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Rivista di storia economica. A.04 (1939) n.1, Gennaio

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jUtoMMCfr

dU etta, da, J lu ig i S m a u d i

Direzione: Via Lamermora, 60 - Torino. Amministrazione: G.ulio Einaudi editore. Via Arcivescovado, 7 - Torino — Abbonamento annuo per l'Italia L. 40. Estero l. 50. Un numero L. 12.

Anno IV - Numero 1 - Gennaio 1939 - XVII

Attilio Cabial! : La dottrina dei < costi comparali » ed

i suoi c r i t i c i ... Pag. 1

Lello Gangemi : Annotazioni a margine di Maffeo

Panlaleoni...» 32 * * * : la magia del credilo svelata dal Pinlo. . . . » 48

NOTE E RASSEGNE:

Aldo Maulino: Memorie di organizzatori operai italiani » 72

Luigi Einaudi: Le terre nuove italiane nel duecento . » 76

» » Viaggio tra i miei libri — Di una con­ troversia Ira Scialofa e Magliani intorno ai bilanci

napoletano e sardo . . . • ... » 78

RECENSIONI :

A. G. - L. E.: su libri di D. Piume, H. Schullz, U. Ricci. » 89

r

t

TRA RIVISTE ED ARCHIVI:

Antonio Fossati : Storia economica dopo l'in iz io del

(2)

C

o n t r o

la dottrina ricardiana dei costi comparati sono state mosse,

oltrecchè nelle dispute pratiche e politiche, obbiezioni m olteplici nel

campo scientifico. D i alcune di queste obbiezioni recentemente rinnovate

da studiosi di raglia si occupa

Attilio Cabiati,

con la penetrazione logica

sua propria. Per lo più, le crìtiche traggono origine dall’aver mutato la ipo­

tesi che stava a base d el ragionamento ricardiano. Ricardo aveva supposto

l ’esistenza di mercati aperti e di piena concorrenza. Il critico chiede: e se

un prodotto è monopolizzato? Va da sè che anche Ricardo avrebbe dall’ipo­

tesi mutata tratto illazioni differenti. Il critico: e se uno stato si cinge di alte

barriere doganali? Va da sè che gli scambi si riducono; m a forsechè gli

scambi residui non continuano ad aver luogo secondo la regola dei costi

comparati?

Tra i libri di /Maffeo Pantaleoni che la fam iglia ha donato alla biblio­

teca d el ministero delle finanze ve n’ha parecchi annotati a margine dal

grande economista.

Lello Gangemi

ha raccolto talune di queste annotazioni,

le ha sistemate e le presenta in un quadro suggestivo e rievocatore.

Che Pinto abbia pubblicato nel 1771 un

Traité de la circulation et du

credit

è n oto; che in esso l ’autore abbia esposto teorie singolari e talvolta

paradossali è affermazione abbastanza corrente. N on altrettanto comune è

incontrare chi abbia diretta conoscenza dell’opera del geniale olandese.

Un nostro insigne collaboratore si è assunto il carico di estrarre dal volume

in cui si raccolgono gli scritti di Pinto quanto di più significativo esso con­

tiene. Oltre al titolo

«

magia del credito

»

di un libro scritto poi da altri,

vi sono in Pinto spunti di teorie che oggi sono comparse in veste di novità

o di ringiovanimento di teorie vecchie.

N ella rubrica

Note e Rassegne

un gruppo di memorie di organizzatori

operai consente ad

Aldo Mautino

di far rivivere il pensiero e le aspirazioni

(3)

di coloro i quali diressero il movimento operaio italiano tra il 1880 ed il

1900. Fu quella la giovinezza del moto che poi si organizzò e, organizzan­

dosi, si afflosciò; e sempre piace riandare tem pi eroici, in cui fu sparsa molta

buona semenza.

Luigi Einaudi

richiama l'attenzione su un piccolo libro, purtroppo ri­

masto il testamento spirituale dell’egregio studioso danese che lo dettò, nel

quale si giti ano le basi di una'ricerca fecon da: entro quali limiti è vero che

l’Italia rinacque nel ’200 a nuova vita su terre nuove, diverse da quelle nelle

quali era fiorita la civiltà antica? L a continuazione della rubrica

Viaggio tra

i miei libri

dà occasione all’autore di riassumere i punti essenziali della vec­

chia, non mai dimenticata ma non abbastanza conosciuta, polem ica fra lo

Scialoja nel 1857 profugo a Torino, e il Ma gitani, allora funzionario borbo­

nico a N apoli.

(4)

B I B L I O T E C A D I Cl]

La

Biblioteca di cultura economica

comprenderà, accanto a o p e r e

,

s

interesse trascenda l ’attualità, quand’anche essi ne traggano occasio

» /

che nell’esame rigorosamente scientifico delle dottrine e dei fatti An

o le loro letture in aitila

I .

C A B L O C A T T A N E O

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E C O N O M I A R U R A L E

A CURA DI

LU IGI EINAUDI

Un volume in-8” di circa 350 pagine

L . s o

« L'uomo edifica i suoi campi come le sue città. La terra non

è un dono della natura, ma una costruzione dell’uomo ». Ecco,

espresso in lapidarie parole, il principio della progressiva bonifica

della terra italiana, che il Cattaneo pose a fondamento di questi suoi

saggi sull’agricoltura nostra, ora per la prima volta radunati in un

volume organico che li comprenda tutti.

T O R I N O

G I U L I O

E I N A U D I ,

E D I T O R E

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v) • —

(5)

¿ T U R A E C O N O M I C A

ssiche di cui si desidera particolarmente la ristampa, libri nuovi il cui

La nuova collezione si rivolge agli studiosi specializzati e a tutti coloro

nomici trovano un’esemplificazione e una conferm a per le loro ricerche

Ini pi di attività spirituale.

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N T E F A N T U . P O B S O N Y

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D E L L A

C r I J E R R A T O T A L E

Un volume in-8" di circa 280 pagine

li. 20

Quali saranno le caratteristiche della prossima guerra? Il Pos-

sony ha studiato con acuta spregiudicatezza l’intero problema dal

punto di vista dell’economia militare, cioè, a dirla in breve, dei ri-

fornimenti; e le conclusioni anche discutibili cui egli è giunto sa­

ranno meditate e approfondite dai suoi molti lettori.

(6)

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studio 42

c a a c k i n i a a d U ^ n i ä i a n a p a ^ U

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V a l e n z a

(7)

BANCA

COMMERCIALE

ITALIANA

MILANO

(8)

Q U A R T A K D I S I O K K I K T K R A N M T » R I F A T T A

I.D I ti 1 K I \ A U D I

IL § IIT £ 1 A TRIBUTARIO

I TAL I ANO

Un volume in-8" di pagine 364

L. sa

UNO DEI LIBRI MERITAMENTE PIÜ FORTUNATI DELLA

NOSTRA PRODUZIONE SCIENTIFICA. LA NUOVA EDI­

ZIONE, ALLA QUALE HA COLLABORATO IL PROFESSOR

F. A. RÈPACI D ELL’UNIVERSITÀ DI PADOVA, SI AV­

VANTAGGIA SULLE PRECEDENTI PER LO SVILUPPO

DATO A LL’ ESPOSIZIONE DELL’ ORDINAMENTO CON­

TABILE DELLO STATO E DEL CONTENZIOSO TRIBU­

TARIO, OLTRECHE PER L’AGGIORNAMENTO DELLE

DISPOSIZIONI LEGISLATIVE E PER LA TRATTAZIONE

DELLE NUOVE IMPOSTE.

