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VIAGGIO TRA I MIEI LIBRI 87

VIAGGIO TRA I MIEI LIBRI

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sommati rendono appena 13 milioni lordi. Epperciò anche in Piemonte « aspettando che [le moltitudini] ragionino e adoperandosi perchè ragionino presto, bisogna però tener conto che non ragionano ancora (p . 49) ».

Se dunque giova usar prudenza nell'istituire imposte moleste ai capitalisti, ai commercianti ed agli industriali, la mancanza d'ogni tributo sembra tuttavia allo Scialoja testimonianza di debolezza nel governo borbonico.

« Il commercio è di sua natura.... querulo. Esso è parte nelle mani di stranieri, che ad eccezione di pochi generosi, sono contenti di qualunque governo e gli fan plauso, quando non pagano, e parte in quelle d'una classe di nazionali che, per vero dire, è la più indiffe­ rente alle libertà politiche, ma che forse si sveglierebbe dalla sua sonnolenza se avesse a pa­ gare. Se non altro i suoi abiti di tornaconto le farebbero dimandare : « perchè paghiamo, e che uso è fatto delle somme che paghiamo?... ».

« Quanto alle professioni dotte, egli è certo che in nessun altro paese d'Italia sono retribuite meglio che in Napoli, c però in nessun altro potrebbero più agevolmente tollerare una imposta. Ma coloro che sono in continuo contatto col resto della popolazione, il medico, l'avvocato, l'architetto, ecc. che hanno su di essa un certo ascendente e che rappresentano, direi quasi, lo spirito della classe media, si teme di colpirli con imposizioni dirette. Cotesta gente si ha paura di toccarla come se fosse un vespaio. Oltre che quella parte della classe-media, che ha per capitale l'ingegno, paga volentieri ne' governi liberi, ov'essa può molto ed è chiamata a dominare pel suo sapere. Ma sotto un governo assoluto essa è con ragione la più riottosa, c la più temuta: già s'intende ch'essa c pure la più odiata da chi governa (p. 31) ».

12. — Magliani piglia di fronte arditamente la concezione di Scialoja: perchè istituire imposte non necessarie, le quali sarebbero dannose?

« £ grave quanto vera la sentenza del Montesquieu * che non bisogna togliere nulla al popolo su' suoi bisogni reali per bisogni iuuiiaginatii dello Stato. Bisogni immaginarli sono quelli che vengono suscitati dalle passioni' di coloro che governano, dall'ambizione di una

vana gloria, e da una certa impotenza d i spirito contro la fantasia' (p. 26). Fa d'uopo spendere bene il pubblico danaro.

« Accrescere la forza produttiva della finanza col diminuire le gravezze dei sudditi, e col mantenere indiminuite le spese di tutti i servizi dello Stato; ecco lo scopo dell'Ammi.ii-strazionc finanziaria del Governo del Re delle Due Sicilie. Esso è nobile e generoso e degno di essere imitato (p . 22) ».

13- — Ribatte lo Scialoja : è vero, il governo napolitano spende meno di quello piemontese. Sia il divario da 14 a 28 lire per abitante, come affermano i suoi zela­ tori, ovvero da 21 a 26, come dovrebbe correggersi, sta di fatto che il fisco borbonico ha la mano più lieve di quello piemontese. Ma

« se fossero chiamati tutti gl'italiani a comizio per eleggere tra il governo sardo coi suoi debiti e le sue imposte o il napolitano, non dirò già con minori debiti e con minori imposte, ma senza imposte e senza debiti, non vedo che sarebbe dubbio per alcuno il risultamento del suffragio (p . 13) ».

88 LUIGI EINAUDI . VIAGGIO TRA I MIEI LIBRI debito pubblico piemontese, cresciuto nel 1857 a somma così spaventosa dai 95 mi­ lioni del 1847, coi pochi 420 milioni di lire, ai quali il debito napoletano era stato ridotto, in regno tanto più vasto e popoloso. Rispondeva Scialoja : essere il de­ bito napoletano dovuto alle spese di occupazione di soldatesche straniere accorse nel regno a ristabilire o difendere la dinastia; ed invece quello piemontese alle guerre del 1848 e 1849 volte alla indipendenza d' Italia dallo straniero ed alle opere- pubbliche intese a crescere la potenza economica del paese. Laddove a Napoli la sola ferrovia esistente era quasi un gingillo di corte, a Torino

« la gran rete di vie ferrate, di cui le principali maglie si vanno di mano in mano for­ mando sul territorio sardo, dove sono già in esercizio o in costruzione 902 chilometri di fer­ rovie, rende sempre più necessaria la costruzione di strade secondarie; e quindi più conside­ revole la spesa delle provincie per la loro costruzione e manutenzione. Ma questa spesa è compensata con usura da' benefizi economici che se ne ritraggono.

