Alla luce del quadro legislativo in materia di segreti tratteggiato in precedenza, sembra proprio sussistere una relazione fra le “persone particolari” identificate dalla normativa insieme ad altri soggetti (droghieri, speziali, monasteri, donne etc.) e quel 93,1% degli individui che si presentano ai provveditori alla Sanità per registrare uno o più segreti di propria invezione, e che ciarlatani non sono.
Altri filoni letterari, oltre a quello stereotipato sulla ciarlataneria, possono avvalorare questa relazione. Contemporaneamente a quando si avvia la lenta regolarizzazione dei segreti, il medico Leonardo Fioravanti (1517-1588) descrive così le case private nel suo Specchio di
scientia universale del 1564, quando parla Dell’arte dell’aromatario, e sua auttorità:
al dì d’hoggi tutte le case particolari son diventate aromatarie, & non è così trista casa che non habbi alcun libro che tratti della matteria medicinale, e si trovano tanti reccetarii e tanti secreti provati & rimedi per ogni sorte di infermità, che io son di ferma opinione che la scienza della medicina a poco a poco andrà al bordello & noi altri sfortunati medici allo spedale; perché un dì tutti saremo medici.22
21 Sono riflessioni e piste d’indagine che nascono a margine dei dati emersi dallo spoglio dei Notatori confrontti con l’ampio affresco tratteggiato da Pastore, Veleno, cit. Altre se ne faranno a suo luogo nella Parte II, cap. 5.
22 Cito dall’edizione seicentesca Dello specchio di scienza universale… libri tre, In Venetia, appresso il Zattoni, 1679, 8°, p. 60. Le vicende biografiche di Fioravanti, soggiornante a lungo a Venezia a partire dall’autunno del 1558, dove pubblicò le sue opere, sono state ripercorse da Piero Camporesi, Camminare il mondo: vita e avventure di Leonardo Fioravanti medico del Cinquecento, Milano, Garzanti, 1997 (rist. 2007), da integrare con le pagine a lui dedicate da William Eamon, La scienza e i segreti della Natura. I “libri di segreti” nella cultura medievale e moderna, Genova, Ecig, 1999 (ed. orig.: Princeton, Princeton University Press, 1994), pp. 253- 290. Si veda anche la voce biografica di Anna Mainardi in DBI, ad vocem.
60 Anche se sotto il segno dell’iperbole divertita, è un passo importante per cogliere una situazione diffusa: Fioravanti focalizza una realtà di “case particolari” che diventano quasi laboratori di spezieria, fornite di libri di medicina e ricettari, una dimensione domestica della cura in cui si fabbricano rimedi e “secreti provati”, meno appariscenti dei segreti ciarlataneschi pubblicizzati in banco sulle piazze, perché coltivati nel privato di esperienze magari confortate da qualche opportuna lettura. Fioravanti delinea una realtà che può fare bene da sfondo al nostro 93,1% di richiedenti un’autorizzazione per segreti medicinali.23 Divulgatore scientifico
ante litteram, genio innovativo più per l’attitudine che non per i contenuti, egli non perde
occasione nelle sue opere per incitare il lettore mediamente istruito alla lettura e alla formazione personale. Il lettore può avere anche un’alfabetizzazione stentata e non essere della professione medica, ma è bene che continui a sforzarsi di leggere ed apprendere, magari trovando le spiegazioni di quel che non capisce in uno dei suoi numerosi libri.24 Fioravanti è
un entusiasta del mezzo tipografico (ottimo strumento anche per appagare il suo narcisismo), come diversi intellettuali nel primo secolo della stampa, infatti sempre a proposito delle conoscenze tecnico-pratiche Dell’arte dell’aromatario sostiene:
di poi che questa benedetta stampa è venuta in luce, i libri sono moltiplicati di sorte tale, che ogni uno può studiare, & massime che la maggior parte si stampano in lingua nostra materna, & così i gattisini hanno aperti gli occhi [...].25
A parte il sogno di una democratizzazione/universalizzazione del sapere che prende periodicamente gli spiriti più ottimisti ogni qualvolta si rinnovano gli strumenti del comunicare, è pur vero che nel secondo Cinquecento la disponibilità di libri era aumentata in modo relativamente diffuso, soprattutto per alcuni generi medico-farmaceutici, e tutto ciò comportava che molti potessero disporre di rudimenti per “conservarsi in sanità & farsi di molti rimedi nelle infermità”.26
23 Per farci un’idea del tipo di letteratura accessibile a più ampie fasce di popolazione alfabetizzata si veda quella analizzata quantitativamente per il contesto inglese da Paul Slack, Mirrors of health and treasures of poor men: the uses of the vernacular medical literature of Tudor England, in Charles Webster (eds.), Health, medicine and mortality in the Sixteenth century, Cambridge, Cambridge University Press, 1979, pp. 237-273, in realtà di circolazione ben più trasversale che limitata ai “poor men”; Slack distingue una serie di generi, che a Venezia andrebbero integrati con testi di alchimia/chimica e con farmacopee private, edite in abbondanza: Anatomy and surgery, 3,5%; Reflections on theory and practice, 6%; Herbals. 6,5%; Plague tracts, 7,5%; Other specific diseases, 8%; Single or specialized remedies, 4,5%; Explanatory textbooks and regimens, 32%; Collection of remedies, 32%. I prodromi della divulgazione scientifica o della “scienza per tutti” ottocentesca, sono ravvisabili fin da alcuni generi in volgare del primo secolo della stampa, cfr. cenni in Paola Govoni, Un pubblico per la scienza. La divulgazione scientifica nell’Italia in formazione, Roma, Carocci, 2002, cap. 2.2, Le origini, pp. 43-53.
