [69,91,92], ma si nota invece una riduzione maggiore delle catene leggere libere lambda misurato dopo la dialisi rispetto alla Freelite [92]. Per spiegare quest'ultima scoperta, che conferma la diversa sensibilità del N Latex e del Freelite per i monomeri delle FLC di tipo lambda [75,93], è stato proposto che le FLC lambda nell'insufficienza renale allo stadio terminale sono principalmente monomeri, avvicinandosi così alla clearance dell'FLC kappa che sono anche facilmente rimosse anche da membrane ad alto flusso [92].

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4. Plasmaexchange

Una procedura terapeutica che, avvalendosi di un separatore cellulare a flusso continuo, consente di separare il plasma dagli altri componenti del sangue. Il plasma viene rimosso e reintegrato con una soluzione di sostituzione con la stessa valenza oncotica ed in volume pari a quello sottratto: ad esempio albumina diluita al 5% in salina al e/o plasma fresco congelato [93]. Il plasmaexchange consente la rimozione non selettiva di una sostanza patologica (Ac, Ic, Ig, lipidi, tossici legati alle proteine plasmatiche, bilirubina) presente nel plasma ed inserita nell’eziopatogenesi della malattia [94]. Durante il PEx inoltre è possibile utilizzare un liquido sostitutivo che abbia determinate valenze terapeutiche: ad esempio il plasma quando è necessario reintegrare i fattori della coagulazione [95]. La separazione del sangue può essere eseguita mediante centrifugazione o mediante filtrazione [96]. Il primo metodo fu riportato per la prima volta nel 1914 John J.Abel e colleghi svilupparono una metodica che, utilizzando la forza centrifuga, consentiva la separazione delle componenti ematiche in base alla loro densità [97]. Nel 1983 furono introdotti i sistemi di filtrazione sviluppando una membrana con porosità di 0,2-0,5 micron capace di separare in base al peso molecolare i componenti cellulari da quelli non cellulari [98]. Entrambi i sistemi sono oggi utilizzati in tutto il mondo, anche se le banche del sangue di solito utilizzano sistemi di centrifugazione le unità di dialisi utilizzano metodi di filtrazione [99]. Secondo le linee guida dell'American Society for Apheresis (ASFA), oltre 50 malattie possono essere trattate con TPE [93]. Con l’attuale tecnologia automatizzata, per il PEx la maggior parte delle apparecchiature utilizza la forza centrifuga per separare gli emocomponenti in base alle differeti densità [100]. [Figura 12]

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FIGURA 12. Separazione plasmatica

L’ anticoagulante (ACD) è utilizzato in proporzione alla velocità di prelievo, HCT del paziente e tipologia di liquido sostitutivo. La camera di separazione può essere o la campana di Latham o una “Cintura rotante”, dove i componenti si stratificano in base alla loro densità [101]. La frazione obiettivo del trattamento, il plasma, è inviata, alla sacca di scarto mentre gli emocomponenti restanti sono reinfusi con flusso continuo o discontinuo (prelievo e reinfusione utilizzano in modo alternato lo stesso accesso venoso) al paziente uniti al liquido sostitutivo. Tutti i sistemi richiedono kit preconfezionati e monouso di sacche sterili e di tubi specifici per il separatore utilizzato. La maggior parte dei moderni separatori è a flusso continuo. La rimozione di una sostanza patogena mediante scambio di plasma è strettamente correlata alla massa plasmatica processata, alla distribuzione della sostanza tra i compartimenti intravascolare ed extravascolare e alla velocità con cui la sostanza si distribuisce tra questi compartimenti [102]. Le sostanze patogene sono distribuite sia nello spazio intra- che in quello extravascolare e la plasmaferesi, come le altre tecniche di depurazione extracorporea, rimuove sostanze solo presenti nel compartimento intravascolare. Il limite di rimozione di elementi patogeni, in una singola procedura, è determinato da quante volte la massa plasmatica è processata e dalla cinetica dell’elemento patogeno. Per rimuovere il 75% di una sostanza patogena, durante una procedura è preferibile scambiare 1.4 volte il volume plasmatico (VP),

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35 quindi 2500-3500 mL circa. Questo volume non dovrebbe, quindi, essere inferiore al VP del paziente [103]. La concentrazione delle sostanze patogene può risalire dopo la procedura a causa della loro cinetica tra i compartimenti extra ed intravascolare. Per questo, la plasmaferesi dovrebbe essere ripetuta più volte, solitamente ogni 24-48 ore.

