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1.2. Il locale complesso

1.2.2. Verso il locale

Il riferimento al contesto dunque è un elemento centrale nel discorso sulla complessità e, per quel che qui è rilevante, diventa l’elemento teorico mediante il quale si cercherà di introdurre meglio il concetto di ‘locale’.

L’attenzione al contesto significa che inizialmente è necessario valutare la scala delle grandezze. L’idea entro la quale avviene una tale valutazione è la difficoltà nel concepire un contesto globale di riferimento senza per questo cadere in un estremo riduzionismo. Come detto, l’idea di complessità si sviluppa inizialmente in contrasto con la tendenza a creare modelli disciplinari di ricerca validi a livello quantitativo e di previsione sulla realtà analizzata. Il contrasto nasce dall’isolamento tra teoria e pratica dovuto ad una mancata percezione delle diverse scale di grandezza. Quei modelli prodotti restano su di un piano puramente teorico se si procede verso la piccola dimensione: si opera a livello di ricerca e di previsione come se esistesse un unico contesto di riferimento con caratteristiche comuni. Il problema è che quanto di comune vi è al di fuori di un contesto specifico non può che essere qualcosa di molto generale. Se, come detto nell’introduzione alla tesi, si sta affrontando un tema esplorativo e ben localizzato, come quello di una ‘mappa di comunità’, diventa necessario affrontare il discorso teorico sin dall’inizio sul piano particolare e non generale. La tradizione stessa delle parish maps inglesi, come si vedrà nel terzo capitolo, trae origine da un ripensamento di alcuni canoni disciplinari della geografia e della cartografia verso l’esaltazione della particolarità.

La rottura tra teoria e pratica avviene quando si applica quel modello unico e generale pensando, da parte di chi lo applica, che le peculiarità dei sotto-contesti più piccoli siano irrilevanti e che comunque, nonostante le differenze di scala, si possano ottenere i risultati pratici previsti a livello generale anche nel livello particolare. Esiste un sistema-approccio dominante di pianificazione dei luoghi entro il quale si stabiliscono priorità e obbiettivi ad un livello centrale e si procede

8 Sul discorso finora condotto bisogna precisare che l’intento è teorico: si cerca di argomentare intorno alla necessità di

alcuni concetti nell’interpretazione di quella che si è definita ‘dimensione locale’. Quando si critica un certo paradigma ‘tradizionale’ si cerca di mostrare la sua inefficacia rispetto a quella dimensione, non la sua inefficacia a prescindere.

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nell’applicazione fino al livello periferico. Un modello che coerentemente rientra entro lo schema gnoseologico criticato dai teorici della complessità.

Nel restituire valore al contesto di riferimento particolare si tiene ovviamente conto anche delle diverse grandezze (Schumacher 2010; Annis 1987; Clifford e King 1996; Morin 1997, 50). Se si segue perciò questo ragionamento ne risulta anche un adeguamento teorico alla scala di riferimento. Ciò vuol dire capire che quando si procede verso la piccola dimensione diventano sempre più rilevanti le caratteristiche peculiari, quelle che secondo il modello generale di interpretazione possono essere messe da parte senza condizionare la previsione e il controllo finale. Cosa significa diventare rilevanti? Vuol dire che nel momento stesso in cui si concepisce un modello interpretativo di quella dimensione si devono tener presenti le peculiarità. Vuol dire che la teoria deve assumere al suo interno le sfumature della pratica: reintegrare quanto la teoria generale ha dovuto non considerare per rimanere generale. Qui, però, si crea un problema: in questo modo la teoria deve contenere ciò che la può anche far crollare, ciò che la contrasta empiricamente. Si è al limite del paradosso secondo una logica tradizionale, ma è proprio qui, in questa frattura che interviene l’idea di complessità: un’idea entro cui la contraddizione è ammessa, entro cui vi può essere “congiunzione di termini che si combattono reciprocamente” (Morin 1997, 60). Una conoscenza complessa porta alla rinuncia di un solo modello teorico indiscusso e valido al di sopra dei contesti particolari. Al fine di procedere verso una conoscenza contestuale, si ha bisogno di una teoria contestuale che accolga le sfumature nel senso di cui sopra.

Si può intendere ora, seguendo quanto detto, la ‘località’ come particolare e piccolo contesto e soprattutto si può guardare alla complessità come quell’approccio che permette di dare rilievo teorico alla località: l’incontro tra teoria e pratica può avvenire solo se si opera una riduzione di scala evitando che il particolare di un contesto ‒ un luogo si potrebbe dunque dire – rimanga escluso nel concepimento teorico. Forse diventa opportuno proporre teorie più piccole per luoghi più piccoli.

Quando si è a contatto con la piccola dimensione rurale ci si accorge come, contrariamente a quanto avviene nella grande dimensione urbana, le differenze e l’unicità siano molto più visibili rispetto ai tratti comuni, all’omologazione. In un contesto locale i dettagli sono l’elemento che si palesa di più pertanto, nell’interpretare quel contesto, non li si può escludere perché significherebbe prescindere da ciò che lì maggiormente si nota.

Non sarebbe sufficiente però fermarsi a questo argomento delle diverse scale di grandezza per arrivare al locale in quanto significherebbe identificare quest’ultimo soltanto da un punto di vista quantitativo, sarebbe un rimanere ancora in un paradigma riduzionista, lontano dalla complessità. Bisogna percepire certamente alcune differenze di dimensione, è il passo iniziale, ci si avvia verso la

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‘località’, però occorre integrare con altri elementi interpretativi per giungere a quel locale cui ci si vuole riferire qui.

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