24 Fioravanti, Dello specchio di scienza universale, cit., Dell’arte del semplicista, & suoi rimedi, pp. 162-163: “Sì che in questa materia de semplici, mi pare d’haver detto a bastanza, pur ch’io sia stato inteso a sufficienza: percioché molti leggono, che non intendono il discorso delle materie per non essere la loro professione, ma per questo non è male a leggere ogni sorte di libri, perché non si legge mai una cosa tanto oscura, che alcuna parola non se ne intenda, & a questo modo ciascuno può passare il tempo virtuosamente leggendo tal materie, & con speranza di cavarne ancor qual frutto per li bisogni suoi.” In Della fisica… divisa in libri quattro, In Venetia, per gli heredi di Melchior Sessa, 1582, 8°, Leonardo Fioravanti chiude la nota Alli lettori ragiona l’autore con l’esortazione, per chi voglia bene intendere la scienza, a leggere attentamente il suo libro, e “se alcuna cosa vi fosse che alli lettori paresse difficile, potranno scorrere per gli altri miei sette volumi, ristampati con le additioni, che vi trovaranno le dichiarationi di tutte le cose oscure, & a questo modo potranno essequire il tutto con molta facilità & brevità.”
25 Fioravanti, Dello specchio di scienza universale, cit., p. 60.
26 Cfr. supra. È stato ridimensionato l’apporto della stampa in ambito scientifico, così come veniva descritto in termini entusiastici nel testo, comunque importante, di Elizabeth L. Einsenstein in The printing press as an agent of change: communications and cultural transformations in Early Modern Europe, Cambridge, Cambridge University Press, 1979 (La rivoluzione inavvertita, Bologna, Il Mulino, 1985), riproposto con correzioni ne Il libro della natura trasformato: la stampa e la nascita della scienza moderna, in Le rivoluzioni del libro. L’invenzione della stampa e la nascita dell’età moderna, Bologna, Il Mulino, 1995 (ed. or. 1983); si veda, per una serie di obiezioni ad Einsenstein, Anthony T. Grafton, The importance of being printed, “Journal of Interdisciplinary
61 Fioravanti fu tacciato anch’egli di ciarlataneria dai corpi medici di più di una città, a detta loro per la sua formazione troppo votata all’empiria, solo in maturità avallata dal dottorato bolognese, nonché per la vita errabonda spesa alla ricerca di nuovi rimedi e innovative tecniche chirurgiche;27 ma il vero motivo, che lo costringeva spesso a lasciare una città dopo
l’altra nonostante i successi terapeutici, fu più probabilmente la sua condotta irriverente verso medici chirurghi e speziali, che non esitava a mettere pubblicamente alla berlina quando riteneva fossero in errore. In realtà Fioravanti, nonostante l’irrequietezza e l’esuberanza anche espressiva, è nella sostanza un osservatore attento e uno sperimentatore, non un empirico: non rifiuta la formazione teorica, purché sia adeguatamente integrata dall’esperienza, sostenendo che i voluminosi libri della tradizione medica, troppo ingombranti e incapaci da soli di dare soluzioni, vanno messi alla prova dell’esperienza senza rifuggire il confronto neppure col sapere dei contadini, dei barbieri o del vecchio di turno.28 “Li medici studiaranno
una bellissima theorica, trovaranno le cause delle infermità”, ma quando verrà un caso particolarmente difficile e diverso da tutti quelli che hanno studiato, indietreggeranno spaventati “et in tal causa la vecchiarella saperà più del medico.”29 Tutte figure nelle quali
Fioravanti non vede solo l’espressione di un genuino o fortunato empirismo della cura, visto che alcune forme di sapere – non a caso quelle trattate a proposito Dell’arte dell’aromatario – sono più accessibili anche a loro.
