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Varianti lessicali

Capitolo 5: CONTRIBUTI PER UNO STUDIO DELLA VARIANTISTICA CARDARELLIANA

5.2 Varianti lessicali

Stefano Giovanardi, nel suo intervento nel corso delle Giornate di studio su Vincenzo

Cardarelli, ordina il lessico cardarelliano secondo tre tipologie:

Il lessico delle poesie di C. appare […] costituito prevalentemente da tre componenti fondamentali. Un’asse, che è poi quello predominante in assoluto, la cui ascendenza potrebbe essere definita di prosa dotta, visto che a dargli corpo concorrono termini largamente concettualizzanti come sostantivi astratti, aggettivi specifici, verbi che definiscono situazioni e avverbi che definiscono modalità. Un secondo asse formato da locuzioni e vocaboli direttamente estratti dalla tradizione bassa del linguaggio parlato, e un terzo asse che si origina, invece, dal repertorio alto della lirica italiana, arrivando a inglobare dichiarati arcaismi e esplicite citazioni.12

Per osservare le tendenze in ambito lessicale è necessario tenere presente questa osservazione, anche per poter riconoscere se la tendenza correttoria è volta a elevare il dettato poetico o a sfrondare quegli stilemi percepiti come troppo aulici o tradizionali.

Verso la prosa…

Non è certo facile decretare se una variante ha l’effetto di rendere più prosastico o più letterario un testo, però il caso di Liguria sembra essere particolarmente evidente: «per

9 Adolescente: «colla tua grazia» (v. 9), «colla chioma sciolta» (v. 12), «colla sottile coscienza» (v. 41); Incontro notturno: «Colle tue scarpe di tela bianche» (v. 2); Sera di Gavinana: «Collo scender che fan le nubi a valle» (v. 3).

10 Allineandosi a quanto osservato da Migliorini: «le forme composte di per sono pressoché morte e quelle di con molto indebolite» (Migliorini 1990, 35).

11 Cardarelli 1981, 1015. 12 Atti 2010, 28.

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quelle fonde valli» (v. 7) è sicuramente più diretto e comprensibile che «per quelle valli di Purgatorio»13 , in cui il riferimento non è immediato al lettore. Certo, se fossero state valli infernali avremmo potuto figurarci chiaramente nella nostra mente un’immagine ben definita; in questo modo, invece, l’allusione, per quanto più letteraria, era poco chiara, e infatti viene eliminata.

Il caso di Adolescente può essere interessante perché con la sostituzione di un solo verbo si indebolisce la metafora su cui si reggeva parte della poesia, perdendo così la forza espressiva. «Pure qualcuno ti si beverà, / bocca di sorgiva. / Qualcuno che non lo saprà, / un pescatore di spugne, / avrà questa perla rara»: così si leggeva sulla prima versione di «Lirica», corretta poi in «Pure qualcuno ti disfiorerà / bocca di sorgiva». Il verbo disfiorare è certamente più concreto e adatto a rappresentare la perdita della verginità dalla fanciulla, ma non si lega in nessun modo alla metafora che segue nel verso successivo, mentre prima veniva mantenuto il nesso fanciulla-acqua, ripreso subito dopo anche dalla figura del «pescatore di spugne».

C’è un'altra poesia in cui l’autore sembra deciso ad appianare il discorso, sfrondando derive troppo letterarie: si tratta di Incontro notturno. La prostituta che compare alla fine del componimento era stata inizialmente definita «triste arlecchina», ma diventerà ben presto «meretrice»14. L’iniziale espressione un po’ barocca, che voleva probabilmente evocare l’aspetto appariscente della donna, non aveva però lo stesso impatto del termine scelto dopo e neanche lo stesso crudo realismo: trattandosi di una poesia rivolta a un vagabondo, dove vengono descritte «fumose osterie» e «comitive in ronda / a godere la gioia delle strade», questa scelta appare molto più appropriata.

…e verso la poesia

Per poter comprendere in che modo Cardarelli, modificando anche solo una parola, riesca a elevare il dettato e l’esito complessivo di una lirica, è sufficiente leggere Ultima speme.

La nostra misera gloria è una pingue colonia per il vorace appetito 13 «Fronte», ottobre 1931.

99 dei nostri nemici.

