Nella trattazione dell'apprendimento organizzativo e dei concetti ad esso collegati sviluppata nel corso del secondo capitolo si sono identificate una serie di variabili, alcune ricorrenti pressoché in ogni ambito preso in considerazione, altre peculiarmente considerate solo in alcuni dei riferimenti bibliografici utilizzati per la stesura dell'elaborato, che possono risultare utili nel tentativo di applicare a livello pratico il vasto e complesso concetto di apprendimento organizzativo, ovvero qualora si voglia capire se una determinata organizzazione si possa qualificare o meno come una learning organization. Ovviamente, per le motivazioni più volte sottolineate soprattutto in riferimento alle particolarità dei singoli contesti, tali variabili non possono pretendere di essere esaustive: ogni organizzazione avrà al proprio interno processi unici, dunque non riconducibili immediatamente al framework che si cerca di costruire in questo elaborato. Vi è poi il problema, anch'esso già visto, della soggettività dell'osservatore: il medesimo framework potrebbe essere applicato in maniera diversa da due osservatori diversi, pur all'interno della medesima azienda. Inoltre, è necessario ricordare ancora una volta come una definizione univoca di apprendimento organizzativo non esista, e questo complica ulteriormente il compito di chi voglia identificarlo all'interno di una azienda specifica. Nondimeno, per costruire un framework di questo tipo è necessario fare riferimento ad una versione di apprendimento organizzativo più specifica possibile: tra le teorizzazioni classiche prese in considerazione (ovvero quelle affrontate nel corso del primo capitolo), quella maggiormente utilizzabile a livello pratico, come già detto, sembra essere quella di Nonaka. Nel framework, dunque, si prenderanno in considerazione quelle variabili che possono favorire i processi di creazione e trasferimento di conoscenza tra i vari membri dell'organizzazione, considerando anche le difficoltà insite nell'individuare e quindi condividere la conoscenza tacita. Un ruolo fondamentale, in questo senso, è svolto dalla comunicazione, che interviene ed influenza tutte le variabili che saranno considerate nel framework: essa riveste dunque il ruolo di macro-variabile che conferisce maggior organicità al framework stesso. La comunicazione, infatti, è imprescindibile per ogni processo di apprendimento organizzativo, laddove esso si ponga l'obiettivo non solo di creare conoscenza, ma
anche di permetterne il trasferimento e la condivisione. Da ultimo, bisogna anche sottolineare come le esperienze pratiche spesso si discostino dalle riflessioni teoriche, dunque alcuni passaggi di ciò che è stato scritto nei primi due capitoli si renderanno poco applicabili ai contesti reali, e la costruzione del framework dovrà per forza di cose rappresentare una rivisitazione di tali passaggi. Per tutte queste ragioni, il framework qui presentato si pone l'umile obiettivo di costruire un sentiero che porti ad indicazioni circoscritte, ma pur sempre utili per descrivere alcuni processi aziendali, in modo tale da avere un'idea circa la presenza o meno di un grado di apprendimento organizzativo all'interno delle aziende considerate.
Cultura organizzativa/clima organizzativo
Le prime due variabili da considerare, e che conviene trattare insieme per la loro vicinanza concettuale, sono la cultura organizzativa ed il clima organizzativo. Dare una definizione di questi due concetti non è per nulla semplice, così come identificare le loro differenze ed i loro punti di contatto. Si può descrivere la cultura organizzativa come l'insieme dei valori che guidano una organizzazione, anche se questa rappresenta una definizione minima: Schein (1985) aggiunge, oltre ai valori, anche gli artefatti, ovvero gli elementi visibili come la disposizione degli uffici, l'arredamento, il linguaggio adottato e gli strumenti utilizzati, e gli assunti di base, cioè le convinzioni inconsciamente accettate dai membri dell'organizzazione. Anche sul clima organizzativo sono stati scritti interi libri: in linea generale, esso rappresenta l'insieme di percezioni che i membri hanno circa l'ambiente organizzativo. Che ruolo rivestono, dunque, nei processi di apprendimento organizzativo? La presenza di un clima aziendale positivo, ovvero di relazioni tra i membri di reciproco aiuto e sostegno, ed in generale di un ambiente lavorativo nel quale i dipendenti si sentano valorizzati e stimati, può avere (e nei fatti ha) risvolti positivi sulla comunicazione tra gli stessi membri, che dunque troveranno più facile condividere la propria conoscenza in un'ottica di miglioramento dei processi aziendali nel loro complesso. Il clima, in un certo senso, rappresenta la base di tutti gli altri strumenti di apprendimento organizzativo che si possono utilizzare in azienda: senza un buon clima organizzativo, sviluppare apprendimento risulterebbe molto difficile. Chen e Huang (2007) collegano esplicitamente il clima organizzativo alla struttura, attraverso il concetto di interazione sociale, che verrà approfondito più avanti: un clima positivo favorisce la presenza di fiducia e comunicazione tra i membri, che indicano miglior interazione sociale e dunque
condizioni più favorevoli all'apprendimento organizzativo.