(9)

La dottrina dei “ costi comparati

e i suoi critici.

1.

— Uno dei passi di Davide Ricardo più importante e meno ricor­

dato merita innanzi tutto di venire riprodotto, perchè elimina non poche

obbiezioni mosse alla libertà degli scambi internazionali:

« Se una più forte porzione del prodotto del suolo e dell’industria dell' In­ ghilterra viene impiegata all’acquisto di merci estere, non si potrà spendere altret­ tanto per altri oggetti, e, per conseguenza, la domanda di cappelli, di scarpe, ecc., diminuirà; ma, nello stesso tempo che si saranno distolti dei capitali dalla fabbrica­ zione dei cappelli, delle scarpe, ecc., se ne saranno impiegati di più nelle mani­ fatture che fabbricano gli articoli coi quali si comprano le merci estere. Quindi la domanda dei prodotti esteri e nazionali riuniti è, quanto al valore, limitata dal reddito e dal capitale della nazione. Se l ’una aumenta, l'altra deve diminuire. Se la quantità dei vini che si importano in cambio della stessa quantità di merci inglesi è raddoppiata, la nazione inglese potrà consumare due volte più di vini, o la stessa quantità di vini insieme a più merci nazionali. Se, avendo 1000 sterline di reddito, io compero tutti gli anni una misura di vino al prezzo di 100 lst. e impiego 900 lst. all’acquisto di una certa quantità di articoli del paese, quando la misura di vino non costerà che 50 lst., io potrei impiegare le 50 lst. risparmiate a comperare più prodotti inglesi. Se io comperassi più vino e tutti i consumatori fa­ cessero altrettanto, il commercio estero non proverebbe nessuna variazione; si espor­ terebbe la stessa quantità di prodotti inglesi, per scambiarli contro del vino, di cui noi riceveremmo una quantità doppia, senza però riceverne un valore doppio. Ma se gli altri consumatori di vino ed io stesso ci accontentassimo della stessa quantità di vino come per il passato, le esportazioni inglesi diminuirebbero, avendo i bevi­ tori di vino la scelta di consumare i prodotti che prima si esportavano, o quelli

». IV.

(10)

2 ATTIUO CABIATI

che loro convenissero di più. Il capitale necessario alla produzione di questi sarebbe fornito da quello che si stornerebbe dal commercio estero» (1).

Ciò significa che un popolo non può spendere se non nella misura fissata

dal suo capitale e dal suo reddito. Se compera di più in paese, compera di

meno all'estero; e viceversa. Ma se, per non comperare dall'estero, fabbrica

in casa a un costo — e quindi a un prezzo — più alto, il paese perde dop­

piamente: perchè investe capitali in una attività che rende meno; e perchè

consuma di meno, dato il costo più elevato. Da cui si deduce altresì che,

cdn una simile politica, esso non si mette in grado di sopportare un forte

aumento di popolazione.

2. — Da questo ragionamento scaturisce altresì l’altra deduzione, che

quanto meno si spende (ossia quanto minore costo si sostiene) per acquistare

dei beni — a parità di consumi — tanto più elevato è il godimento che si

ritrae da un determinato reddito. Onde un paese raggiunge 1’« optimum »

quando, esaminate tutte le sue possibilità produttive, di fronte a quelle

dei paesi esteri, impiega i suoi capitali immobiliari, mobiliari e personali a

quelle lavorazioni che garantiscono il reddito massimo, quale risulta dal

rendimento della sua produzione, in quanto viene venduta su tutti quei mer­

cati nazionali ed esteri, che la pagano di più; comperando invece quei generi

che all’estero si producono a un prezzo minore, o anche a un prezzo mag­

giore, ma non tale da neutralizzare completamente il maggior prodotto rica­

vato dalla lavorazione nazionale mediante lo scambio con l’estero. Verità

questa che acquista tanto più d’importanza, quanto più si tratti di una lavo­

razione a costi descrescenti, tanto all’intemo quanto all’estero.

3. — Il prof. Haberler, nel magistrale suo trattato, (2) elimina con po­

che frasi l’antica obbiezione che una improvvisa concorrenza straniera pro­

voca severe perdite all'industria nazionale nella parte che riguarda i capitali

fissi investiti in una attività che venga di colpo combattuta vittoriosamente

dall’estero :

« Questo argomento — osserva — contiene un grave errore. La perdita di capitale non implica una perdita nel reddito nazionale: ma riflette soltanto un’alte­

razione nella distribuzione del reddito ».

(1 ) Oeuvres Complètes d e David Ricardo (Paris, Guillaumin, 1 8 8 2 ; pp. 91 e seg.).

. ( 2 ) T h e Theory of International Trade (London, Hodge, 1936), Chap. X II, pp. 183

e :segg.

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.

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(11)

LA DOTTRINA DEI « COSTI COMPARATI » E I SUOI CRITICI 3

Il che « nel tempo » è indiscutibile. E, del resto, se ogni paese si

fermasse a queste considerazioni, si dovrebbe ritenere ragionevole la lotta

intrapresa dagli operai, nella prima metà dell’ottocento, contro l’introdu­

zione delle macchine, quando tentavano di romperle a martellate. Ogni sco­

perta importante provoca uno « choc » ai sistemi produttivi precedenti e

modifica gli scambi internazionali: le ferrovie, le macchine, l’elettricità, il

vapore, l’areoplano, ecc. (3).

Per chi abbia chiaro il concetto dell’equilibrio economico, appare lim­

pido altresì l’errore di ritenere che l’esistenza in un paese di mezzi inutiliz­

zati costituisca « a priori » una perdita e formi un argomento a favore dei

dazi e dei premi alla produzione. La presenza di essi significa soltanto, che,

dati i capitali e gli altri fattori della produzione esistenti in quel determi­

nato luogo e in quel periodo di tempo, l’uso di quelli diverrebbe «com ­

parativamente » meno produttivo. In linea generale, se in un dato mo­

mento una ricchezza giacente non viene utilizzata, segno è che non esiste,

per tale periodo di tempo, una domanda a prezzi conveniente di essa e dei

beni che con essa si potrebbe produrre. Come il prof. Ròpke ha opportu-

natamente rilevato, le forze economiche tendono a realizzare non una

« massima », ma una « ottima » utilizzazione (4).

4.

