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Venezia, XVIII sec.: professioni dei 242 manipolatori di segret

Manipolatori di segreti, libri e materia medica

Grafico 3. Venezia, XVIII sec.: professioni dei 242 manipolatori di segret

179 Tra le singole professioni - o non professioni, nel caso di soggetti dei quali le fonti non dichiarano un mestiere – in questo capitolo prenderemo in esame alcuni casi nell’intento di dare ai nomi dei manipolatori e venditori di segreti uno spessore socio-culturale sufficiente in cui calare e valutare – se possibile – la loro attività di “secretisti”.

È opportuno fare due considerazioni preliminari: la fetta più consistente delle “torte” è rappresentata dalle professioni non dichiarate nelle fonti e quindi non identificate, alle quali si dedicherà spazio nel trattare i casi particolari, soprattutto al fine di vedere in quale rapporto stiano con i ciarlatani propriamente detti; inoltre la scarsa documentazione del XVII secolo insieme ad altri fattori che evidenzieremo a suo luogo, condizionano anche le percentuali dei dati per quel secolo. Fermi restando questi due punti, da un rapido confronto dei grafici si evidenziano alcuni mutamenti sul lungo periodo:

- flessione costante dei ciarlatani, che in sé rappresenta un dato tutt’altro che confortante, essendo solo indice del fatto che diminuiscono quelli autorizzati; non a caso le lamentele e le proteste - anche letterarie - contro i ciarlatani si moltiplicano nel corso del Settecento, così come l’inefficacia della politica di contenimento di queste figure si riverbera nei ripetuti appelli normativi;2

- crollo repentino della presenza di medici fisici nel Seicento, confermata nel Settecento;

trend in calo anche per i chirurghi;

- lieve incremento di dentisti e barbieri, droghieri e altre tipologie di mercanti, nonché di chimici;

- lento ma costante incremento delle figure religiose (regolari e secolari);

- massimo incremento degli speziali, la cui percentuale è più che duplicata all’alba di ciascun secolo.

Proviamo ora di avvicinare alcune di queste figure dalle professioni diverse, che, nel corso dei tre secoli, ricevono autorizzazioni per segreti medicinali, tenendo conto, qualora vi siano, di alcuni tratti peculiari a ciascun periodo.3

SECOLO XVI. Esclusa l’emergenza della peste che ha richiesto un trattamento a sé, le

figure che s’incontrano nel secolo XVI, accanto ai ciarlatani, sono piuttosto varie, e vanno dal puro semplicista al medico. Tuttavia la percentuale di individui dalla professione non dichiarata

2 Contro la “setta malefica di ciarlatani, ciurmatori, empirici, occultisti non approvati, e consimili impostori”, gli esercenti di quel “dannato mestiere di ciurmatore”, come si è visto, si scaglieranno i provveditori veneziani nel 1770 e nel 1794, cfr. terminazione dell’8 giugno 1770, ASV, Sanità, Notatori, reg. 762, cc. 31v-32r e terminazione del 29 dicembre 1794, in Sanità, Notatori, reg. 786, c. 174v. Sulle proteste letterarie e non contro la ciarlataneria dilagante rinvio alla fiorente letteratura di studi esistente.

3 Naturalmente la partizione per secolo è di comodo e va presa con le debite cautele. A suo luogo si sottolineeranno infatti elementi di continuità o di frattura anche all’interno dello stesso arco di tempo preso in esame (soprattutto per il sec. XVIII, foriero novità legislative).

