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Attualmente i vigneti di queste valli, con le modificazioni apportate dai loro proprietari, sono considerati dei vigneti relitti, sono cioè l'espressione di ciò che rimane

di un sistema viticolo che nei decenni precedenti era molto espanso e caratterizzava il paesaggio locale. Inoltre hanno un'età che varia dai 70 anni circa ai cento e più. Se prima essi caratterizzavano l'estetica dei declivi assolati, dal paese di Mugnai fino ai Solivi di Fastro e alle coste di S.Vito, ora si contendono lo spazio con il bosco, che è ricresciuto spontaneamente dopo l'abbandono dell'agricoltura di sussistenza.

Camminando per i sentieri e le borgate che fanno da cornice al lago del Corlo si possono notare questi vigneti relitti vicino alle case dei loro proprietari50. Vigneti che

creano dei micropaesaggi e che possono far immaginare come era disegnato il territorio decenni fa. Soprattutto sulle pendici dei monti essi, più che sembrare ciò che rimane di un tempo passato, sembrano insinuarsi, incastrarsi fra il bosco, cercando di farsi spazio, con il tentativo di limitarne l'estensione che oramai è a ridosso delle case. Sono come una frattura, un'isola, in un mare verde omogeneo che ricopre queste montagne. I vigneti rimasti sono perlopiù quelli vicini alle abitazioni dei loro proprietari, più facili da coltivare perché situati in zone poco pendenti e di facile accesso. A Rocca Carlo Maddalozzo (73 anni) ha il suo vigneto dietro casa con un'età di circa 60-70 anni, forse anche di più.51. Esso è ciò che rimane di un vigneto più grande, che si allargava verso

sinistra del colle e sopra il pendio, ma che ora non ha più la forza di coltivare fin lassù. Prima di lui questo vigneto era lavorato da suo padre, Costante, e da suo zio. A destra del colle 2-3 anni fa ha piantato dei nuovi filari a vite. Carlo mi racconta che avevano anche un vigneto al di là del lago, in una zona vicino, e che suo zio e il padre lo coltivavano. Producevano un buon vino, perché c'era una buona esposizione e il terreno era sassoso. Per recarsi in quel vigneto usavano una barca (fu quindi introdotta una pratica nuova) perché dopo la creazione della diga, nel 1954, i sentieri erano stati sommersi. L'imbarcazione veniva usata anche per raccogliere la legna al di là del lago. Ora questa vigna non c'è più.52

Anche Bruno Maddalozo, vicino di Carlo, coltiva delle viti centenarie, curate precedentemente dal papà e dallo zio che producevano vino e lo vendevano fino in Cadore. Le viti quindi erano già lì prima che lui nascesse (e lui ha 58 anni). Il fatto

50 Come Luigi Brandalise, Carlo Maddalozzo, Alessandro Giudici, Smaniotto Alfonso, Bruno Maddalozzo e Tiziano Brandalise

51 L'età di questo vigneto, ma come anche degli altri, è di difficile individuazione in quanto è legata ai ricordi dei loro proprietari e di ciò che gli hanno raccontato le generazioni precedenti. Per esempio Carlo racconta che chi gli ha venduto la porzione del suo vigneto aveva 60 anni ed esso esisteva già da molto tempo. E questa persona è morta oramai da 30 anni, per cui il vigneto è molto vecchio ma di data imprecisa.

curioso è che Bruno ha una piantina in scala del vigneto, con segnalate tutte le 150 viti che lo compongono. La formazione del lago ha creato un paesaggio nuovo, inaspettato per la gente del posto. I migliori terreni furono sommersi, la piana del Ligònt sparì e gli unici terreni disponibili furono quelli lungo i declivi, dove le ultime viti sopravvivono ancor'oggi. L'uso della barca per i lavori dei campi e per il trasporto della legna è stata un'innovazione necessaria per continuare a rimanere collegati ai terreni al di là della sponda. Il lago ha però portato anche molta umidità e trasformazioni alla coltivazione della vite: Bruno mi racconta che tempo fa aveva altre viti in zona, vicine all'invaso, ma ha dovuto espiantarle anche se producevano molta uva che però non maturava mai a causa della nebbia.