È singolare come le immagini dell’uomo comune, medico fai-da-te, e della vecchia ricorrano con valenza opposta a quella di Fioravanti nella letteratura che stigmatizza i ciarlatani. Scipione Mercurio depreca il “diabolico errore che ognuno vuol far il medico”, così come la “vecchiarella che si abbate nel fin del male” e si prende tutto il merito di una guarigione che spetta solo ai medici.30 Un altro medico di se stesso e un’altra vecchia, in tono
però meno acrimonioso, sono evocati in Paolo Zacchia, che restituisce una realtà condannabile fatta di persone comuni che cercano da sé medicamenti, rimedi, cure per i loro corpi malati: “unusquisque enim, occasione praesente se pro medico jactare posse desiderat, unusquisque, etiam suas in morbis anteponit experientias, neque ullum hominum genus est, etiam mulierculis ipsis, vilissimisque aniculis non exceptis, quod non habeat ad certas quasdam aegritudines sua remedia expertissima.”31 Letteratura antica anche questa, ben codificata in
tradizione.32
History”, 11, n. 2 (1980), pp. 265–86. Una lettura più chiaroscurata del rapporto stampa/scienza offre Adrian Johns, The nature of the book. Print and knowledge in the making, Chicago-London, Chicago University Press, 1998.
27 Si vedano i racconti dell’apprendistato in Sicilia, dove impara dal vecchio terziario francescano Matteo Guarucci tre rimedi efficacissimi per curare le ferite, o il vecchio Adriano Zaccarello del Regno di Napoli che lo aiutò ad effettuare una splenctomia (estrazione della milza), cfr. Camporesi, Camminare il mondo, cit.
28 Fioravanti, Della fisica... divisa in libri quattro, cit., Alli lettori ragiona l’autore: “Li filosofi medici con solo la theorica della medicina non si sanno risolvere a curare una minima infermità senza la esperienza. Li cirugici con quanta dottrina eglino potessero mai havere, non si sapranno giamai risolvere a curare le piaghe senza haverne prima vista la esperienza.”
29 Fioravanti, Della fisica… divisa in libri quattro, cit., carte preliminari n.n., Quali sono quelli che sanno più de gli altri a questo mondo. Il passo prosegue significativamente: “Sarà un valente cirugico, il quale curarà una ferita, & li succederà dolore, alteratione, spasimo & aposteme” e non saprà che pesci pigliare; “verrà un barbiere prattico, & li toccarà la ferita con olio di solfo, la medicherà con olio di cera, la bagnarà con quinta essenza, & la sanarà [...]. Perché più vale un palmo di buona & vera esperienza, che non fa una canna di incerta theorica”.
30 Beata vetula quæ venit in fine morbi, dice ironicamente Mercurio, cfr. De gli errori popolari, cit., pp. 205-206.
31 Paolo Zacchia, Quaestiones medico-legales… Tomus secundus, Venetiis, apud Simonem Occhi, 1751, fol., p. 29. La prima ed. delle Quaestiones è degli anni 1621-1634 (Romae, sumptibus Andreae Brugiotti, apud Iacobum Mascardum, 1621-1634, 6 voll., in- fol.). Non a caso, nell’equilibrata sistematizzazione della materia medico-giuridica, Zacchia inserisce l’immagine stereotipata
62 Qui interessa soprattutto il fatto che c’è chi vede nella vecchia una risorsa – Fioravanti, scontento di certa medicina galenica e fautore della nuova chimica, che nel 1603 chiede anche a Venezia l’autorizzazione per alcuni suoi segreti già famosi – e chi invece vi vede solo una minaccia – Mercurio e Zacchia, esponenti del gotha della medicina tradizionale. Alla radice vi è la stessa sfiducia nelle possibilità che la medicina ufficiale sia in grado di elaborare risposte efficaci ai bisogni dell’uomo. Una sfiducia che attraversando l’età moderna ha conosciuto gradi di intensità diversi e risposte con declinazioni di segno altrettanto diverso, condensabili in due poli: dalla paura e chiusura verso l’universo della vetula, tacciata di ciarlataneria come altro-da-sé, fino alla massima apertura e ricettività verso ciò che essa rappresenta, accompagnata da una salubre critica della tradizione e desiderio di rinnovamento che possono prendere la forma anche di un radicale rifiuto della tradizione. Posizione quest’ultima che potremmo vedere incarnata nella dirompente medicina di un Paracelso.33 Tralasciando tuttavia
le posizioni estreme che condurrebbero ad esplorare gli anfratti della contromedicina, o quelli meno fertili dell’antimedicina,34 vedremo nei prossimi capitoli come l’universo dei segreti
farmaceutici sia spesso popolato, fra quanti esercitano professioni mediche (medici, chirurghi, speziali), dalle personalità più aperte e ricettive verso il “basso”, inclini a sottoporre la propria disciplina ad autocritica e a stigmatizzare semmai forme di ciarlataneria interne, accanto a soggetti che non esercitano professioni mediche, ma sono onestamente curiosi di leggere, sperimentare e conoscere nei limiti delle loro possibilità (anche economiche), che rientrano magari fra gli abitanti di quelle “case particolari” che somigliano a tante “aromatarie” piene di libri e ricettari, che si industriano a manipolare “tanti secreti provati & rimedi per ogni sorte di infermità.”