— Tutta la elegante discussione che Haberler conduce da p. 175 in

poi sulla elasticità delle curve di domanda-offerta dei coefficienti di fab­

bricazione, i quali costituiscono, il costo di produzione, è assai istruttiva,

perchè dimostra che nessuna casuística intacca il principio ricardiano. E l’im­

portante sua analisi, da p. 193 in poi, riconferma tale concetto. Interessante

ad esempio, è la riproduzione (p. 199 e segg.) che l’a. fa di un ragiona­

mento che il Graham conduce per dimostrare che, date certe ipotesi, la divi­

sione internazionale del lavoro non garantisce l’utilità massima ai paesi

contraenti. Il ragionamento del Graham rappresenta un tipico esempio di

assurdo logico, che salta all’occhio alla prima lettura, e non mette il conto

di una particolare confutazione.

(3 ) Non meno istruttive in proposito sono le critiche di Haberler (pp. 187 e segg.) alle osservazioni ben note di Schüller, riportate dal Taussig in Selecled Readings (pp. 371

e segg.).

(4 ) V . in proposito uno studio di Johnson ( Quarterly Journal of Econom ia, 1902,

(12)

A ATTILIO CABIATl

5. — Eccellente è l’esposizione che Haberler fa sul modo di impostare

correttamente i problemi economici e vale la pena di riportarla integral­

mente (5 ):

« Non è compito della scienza di dare dei giudizi di valore, ed essa non è in situazione di far ciò. Essa non può, ad esempio, dimostrare che il libero scambio costituisce una politica commerciale « corretta ». Essa è in grado semplicemente di mostrare quali sarebbero le conseguenze, per un paese, del libero scambio e della protezione. Ma da ciò consegue che la scienza è in posizione di decidere quali mezzi dovrebbero essere adottati per raggiungere un dato fine, e se un dato mezzo è appropriato a un dato fine. Non si può dimostrare, ad esempio, che il libero scambio costituisce la politica commerciale « corretta ». La scienza può soltanto tentare di mostrare quali sarebbero le conseguenze del libero scambio o della protezione in uno stato. Ma da ciò consegue che la scienza è in posizione di decidere quali mezzi si dovrebbero adottare per raggiungere un dato fine; e se certi determinati mezzi sono appropriati da un determinato fine. Se, ad esempio, il reddito nazionale deve diventare un massimo, allora quella o questa politica è la più adatta. Casi speciali di tali decisioni sono la dimostrazione:

a)

che un dato fine non può venire raggiunto;

b)

che il raggiungimento di un fine A (ad esempio, la massima possibile indipen­ denza da altri paesi) opera inevitabilmente contro qualche altro fine B (ad esempio, la massimizzazione del reddito nazionale), che è esso pure desiderato; sicché A e B non si possono ottenere contemporaneamente. La soluzione di questo conflitto, fatta stabilendo una scala dimostrante quale peso deve essere dato ad A ed a B rispetti­ vamente, comprende un nuovo giudizio di valori ed è, quindi, di natura non scien­ tifica; r) spesso si presuppone che i mezzi per un dato fine abbiano un valore as­ soluto, e non semplicemente stromentale; per cui essi vengono riguardati come fini per sé stanti, sicché i fini ultimi tendono ad essere dimenticati ».

6. — Mi preme rilevare altri due punti, assai bene espressi da Haberler,

perchè ci serviranno più tardi.

« Risulta chiaro che se i rapporti di scambio fra le merci sono uguali ai loro rapporti di sostituzione,

la dottrina dell’elasticità comparata è perfettamente valida,

anche se noi abbandoniamo la teoria del valore dipendente dalla quantità di lavoro.

E lo stesso deve dirsi quindi della deduzione, derivata da questa dottrina, che un libero scambio intemazionale torna di vantaggio a tutte le parti contraenti (p. 182; cfr. anche p. 143).

« Il punto che dà luogo ad equivoci, è l’influenza del commercio internazio­ nale sui prezzi e sulla occupazione dei mezzi di produzione immobili e specifici. Si insiste marcatamente che la teoria del commercio internazionale, come viene pre­ sentata, presuppone la mobilità completa di tutti i fattori, o mezzi di produzione esistenti in un paese, e che questo può compiere gli adattamenti richiesti dal

com-(5 ) Op. cit., pp. 213 e segg.

'

(13)

l a DOTTRINA DEI « COSTI COMPARATI » E I SUOI CRITICI 5 mercio internazionale senza soffrire perdite, solo se questa condizione viene adem­ piuta. Ma questo argomento, che fa sempre la sua apparizione sotto svariate forme, contiene un grave errore.

Perchè la perdita di capitale non ini plica una perdita del

reddito nazionale.

Essa riguarda soltanto una alterazione nella distribuzione di tale reddito » (p. 183).

Bisogna considerare che i consumatori guadagnano ciò che i produttori

perdono. La perdita dei produttori è per una volta tanto. Il guadagno dei

consumatori è perenne. E ciò diventa tanto più esatto, se il prodotto di cui

si tratta è un bene stromentale, che serve a sua volta per la fabbricazione

di generi più complessi: nel qual caso anche le ulteriori fabbricazioni di­

ventano a più buon mercato.

7.

Le c r i t i c h e a l p r i n c i p i o d e i c o s t i c o m p a r a t i.

Taussig:

L'il­

lustre scrittore, che così largo e possente contributo ha fornito alla dottrina

del commercio internazionale, porta un attacco a fondo al principio ricar-

diano, basandosi particolarmente sulla forma della curva di elasticità della

domanda.

Egli difatti, a p. 31 e segg. della sua magistrale opera

Selected Readings

iti International Trade and Tariff Problem i,

(6) introduce quell’elemento per

dimostrare che, date talune ipotesi, i contraenti

G

ed

E

possono trovarsi in

una situazione tale, che G assorbe tutto il beneficio derivante dalla divisione

del lavoro, mentre E non ricava se non ciò che avrebbe avuto, ove avesse

fabbricato nel suo paese tutte e due le merci.

Ora ciò distrugge il concetto del «costo comparato? » No, evidente­

mente. O noi ragioniamo in termini di quantità, oppure in termini di utilità.

Il Taussig si domanda: « N e ll’esempio da me dato, gli americani, con lo

scambio contro i tedeschi, ottengono per il lavoro di un giorno più tela di

prima; ma essi ricevono anche meno grano, 8 /1 0 invece di 1. I tedeschi,

invece, hanno meno tela, ma hanno più grano. Il meno di una merce com­

pensa il più dell’altra merce?

La risposta è semplice. No, evidentemente, in linea generale. Ma in

tal caso lo scambio non avviene, perchè non si verificano le condizioni di

esso.

Ora, Ricardo non contempla l’elemento delle elasticità delle curve di

domanda-offerta. E ha ragione: perchè non appena aperti i due mercati, i

consumatori tedeschi e quelli americani ricevono rispettivamente più di una

(14)

6 ATTILIO CABIATI

merce (quella che importano) e meno dell’altra (quella che esportano): il

che farà variare i due prezzi: e lo scambio continuerà solo se i

nuovi

prezzi

risulteranno convenienti ad ambo i gruppi permutanti: cioè tali che, tutto

sommato, il guadagno per i due gruppi superi la perdita eventuale: questa

costituendo l’essenza del concetto dei costi comparati.