« In questo come in tutti gli altri casi, in cui si tratta di spese, cadesi in sofismi grossolani, se dal confronto delle somme vuole indursi argomento di lode per chi spende meno, e di censura per chi spende più. Le spese maggiori pei lavori pubblici, quando sono destinate ad opere utili, lungi dall'essere prova di prodigalità sono indizio di prudenza; per­ ciocché veramente non sono spese, ma investimento di valori di capitali, che per essere di pubblico uso, sono fruttiferi per tutti ».

14. — La chiusa dell'atto d'accusa di Scialoja è solenne: chiaro appare dal confronto tra i due sistemi finanziari, che il governo piemontese

« sebbene spenda più del governo precedente, e più ancora spendano le amministrazioni locali per reazione al passato che fu o troppo misero o troppo negligente nel provvedere a certe spese, pure il governo più assoluto che siavi oggi in Europa, quello di Napoli, non ¡spenda meno per conto dello Stato e non faccia spender meno ai Comuni, se non in quelle cose che tornano profittevoli all'avanzamento della civiltà ».

« Il Piemonte faceva prova de' nuovi ordinamenti tra le maggiori contrarietà : dopo una sconfitta ed a dispetto del vincitore, sotto le maledizioni di Roma, circondato da sospetti e da gelosie in Italia, tentato dal mal esempio di tutta Europa, al quale resistette la fede inte­ merata d'un Principe che abborre dallo spergiuro e fa dell'onore nazionale una seconda reli­ gione: e di giunta afflitto da carestie ed altre distrette economiche di cui gli effetti riuscirono gravissimi per la novità di riforme di fresco compiute, e per l’eccitamento commerciale che ne era seguito.

« Ciò non ostante il Piemonte guerreggia, sede in congressi ; e governanti e governati vi tengono levata la fronte: mentre in Napoli gli oppressi gemono, gli oppressori temono; e sono dalle irreparabili conseguenze del mal governo ridotti gli uni alla impotenza di correg­ gerlo, e gli altri alla impossibilità di abbandonare il presente sistema di arbitrio e di corru­ zione (pp. 139-140) ».

Forse non esiste documento storico il quale possa essere a maggior ragione ricordato dai teorici della finanza a sostegno della tesi che le imposte gravano sui popoli solo quando sono estorte da governi oppressori ritornati sulla punta delle baio­ nette straniere, come era il governo borbonico; laddove, se sono esatte da governi nazionali e volte a beneficio universale, benché le nude cifre paiano dure, in effetto quelle imposte crescono ricchezza e potenza ai popoli medesimi.

Luigi Einaudi.

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R E C E N S I O N I

An abstract uf a treatise oj human natura. 1740. A Pamphlet hilherlo unlnown b)

David Hu m f,

reprinted wilh an introduction hy

J. M. Keynes

and

P. Sraffa. Un voi in 16 di pp. X X X II-32, Cambridge, al (he university Press, 1938. Prezzo 3 s. 6 d.

Nel 1740 David Hume pubblicava a Londra un libretto anonimo intitolato: An abstract of a treatise of human nature. Questo scritto riassumeva i concetti espressi nel suo Treatise oj human nature, edito nell'anno precedente, che non aveva ancora richiamato l'attenzione del pubblico meditante. Il libro fu attribuito ad Adamo Smith, ed è divenuto assai raro; si che hanno reso un prezioso servigio agli studiosi, i professori J . M. Keynes e Piero Sraffa, che lo ripubblicano nella sua veste originale, in perfetto fac-simile, facendolo precedere da una sagace introduzione.