Solitamente vengono eseguiti 4-5 trattamenti di plasmaexchange, al fine di ridurre la concentrazione delle sostanze patogene di circa il 90% rispetto ai valori di base, in funzione della dimensione della particella rimossa, della sua emivita nel plasma e della velocità di sintesi. Il volume di plasma da rimuovere dovrebbe essere determinato in base alla stima del volume plasmatico (VP) del paziente. Il metodo più comune per determinare il VP è la formula di Nadler che considera il peso corporeo (PC), il sesso e l’ematocrito (Hct) [104]:

VP = PC (Kg) x 0.065 x (1-Hct)

In un paziente di circa 70 Kg e con Hct normale, questo volume è di circa 2.5-2.7 litri.

Nel plasmaexchange in particolare, il controllo dei volumi rimossi è di fondamentale importanza, e richiede un rimpiazzo quantitativamente e qualitativamente adeguato di albumina e plasma fresco congelato. Le soluzioni di albumina (al 4-5% in soluzione fisiologica o soluzioni polisaline) garantiscono un rischio minimo di reazioni anafilattiche/allergiche, e l'assenza di trasmissioni virali, ma comportano la possibilità di una coagulopatia da deplezione ed una perdita netta di immunoglobuline. Il plasma fresco congelato garantisce l'omeostasi proteica e dei fattori della coagulazione, ma aumenta notevolmente la possibilità di un rischio infettivo e di reazioni allergiche: ha quindi indicazione molto ristretta, in particolare nella terapia di alcune malattie, il prototipo delle quali è la porpora trombotica trombocitopenica [105].

Per quanto riguarda la scelta dell’anticoagulante è preferibile il citrato (ACD-formula A), mentre nella filtrazione a cascata come anticoagulante si utilizza l'eparina.

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4.1 Linee Guida della American Society for Apheresis (ASFA)

L'American Society for Apheresis (ASFA) Journal of ClinicalApheresis (JCA), Comitato per la redazione di numeri speciali, ha il compito di rivedere, aggiornare e classificare le indicazioni per l'uso dell'aferesi terapeutica (TA) nelle varie patologie.[93] Dall'edizione speciale JCA del 2007 (quarta edizione), il comitato ha incorporato una revisione sistematica e approcci basati sull'evidenza nella classificazione e nella categorizzazione delle indicazioni di aferesi [107].In questa ottava edizione del numero speciale JCA continua a mantenere questa metodologia e rigore al fine di formulare raccomandazioni sull'uso di aferesi in un'ampia varietà di malattie / condizioni. L'ottava edizione di JCA, come la precedente, continua ad applicare le definizioni di categoria e di classificazione nei fogli informativi [108]. Il layout generale e il concetto di un foglio informativo che è stato introdotto nella Quarta Edizione, è stato ampiamente mantenuto in questa edizione. Ogni scheda informativa sintetizza le prove dell'uso dell'aferesi terapeutica in una specifica entità patologica o condizione medica. L'ottava edizione comprende 84 schede informative relative a malattie e condizioni mediche rilevanti, con 157 indicazioni e / o modalità classificate e classificate

4.1.1 Categorie Nelle Linee Guida ASFA 2019

Nelle Linee Guida ASFA 2019 le indicazioni all’utilizzo delle procedure aferetiche sono divise in 4 categorie ognuna con un diverso grado di evidenza:

Prima Categoria: Nella prima categoria ritroviamo i disturbi per i quali l’aferesi è accettata

come terapia di prima linea, sia come trattamento autonomo primario sia in combinazione con altre modalità di trattamento (per es.: Plasma-exchange nella sindrome di Guillain-Barre ', come terapia di prima linea autonoma, plasmaferesi nella miastenia grave di prima linea in combinazione con terapia immunosoppressiva e con inibitori della colinesterasi).