Il ragionamento si può condurre anche così. Il Ricardo suppone date

le utilità. Se il paese I vuole produrre grano e tela, e il paese II pure, segno

è che il grano e la tela sono utili ad entrambi. Ed è certo che, sino a quando

i due mercati erano chiusi, entrambi avevano distribuito i fattori della pro­

duzione in proporzioni tali che, a mercati chiusi, questa distribuzione garan­

tisse il massimo di utilità ai contraenti interni che si scambiavano i due

prodotti. Interviene ora, con l’apertura dei mercati, la divisione del lavoro.

Il paese I produce il grano; il paese A produce la tela. Si opera la divisione

del lavoro, basata sui nuovi costi, utili ad ambo i paesi. E i costi sono in

funzione delle masse prodotte per ogni merce nei due paesi : cioè, la produ­

zione si adatta alla nuova domanda, che non è più di I e di II, ma di I e II,

considerati come un solo mercato, per ognuna delle merci. Il fatto che —

come dice il Taussig — gli americani ricevano meno grano e più tela, fa

sì che il prezzo del grano aumenti comparativamente alla tela. Se la dimi­

nuzione del grano non compensa quantitativamente, sotto l’aspetto edoni­

stico, l’aumento della tela a quei prezzi, avviene che : o anche gli americani

si mettono a coltivare grano; o vendono più tela a prezzi minori, reagendo

sulle domande-offerte della controparte, sino a quando l’equilibrio si sia

ricostituito. Questa azione agisce: l.10 sul mercato del grano e della tela

dell’America; 2.° sul mercato della tela e del grano in Germania; 3.° sul

mercato del risparmio, ora più richiesto per la nuova produzione. Una volta

aggiustati, si riprenderà come prima, con un nuovo equilibrio produttivo a

prezzi diversi dai precedenti. Ma, una volta ricostituito questo nuovo equi­

librio, è indiscutibile che, nell’interesse massimo dei due paesi, esso appog-

gerà sul concetto dei costi comparati. Il quale, in ultima analisi, si riduce

al fatto elementare che ogni paese, comperando da un altro paese, cerca

di pagare con la merce che ad esso costa meno : intendendo con questa frase

o che la merce di pagamento ad esso costa di meno, o che essa è stimata di

più (o costa di più) nel paese creditore. Taussig si è arrestato al primo

« impact ». Il che, nella teoria dell’equilibrio, costituisce un errore mate­

matico.

/ / >

(15)

LA DOTTRINA DEI « COSTI COMPARATI » E l SUOI CRITICI 7

8. — Del resto il Taussig accoglie perfettamente nelle sue linee fonda­

mentali il concetto del vantaggio comparato, come appare dal suo lavoro

Som e Aspects o f thè TarijJ Question

(7). A p. 30, difatti, egli scrive:

« La dottrina del vantaggio comparato — o, nella frase più comunemente usata dalla vecchia scuola, del costo comparato — ha posto quasi tutta la discussione nelle mani della scuola inglese. Essa ha ricevuto una attenzione singolarmente pic­ cola dagli economisti del continente, e talvolta è stata discussa da essi come unii di quelle sottigliezze di scarsa portata sui fatti dell'industria. Io credo che essa ha non solo una consistenza teorica, ma una applicazione diretta ai fatti; e che, in particolare, essa è indispensabile per spiegare il commercio internazionale degli Stati Uniti e l’azione della nostra politica tariffaria. Nè gli argomenti famigliari che si sentono nelle nostre controversie, nè lo svolgimento della nostra storia industriale si possono comprendere, se i principi del vantaggio comparato non sono capiti chia­ ramente e tenuti costantemente presenti ».

9. —

Le osservazioni d el prof. Obliti:

Nelle osservazioni che Ohlin

svolge sull’opera di Haberler (8) abbiamo l’esempio di una critica la quale

non scalfisce neppure il concetto dei costi comparati. Lo stesso modo con

cui il prof. Ohlin entra in argomento non è accoglibile.

Ricardo parte dall’ipotesi di mercati aperti e in piena libera concorrenza.

È perfettamente inutile, quindi, rilevare che, se un prodotto è monopolizzato,

non si applicano ad esso i costi comparati!

Il prof. Ohlin osserva: « I l commercio è regolato dallé differenze as­

solute dei prezzi ». Anche qui Ricardo non è capito. Se in un paese M tutti

i prezzi delle merci in esso prodotti fossero superiori « in uguali proporzioni »

ai prezzi delle stesse merci fabbricate all’estero, in un primo momento M non

potrebbe pagare ciò che gli abbisogna, se non spedendo oro. La diminu­

zione dell’oro in M, facendo scendere tutti i prezzi

con diverse velocità ed

entità

, mentre all’estero tutti i prezzi aumenterebbero, essi pure con velocità

ed entità diverse, farebbe sì che il paese M, dopo qualche tempo, comince-

rebbe ad esportare dei beni da esso prodotti: e naturalmente le merci pre­

scelte sarebbero quelle in cui lo scarto di costo fra esse e le similari estere è

più grande : il che torna utile altresì al paese M che vende, ed ai paesi A, B,

C,..., che comperano, pagando gli acquisti fatti con quelli dei loro prodotti

che, dati i gusti di M, risulterebbero « comparativamente » meno costosi per

gli esportatori.

(7 ) Harvard University Press, 1915.

(16)

e ATTIUO CABIATt

Il prof. Ohlin dà nel suo studio critico una grande importanza al fatto

che ci si ostini a parlare di costi, mentre desidera che si parli di prezzi. Ciò

significa che egli sottovaluta il principio ricardiano. Se un paese falsifica

gradatamente la sua moneta, i prezzi delle merci mutano più rapidamente

dei costi — dati dei mercati aperti alle merci — mentre essi si chiudono

solo relativamente alla moneta in corso di falsificazione. Abbiamo fenomeni

di « valuta-dumping », speculazioni a termine, formazioni di prezzi multipli

a seconda dei paesi di esportazione — e quindi casi di concorrenza imper­

fetta — ecc.; fenomeni tutti che complicano il problema degli scambi. Ma

il principio dei « costi comparati » seguita a funzionare in pieno, perchè

'tutte le speculazioni in merci e in valori, a pronti e a termine, seguono egual­

mente il principio dei « costi comparati ».

E, infine, osservo altresì che l’opporre a questo principio il concetto

della protezione doganale, significa non avere capito il problema. Quando

i paesi I e II si sono cinti largamente di dazi protettivi, ma, per taluni generi,

restano sempre costretti a servirsi l’uno dall’altro, questo scambio ridotto si

effettua pur sempre sulla base dei « costi comparati », essendo assurdo ope­

rare diversamente.

10.

— Addentriamoci un poco più dettagliatamente nella critica che

l’Ohlin muove all’Haberler su questo punto che qui ci occupa.