Per quanto riguarda la cultura, invece, la problematica principale consiste nelle eventuali sottoculture confliggenti rispetto alla cultura ufficiale. Spesso infatti, come già anticipato brevemente nel secondo capitolo, alcuni uffici o alcune funzioni possono sviluppare una cultura diversa da quella aziendale. Non sempre questo è un problema, anzi: la presenza di culture differenti è una variabile spesso ben accolta poiché una cultura monolitica rischia di essere paralizzante e dunque inibire gli stessi processi di apprendimento; qualora le sottoculture dovessero porsi in aperto contrasto con quella ufficiale, però, si sperimenterebbe una forte riduzione della qualità delle relazioni tra i membri, portando ugualmente ad una impossibilità di condivisione della conoscenza e dunque di costruzione di apprendimento. La sfida, dunque, è ancora una volta quella di facilitare ed incoraggiare la comunicazione tra sottoculture differenti, in modo tale da trasformarle in risorse aziendali attraverso la condivisione di visioni diverse che possono essere integrate portando così a quella condivisione di conoscenza che è una cifra fondamentale di ogni processo di apprendimento organizzativo.
L'importanza della cultura aziendale nel trattare l'apprendimento organizzativo sta anche nella sua intrinseca tendenza a trattare l'organizzazione non semplicemente come somma di individui, ma come collettività. E dato che la cultura spesso agisce a livello subliminale, anche l'apprendimento organizzativo avverrà spesso ad un livello tacito, mentre l'azienda si occupa del proprio lavoro quotidiano (Cook e Yanow, 1993). Un approccio culturale all'apprendimento organizzativo, inoltre, pone anche un'altra problematica, anch'essa sottolineata da Cook e Yanow (1993): come agire quando nuovi membri vengono inseriti nell'organizzazione? Come fare per far sì che anch'essi diventino immediatamente parte dei processi di apprendimento interni all'organizzazione, senza che essi vengano stravolti o rallentati? La risposta non è univoca né facilmente individuabile, ma è senz'altro necessario che le conoscenze individuali (dei nuovi membri ma, per estensione, di tutti i membri dell'organizzazione) e quelle organizzative si amalgamino, in modo tale che chi entra in azienda non sia un peso, ma al contrario una risorsa in più anche per migliorare l'apprendimento dell'organizzazione nel suo complesso. La macro-variabile della comunicazione, dunque, deve intervenire fin dall'introduzione dei membri nell'organizzazione, per favorire un coinvolgimento dei nuovi arrivati ed un immediato inserimento nei processi di apprendimento dell'azienda.
considerato sotto diversi punti di vista. Schein (1993) parla dell'importanza che, nelle aziende che vogliano costruire apprendimento organizzativo e che sono consce di quanto la cultura sia importante nel fare ciò, riveste il dialogo. Per Schein, le persone sono portate quasi naturalmente ad agire in modo tale da mantenere lo status quo, ed uno dei modi in cui ciò viene fatto è attraverso la scelta di non informare le altre persone (ovvero gli altri membri dell'organizzazione) di fatti che potrebbero minacciare tale status quo. Un approccio di questo tipo, dunque, è nemico dell'apprendimento organizzativo. Schein prevede invece che, in ogni organizzazione moderna, tali problematiche vengano superate e venga favorita un tipo di cultura basata sul dialogo. Questa sfida risulta più complicata nel caso, descritto poco sopra, in cui vi siano più culture interne alla medesima azienda, anche non confliggenti. Il dialogo tra culture diverse, però, è non solo auspicabile, ma segnala anche una maturità aziendale particolarmente alta. Un'altra sfida è quella di favorire il dialogo tra livelli aziendali diversi: il management deve confrontarsi continuamente con i dipendenti, anche con quelli alla base della piramide aziendale.