Fig.27. Vigneto di Carlo Maddalozzo dietro casa (foto propria, 2015)

Spostandoci verso la val Carazzagno singolare è la presenza dell'ultimo vigneto relitto di tutta la valle. Luogo che un tempo comprendeva un'ampia estensione a vigna. È un vigneto centenario53 che sorge appena sotto la frazione di Scoccaù vicino alla casa

del suo proprietario, Alessandro Giudici; non è un vigneto coltivato su dei terrazzamenti ma segue la pendenza del terreno, così risulta anche più ostico camminare tra i filari. Anche questo vigneto testimonia un'agricoltura che fu, e una presenza umana capace di domesticare un'intera valle, e indica, posizionato accanto al bosco, come due foto messe una accanto all'altra, il prima e il dopo dato dall'abbandono di queste valli. Esso, trovandosi alla base del paese, delimita un confine, ancora labile, con la vegetazione che avanza. Alessandro ha un'altra porzione di vigneto lì vicino, ma non è ancora riuscito a liberarlo dalla vegetazione che ci è cresciuta sopra.

53 Alessandro mi racconta che il vigneto, a memoria di sua nonna, già esisteva ai tempi dei bisnonni, nati verso la metà circa del XIX secolo. Probabilmente molte viti, soprattutto gli ibridi americani sono state piantate verso fine Ottocento, periodo in cui oidio, peronospora e poi fillossera cominciarono a creare problemi anche qui.

Fig.28. Vigneto di Alessandro Giudici (foto propria, 2014)

A Corlo invece le vigne sono quasi del tutto sparite. Non esiste più un vigneto che si possa dir tale: c'è ancora qualche filare vicino alle case e delle pergole per lo più di bacò e di isabella che Alfonso e suo genero Luca mantengono, riuscendo a produrre ancora qualche ettolitro di vino. Queste sono pergole che ancora riescono a sopravvivere all'abbandono, perché la loro manutenzione è minima e hanno per lo più la funzione di fare ombra d'estate. Attorno alle case si riesce a mantenere una certa distanza dal bosco tramite lo sfalcio dei prati più prossimi e la presenza di orti e piccoli giardini che rendono gradevole ed esteticamente bella questa borgata. Gli orti, soprattutto in val Carazzagno, a Corlo, Incino e nelle altre frazioni di questa valle forse rappresentano la forma di agricoltura di sussistenza più rappresentativa e praticabile perché il terreno impiegato è minimo, è collocato di solito vicino alle abitazioni e il ciclo di produzione dei vari ortaggi è più breve e di semplice manutenzione rispetto a colture quali la vite. C'è bisogno anche per esso, comunque, di una certa continuità di presenza, soprattutto per togliere l'erba che qui in montagna cresce veloce ed abbondante, o di innaffiare se la stagione estiva è secca. Questi orti hanno anche una loro estetica particolare, perché molti di essi sono recintati a causa della presenza dei caprioli e poi perché si sviluppano lungo i pendii con il terreno sistemato a gradini. Con la presenza spesso dei fiori, lungo i loro bordi, fungono anche da piccoli giardini, molto piacevoli da ammirare con i loro colori accesi e gli ortaggi sistemati in file regolari, in contrasto con la wilderness circostante. Inoltre, la presenza degli orti e delle coltivazioni

sono un segno tangibile della presenza umana, non sempre certa invece se si osserva solo la presenza delle case, anche se in buono stato o restaurate.

Nel paese di Incino si può cogliere ancora qualcosa dell'antico paesaggio viticolo osservando la vigna di Luigi Brandalise, che si sviluppa lungo le masgère sotto casa sua. Marisa, moglie di Luigi, mi racconta che anni fa il vigneto, rispetto a ora, era ancora più bello, senza la presenza di erba o altro. Sono rimasto stupito da quanto affermato, perché ai miei occhi, l'estetica di questo campo terrazzato, con l'erba bassa tra le viti e con una miriade di tulipani e narcisi lungo la masgèra è già molto bello così. Ma Marisa mi conferma il suo pensiero, affermando che io mi esprimo così perché non avevo visto com'era prima. È un vigneto che produce circa 7-8 ettolitri all'anno di vino, e che, assieme ai terrazzamenti rimasti attorno al paese, lo caratterizza, donandogli quasi l'aspetto di un paesino ligure, attraversato da stradine e muretti in pietra a secco, tutti in salita. Anche in questo paese le pergole a viti sono frequenti e contribuiscono a formare l'estetica delle case, testimoniando altresì l'attaccamento ancestrale che l'uomo ha per questa coltura, che, non potendo più permettersi di coltivare estensivamente se ne coltiva qualcuna presso l'abitazione.

Fig.29. Orto a Col Foržela (2014, foto propria)