Per Ohlin, il libro di Haberler è nato « antiquato », perchè, secondo la

di lui opinione, ciò che si è scritto dal 1936 ad oggi ha innovato la materia

degli scambi internazionali. In verità, Haberler riconosce che la teoria del

commercio internazionale richiede un ulteriore sviluppo, il quale, secondo

la sua opinione, deve svolgersi in due principali direzioni: quella data dalla

teoria della « concorrenza imperfetta » (imperfect competition) e quella del

« ciclo degli affari » (business cycle theory) (9). Per l’Ohlin, però, questi due

punti non sono sufficienti : bisogna aggiungere ad essi la « dinamica » della

teoria del commercio internazionale, in cui — osserva egli — si è fatto

sinora qualcosa solo per ciò che riguarda il movimento dei capitali.

Altra frase, questa, a cui Ohlin non dà un contenuto. Cosa vuol dire

la «dinam ica» dei movimenti dei capitali? Cosa sono i «cap itali» negli

scambi internazionali? Nel mio ultimo lavoro ho dedicato un capitolo a

dimostrare che, il più delle volte, i « capitali » non si muovono. Si muovono

(9 ) Volendo limitarmi all’argomento che forma oggetto di questo articolo, non posso entrare a fondo su questi due temi e sui loro riflessi per la teoria degli scambi interna2Ìonali. Devo dire solo che nessuno di questi scalfisce la dottrina dei costi comparati.

/

(17)

l a DOTTRINA DEI « COSTI COMPARATI » E l SUOI CRITICI 9

merci, servizi, oro, crediti, che in condizioni determinate, vengono conteg­

giate dai creditori o dai debitori in conto « capitale ». E, prendendo l’esem­

pio di una grande banca italiana, ho dimostrato quanta parte di questo « mo­

vimento » si traduce in semplici notazioni contabili, che poi si liquidano in

« clearing », senza muovere un solo biglietto di banca. Ma, sia statica,

sia dinamica, l’operazione ha sempre per substrato un trasferimento di merci

e di servizi : e sta sempre che il debitore paga col bene che è per esso il meno

costoso, « comparativamente » al valore che gli attribuisce la controparte.

11. — Similmente non tocca il principio dei «costi comparati » l’altra

critica del prof. Ohlin (10), che, cioè, non è esatta l’osservazione di Haberler,

che i prezzi seguono i costi marginali di produzione anche nel ciclo breve

( short run);

cosa non esatta, afferma l’Ohlin perchè « la produzione è ba­

sata — come scrive Haberler — sui costi futuri previsti e sulle future pre­

viste condizioni di mercato; mentre la politica dei prezzi, quando le merci

vengono vendute, si fonda tanto sulle condizioni attuali del mercato e dei

costi, quanto sulle aspettazioni del futuro ». E Haberler sostiene e dimostra

che « la libera concorrenza porta alle dimensioni ottime delle aziende ».

(p. 204).

12. — Così pure, non intacca la dottrina dei costi comparati la consi­

derazione di Ohlin (art. cit. p. 502) che, in caso di monopolio o semi­

monopolio « il commercio internazionale è governato dai prezzi, e non dai

costi ». Se il paese I ha il monopolio di un prodotto, è evidente che non può

parlarsi di « costi comparati ! » In tale situazione, il ragionamento si svolge

su una linea diversa. Il paese I ha il monopolio del prodotto

x,

il paese II

produce la merce

in

ad un costo inferiore a quello degli altri mercati produt­

tori. Entro i limiti della differenza fra il costo della merce

ni

in II, ed i

maggiori costi della stessa merce nei paesi III, IV, ecc., il paese II potrà

contrattare col paese I per lo scambio dei due prodotti, obbligando I ad ab­

bassare il prezzo di

M,

o, ciò che è lo stesso, obbligandolo ad accettare un

rapporto

più favorevole per sè.

E se Haberler conserva il nome di « costi comparati » alla teoria ricar-

diana, è probabilmente perchè trova a ragione inutile mutare quel titolo, ora­

mai entrato nell’uso generale alla dottrina ricardiana, tenendo conto che Ri­

cardo, anche se impreciso nel linguaggio, conosceva perfettamente la

(18)

IO

ATTILIO CABIATI

ferenza che passa fra « prezzo » e « costo », e partiva dal concetto che la

sua teoria valeva in casi di mercati aperti, in libera concorrenza, sicché il

prezzo internazionale della merce si adegua in linea generale al costo più

basso di produzione.

Ma quando poi Ohlin vuole estendere il suo ragionamento per annul­

lare adirittura (p. 502) tutto il teorema ricardiano, cade in un palese errore.

13. — Combattendo l’affermazione del prof. Haberler « v i è un solo

metodo che ci permetta di trarre conclusioni utili sulla situazione come un

tutto.... Questa è la teoria del costo comparato » (op. cit. p. 173) — il

prof. Ohlin (art. cit. p. 502, seg.) dopo avere rilevato che si tratta di

« prezzi », e non di « costi », aggiunge:

« È più importante prendere il mondo come è.... e analizzare le mutazioni negli scambi. Se si fa così, tutti i prezzi si possono esprimere in termini di una comune moneta. Il commercio — sia internazionale che interno — è governato dalle differenze assolute di prezzo. Quindi nella teoria del commercio internazionale, come in quella del commercio nazionale, non vi è gran bisogno del ragionamento comparativo.... II dualismo in molti libri di testo fra la teoria dei prezzi e la teoria del commercio internazionale è, a mio avviso, non fortunato ».

Evidentemente Ohlin non ha esaminato una esposizione matematica

del teorema dei costi comparati. Se egli vorrà leggere ad esempio, nel voi. II

del « Cours » del Pareto, la trattazione che vi è condotta (pp. 208 e seg.)

sul teorema dei costi comparati, vedrà che la tesi del Ricardo è perfettamente

« determinata » (nel senso matematico del termine) ed esatta. Nè valgono

a scuoterla, come lo scrivente dimostrerà fra breve, le restrizioni poste a

quella verità dal Pareto stesso, molti anni dopo, nel « Manuale », di cui

parlo più innanzi.

14. — Non entro nella discussione che Ohlin conduce di volo sulla

questione sollevata da Haberler, se un dazio può portare alla utilizzazione

di fattori inoperosi e procurare così un incremento di benessere e della pro­

duzione. Il problema, invero, non ha rapporto col tema di cui qui si discute.

Mi limito a rilevare che se tali fattori sono rimasti « inoperosi », ciò significa

che gli imprenditori non credono che la produzione nuova creata con essi

coprirà i costi, nè che darà utili; oppure ritengono che i detentori di tali

mezzi, per cederli, esigono un compenso superiore a quello che gli impren­

ditori sono disposti a pagare. Ma chi, allora, può presumere di risolvere

soddisfacentemente il dubbio, al di fuori degli interessati che pagano di

persona? La questione certo non si risolve economicamente.

(19)

LA DOTTRINA DEI « COSTI COMPARATI » E I SUOI CRITICI

II

15.