Seconda Categoria : Nella seconda categoria sono compresi quei disturbi per i quali l’aferesi è

accettata come terapia di seconda linea, sia come trattamento autonomo o in combinazione con altre modalità di trattamento (per es.: Plasmaexchange come trattamento stand-alone di seconda linea per

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37 l'encefalomielite acuta disseminata dopo il fallimento di alte dosi di corticosteroidi IV; fotoferesi extracorporea (ECP) aggiunta ai corticosteroidi per graft-versus-hostdisease cronica refrattaria, Aferesi terapeutica correlata alla dialisi nella amiloidosi sistemica).

Terza categoria; Nella terza categoria il ruolo ottimale della terapia con aferesi non è stabilito.

Il processo decisionale deve essere individualizzato (per es.: plasmaexchange nei pazienti con sepsi e insufficienza multiorgano oppure plasmaexchange microangiopatia trombotica assocciato all’trapianto).

Quarta categoria ritroviamo quei disturbi per i quali le prove scientifiche pubblicate dimostrano o suggeriscono che l'aferesi risulta essere inefficace o addirittura dannosa. È auspicabile l’approvazione da parte dell’Institutional Review Board IRB nel caso in cui il trattamento aferetico venisse effettuato in queste circostanze (per es.: plasma-exchange nell’artrite reumatoide).

4.1.2 Gradi di raccomandazione

L'attuale edizione segue il formato utilizzato nella sesta e nella settima edizione [107] e fornisce informazioni su categoria del ASFA) e qualità delle prove a sostegno che costituiscono la base della raccomandazione di classificazione (Tabella 1)

La metodologia impiegata nella preparazione dei gradi di raccomandazione si è ispirata a quella utilizzata dalla Consensus Conference dell’American College of Chest Physicians del 2004 [109]. Le raccomandazioni seguono il sistema di classificazione per gradi, espressi in numeri (1, 2) in funzione della forza, e in lettere (A, B, C) in funzione dell’evidenza emersa e del tipo di studi. Viene usato il verbo “raccomandare” per i gradi più alti (1A, 1C+, 1B, 1C), e il verbo “suggerire” per i gradi più deboli (2A, 2C+, 2B e 2C).

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38 Tabella 1. Gradi di raccomandazione per l’aferesi terapeutica (ASFA 2019)

4.1.3 Indicazioni dell’ASFA all’impiego dell’plasmaexchange

Secondo le linee guida della “American Society for Apheresis” il trattamento con il plaamaxchange è utilizzabile nelle seguenti patologie dividendoli in base alle Categorie [93]:

Categoria I - Grado 1A

• Polineuropatia Acuta Demielinizzante (Guillain- Barré) • Porpora Trombotica Trombocitopenica;

(39)

39 • Vasculite Anca-Associata (indicazioni MPA/GPA/RLV: RPGN,Cr>5.7)

• Insufficienza epatica acuta

Categoria I grado 1B

• Polineuropatia Infiammatoria Cronica Demielinizzante (CIDP); Polineuropatia demielinizzante paraproteinemica

• Sindrome di Goodpasture; Glomerulosclerosi focale e segmentale (nel recente trapianto di rene)

• Iperviscosità in Gammopatia Monoclonale (nella presenza dei sintomi) • Miastenia grave (indicazioni nella malattia acuta, come terapia breve

Categoria I - Grado 1C

• Trapianto di fegato AB0 incompatibile (desensibilizzazione)

• Malattia di Wilson (fulminante); Encefalite anti-recettore NMDA (N-Metil D-Aspartato) • Iperviscosità in Gammopatia Monoclonale (indicazione nella profilassi con rituximab)

Categoria I - Grado 2A

• Crioglobulinemia

Categoria I -2B

• Microangiopatia trombotica da farmaci (indicazione alla ticlopidina)

Categoria I 2C

• Sindrome da anticorpi antifosfolipidi catastrofica (CAPS)

• Microangiopatia trombotica legata al complemento (indicazioni del PEx con anticorpi anti-fattore H.)