Anche Popper e Lipshitz (1998) sostengono qualcosa di simile: per loro, una cultura aziendale che faciliti l'apprendimento organizzativo deve basarsi sulla fiducia reciproca, e sulla disponibilità dei dipendenti a condividere le informazioni in loro possesso. Gli autori, infatti, propongono cinque variabili che devono essere necessariamente presenti in ogni cultura organizzativa che si prefigga l'obiettivo di favorire processi di apprendimento: apprendimento continuo, informazioni valide (cioè precise e verificabili), trasparenza (direttamente collegata alla necessità di fiducia tra i membri prima sottolineata), orientamento al problema (volontà di risolvere i problemi che si presentano, ancora una volta con l'enfasi sul processo di condivisione delle informazioni), responsabilità.
Strategia organizzativa
Con il termine strategia organizzativa si identificano tutti quei processi, tutti quegli schemi aziendali funzionali al raggiungimento degli obiettivi prefissati, tenendo in considerazione anche la variabile dell'ambiente esterno. Gli obiettivi organizzativi, di solito, sono piuttosto stringenti, e dunque anche la strategia dovrà essere pianificata con grande cura e nei minimi dettagli. Questo può essere positivo anche in un'ottica di apprendimento organizzativo, nella misura in cui consenta ai membri di conoscere cosa è loro richiesto e dunque agire di conseguenza; allo stesso tempo, però, ai
membri deve essere consentito di mettere in atto i processi strategici con un certo grado di indipendenza: la libertà di azione, infatti, è fondamentale per favorire apprendimento organizzativo.
La strategia organizzativa è qualcosa di molto variabile ed ogni organizzazione ha la propria; anche la tipologia di organizzazione è importante: le organizzazioni pubbliche, ad esempio, presentano solitamente schemi e processi fissi come conseguenza di obiettivi predeterminati e ciò rende più difficili eventuali processi di apprendimento. Popper e Lipshitz (1998), citando Dodgson (1993), definiscono una Learning Organization come una organizzazione che adotta strategie che facilitano l'apprendimento. Tali strategie devono essere attentamente pianificate: nulla può essere lasciato al caso, in perfetta sincronia con quanto detto poco sopra.
Bierly e Hämäläinen (1995) pongono la strategia al centro delle loro riflessioni sull'apprendimento organizzativo. Per fare ciò, propongono una suddivisione dell'apprendimento in external learning ed internal learning. Per ognuna di queste due tipologie, poi, individuano una serie di ambiti rilevanti per la loro descrizione. L'external learning esige dunque la conoscenza del cliente (customer learning), dei concorrenti (competitor learning), delle aziende che agiscono in settori simili al proprio, o di supporto ad esso (network learning), e delle istituzioni (institutional learning). L'internal learning, invece, si prefigge l'obiettivo di sviluppare conoscenza all'interno dell'azienda a più livelli: individuale (individual learning), all'interno del medesimo reparto (intrafunctional learning), tra reparti (interfunctional learning), nell'organizzazione nel suo complesso (multilevel learning). Tutte queste tipologie di apprendimento impongono lo sviluppo di una strategia aziendale di ampio respiro, che metta al centro le molte sfaccettature che caratterizzano la realtà aziendale odierna. Una suddivisione in ambiti come quella proposta da Bierly e Hämäläinen, infatti, per stessa ammissione degli autori e particolarmente nell'ambito dell'internal learning, tende a considerare l'apprendimento individuale come del tutto insufficiente laddove si voglia implementare apprendimento organizzativo vero e proprio. E' il coinvolgimento di tutta l'azienda, attraverso una rinnovata importanza data allo sviluppo strategico, che fa di essa una vera Learning Organization.
Organizzare la propria strategia in modo tale da metterla al servizio dell'apprendimento organizzativo non è compito facile: Beer ed Eisenstat (2000) individuano alcune barriere che rendono particolarmente difficoltosa l'implementazione di una strategia adeguata, e che possono dunque impedire anche i processi di apprendimento. Tra
queste, la scarsa comunicazione è quella sottolineata con maggior enfasi, ma gli autori citano anche la possibilità che si creino strategie differenti all'interno della medesima azienda, con conseguenti conflitti su quale debba essere effettivamente perseguita. Al contrario, quello di cui l'organizzazione ha bisogno è una comunicazione aperta, in cui i dipendenti possano condividere ogni idea che hanno senza timore, così da sentirsi valorizzati: in questo modo il processo decisionale sarà scevro da conflitti, oltre che perfetto per favorire l'apprendimento.