— E, infine, io resto ancora a fianco di Haberler, nell'ultima consi­

derazione critica che Ohlin muove contro di lui. Il prof. Ohlin chiede:

« Possono ¡ dazi provocare l’utilizzazione dei mezzi di produzione che stanno oziosi e portare ad un incremento della produzione? La risposta del prof. Haberler è negativa.... Questo punto di vista si basa sull'opinione che tali mezzi si lasciano inoperosi solo quando la loro produttività marginale è caduta a zero.... Qui pure, io penso che il prof. Haberler confonde due cose; ossia, il rendimento marginale, ed il valore del prodotto marginale. Il reddito marginale che ci si aspetta di ottenere dall'utilizzazione più completa dei mezzi di produzione già in possesso di una azienda, è praticamente sempre zero o negativo, se l'imprenditore decide di non accrescere la produzione. Ma il valore del prodotto marginale può essere conside­ revole » (art. cit. p. 505).

Il problema per me si prospetta in modo diverso, ove consideriamo dei

mercati aperti. Se in tale ipotesi — che è l’unica ipotesi del commercio

« internazionale », perchè se chiudiamo il mercato non si hanno scambi con

l’estero! — il paese I ha degli uomini e del risparmio oziosi, segno è che

questi capitali, umani, mobiliari, immobiliari, producono ad un costo com­

parativamente troppo elevato, sicché non possono sostenere la concorrenza

dell’estero.

Per usare la precisa parola del prof. Ohlin,

« se, in una depressione, il volume totale della potenza d’acquisto viene au­ mentato attraverso a lavori pubblici, ad una politica del credito, o ad un aumento di tariffe, allora sarà possibile per ogni ditta di vendere di più ad un prezzo costante »

(art. cit. p. 506).

Qui appare nella forma più evidente la mancanza d’abitudine a ragio­

nare in termini di « equilibrio economico ».

(20)

\

il saggio d'interesse si suppone più basso (se fosse alla stessa altezza, il

problema non sorgerebbe) sarebbe ben lieto di offrire il suo apporto.

Ne deriva che in tali condizioni l'aiuto all’industria

A

viene pagato

dalle industrie

B, C,

ecc. Un certo gruppo di cittadini guadagna, un altro

gruppo perde; sicché, in via generale, la crisi cessa in un campo per af­

fermarsi in un altro. E sarebbe interessante studiare le condizioni necessarie

perchè, date certe premesse, il guadagno del gruppo

A

sia maggiore del

danno del gruppo

B.

Ma una perdita è inevitabile. Quindi, per concludere,

la tesi del prof. Haberler è perfettamente corretta.

16.

L e critiche del prof. Obliti al concetto ricardiano d ei costi com­

parati

(1 1 ): Innanzi tutto, cosa intende Davide Ricardo per

costo

? Anche qui

bisogna rifarsi al metodo di ragionamento caratteristico di lui. E, cioè,

semplificare i temi, ridurli alla espressione più elementare, per porre in luce

la natura fondamentale di essi, il nocciolo embrionale attorno al quale si

erige la dottrina.

Così Ricardo parla del costo di produzione traducendolo in ore di

lavoro o di aspettazione; ma poi, quando tratta della moneta, si fonda, per

il valore di essa, sulla « teoria quantitativa », in cui il costo di produzione

non ha nulla a che vedere.

Parlando di lui, il Marshall, della « scuola del grado finale », os­

servava :

« Per comprenderlo bene, bisogna interpretarlo generosamente, più generosa­ mente di quello che egli stesso interpreti Adamo Smith. Quando le sue parole sono ambigue, dobbiamo dare loro l’interpretazione che altri passi di suoi scritti indicano che egli avrebbe desiderato dare ad esse. Se faremo ciò col desiderio di accertare il senso reale delle sue parole, le sue dottrine, benché non complete, vanno esenti da molti degli errori che comunemente vi si attribuiscono» (12).

E, intanto, Ricardo si valeva del concetto, perfettamente scientifico,,

di iniziare lo studio di un problema partendo dalle ipotesi più semplici,,

salvo ad introdurvi più tardi lo studio degli attriti. Così come, in meccanica

razionale, si studia la teoria dello equilibrio statico e dinamico prescindendo

dal peso, dalla diversa elasticità dei corpi, dagli attriti, dalla resistenza dello

spazio, ecc. Tale metodo si giustifica, o meno, a seconda che esso giunga

(1 1 ) Inlcrregional and International Trade (Cambridge, Harvard University, 1 9 } } ) ,

pp. 57 e segg.

(1 2 ) Ma rsh a ll, Principies of Economics, p. 198.

/ / ¡

\

i 2 ATTILIO CABI ATI

/

(21)

LA DOTTRINA DEI « COSTI COMPARATI » £ / SUOI CRITICI 13

oppure no, a conclusioni utili, che servano quale punto di partenza per

l’esame della dinamica, tenendo poi conto di tutti i sopra citati elementi.

E naturalmente le leggi statiche sono veramente tali, se resistono logicamente

all'esame dei fatti.

Quindi una critica mossa contro Ricardo, la quale venga condotta con­

statando semplicemente che il costo non sempre coincide col prezzo; che

alcuni attriti possono perturbare l’equilibrio; che le elasticità di domanda­

offerta modificano i prezzi, indipendentemente dai costi ecc.; rappresenta

un errore logico. Errore in cui non incorse, ad esempio, John Stuart Mili

— l’autore di un eccellente trattato di logica — nella dottrina degli scambi

internazionali, quando appunto sostituì, ai costi, i prezzi, pur sboccando a

conclusioni perfettamente coincidenti con quelle del maestro. Il quale, vo­

lendo esaminare le leggi che regolano gli scambi internazionali, partiva

dai costi di produzione, considerando implicitamente uno stato di concor­

renza e prescindendo dagli attriti dello spazio: cosa ragionevole, perchè

il costo di trasporto altro non rappresenta che un coefficiente del prezzo, il

quale giova per ambe le parti contraenti e che costituisce un elemento del

costo totale per tutti i mercati: perchè comperare una merce ad un prezzo

determinato, significa vendere una merce ad un prezzo determinato in ter­

mini della prima nella seconda.

Tutti gli altri elementi che complicano il problema, non toccano quindi

il principio logico del costo comparato. Una volta stabiliti i prezzi di scam­

bio delle merci

A, B, C....

nei paesi I, II, III..., è indiscutibile che l’equilibrio

si è venuto formando sulla base che ognuno dei paesi contraenti ha venduto

all’altro paese la merce « comparativamente » per esso meno costosa, per

comperare il prodotto dell’altro paese. È la legge naturale del minimo mezzo,

che si impone automaticamente negli scambi internazionali.

Certo, in via di fatto il problema dell’equilibrio di tali scambi è com­

plesso, quando esaminiamo il numero dei fattori che vi partecipano: gli

attriti dello spazio e del tempo; i turbamenti che ad un dato equilibrio pos­

sono arrecare le varie politiche dei diversi governi; il diverso stato della

ricchezza e della tecnica produttiva; la svariata elasticità delle curve di

domanda-offerta dei singoli beni; la disparità dei gusti; la svariata diffi­

coltà di ottenere taluni fattori della produzione; ecc. Ma, una volta rag­

giunto un certo equilibrio, è indiscutibile che la ripartizione della produzione

(22)

¡4 ATTILIO CABIATI

Si potrebbe osservare, che impostato così il problema, l’assioma ricar-

diano resta svuotato del suo contenuto e del suo valore. Il che non è; per­

chè a nessuno era prima venuto in mente di sostenere che ad un paese possa

convenire di comperare, in quelle determinate ipotesi, una merce prodotta

da un altro paese, ancorché essa sia colà fabbricata ad un costo più elevato

del costo nazionale.