La trattazione dell' Hume ha carattere prevalentemente filosofico, ma interessa tutti i cultori delle discipline sociali, per la discussione sul metodo della ricerca scientifica. Egli so­ stiene che, come nelle scienze fisiche, così nelle sociali, la base delle indagini è l'osservazione dei fatti, dalla quale soltanto possono desumersi conclusioni fondate, nell'ipotesi che il corso della natura sia costante, ipotesi anch'essa unicamente suffragata dall'esperienza. E così soltanto si arriva a determinare le cause degli eventi, riconducendo i termini conseguenti agli ante­ cedenti, dai quali necessariamente derivano, nel che consiste Io stadio più elevato dell'investi­ gazione scientifica. Anche la volontà umana è vincolata ai motivi, che la mente percepisce e disamina nella loro forza ispettiva : sì che le azioni sono la risultante di tali influenze. £ notevole in Hume l'affermazione decisa del carattere delle leggi sociali, in tutto conforme a quello delle leggi fisiche e la dimostrazione della base induttiva del metodo de­ duttivo; egli così precorre l'analisi dello Stuart Mill, relativa al sillogismo, nella quale è dimo­ strato come la premessa generale sia anch'essa derivata dall'osservazione di fatti particolari, sì che l'inferenza è sempre da fatti particolari ad altri fatti particolari.

A. G.

Henry Schultz, The Theory and measurement of dentand. Voi. XX XV I dei «Social Science Studies ». The University of Chicago Press, Chicago, 1938. Un voi. in 8“ di pp. XX

XI-815. Prezzo doli. 7,50.

Nella prefazione, lo Schultz aveva nitidamente chiarito l'oggetto della indagine, i cui risultati sono contenuti nel libro. £ notorio che i « dati » della scienza economica non sono

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in realtà noti e debbono essere determinati empiricamente. Gli economisti teorici spiegano le mutazioni nei prezzi e nelle quantità ed in verità tutto il processo di formazione dei prezzi in termini di funzioni della domanda del commercio, di funzioni di offerta e di « preferenze per la liquidità » che debbono essere assunte come note. Di fatto esse sono ignote ed al vuoto, che da ciò nasce, nelle nostre conoscenze è dovuta molta parte dell'aridità della scienza mo­ derna. Il libro dello Schultz vuole: 1) derivare le funzioni concrete statistiche della domanda di sedici derrate agricole; 2) paragonare le elasticità e le variazioni nel tempo di queste fun­ zioni; 3) costruire una teoria della domanda per bene complementari e concorrenti; 4) sotto­ porre siffatta teoria alla riprova statistica.

L'opera è frutto di lunga fatica, iniziata nell'anno accademico 1928-29 e frastornata da ostacoli diversi, tra cui principali le revisioni successive delle serie della produzione e dei prezzi operate dall'ufficio di economia agraria del ministero federale americano. I calcoli do­ vettero essere rifatti più volte, e quando parevano condotti a termine, dovevano essere buttati nel cestino, perche l'ufficio di statistica ne aveva riveduto nuovamente le basi! Alla perfine 10 Schultz si limitò a calcolare quali sarebbero le variazioni massime presumibili in seguito alla sostituzione dell'una all'altra serie. Le derrate considerate sono lo zucchero, il thè, il caffè, il granoturco, il cotone, il fieno, il frumento, le patate, l'avena, l'orzo, la segala, la carne di bue, di porco e di montone.

L'opera è monumentale. Qui si vogliono richiamare soltanto alarne conclusioni toc­ canti le variazioni verificatesi nel recente passato nel consumo delle derrate agricole, che sono di gran rilievo per l'apprezzamento della storia delle variazioni nella struttura delle società moderne. Vien fuori sovratutto che le curve di domande per testa di abitante delle derrate agrarie fondamentali hanno cessato di spostarsi verso l'alto e talvolta hanno cominciato ad ab­ bassarsi. Il solo spostamento verso l'alto della domanda prevedibile per il prossimo futuro è dovuto all'aumento della popolazione. Ma il saggio dell'incremento sta rapidamente decli­ nando. La tendenza secolare alla diminuzione nella domanda per testa delle derrate agrarie è probabilmente dovuta a cagioni fisiologiche. Gli spostamenti della popolazione della campagna alla città, l'uso crescente dell’automobile c la crescente proporzione dei vecchi nella popola­ zione totale, fattori i quali durano da alcuni decenni, hanno fatto diminuire il consumo indi­ viduale di calorie. La domanda dei cibi più pesanti ne c stata influenzata. Se è diminuito 11 consumo delle derrate agricole fondamentali, è cresciuto invece il consumo dello zucchero, della frutta e degli ortaggi. Lo studio delle correlazioni statistiche illumina la storia passata e potrebbe indirizzare la politica economica. Che cosa diventano i programmi governativi di restrizione di certe culture, del cosidetto « Ever Normal Granary » e cioè dei riporti dagli ¡inni abbondanti agli anni scarsi, se pochi anni di consumo decrescente bastano ad annullare i benefici della scarsità artificiale; ed a far scomparire la speranza che le riserve accumulate in anni di abbondanza possano mai essere assorbite dal consumo?