La stessa attitudine ricettiva di Fioravanti, magari più posata e riflessiva nei modi, è riconoscibile anche in molti altri medici, a lui contemporanei e dei secoli successivi, più inclini a rinnovare la disciplina medica per correggere ciarlatanismi interni, attingendo da ogni direzione, piuttosto che pronti a puntare il dito contro i ciarlatani di piazza.35 È l’attitudine di
Antonio Vallisneri, che nella sua prassi terapeutica non disdegnò di far tesoro dei rimedi più empirici, e che chiosava una lettera dello speziale veneziano Gian Girolamo Zannichelli, autore di segreti di successo con il quale intrattenne una fitta corrispondenza, con queste lapidarie parole: “Siamo tutti ciarlatani!”36 Di Vallisneri sopravvive un quaderno di lavoro
dedicato ai segreti, il Tesoro farmaceutico o rimedi varii, o provati da me o da altri, e dati per lo più per
segreti, raccolti da me Antonio Vallisneri in Padoa nelle vacanze dell’anno 1709, che non era neppure
del ciarlatano all’interno del De medicorum erroribus a lege punibilibus, perché effettivamente deve essere ricompresa nella più ampia riflessione intorno a medicina e medicamenti, piuttosto che trattata a parte come appariscente fenomeno di costume. 32 Sul tema si veda Jole Agrimi, Chiara Crisciani, Medici e ‘vetulae’ dal Duecento al Quattrocento: problemi di una ricerca, in Cultura popolare e cultura dotta nel Seicento, Milano, FrancoAngeli, 1983, pp. 144-159.
33 Più volte accostato a Leonardo Fioravanti, in realtà la medicina propugnata dal bolognese è ben più moderata e tradizionalista, cfr. in proposito le riflessioni di Camporesi, Camminare il mondo, cit.
34 Si vedano le linee tracciate da Giorgio Cosmacini, Medicina e “contromedicina”, in Id., Storia della medicina e della sanità in Italia, Roma-Bari, Laterza, 2005, pp. 137-156.
35 Si vedano i racconti di Fioravanti intorno alle proprie esperienze siciliane, quando impara dal vecchio terziario francescano Matteo Guarucci tre rimedi efficacissimi per curare le ferite, oppure il racconto dell’incontro col vecchio Adriano Zaccarello del Regno di Napoli che lo aiutò ad effettuare una splenectomia (estrazione della milza), riprese e studiate da Camporesi, Camminare il mondo, cit.
63 l’unica raccolta di segreti che teneva in serbo per la pratica medica.37 Intercalati da appunti
relativi all’esito della propria sperimentazione sui pazienti, Vallisneri vi annotava i segreti farmaceutici passatigli da colleghi, speziali, oppure propri, ma anche da persone più oscure o che non erano del mestiere (fra essi chimici, cavalieri, frati e anche un cardinale). Colpiscono alcune osservazioni che il naturalista emiliano fa sul campo, indicative di un metodo di lavoro che non esclude a priori alcuna fonte di avanzamento della terapia medico-farmaceutica:
Ferite di testa / Un fratello in villa curò l’altro con fare tagli in croce sopra le percosse, e succhiò bene colla bocca
tutto il sangue coagulato, poi vi applicò sugo di millefollio, e guarì prestissimo.