Anche in questo caso, quindi, non è possibile sottovalutare l'importanza della variabile comunicativa: il passaggio da mero apprendimento individuale ad apprendimento organizzativo, anche in un'ottica di condivisione strategica, avviene attraverso la capacità dei membri di comunicare tra loro per giungere ad una visione il più possibile unitaria della strategia aziendale.
Struttura organizzativa
La struttura organizzativa rappresenta una delle variabili più importanti per favorire l'apprendimento organizzativo. Tale concetto, peraltro, oltre ad identificare in modo generale la composizione degli uffici (che schematicamente può essere rappresentata attraverso l'organigramma) ricomprende al proprio interno tutta una serie di strumenti utilizzabili in ambito organizzativo per favorirne i processi. Tra questi, uno dei principali in ambito organizzativo è rappresentato dalla job rotation, che consiste nell'assegnare compiti diversi, a turno, ai vari dipendenti per aumentarne la flessibilità e migliorarne il bagaglio di conoscenze. Una composizione degli uffici adatta alla circolazione delle informazioni, poi, permette ai membri dell'organizzazione di condividere le conoscenze acquisite con i propri colleghi.
Nella struttura organizzativa si ricomprende anche la presenza o meno di lavoro in team: anche in questo caso la composizione degli uffici svolge un ruolo fondamentale nel favorire la creazione di team, all'interno dei quali la condivisione di conoscenza è una delle variabili principali. In alcuni casi si può prevedere anche una dinamica di job rotation a livello di team, che rappresenta uno sviluppo ulteriore dei processi di creazione e condivisione della conoscenza.
Un ulteriore strumento già citato nel secondo capitolo, e peculiare dell'esperienza giapponese, è quello dei circoli di qualità. La previsione di un contesto ben delimitato (spesso tali circoli avvengono nell'ambito di una riunione aziendale) nel quale discutere in modo informale e senza timore di essere giudicati (quest'ultima è una caratteristica
fondamentale dei circoli di qualità, che assicura che ogni possibilità venga vagliata, anche quelle meno ovvie) aumenta sensibilmente le possibilità di avere apprendimento organizzativo.
I circoli di qualità sono difficili da implementare nei contesti occidentali perché sono legati al tipo di cultura presente in azienda. Uno strumento maggiormente utilizzabile è invece rappresentato dalle Comunità di Pratica (Wenger, 1996, 1998): anch'esse si configurano come gruppi all'interno dei quali i membri condividono conoscenza in maniera informale. Chiaramente i due strumenti non sono esattamente uguali: si può dire che il grado di informalità dei circoli di qualità sia più alto rispetto alle Comunità di Pratica, nuovamente come conseguenza delle basi culturali da cui si sviluppano i due strumenti. Tutti questi strumenti, in definitiva, si prefiggono l'obiettivo di creare un contesto aziendale che massimizzi la comunicazione tra i membri e tra gli uffici. Attraverso la job rotation i dipendenti possono entrare in contatto con colleghi appartenenti ad uffici diversi ed instaurare con essi relazioni, mentre il lavoro in team impone, per essere valorizzato al massimo, un alto grado di sinergia tra chi fa parte del medesimo gruppo. Le pratiche quali circoli di qualità e comunità di pratica hanno il medesimo fine.
Popper e Lipshitz (1998) parlano di Organizational Learning Mechanisms (OLM) come insieme di caratteristiche strutturali che permettono all'azienda di utilizzare al meglio le informazioni in proprio possesso attraverso il loro immagazzinamento e la loro analisi che ne permette una comprensione ottimale. La struttura viene dunque direttamente collegata all'apprendimento organizzativo, e sono gli stessi autori ad aver cura di ricordare come la letteratura in merito sia ampia e variegata.
Nella letteratura ad essa dedicata, la struttura organizzativa viene spesso descritta a partire dai concetti di formalizzazione, centralizzazione ed integrazione (Chen e Huang, 2007; Martínez-León e Martínez-García, 2011): il primo fa riferimento al numero di regole presenti nel definire i ruoli, ed alla loro rigidità; il secondo descrive la gerarchizzazione del potere decisionale, e quanto esso sia ad esclusivo appannaggio del top management; il terzo si occupa di identificare quanto le varie parti dell'organizzazione lavorino insieme. Queste tre variabili aiutano a comprendere il grado di interazione sociale tra i membri interni all'organizzazione, che a sua volta è uno dei principali predittori del grado di apprendimento organizzativo. Nello specifico, solitamente si associa un basso grado di formalizzazione e centralizzazione ed un alto grado di integrazione ad un'altrettanto alta interazione sociale (Chen e Huang, 2007). A
sua volta, l'interazione sociale è data dal grado di fiducia, comunicazione e coordinamento tra i membri. Laddove queste tre variabili siano presenti, si ha una interazione sociale tale da favorire l'apprendimento organizzativo.