Il problema dei rapporti fra le astrazioni teoriche e le uniformità statistiche e del­ l'aiuto vicendevole che le indagini astratte e quelle empiriche possono prestarsi a vicenda è posto nel volume dello Schultz con rigore di metodo, con piena consapevolezza delle limita­ zioni dell'una e dell’altra specie di indagine. Perciò il volume, oltreché monumentale, è desti­ nato ad esercitare una duratura influenza sullo sviluppo degli indirizzi tcorctico-quantitativi ed empirico-quantitativi nella scienza economica. Lo Schultz aspirò sempre a dare un contributo alla formazione della « economia statistica », nel tempo stesso deduttiva ed induttiva, dinamica, positiva e concreta. Egli sapeva che nessun uomo può, durante la sua vita, aspirare a nulla più che segnare la via in un territorio cosi nuovo, aspro ed immenso. Il libro si chiude con la citazione della sentenza di Aristotele: « L a ricerca della verità è da un lato dura e dall'altro facile, perchè evidentemente nessuno può dominarla tutti nè ignorarla completamente. Ognuno aggiunge qualcosa alla nostra conoscenza della natura, e da tutti i fatti raccolti esce fuori qualcosa che è grande ».

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Un ingiusto infortunio automobilistico metteva fine il 26 novembre del 1938 a San Diego di California ad una vita inspirata a cosi alto ideale scientifico. Nato 43 anni or sono, il professore Schultz era tra i più insigni membri del gruppo di economisti che oggi illustrano l'università di Chicago. La sua dipartita, resa più atroce dalla contemporanea morte della moglie e delle due figliole giovinette, lascia un gran vuoto tra i cultori della scienza eco­ nomica.

L. E.

Umberto Ricci, Economisti italiani. G. Laterza e figli, Bari 1939. Un voi. di pp. 239. Prezzo L. 18.

L'a. ripubblica articoli di giornale, discorsi commemorativi e saggi di riviste intorno a due grandi economisti italiani, Maffeo Pantaleoni c Vilfredo Pareto, appartenenti alla gene­ razione la quale, scomparve innanzi al 1925 (Pantaleoni 2 luglio 1857 — 29 ottobre 1924, Pareto 15 luglio 1848 — 2 marzo 1923). Rileggendo gli scritti ora fedelmente riprodotti con le sole recisioni necessarie ad evitare ripetizioni di concetti c di notizie, rinnoviamo l'antico compiacimento per il rigore del riassunto fedele, per la riverenza del giudizio liberamente espresso e per il giusto riconoscimnto dell'opera di coloro senza i quali Pantaleoni c Pareto non avrebbero a loro volta potuto perfezionare l'edificio della scienza economica. I saggi danno l'impressione di essere scuciti. A costruire il piccolo libro che avrebbe potuto essere intitolato « Chi furono e che cosa diedero Pantaleoni e Pareto nel quadro della scienza economica dal 1880 al 1925 » non manca m olto; che gli elementi del quadro sono sparsi felicemente qua e là, a tratti, come era comandato dall'andamento del discorso. I caratteri essenziali della fisionomia scientifica dei due sono tutti chiariti: economisti puri, perfezionatori della teoria dell'equilibrio economico generale e degli equilibri! particolari, finanzieri, studiosi di problemi concreti appli­ cati, statistici, sociologi, uomini politici battaglieri. Del resto forse è meglio che Ricci non ci abbia voluto dare il quadro rielaborato e fuso e costringa cosi il lettore a compiere lo sforzo di trarre dagli spunti sparsi l'immagine piena della figura scientifica dei due grandi.

I confronti fra uomini diversi sono sempre ardui; ma taluni tocchi sono espressivi:

« Se il Marshall è più vasto c armonico c delicato, il Pantaleoni non ha chi lo superi

nel balzare da un principio all'altro, da un'applicazione all'altra, da un aspetto all'altro, appa­

rentemente indipendenti, e nel farne un sol principio, una sola applicazione un solo aspetto....

« Pareto è massiccio c immobile, e suscita l'ammirazione per la mole e la simmetria della sua bene ordinata architettura scientifica. Pantaleoni avvince per la mobilità e irrequietezza del suo pensiero, per la fulmineità di inattesi accostamenti fra fatto e fatto, teoria e teoria. Pantaleoni è sempre vivo e nuovo e vario; rapisce e mai non sazia; continuamente stimola la mente del lettore intelligente e colto.