180 dalle fonti è la più ampia, e corrisponde al 41% dei richiedenti un’autorizzazione per segreti. Il primo sospetto che nasce è che sotto tale percentuale si possano nascondere ciarlatani non esplicitati come tali dalle fonti, in un’epoca in cui la loro figura era professionalizzata e apertamente dichiarata. Ma questo lo si dovrebbe escludere, perché nell’input dei dati si è tenuto conto di alcuni fatti che andavano al di là delle mere dichiarazioni delle fonti. Bisogna tener presente infatti, per il secolo XVI-primi del XVII,che:

1: un certo numero di richiedenti si contenta di vendere “semplici” (per lo più vegetali) o antidoti piuttosto comuni (terra di Malta, grazia di S. Paolo etc.);

2: molte richieste di autorizzazione riguardano solo la vendita e non la manipolazione di un segreto (in questo caso non si tratta di autori/inventori, ma di rivenditori del prodotto); 3: fino ai primi anni del XVII secolo ricorre – in alcune suppliche come nelle licenze – la formula

di vendita su banchetto o senza (“così in banco come zoso [= giù] di banco” o simili).

Non solo ciarlatani. Ferma dunque restando la consapevolezza del verificarsi di questi

fattori, quando ci siamo trovati davanti alla formula del punto 3, associata alla vendita di medicinali che non implicano un’elaborazione originale (punto 2), le persone dalla professione non dichiarata sono state quasi sempre computate fra i ciarlatani, dei quali non ci occupiamo.4

Con alcune eccezioni. Già in tema di semplici ad esempio, in diversi richiedenti non vi sono indizi in tali da far propendere per una loro identificazione con i ciarlatani. Il caso più eclatante è quello di Giovanni Patrone da Monfalcone, che nell’autunno del 1590 viene autorizzato a vendere a Venezia “alcuni semplici come in una sua polizza avanti noi presentata appar” - l’elenco ne contiene ben 32 (angelica, imperatoria, corallina, dittamo bianco etc.) - e pochi mesi dopo, nel febbraio 1591, è autorizzato a vendere un “onguento da rogna, [e] remedii da denti, conforme come ci ha dimandato.”5 La concessione avviene senza la formula “in banco come

zoso di banco”, allora consueta, ragion per cui non abbiamo motivo di considerarlo un ciarlatano, bensì una figura dalla professione indeterminata che chiede di far commercio di semplici e di alcuni rimedi di uso esterno. Un altro caso in cui dietro un venditore di semplici non si nasconde necessariamente un ciarlatano è quello di “Marc’Antonio Galeotto simplicista gerosolimitano” che chiede di dispensare in città ben 24 semplici “et altri, come ne venirà occasione”. Vi è pure chi chiede di fare il semplicista pur esercitando un mestiere, come un certo Silvestro che dichiara di essere cimador, lavorante della lana, ma supplica egualmente i provveditori di essere autorizzato a vendere radici e semplici “per le virtù et proprietà a che

4 Esemplare è il breve caso di “messer Marsilio Savina venetiano”, che abbiamo inserito fra i ciarlatani per i due fattori concomitanti. Questi si presenta “esponendo a signorie clarissime qualmente si ritrova in questa città per voler montar in banco et dispensare alcune radici di erbe, cioè Angelica odorata, et ancora cose salutifere a’ corpi humani per esser appropriate per diverse infirmitadi, sì come li autori ne descrivono.” Savina chiede l’autorizzazione alla vendita di una radice montando in banco il 12 maggio 1604, cfr. ASV, Sanità, Notatori, reg. 737, c. 163r.

181 sono buone”, e probabilmente per arrotondare un magro stipendio o per mantenere una famiglia particolarmente numerosa (ipotesi non verificabili in assenza di un cognome).6

Non solo semplicisti. Accanto a licenze di vendita di semplici, anche nel secondo

Cinquecento si richiedono autorizzazioni per rimedi più elaborati e/o per patologie specifiche. Per partire da quanti non dichiarano una professione, porto l’esempio dei fratelli Botteghisi di Bergamo, Francesco e Giuseppe, che il 3 aprile 1574 ottengono un’autorizzazione per una “mestura o onguento” per disinfettare i panni sporchi. Si trattava di “una ricetta con uno rimedio mirabile di far morir li vermetti a quelli che non hanno la comodità di mudarsi de drappi come hospedali, pregioneri, galee, nave, navilii, et altre simil povere persone”, che i due fratelli avevano sottoposto all’esame dei provveditori alla Sanità con una supplica alcuni mesi prima, il 10 ottobre 1573.7 Il caso è ben documentato: all’elenco degli ingredienti della ricetta (a base di

