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Vendita sub corona degli schiavi

Abbiamo già visto come il potere di disposizione dei magistrati si estendesse anche ai prigionieri, i quali, fra le varie sorti cui erano destinati, e che abbiamo già analizzato, erano spesso oggetto di vendita pubblica, per conto del popolo romano, con ricavato devoluto all’erario195.

Festo196, a riguardo, parla esplicitamente di vendita all’asta “sub

corona” riprendendo l’affermazione di Catone il Censore nel De re militari:

Sub corona venire dicuntur, quia captivi coronati solent venire, ut ait Cato in eo, qui est de re militari: “Ut populus suus sua opera potius ob rem bene gestam coronatus supplicatum eat, quam re

194 Cfr. S. Barbati, Sul regime proprietario del bottino di guerra mobiliare, op. cit., p. 511. 195 Cfr. R. Ortu, Schiavi e mercanti di schiavi in Roma antica, op. cit., p. 35.

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male gesta coronatus veneat”. Id autem signum est nihil praestari a populo, quod etiam Plautus significat in Hortulo: “Praeco ibi adsit, cum corona, cuique liceat veneat”.

Anzitutto, dal brano, emerge come la denominazione di vendita

sub corona derivi da una costante prassi commerciale, che voleva

i prigionieri di guerra essere alienati con sul capo questo particolare ornamento, il quale, indipendentemente da un’esplicita dichiarazione del venditore in merito, ne confermava la qualità soggettiva.

La parte finale del testo fa evidente riferimento, come vedremo successivamente anche in un frammento di Celio Sabino, all’effetto giuridico che deriva dal porre la corona sul capo dei captivi, che aveva la funzione giuridica di escludere la prestazione di ogni tipo di garanzia da parte del venditore che, in questo caso, è indicato dal termine ‘populus’, poiché appunto, nel caso specifico, si tratta di una vendita pubblica.

La possibilità della vendita sub corona dei prigionieri si evince poi anche da Varrone197:

Varr. Re rust. 2.10.4: In emptionibus (servorum) dominum

legitimum sex fere res perficiunt: si hereditatem iustam adiit; si, ut debuit, mancipio ab eo accepit a quo iure civili potuit; aut si in iure

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cessit qui potuit cedere, et id ubi oportuit [ubi]; aut si usu cepit; aut si e praeda sub corona emit; tumve cum in bonis sectioneve cuius publice veniit.

Sull’operazione economica descritta dal passo vi sono numerose lacune, che ci impediscono di comprendere a pieno l’istituto. Terminato il saccheggio e, una volta che il comandante avesse distribuito la preda tra i soldati o deciso le altre diverse possibili destinazioni di questo bottino, tutto il resto si riteneva dovesse appartenere indistintamente al popolo romano che acquisiva la qualità di venditore sub corona dei prigionieri così residuati. Le fonti non sono più esplicite in tema, ma, seguendo l’opinione recentemente espressa dalla Ortu, si deve ritenere che, come in qualsiasi altra vendita pubblica, si realizzasse un acquisto a titolo derivativo da parte del compratore privato.

La vendita sub corona era sostanzialmente una vendita all’incanto, le cui modalità appaiono poco conosciute: “era praticata fin dal periodo arcaico e, come scrive Livio, risulta utilizzata a far data dal VI sec. a.C.”198:

Liv., 2.17.6: Ceterum nihilo minus foeda, dedita urbe, quam si

capta foret, Aurunci passi; principes securi percussi, sub corona venierunt coloni alii, oppidum dirutum, ager veniit.

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Per quanto qui maggiormente interessa, se l’origine del termine

sub corona deriva da quei casi in cui, anticamente, i prigionieri

catturati al nemico venivano venduti con una corona sul capo199,

che serviva sostanzialmente a distinguerli da altre categorie di uomini messi in vendita, l’istituto doveva essere regolato per analogia a quello dell’alienazione di un servo quando costui vestiva un pilleum: in entrambi questi casi il fine era quello di escludere ogni tipo di garanzia per chi acquistava. È Aulo Gellio, riportando le parole di Celio Sabino a darcene una testimonianza:

Noct. Att. 6.4.3-5: [Celius Sabinus] ‘Sicuti’, iniquit ‘antiquitus mancipia iure belli capta coronis induta veniebant et idcirco dicebantur “sub corona” venire. Namque ut ea corona signum erat captivorum venalium, ita pilleus impositus demonstrabat eiusmodi servos venundari, quorum nomine emptori venditor nihil praestaret’. 4. Est autem alia rationis opinio, cur dici solitum sit captivos ‘sub corona’ venundari, quod milites custodiae causa captivorum venalium greges circumstarent eaque circumstatio militum ‘corona’ appellata sit...

È evidente dall’uso del termine antiquitus che probabilmente l’autore si riferiva ad un procedimento non più in uso nel suo

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tempo. La Ortu evidenzia, infatti, come, nel quarto paragrafo, “l’espressione sub corona deriverebbe dalla statio militum che andava a formarsi intorno ai prigionieri a scopo di custodia, denominata appunto corona”, intendendo di fatto un perimetro di soldati che si dispongono intorno a qualcosa.200

Infine, Tacito e Vopisco testimoniano come “l’espressione sub

corona, continuasse a designare la venditio pubblica dei prigionieri

di guerra fino alla tarda età imperiale” pur non essendovi più l’usanza, già dal I sec. d.C., di coronare materialmente i captivi201:

Tac., Ann. 13.39.4: Tantus inde ardor certantis exercitus fuit, ut

intra tertiam diei partem nudati propugnatoribus muri, obices portarum subversi, capta escensu munimenta omnesque puberes trucidati sint, nullo milite amisso, paucis admodum vulneratis. Et imbelle vulgus sub corona venundatum, reliqua praeda victoribus cessit.

Lo storico racconta in questo estratto dei suoi Annali di una impresa militare, in cui l’esercito romano compì un vero e proprio eccidio: infatti, oltre ai difensori delle mura e delle barricate nemiche che furono spazzati via dalla sua avanzata, tutti i maschi adulti che furono catturati nella fortezza vennero via via trucidati senza la perdita da parte romana di neanche un legionario. La

200 Ivi, p. 39. 201 Ivi, p. 42.

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massa di coloro che, invece, non potevano combattere, essendo l’unica preda vivente dei vincitori, fu venduta come schiava sub

corona. In questo caso, all’evidenza, la menzione di tale vendita

non sottende tanto al reale impiego di quella specifica forma di pubblicità commerciale, ma, più genericamente, ad ogni tipo di asta pubblica di schiavi.

Un’ultima testimonianza è quella contenuta nella vita di Aureliano di Vopisco, raccolta nella Historia Augusta, nella quale viene ancora ribadito che il comandante dell’esercito avrebbe potuto procedere immediatamente alla vendita sub corona dei

captivi:

Vop., Hist. Aug. Aurelian. 7.1: Idem apud Mo<go>ntiacum

tribunus legionis sextae Gallicanae Francos inruentes, cum vagarentur per totam Galliam, sic adflixit, ut trecentos ex his captos septingentis interemptis sub corona vendiderit.

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