Così pure non intacca il principio dei costi comparati l'elemento del-

l’ influenza della distanza fra due mercati potenzialmente comunicanti, così

bene studiata dal prof. Onlin (13). Una volta determinato come si riparte

la spesa di trasporto fra i due, o più, paesi, il principio ricardiano resta in

vigore.

17.

— Il prof. Ohlin, nella sua opera maggiore già citata, dedica parec­

chie pagine della appendice III (14) alla critica della «dottrina del valore

basato sul costo », ritornando sulla vecchia osservazione dell’influenza della

domanda-offerta, ecc. Vecchia, perchè risale alla scuola classica francese.

E, applicandola al principio ricardiano, vuole dimostrare che il « costo » non

basta a determinare i prezzi ecc., ecc.

Tutto questo è superato da un pezzo, e bastava al critico guardare

il « Cours » del Pareto (1 3 ):

Se con pTIIb indichiamo il prezzo della merce B prodotta sul mercato X e ven­ duta sul mercato Y (e quindi con pVIC, il prezzo della merce C prodotta sul mer­ cato Y , e venduta in X , ecc.), avremo che se B, ad esempio, è una delle merci che si importano in X , significa che px.b > p yxb\ e così di seguito.

Parimenti, per la merce C importata in

Y,

si deve avere : pn c < p wc ; ecc. E chiaro che non può esservi che un numerario. Se scegliamo per esso la merce A sul mercato X , si avrà :

Pua

= 1.

La stessa merce, sul mercato Y, non avrà, in generale, un prezzo = 1 ; essa avrà un prezzo p lxxm che esprime il prezzo dell’unità del numerario di Y in nume­ rario di X . Moltiplicando dunque per questa quantità p'xxa un prezzo qualunque espresso in numerario di X , si avrà questo stesso prezzo espresso in numerario di V . Sicché si avrà :

P'ttc = P'na •

Puc

i

P'wb

P1 uà •

Pwb

> ••••

(13) Bertil Ohlin, Interregional and International Trade, pp. 141 e segg. (Cambridge. Harvard University Press, 1933).

(1 4 ) Op. cit., pp. 571 e segg.

(1 5 ) Tome I, pp. 180 e segg. et Tome II, pp. 209 e segg.

/

•t

/

(23)

LA DOTTRINA DEI « COSTI COMPARATI » E 1 SUOI CRITICI Perchè la merce B si importi in X , deve essere :

15

Pttb ^ Pvtb (1)

Per la merce C, importata in Y, si trova: Prue < Pyyc (2)

Dividendo membro a membro le due ineguaglianze (1) (2), si ha: tlH L ^ h id l

Pttb Puri

ossia si scambieranno B contro C, quando i rapporti dei costi di produzione saranno differenti. Quella è appunto la formula del « costo comparato ».

E il Pareto aggiunge : « Poiché i costi in numerario sono proporzionali ai costi in ofelimità, le formole sussistono anche se, ai prezzi in numerario, si sostituiscono i costi in ofelim ità» (16).

Con ciò non voglio naturalmente si pensi che trascuro l’importanza del­

l’opera del prof. Ohlin, e ne sottovaluti la portata. Se il tempo e lo spazio

me lo concedessero, vorrei dimostrare — e la dimostrazione sarebbe age­

vole — che, dopo le sottili disquisizioni sue e di altri suoi illustri colleghi,

la loro analisi completa, illumina, aggiunge molto alle nostre conoscenze

su quella che io preferisco chiamare « la teoria dell’equilibrio economico

su Al mercati ». Ma essa nulla toglie ad uno dei caposaldi di questo equili­

brio, il quale,

quando si è form ato,

ha obbedito alla divisione internazionale

del lavoro, avvenuta spontaneamente — se gli stati non vi mettono le loro

mani per guastare — sul fondamento ricardiano.

18.

Una osservazione d el Senior.

Nelle

Lectures on the high Cost

o f obtaining Money

(London, 1830) questo grande scrittore dice:

« In un paese che non possiede miniere, il valore in oro ed in argento di tutti quei prodotti che non vanno soggetti a monopolio, dipende dall’oro e dall’argento che si può ottenere, esportando il risultato di una data quantità di lavoro al saggio corrente di profitto ».

Concetto che si esprime altresì in questo modo : tale valore dipende da quelle

merci, servizi e metalli preziosi che si possono ottenere, esportando il risul­

tato di una data quantità di lavoro al saggio corrente di profitto. Il che è

ancora la teoria dei « costi comparati ».

(24)

<6 ATTILIO CABIATI

Ma ciò però rende discutibile l’appendice III dello studio del Senior

stesso, la quale porta il titolo:

Criticism o f thè Classiceli Theory o j Inter­

national Traile

(17).

Anche qui è veramente inesplicabile l’idea fissa di tanti scrittori di così

alto valore, di prendere alla lettera ciò che scrive Ricardo e puntare sul con­

cetto del costo, ridotto allo sforzo dell’operaio in una giornata di lavoro.

Con lo stesso criterio noi potremo irridere alla teoria matematica del­

l'equilibrio in statica, basata su un sistema di punti, cioè su di una astrazione,

priva delle tre dimensioni. Eppure a nessun fisico è venuto in mente di osser­

vare che le leggi dedotte da questa ipotesi così astratta non abbiano nessun

valore!

Per discutere Ricardo si deve partire da un altro punto di vista. Chiedersi,

cioè: il suo principio di costi comparati, agli effetti della ripartizione del

lavoro su

n

mercati liberi, vale ancora quando noi vi introduciamo, come

approssimazioni successive, gli elementi dello spazio; del tempo; delle spese

di trasporto; della diversità dei mezzi di pagamento, credito compreso; della

diversa tassazione, ecc.? E, cioè, introducendovi questi elementi, può avve­

nire che, in regime di libertà, un individuo del paese I scelga, per comperare

una merce del paese II, di vendergli una merce

a,

mentre sa che II accet­

terebbe la merce

b,

che a I costa di meno?

Se mai, così esposta, la teoria del Ricardo potrebbe sembrare a prima

vista una « niaiserie ». Ma ciò non è, perchè non tutti avrebbero pensato

che I, pur potendosi fabbricare tanto la merce

A

che la fi a costi minori del

paese II, preferisca dedicarsi ad

A

soltanto, comperando in II la fi, che pure

egli potrebbe creare con un costo più basso di quello sostenuto da II.

19.

— Ho sempre osservato che, se non si parte dal concetto matema­

tico dell’equilibrio, ritorna facile smarrirsi. Il prof. Ohlin, ad esempio,

scrive:

« Si è detto che la teoria del puro valore in termine di lavoro, la quale si fonda su ipotesi artificiose, dà risultati solo rozzamente approssimati, e die è possi­ bile, con una successiva modificazione, di tenere conto sufficiente dal fatto che beni diversi richiedono proporzioni molto diverse di capitali e di lavoro, e che la rispet­ tiva scala di rimunerazioni va soggetta a variazioni....