Conclusioni simili sono raggiunte anche da Claver-Cortés et al. (2007) che nella loro ricerca su struttura ed apprendimento organizzativo applicata a sei aziende spagnole sostengono l'importanza di strutture flessibili e scarsamente gerarchizzate, che mettano al centro, ancora una volta, il lavoro in team. Allo stesso tempo, però, gli autori si rendono conto che una tale struttura sia molto difficile da raggiungere specialmente per le aziende di grandi dimensioni che hanno necessariamente bisogno di un certo grado di formalizzazione e di regole, indispensabili per tenere sotto controllo una organizzazione complessa.
Da quanto detto finora, il lavoro in team appare come la caratteristica più importante tra quelle riconducibili alla struttura organizzativa, quantomeno nell'ambito dell'apprendimento organizzativo. Bresman e Zellmer-Bruhn (2013) si spingono fino a suddividere lo stesso concetto di struttura in due parti: struttura organizzativa e struttura di team, conferendo dunque una rilevanza ancora maggiore a quest'ultima. Secondo i due autori, i team devono essere studiati come entità particolari, con caratteristiche peculiari e non necessariamente uguali a quelle dell'organizzazione nel suo complesso, benché ovviamente facenti parte di essa.
Una ulteriore caratteristica che Bresman e Zellmer-Bruhn (2013) individuano come necessaria all'interno delle strutture di team è la sicurezza psicologica, ovvero la possibilità da parte dei membri di conoscere il proprio ruolo all'interno del team, oltre ad una leadership chiara e ad obiettivi altrettanto chiari. Un senso di sicurezza psicologica generalizzato, infatti, porta a meno conflitti e dunque, ancora una volta, ad una miglior circolazione delle informazioni. Migliora inoltre i rapporti con i membri dell'organizzazione esterni al team, favorendo l'apprendimento anche a livello organizzativo. Un alto grado di sicurezza psicologica, però, secondo la definizione data, impone una strutturazione piuttosto rigida, in contrasto con chi afferma che, al contrario, sia la destrutturazione a favorire l'apprendimento. I due autori, però, rifacendosi alla dicotomia tra struttura organizzativa e struttura di team da loro introdotta, sostengono che ad un'alta strutturazione dei team deve essere accompagnata una bassa strutturazione organizzativa: i team, cioè, devono avere la possibilità di agire in autonomia, sviluppando internamente processi e modalità di lavoro: in questo modo i membri saranno maggiormente portati a riflettere su ciò che
fanno (dato che avranno meno costrizioni esterne) e potranno perciò apprendere nel modo migliore.
L'importanza che una struttura ben organizzata riveste nel favorire l'apprendimento è dunque ben nota, ma le sue caratteristiche specifiche non lo sono altrettanto: Rao ed Argote (2006), in uno studio su struttura e turnover che ha coinvolto 240 persone, sono giunti alla conclusione che una struttura che preveda un certo grado di assegnazione di compiti minimizzi le problematiche derivanti dal turnover proprio perché consente una miglior circolazione delle informazioni ed impedisce che parte della conoscenza dei membri si perda come conseguenza di una scarsa comunicazione, oltre a migliorare gli stessi processi di trasferimento della conoscenza. Tale assegnazione di compiti può, naturalmente, avvenire anche in un contesto di job rotation e, ancor di più, di lavoro in team e non deve dunque essere percepita come una organizzazione eccessivamente rigida del lavoro: ciò detto, è comunque necessario sottolineare come i due autori, nel loro studio, sembrino propendere per una soluzione non particolarmente flessibile nell'assegnazione dei ruoli.
Martínez-León e Martínez-García (2011), invece, sembrano sostenere una soluzione diversa: per loro, infatti, ruoli eccessivamente rigidi impediscono l'apprendimento dato che i dipendenti vengono in contatto con un quantitativo di conoscenza minore ed isolata al proprio ambito di lavoro, mentre laddove i ruoli siano più flessibili vi può