5 I vermi già ci divoran da vivi. E tra poco di noi non rimarrà che il lor rifiuto,

l’ultima, imponderabile materia che in aria e in luce si tramuterà. 10 O sublime residuo!

Intangibile essenza! Tu sola, arida polvere,

non patirai l’oltraggio dei viventi. In te forse, in quel soffio

15 di cenere superstite, è la prova dell’anima, il segno indistruttibile dell’immortalità.

Si tratta di una lirica di argomento piuttosto insolito: sebbene Cardarelli fosse quasi ossessionato dal tema della morte e vi abbia dedicato altre poesie (Sopra una tomba, Non

basta morire, Alla morte), questa è l’unica che utilizza termini e immagini così crude ed

esplicite15. L’unica cosa che resta di noi è il rifiuto di ciò che i vermi hanno divorato: la nostra polvere, la «prova dell’anima». Nella versione della «Gazzetta del popolo» del 25 luglio 1934 l’aveva definita, al verso 14, «mucchio», dando così evidenza all’aspetto materico e quasi disgustoso (pensiamo a cosa evoca nei nostri pensieri l’immagine di un “mucchio di polvere”) di un elemento che invece, pochi versi prima, si sarebbe tramutato «in aria e in luce»: «soffio» si rivela quindi un termine più preciso e più riuscito dal punto di vista della coesione interna del testo.

Ultima speme non è l’unica lirica in cui il poeta seleziona, attraverso progressive

modifiche, termini sempre più adatti a rappresentare le sue immagini. Se esaminiamo

Ajace, la già analizzata lirica in cui il poeta tratteggia le sfortune dell’eroe greco, ai versi

7-8 della prima versione pubblicata su «Gazzetta del popolo» del 5 aprile 1933 troviamo: «Non avevi una madre / da interessar l’Olimpo al tuo destino». Leggendo Poesie incontriamo, invece, il verbo «impietosir». Si tratta solo di una sfumatura di significato: in entrambi i casi la madre avrebbe dovuto parlare del figlio agli dei in modo che, ricordandosi di lui, lo proteggessero nel furore della battaglia, ma nel secondo caso è reso più esplicito il fatto che avrebbe dovuto attivamente muoverli a pietà. Siccome il verso si

15 Una descrizione altrettanto lugubre si può trovare solo in Elegia Etrusca, un testo de Il sole a picco: «Fosse millenarie, dove par di sentire un lezzo di putrefazioni antiche e di terre marcite, buche, avvallamenti e tumuli innaturali, mostrano quel che lì sotto cova e come la mano del tempo l’abbia rifatta e lavorata […] come carne. […] La secca e bruciante estate la spacca: allora le tarantole vi fanno il nido. La tramontana la denuda e la scopre sepolcrale» (Cardarelli 1981, 391).

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apre con una negazione, sappiamo che nessuno è davvero andato sull’Olimpo a intercedere per lui, ma mentre nella prima versione a mancare era l’interesse degli dei nei suoi confronti, adesso è la pietà: questa mancanza lo rende, ai nostri occhi, ancora più solo.

Questi aggiustamenti lessicali molto spesso hanno effetti sul ritmo del verso e sulla metrica dell’interno componimento. Si prenda da esempio Genitori: la poesia è costituita da 7 endecasillabi, 5 settenari e un ottonario, al verso 10. Nella prima versione, pubblicata su «L’Italia letteraria» del 28 giugno 1931 avremmo però trovato un endecasillabo che recitava «Ma, d’altra parte, ebbi un padre severo», mentre oggi leggiamo «Ora, ebbi un padre severo». L’endecasillabo, dal ritmo incerto, si reggeva su una sorta di zeppa iniziale che non aggiungeva nulla al senso complessivo del testo e serviva, più che altro, ad allineare il verso al ritmo dattilico dell’endecasillabo che lo precedeva («soleva in braccio portarmi con gloria»): la sua sostituzione con ora, quindi, non altera il significato della frase, ma introduce un verso ottonario che sembra isolato rispetto agli altri versi presenti nella lirica. È vero che Cardarelli non sentiva così stringenti le regole della metrica, e poteva far convivere versi parisillabi e non senza grossi scrupoli, ma questo caso sembra particolarmente insolito.