« Se si ritiene — con Ricardo e M ill — che i prezzi relativi sono in primo luogo determinati dalle quantità di lavoro impiegate, e se nel contempo si ritiene che la quantità di capitale investita sia rilevante, si è già in via di fatto abbandonata

(1 7 ) Op. cit., pp. 571 e segg.

/ / )

/

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/

'

(25)

LA DOTTRINA DEI « COSTI COMPARATI » E l SUOI CRITICI 17 l.i teoria ortodossa del costo; la quale si basava sull'ipotesi che tutti gli elementi del costo si possono esprimere in termini di uno solo. È solo per mezzo di tali ipotesi che si possono comparare i costi di tutte le merci, ove non si abbia una moneta. Se la teoria viene « modificata » e se si prende in considerazione la differenza proporzio­ nale nell'uso di capitale, cosi che le merci che richiedono molto capitale per la loro produzione acquistano un valore relativo più elevato, il problema rimane

di quanto

il loro valore si accresce. A tale questione si può rispondere solo con un calcolo ¡ri termini di moneta: e solo in tal modo diventa possibile confrontare il costo di produzione delle varie merci. Invece di trovare il « costo », espresso in termini di giornate di lavoro od in unità di energia, si arriva alle « spese di produzione » espresse in moneta. Così l’intera teoria ortodossa del valore è ridotta aH’affermazione che i prezzi delle merci sono determinati dai loro relativi costi di produzione misurati in termini di moneta. Siccome i costi di produzione dipendono dai prezzi dei fattori di produzione, che, a loro volta, non sono conosciuti « a priori », ma dipendono dai prezzi delle merci, Mill si trovò esattamente di fronte allo stesso dilemma, che R i­ cardo aveva tentato di evitare con la sua teoria del valore dipendente dal lavoro, e che effettivamente si può evitare solo per mezzo della teoria della mutua interdipen­ denza. Secondo questa teoria, i prezzi delle merci e dei fattori della produzione rea­ giscono l'uno con l’altro, creando cosi una interdipendenza che caratterizza l’intero meccanismo della formazione dei prezzi.... Ciò dato, non è possibile sostenere che l’offerta di una merce può venire accresciuta o diminuita, senza produrre effetti sul costo di produzione o sui prezzi.... Cosi l’ipotesi di un « costo costante » con varianti quantità prodotte.... assunta come premessa generale per lo studio dei movimenti dei prezzi, è disgraziata » (op. cit., p. 572 e segg.).

Da cui la conclusione che le oscillazioni che si producono nei vari

paesi mutano i costi di produzione dei vari beni in modo diverso da paese

a paese e quindi influiscono su gli scambi internazionali (pp. 577-78).

E l’A. allora si chiede: « Può la teoria ortodossa spiegare uno sviluppo di

questo genere? ».

20.

— Io non vedo in cosa questo esatto ragionamento del prof. Ohlin

tocchi la dottrina dei costi comparati.

In un dato periodo i paesi I, II, III.... si sono ripartita la produzione

di

A, B, C...,

in guisa che ognuno di essi fabbrica quella merce in cui ha la

produttività assoluta e relativa maggiore. Cresce ora, per una causa riferen-

tesi al paese I, il prezzo della merce

A,

che veniva venduta a II, e a III,

contro cessione di date quantità delle merci

B

e

C.

Se

A

fosse grano, la

causa può essere semplicemente uno scarso raccolto.

Le ipotesi sono due: e l’aumento del prezzo è moderato, in guisa che

a II e a III conviene comperare ugualmente la merce

A,

offrendo maggiori

dosi di

B

e di

C ;

e la divisione del lavoro continua secondo la formula

(26)

18 ATTILIO CABIATt

diana, con una variazione nei prezzi. Oppure il prezzo di

A

è divenuto tale

da superare il costo di produzione della stessa merce in II e in III, e allora

questi paesi faranno il conto della loro convenienza, misurando cosa viene

a costare loro

A,

in funzione: 1° del maggior prezzo di

A,

prodotto in paese;

2° del danno provocato dal fatto che I, non potendo più vendere

A,

non ha

più il mezzo per comperare i prodotti

B

e

C,

dai paesi II e III. Se, tenuto

conto di quest’ultimo elemento, i paesi II e III seguitano a comperare da I,

il principio dei costi comparati continua ad operare. Se invece gli scambi

si interrompono, non abbiamo più in funzione il principio dei costi com­

parati; per la ragione piuttosto elementare, che è venuta a mancare la con­

dizione stabilita da Ricardò per tale funzionamento!

21.

La posizione di Stuart Alili

: Questo grande scrittore, special-

mente nei celebri

Essays on som e unsettled Questions o f Politicai Economy,

esponendo ed esplicando il principio ricardiano, aggiunge :

« Spesso possiamo, nel commerciare con l’estero, ottenere le loro merci con una spesa in lavoro e capitale minore di quello che costano agli stranieri stessi. L’ope­ razione torna vantaggiosa anche allo straniero, perchè la merce che riceve in cam­ bio, benché a noi sia costata di meno, sarebbe costata di più a lui.... Per contrario, se egli produce ambo le merci con maggiore facilità, o con difficoltà maggiore, e questa facilità o difficoltà sono dello stesso ordine di grandezza, non vi sarà nes­ sun impulso allo scambio internazionale.... L’importanza di ciò che il signor Ricardo ha fatto per l’esposizione filosofica dei principi del commercio con l'estero, è di avere mostrato che la portata delle proposizioni ora ricapitolate non viene alterata dalla introduzione della moneta come intermediaria dello scambio, tendendo sempre i metalli preziosi a distribuirsi nel mondo commerciale in tal guisa, che ogni paese importa tutto ciò che avrebbe importato, ed esporta tutto quello che avrebbe espor­ tato, ove gli scambi fossero avvenuti per mezzo di baratto.... è scopo di questo sag­ gio di ricercare in quale proporzione questo incremento di produzione, derivante dal risparmio di lavoro, viene ripartito fra i due paesi....

Questo argomento non venne

contemplato dal signor Ricardo, la cui attenzione fu richiamata da questioni assai

più importanti, e che, avendo tutta una scienza da creare, non aveva nè tempo, nè

agio di occuparsi più in là dei principi fondamentali.

Quando egli aveva fatto ciò che era sufficiente per porre in grado chi veniva dopo di lui, e che voleva prender­ sene la necessaria pena di completare tutto il resto, egli era soddisfatto » ( 1 8 ) .

D ’altra parte era logico che ciò bastasse per Ricardo. Cioè, avere di­

mostrato che se due paesi I e II addivenivano a questa divisione del lavoro

secondo tale legge, il guadagno « complessivo » costituiva un massimo.

(1 8 ) Some ecc. 2* ed. (London, Longmans, 1874), Essay I, pp. 2-5.

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