Categoria II - Grado 1A

• Sclerosi Multipla (nell’attacco acuto)

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40 • Ipercolesterolemia familiare (indicazioni eterozigosi/omozigosi)

• Malattia da anticorpi contro i canali del potassio

• Neuromielite ottica (Sindrome di Devic) (evento acuto);

• Disordine pediatrico autoimmune associato allo streptococco beta-emolitico di gruppo a” (PANDAS) (esacerbazione);

• Trapianto di midollo AB0 incompatibile (desensibilizzazione; GVHD)

Categoria II - Grado 1C

• Trapianto cardiaco (indicazioni nella desensibilizzazione)

Categoria II - Grado 2A

• Crioglobulinemia severa

Categoria II - Grado 2B

• Amiloidosi sistemica (utilizzando la PEX con le colonne per la B2micro e le indicazioni nella dialisi)

• Miastenia grave (nel trattamento a lungo termine) • Nefropatia da mieloma

Categoria II categoria 2C

• Miastenia di Lambert-Eaton

• Accumulo di acido ftalico (Malattia di Refsum) • Encefalomielite acuta disseminata;

• Encefalopatia sensibile agli steroidi associata a tiroidite autoimmune (Encefalopatia di Hashimoto)

• Avvelenamento; Overdose (indicazioni nell’avvelenamento da funghi) • Altri vascoliti (Poliarterite nodosa dell'epatite B.)

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41 • Trapianto cardiaco (indicazione nel rigeto mediato da anticorpi

Categoria III - Grado 1C

• Pancreatite ipertrigliceridemica (severa indicazione); • Prurito da malattia epatobiliare (trattamento resistente)

• Polineuropatia demielinizzante paraproteinemica (neuropatia anti MAG) • Leucoencefalite progressiva multifocale associato a natalizumab.

Categoria III - Grado 2A

• Sordità neurosensoriale improvvisa

Categoria III - Grado 2B

• Sindrome da Goodspare (dipendente da dialisi); Nefropatia da IgA • Shock termico

• Sepsi con insufficienza multiorganica • Trapianto di midollo AB0 incompatibile • Necrosi epidermica tossica; Penfigo vulgaris

• Microangiopatia trombotica da farmaci (indicazione alla clopidogrel) • Insufficienza epatica acuta

• Sclerosi multipla nella terapia cronica

Categoria III - Grado 2C

• Dermatite atopica, ecsema atipica; Porfiria epatoeritropoietica; Psoriasi (indicazioni nella pustola disseminata)

• Lupus neonatale cardiaco; Sclerodermia (sclerosi sistemica) • Encefalite focale cronica (Encefalite di Rasmussen);

• Polineuropatia demielinizzante paraproteinemica (indicazione nel mieloma multiplo); • Sindrome dolorosa regionale complessa;

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42 • Neuromielite ottica (Sindrome di Devic) (mantenimeto);

• Sindrome neurologica paraneoplatica ; SindromeStiff-person

• Anemia emolitica autoimmune severa; Inibitori dei fattori della coagulazione • Pancreatite con ipertrigliceridemia (indicazione nella prevenzione alla ricaduta)

• Nefropatia da IgA (indicazione nella malattia cronica); Glomerulosclerosi focale segmentaria (resistente agli steroidi)

• Linfoistiocitosiemofagocitica (HLH); Sindromeemofagocitica;Sindrome da attivazione dei macrofagi;

• Avvelenamento; Overdose

• Alloimmunizzazione in gravidanza; Sindrome di HELLP (indicazioni nel per parto)

• Trombocitopenia indotta da eparina e trombosi (HIT / HITT) (indicazione nella trombosi e nel by-pass pre-cardiopolmonare);

• Trombocitopenia autoimmune; • Porpora post-trasfusionale

• Microangiopatia trombotica coagulazione mediata (indicazione nella mutazione di THBD, DGKE, and PLG)

• Microangiopatia trombotica associata al trapianto;

• Microangiopatia trombotica mediata al complemento (indicazione nelle mutazioni geniche del fattore del complemento);

• Microangiopatia trombotica associata alla infezione (indicazione STEC-HUS, grave PHUs) • Cardiomiopatia dilatativa, idiopatica (indicazione nel NYHA II-IV)

• Trapianto di cuore (rigetto umorale, desensibilizzazione); • Trapianto di polmone (rigetto umorale);

• Trapianto di fegato (rigetto umorale);

Riferimenti

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