Per la tigna / A Padoa i poveri fanno questa decozione: mettono a bollire nell’oglio comune della fuligine del
camino, delle noci col guscio fresche, e del sale, e gli ungono e gli cavano i capelli e guariscono.38
Fig. 3
Tesoro farmaceutico o rimedi varii, o provati da me o da altri, e dati per lo più per segreti, raccolti da me Antonio Vallisneri in Padoa nelle vacanze dell’anno 1709, c. 124r
Biblioteca Panizzi, Reggio Emilia, Mss. Regg. F. 411
Figure come quella di Vallisneri, attento anche alle pratiche terapeutiche più lontane dall’accademia, partono spesso da una condizione di insoddisfazione dello stato della disciplina medica, dall’autocritica e da un desiderio di rinnovamento che guarda con attitudine ricettiva anche al di fuori della canonica tripartizione delle professioni della medicina; e approdano spesso ad un genuino desiderio di svellere la ciarlataneria interna alla disciplina, sentita come più minacciosa e perniciosa dei coloriti epifenomeni del topos della ciarlataneria.
Pietro Andrea Mattioli, dal quale siamo partiti, nel discorso intorno ai veleni riferisce di un altro spettacolo di finto avvelenamento, i cui sintomi sono simulati da un ragazzo
37 Biblioteca Panizzi (Reggio Emilia), Mss. Regg. F. 411. Il manoscritto è segnlato da Benedino Gemelli, Rimedi e farmaci nella prassi medica di Antonio Vallisneri, “Medicina & storia”, 15 (2008), pp. 29-54. Che non fosse l’unico, come prevedibile, ce lo dice lui stesso chiosando così il Balsamo Alessandrino (Ivi, c. 33r): “Non trovato di tanta efficacia nelle piaghe e dolori articolari, com’è decantato. Vedi la sua ricetta nell’altro Ricettario in foglio, p. 63.”
38 Tesoro farmaceutico o rimedi varii, o provati da me o da altri, e dati per lo più per segreti, raccolti da me Antonio Vallisneri in Padoa nelle vacanze dell’anno 1709, cc. 63r, 124r.
64 trattenendo il respiro fino a perdere il polso. Il sedicente impostore che tiene la regìa del tutto chiama “un medico di buona pasta” lì presente a tastare il polso per confermare la morte, salvo poi far risorgere il ragazzo con la sua “furfantesca theriaca.” Il panorama incerto delle cure può essere popolato anche di medici “di buona pasta”, che avallano gli inganni in piena buona fede, “non havendo egli forse mai letto che si possa con arte prohibire il battere del polso, come scrive Galeno nel sesto libro dei precetti d’Hippocrate, & di Platone.”39 Il
problema è insomma più complesso ed è anche interno alla medicina ufficiale: è la credulità popolare alimentata dalla ciarlataneria magari involontaria di alcuni veri medici, quindi nella loro scarsa preparazione, come anche nei limiti oggettivi dei rimedi che la medicina può offrire e nel caos terapeutico che spesso si ripropone, nonostante gli organismi di controllo preposti ovunque a distinguere mansioni di medici fisici, chirurghi, barbieri, speziali. In questo disorientamento generale le reazioni possono essere diverse, spesso non così distinte come le si enuclea: l’arroccamento difensivo nell’ufficialità ad ogni costo; il riconoscimento dei limiti e un desiderio di rinnovamento, un’attitudine di ricerca che non esclude aprioristicamente alcuna direzione; l’antimedicina nelle sue manifestazioni di grado più diverso – ora proclamata a gran voce, ora sotto forma di vena carsica.
Sintomatico indizio di un pericolo che viene dal di dentro è il trattamento che riserva a queste problematiche la penna aguzza dell’abate minimo Francesco Fulvio Frugoni, in quella fabbrica barocca di cose e opinioni sulle cose che è l’enciclopedico Cane di Diogene.40
L’impianto dell’opera è satirico e il quadro che emerge sfiora elegantemente i temi cari all’antimedicina: protagonista e voce narrante è Saetta, il cane scacciato di casa da Diogene per aver ridotto a brandelli per fame un suo zibaldone filosofico, che gira per il mondo e attraverso il tempo cambiando padroni e facendo sempre nuovi incontri. La chiave satirica rende forse più facile discernere un nucleo di realtà dalla deformazione che è richiesta dal genere letterario, mentre può essere talora più insidioso da interpretare un trattato serio o un racconto scientifico. Ebbene, Frugoni resta assolutamente tiepido nella descrizione dei ciurmadori, con i quali viene in contatto nella gran piazza di Menfi, “emporio delle menzogne”: nel giro di una pagina esaurisce tutte le tipologie di ciarlatani, in undici righe fa una sintesi potentissima degli espedienti dei venditori di antidoti, cui seguono i giocatori di carte, gli equilibristi e i chiromanti, accomunati tutti dall’intento di “scopar” oro dalle tasche della gente.41