olio di semi di lino e sostanze dalle proprietà abrasive: chelidonia, agrimonia, artemisia, “sapon nigro”, e argento vivo corretto) segue l’attestazione di priore e consiglieri del collegio medico fisico che al suo interno non vi sono sostanze nocive.8 Una volta esaminata, la ricetta viene poi

sperimentata con successo nella “prigion Mocina”, come si dichiara il 9 dicembre 1573, ovvero una delle prigioni che si trovavano al pian terreno di Palazzo Ducale.9 Concluso felicemente

l’iter, i provveditori concedono ai fratelli Botteghisi l’autorizzazione a manipolare e vendere indisturbatamente il rimedio per trent’anni, con la possibilità di trasferire la licenza agli eredi o a chi piacesse loro. Rispetto ad altre autorizzazioni rilasciate, la licenza dei Botteghisi ha una durata molto lunga e clausole ereditarie e di cessione, dal che si può dedurre che i provveditori riponevano una certa fiducia nell’efficacia del segreto. Benché dalla professione non identificata, i due fratelli bergamaschi sembrano persone - o “particolari” - che per qualche esperienza non esplicitata hanno acquisito conoscenza profonda e certa della manipolazione di alcune sostanze efficaci nella pulizia e disinfezione di abbigliamento e affini, e decidono di sfruttarla come fonte di reddito per sé e per la propria discendenza, con circuiti di vendita speciali (ospedali, carceri, galee etc.) che non sono le esibizioni di piazza. Anche in un caso tutto sommato isolato – per i cui protagonisti, citati una sola volta, non sono state rintracciate altre notizie che facciano più luce sul loro status socio-professionale – sembra chiaro che non ci troviamo di fronte a ciarlatani, quanto piuttosto ad una dimensione familiare del segreto medicinale, per l’origine così come per la gestione futura dello stesso.

6 Ivi, cc. 63v-64r, 67r, 13 agosto e 23 novembre 1591. Il cimador propriamente mondava e toglieva il pelo superfluo ai panni durante la lavorazione della lana.

7 ASV, Sanità, Notatori, reg. 732, cc. 3v-6r.

8 Ivi, c. 5v: “Dicemo che l’onguento preparato nel modo che scrive l’inventor di quello e adoperado nel modo che promette, si può admeter, con questa però condiitone: che avanti l’ontione si facia qualche purgatione del corpo che s’haverà ad ongere o poco o molto secondo che parerà al fisico interveniente.”

9 In generale sull’argomento si veda Giovanni Scarabello, Carcerati e carceri a Venezia nell’età moderna, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1979 e Id., Carcerati e carceri a Venezia dal XII al XVIII secolo, Venezia, Supernova, 2009.

182 Casi simili sono frequenti nel Cinquecento, quando è più difficile incrociare dati di carattere anagrafico o socio-economico - per la loro scarsa sopravvivenza nella prima età moderna, soprattutto per figure di stato medio o medio-basso - con quelli forniti dalla fonte principale (i Notatori). Scarsissimi dati di partenza ci sono ad esempio per individuare un certo Giulio di Alberto che il 29 agosto 1580 viene autorizzato a manipolare e vendere un segreto per la tigna, un olio che può essere usato esternamente anche per curare emorroidi, scottature, geloni e screpolature varie. Non c’è menzione del cognome e l’iter non è molto documentato (non vi è l’elenco degli ingredienti della ricetta), tuttavia alcuni indizi del tenor della supplica trascritto nei Notatori non lo fanno certo ricadere nel mare magno della ciarlataneria. Giulio propone “uno secreto mirabilissimo et sicurissimo per la tigna essendo rimedio approbato et certo, come appar per fede dell’eccellentissimo signor Allvise Venier medico di questa città il quale mi ha conosciuto et veduto adoperar nelli ospitali di S. Giovani et Paulo con grandissima meraviglia di ognuno.”10 Alvise Venier non è un medico qualsiasi, ma uno stretto collaboratore