« W alras aveva dato una sintesi poderosa dell'economia pura — Pareto, venuto dopo, e succeduto a W alras sulla stessa cattedra di Lausanne, raffinò, perfezionò, completò il quadro di W alras, e lo spinse a un grado di complessità, che sarà difficile sorpassare ».

Perchè il capitolo su « La sociologia di Pareto » è, direi involontariamente, imbevuto di fine ironia distruttiva? Qua è là, spunti di ironia rispettosa si avvertono anche in altri capitoli, per esempio a proposito delle lettere dell'alfabeto predilette dal Pareto in luogo delle definizioni degli economisti « le tte ra ri» (p . 1 5 0 ); ma, se altrove si tratta di innocue scherma­ glie, solo il capitolo su la « sociologia » dà l'impressione che Ricci, pure ammirando la « grande potenza di espressione », I'« arte consumata di polemista », il « superbo sarcasmo », le « osser­ vazioni profonde e sorprendenti », la « miniera di fatti scavati dalla storia di tutti i tempi e di tutti i luoghi, e persino dalla cronaca viva dei quotidiani nostri contemporanei », reputi di trovarsi dinanzi ad un tentativo non riuscito di sistemazione nuova della sociologia. Natu­ ralmente, poiché il Ricci non afferma affatto che il tentativo sia fallito, non ha l'obbligo di

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dire le ragioni della mancata riuscita. Altrove (in II peccato originale e la teoria della ciane eletta in Federico L e Play in questa rivista, quaderno del giugno 1936, pp. 92-105) ho detto

le ragioni per le quali la classe « eletta » di Pareto non dovrebbe propriamente essere detta tale, ma al più, provvisoriamente, per tratto più o meno lungo di tempo, « dirigente » di qualche cosa: stati, comuni, chiese, università, industrie, commerci ecc. Pareto si occupa delle ragioni per le quali le classi dirigenti si alternano e dà ad esse il nome di residui, le classifica in classi c sotto classi, e ne studia le svariate combinazioni. Fortunatamente, gli storici non hanno pre­ stato attenzione agli schemi paretiani; sicché non siamo stati perseguitati, come accadde per gli schemi cosidetti economistici o materialistici, da troppi libri di storia della rivoluzione inglese, di quella francese, del risorgimento italiano, ecc. ecc. informati al concetto della circo­ lazione delle elites; che sarebbe stata cosa divertente e comoda per i fabbricatori di titoli a

buon mercato su schemi prestabiliti, ma non avrebbe dato luogo ad alcun avanzamento della conoscenza delle vicende umane.

La scienza della sociologia vuole in verità giovare alla conoscenza delle vicende umanc o intende ad altro? Quando Ricci (p . 185) dalle premesse di Pareto deduce che certi tipi di governo, i quali osservino i connotati a b c, dovrebbero essere « granitici ed intangibili »

pare soggiunga: « o d almeno tali li considera la scienza sociologica». Siccome in passato tutti gli stati o regimi ebbero invece fine, chiaro è che la « sociologia » appartiene anch'essa al novero delle scienze, le quali sono vere entro i limiti delle fatte premesse; e solo entro quei limiti giovano a spiegare la storia, che è narrazione di vicende concrete. Qui, nel concreto, le premesse mutano, spesso in modo impreveduto. Lo storico domanda : come il sociologo ha spiegato i grandi rivolgimenti spirituali e le grandi creazioni politiche del passato? Esiste una spiegazione delle grandi mutazioni accadute nella storia? Se la parola di Cristo mutò davvero la storia del mondo, Pareto, che non nomina (o, meglio, che dall'indice onomastico non risulta ricordi) Cristo lungo le millesettecento pagine della sua « Sociologia », dove dovrebbe collocarla nel suo schema? Forse egli ne tacque, perché ritenne che il mondo, mutata derivazione, seguitasse ad essere governato dalle medesime leggi.

Ma Ricci non pone domande tanto solenni e tanto più ardue di quelle che solitamente sono proprie deH'economista. In attesa di quella storia critica della teoria economica che non é ancora stata scritta, i saggi di Ricci ubbidiscono al comando del sonni cuique tribnere e chia­

riscono eccellentemente il contributo dato dai due grandi italiani al progresso recente della scienza economica.

L. E.

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