della Sanità fin dal tempo del contagio con la delicatissima mansione di deputato all’esame dei cadaveri, nonché protomedico entrato in carica nel 1575;11 una figura all’apice della carriera, ben

inserita nel tessuto sociale - e naturalmente sanitario - della città. Una sua attestazione aveva di certo un peso non indifferente e non doveva essere così facile procurarsela (è l’unica che abbiamo trovato citata).12 Il fatto poi che Giulio avesse adoperato il suo segreto sui malati

dell’ospedale degli Incurabili di SS. Giovanni e Paolo, implica quasi certamente che avesse avuto un impiego o comunque un incarico al suo interno, quindi una qualche professionalità spendibile in ambito sanitario. Tutte queste deduzioni semplicemente per suggerire come, dietro una professione non identificata che appare nel nostro piccolo database, e quindi nella fetta del grafico, ci siano anche persone comuni, “particolari” inseriti nel più normale e stabile contesto sociale. Il tutto mentre quasi contemporaneamente a Giulio un certo Lorenzo di Giacomo romano dichiara “la sua professione di salire in banco, come continuamente egli ha fatto in molte città d’Italia et appare amplamente ne’ suoi privilegii autentici concessoli da molti principi et signori di Italia si vede et legge” e ottiene la licenza di vendere, come ciarlatano, il semplice olio di sasso.13

10 ASV, Sanità, Notatori, reg. 735, c. 32r-v.

11 ASV, Secreta. Materie miste notabili, reg. 95, cc. 110r-113v, relazioni dei medici Negroni, Venier e Ailà incaricati dell’esame dei cadaveri in città; per l’elezione a medico della Sanità si veda ASV, Sanità, Notatori, reg. 732, c. 94r, 8 febbraio 1574/75 essendo “lo eccellente messer Alvise Venier dottor di quella suficienza, valor et esperientia che da molti eccellenti medici è stata fatta piena fede.”

12 La data di morte di Alvise Venier, 22 febbraio 1587, è ricordata anche in BMC, Codice Gradenigo Dolfin, 197, II, c. 16r: “Venier protomedico della sanità morì in contrada S. Fosca.” Indicatore piuttosto significativo dello status raggiunto è l’inventario post mortem dei suoi beni mobili e immobili, che descrive una casa con sue pertinenze a Salvarezze (Padova), e una casa da stazio a Venezia in contrà S. Sofia, cfr. ASV, Giudici di Petizion, Inventari, b. 339/4, nn. 44-45. Giulio disponeva non solo dell’attestazione di Venier, ma anche di molti vicentini e “de diversi nobili di questa città”, così il collegio medico interpellato è favorevole a concedergli una licenza biennale per vendere anche a Venezia il suo olio.

183

Angelo Rusca barbiere. Tra i soggetti con professione dichiarata del secolo XVI vi sono figure quali Angelo Rusca, “ceroico e barbier a Rialto all’insegna de l’Aquilla negra”, quindi con propria bottega, che chiede nel 1597 di “dar per bocca un suo particolar secretto buono per la retencion de orina et carnosità [della verga]”, ovvero per la prostata. In questo caso la richiesta sembra proprio sottendere anche la manipolazione, come diventerà consueto col passare degli anni. Esaminato il rimedio con attento “processo” dai medici, e sentiti vari testimoni, i provveditori concedono al barbiere l’autorizzazione a medicare per bocca col suo segreto.14

Rusca è un barbiere con formazione non empirica (per questo si definisce barbiere-chirurgo), e per quel poco che è dato indagare sulla sua vita doveva godere di una posizione socio- economica piuttosto stabile.15 Dei tre figli che ebbe, Lucietta, Adriana e Vincenzo, sappiamo che

quest’ultimo fu rettore della chiesa di S. Giorgio a Chirignago (Mestre) per quarant’anni, dal 1622 al 1662. Il suo rettorato si distinse per diversi interventi di restauro, ampliamento e committenza d’arte in occasione delle visite pastorali, e alla morte, oltre a lasciare generose donazioni ai suoi tre commissari (il compare Girolamo Fossa, il rettore di Chirignago e, a scelta degli abitanti del luogo, un “cittadino o mercante che habi beni in Chirignago, che sii di buona fama”), destinò una somma di 8.000 ducati per operazioni di ristrutturazione della chiesa;16 lasciò

infine la sua libreria, che doveva stargli a cuore come a quanti ne dispongono nelle ultime volontà, ai padri gesuiti di Venezia, o in alternativa ai somaschi.17 Come si può constatare, il

barbiere Rusca, autorizzato nel gennaio del 1597 a manipolare e vendere un segreto per bocca, è un soggetto pienamente integrato nel tessuto socio-economico della città, con una discendenza che mostra un livello di acculturazione superiore alla media; si tratta di un barbiere che grazie alla professione esercitata possiede alcune nozioni mediche, magari approfondite per conto proprio, che gli hanno permesso di elaborare un segreto farmaceutico, in una cornice quotidiana della cura.

14 Ivi, c. 209v, autorizzazione del 2 gennaio 1596/97.

15 L’arte dei barbieri si articolava in otto “colonnelli” o partizioni: barbieri-chirurghi, barbitonsori, conzaossi, norsini (addetti alla cura degli organi genitali), cavadenti, stueri, braghieri (per ernie e castrazione di animali), parucchieri. Dapprima la Giustizia Vecchia abilitava i barbieri-chirurghi all’esercizio della professione, ma dal 1596 il collegio medico-chirurgico si avocò la prerogativa, dopo che avessero sostenuto un apprendistato di 4 anni presso un altro barbiere, mentre la Giustizia Vecchia ratificava solo le licenze concesse; dal 1730 i barbieri-chirurghi dovevano sostenere un esame in volgare. Si vedano Giovanni Dolcetti, I barbieri chirurghi a Venezia, dall’opera inedita l’Arte dei barbieri attraverso i secoli, “Ateneo Veneto”, a. XIX, fasc. 2 (sett.-ott. 1896), pp. 226-250; Nelli Elena Vanzan Marchini, Le professioni sanitarie nella Venezia del ‘700, “Provincia di Venezia”, 3 (1984), pp. 43-48; Antonio Manno, I mestieri di Venezia, cit., pp. 48-49.

16 Le notizie si ricavano dal testamento di Vincenzo quondam Angelo Rusca, in ASV, Notarile testamenti, notaio Andrea Bronzini, b. 65 n. 279, testamento del 1° gennaio 1658/59 con tre codicilli, aperto nell’aprile del 1662. Nella parrocchia di Chirignago Vincenzo possedeva anche due casoni e della terra che gli fruttavano 28 ducati l’anno. Fra gli altri legati testamentari, Vincenzo destina 110 ducati all’acquisto di una nuova campana che sia chiamata “Rusca”, altri 110 ducati per un tabernacolo di pietra viva per l’altare del Santissimo Sacramento della chiesa, 150 ducati per un nuovo “cesendal d’argento”, 80 ducati per una pila per l’acqua santa, 300 ducati per due iscrizioni in pietra viva che lo menzionino, le cui parole allega al testamento.

17 “Di più lascio la mia libraria d’esser data alli padri Giesuiti di Venetia con quell’obligo maggior di messe che pararà al chiarissimo Gerolemo Fossa mio comessario, et non aggiustandosi con detti padri, possi trattare ed aggiustarsi con li padri somaschi di Venetia.” Ivi.

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Simone da Udine medico. Tra i medici che nel XVI secolo richiedono l’autorizzazione alla Sanità per segreti vi è anche un certo Simone da Udine, formatosi nella pratica affiancando il più noto Angelo Forte che “con suoi proprii secreti curava diverse infirmità quasi incurabili all’arte medicinal, sì come a tutti universalmente era manifesto”, e che otteneva nel gennaio del 1565 anche dalla Sanità l’autorizzazione di medicare con i segreti del maestro.18 Angelo Forte era stato

un medico autore di alcune opere a stampa in cui amava definirsi “Naturae investigator”, perché, sosteneva, solo a partire dalla corretta conoscenza di caratteristiche e proprietà delle sostanze naturali era possibile elaborare medicamenti efficaci.19 Una delle opere edite di Forte, sui metodi

terapeutici dolci da lui prediletti, è dedicata proprio a Simone - “Angelus Fortius Naturae investigator sanandique syncerae facultatis inventor, Simoni Arborsello artium & medicinae doctori excellentissimo”: apprendiamo così che il Simone medico e supplice per segreti a Venezia si chiama Arborsello.20 Simone aveva già la licenza rilasciata nel 1557 dalla Giustizia

Vecchia – a seguito dell’iniziale sovrapposizione di competenze che abbiamo visto – ma ora desiderava quella della Sanità avallata dall’autorità del Senato, dal momento che “alla morte di esso eccellente [Angelo Forte], lasciò herede di tutti i suoi secreti io Simon predetto, li quali secreti ho appresso di me in scrittura”.21 È questo un punto importante, che si constata

ricorrente, per lo meno nei medicamenti di maggior successo: la loro menzione nelle volontà testamentarie o comunque la loro trasmissione, in genere in forma scritta, a persone di fiducia in mancanza di eredi diretti.

Due speziali. Nel XVI secolo si registrano solo due casi di speziali che bussano alle porte dei provveditori alla Sanità. In un caso si tratta del rinnovo del privilegio per la polvere vermifuga (la corallina) che fu di Leone Tartaglini, confermato a favore di Angelo speziale all’Abramo.22 Nell’altro la dimensione familiare è evidente. Nel settembre del 1574 Gabriele

18 Su Angelo Forte e le sue opere si veda la scarna voce di E. Peruzzi in DBI, ad vocem e il contributo descrittivo di Gianfranco Garosi, Angelo Forte medico del Cinquecento e storico della medicina, “Acta medicae historiae Patavina”, VI (1959-60), pp. 83-105. Morì probabilmente intorno al 1556/57. Interessanti cenni sulla presenza dei segreti di Forte nelle spezierie veneziane della prima metà del XVI secolo sono in Richard Palmer, Pharmacy in the Republic of Venice in the sixteenth century, in A. Wear, R.K. French, I.M. Lonie (eds.), The medical Renaissance of the sixteenth century, Cambridge, Cambridge University Press, 1985, pp. 100-117: 112. Il 3 dicembre 1547 lo speziale all’Orso di campo S. Maria Formosa, Sabbà di Franceschi, venne multato per medicinali avariati; nell’occasione i soprastanti alle spezierie trovarono in suo possesso anche dei sigilli per la vendita di segreti di “Anzolo de Fortis”, che misero temporaneamente sotto sequestro per verificare l’esistenza di autorizzazioni alla loro vendita. Cfr. ASV, Sanità, Notatori, reg. 729, c. 146v.

19 Opinione dei medici più avveduti e avanzati, riscontrabile in un Tommaso Giannotti come anche in Ulisse Aldrovandi, che insiste spesso sulla necessità che medici e speziali abbiano una conoscenza diretta dei regni naturali cfr. Olmi, Farmacopea antica e medicina moderna, cit., p. 218 e segg.

20 Angelo Forte, De medica inventione commune bonum una proprium ducit, [colophon:] Venezia, Nicolini da Sabio, 1544, [10] c.; 12°. La dedica si conclude così: “libellum composui, in quo naturalia fundamenta mirabilium vitae humanae clara luce apparent, quae si quis bene consideraverit, talpae oculos certe aperiet intelligentique fulgorem acquiret. Vale igitur mi excellentissime Simon, diuque foelix vive.”

21 ASV, Sanità, Leggi sanitarie deliberate in Pregadi, reg. 13, cc. 78r-79v. Il trattamento riservato al medico dai provveditori è di