2.1. L’estetica della villa
2.1.1. La villa: definizione di un tipo Il primo articolo in cui Pagano tratta il tema della villa esce su «Casabella» n 67 del
1933, numero che il nuovo direttore dedica quasi interamente a questa tipologia abitativa, mostrando otto progetti elaborati da architetti internazionali a dimostrazione dell’importanza del tema quale misura del rinnovamento architettonico nelle varie epoche.
Fino alla prima metà degli anni Trenta, come visto in precedenza, gli architetti italiani guardano alla villa come tipologia abitativa su cui sperimentare nuove soluzioni e nuovi linguaggi volti all’affermazione dell’architettura moderna. La villa infatti, a differenza della casa collettiva, presenta condizioni favorevoli per l’applicazione di nuove tecniche, nuovi linguaggi e nuovi principi compositivi, in quanto si tratta di una tipologia di casa isolata, unifamiliare, inserita in luoghi naturali ad alto valore paesaggistico. Ma soprattutto la villa si vincola ad un unico committente, benestante, con cui avviare un confronto aperto alla ricerca di nuove soluzioni, svincolandosi da temi più complessi legati all’economicità, allo spazio minimo, all’aggregazione delle unità all’interno di contesti urbani sempre più eterogenei.
Proprio il rapporto tra committente ed architetto nel progetto della villa viene assunto come pretesto da Marangoni per parlare, nel 1928, di questa tipologia abitativa su «La Casa Bella», mettendone in evidenza i caratteri fondamentali, spesso dimenticati a favore della pura ricerca estetica.1 Marangoni, citando Ruskin, parla della villa come tipologia tipica italiana che deve
rappresentare il «gusto moderno», rispettando i criteri di una casa in armonia con il paesaggio che la circonda, adatta al massimo godimento di esso. Quindi una casa aperta al sole, all’aria e alla natura, integrata con essa, tanto da esserne l’«ornamento» e non più «una contaminazione» . E proprio Ruskin, considerato da Pagano, insieme a Morris e Crane, un precursore della ricerca di un nuovo indirizzo linguistico2, si sofferma sulla definizione tipologica della villa all’interno del suo
libro Poesia dell’architettura,3 indicandone i caratteri principali e mettendone in evidenza le
differenze rispetto al cottage. La villa, considerata tra l’altro una tipologia di origine italiana, è definita come la «dimora rurale del signore», inserita nell’ambiente naturale ma contraddistinta da un rapporto più stretto con il carattere dei suoi abitanti, rispetto al cottage, definito invece la «dimora del contadino», la casa rurale originaria4.
La villa, però, è legata ad una specifica funzione: è la casa per il riposo, per la villeggiatura, per lo svago; il cottage invece è la casa permanente del contadino. La prima, perciò, «deve avere un territorio per sè, cospicuo, bello e calmo, ad una volta»; deve inserirsi in esso con «la grandiosità del suo orgoglio», con una forma regolare, semplice, mirata ad «esaltare la bellezza delle proporzioni, prevalentemente orizzontali», in contrasto con l’irregolarità della natura di cui ne «accentua il carattere selvaggio». Importante anche l’accesso e il disegno del giardino, anch’esso regolare, simmetrico, ma in armonia con le «linee morbide della natura». E soprattutto la villa deve trovare un proprio carattere, non «nazionale» come quello del cottage, ma riflesso delle esigenze di un determinato committente.5
Questi i caratteri che Ruskin, alla fine dell’Ottocento, riconosce nella villa, anticipando le riflessioni fatte intorno al tema a partire dalla fine degli anni Venti.
Siamo ancora lontani dalla piena affermazione dell’architettura razionalista che, proprio in quegli anni, si mostra a Roma attraverso la prima e seconda Mostra di Architettura razionale; ma gli esempi di ville che vengono costruiti e presentati sulle pagine di «La Casa Bella», seppur legati ancora ad un linguaggio di stampo ‘tradizionalista’, mostrano gradualmente la volontà di rinnovamento nelle soluzioni planimetriche, ma, soprattutto, nell’applicazione di nuove tecniche costruttive, come il cemento armato, che guidano all’introduzione di nuove soluzioni e di una nuova estetica.6 Si parla infatti di «razionalismo» come «soluzione perfetta degli ambienti interni di
una costruzione», legata quindi alla distribuzione planimetrica e all’apertura alla luce e all’aria, ma si parla anche di applicazione dei nuovi metodi costruttivi, come il cemento armato, che rendano possibile il raggiungimento di risultati formali più adatti alle esigenze moderne.7
Sono comunque due i caratteri fondamentali che, sul finire degli anni Venti, vengono evidenziati nella tipologia della villa, a conferma delle riflessioni precedentemente fatte: innanzi tutto il rapporto con l’elemento naturale, un «paesaggio incantevole» nel quale la villa si inserisce, affinché i suoi proprietari possano godere del riposo e della bellezza della natura nei periodi di vacanza.
L’elemento naturale diventa oggetto del progetto, entra a far parte della villa, come naturale componente di essa. L’esterno deve adattarsi al luogo e al paesaggio in cui si inserisce, senza dominare su di esso ma, al tempo stesso, senza «sacrificarsi». Struttura, colore, materiali devono trovare una perfetta armonia con il paesaggio circostante.8
Oltre a questo la villa non può prescindere dall’attenzione agli spazi interni della casa: ampi, ariosi, luminosi, in funzione delle nuove esigenze abitative e della volontà di godere del paesaggio; ma anche «sobri ed eleganti», con arredi e materiali di finitura adatti a rappresentare una vita agiata, senza ostentare ricchezza.9 Una «casa per la villeggiatura», quindi, ma anche una «casa
d’eccezione» realizzata per uno specifico committente.10
Il legame con il luogo che caratterizza il tipo della villa, diventa fonte di variazioni del progetto: si parla così di villa al lago, villa al mare, villa in montagna, con caratteri specifici in funzione di specifiche condizioni climatiche e paesistiche. Parlando delle ville in montagna, Griffini evidenzia come queste si differenzino profondamente dalle ville al mare: caratterizzate da una «severa logica costruttiva», si configurano in forme «raccolte e compatte», attraverso «massicci muri, misurate aperture, ampie e distese falde del tetto» che accentuano la loro ombra sulle pareti intonacate.11
E gli esempi che mostra ne sono una chiara espressione. Tra questi la Villa presso S. Moritz di Tessenow, posta su un declivio naturale del terreno, che nel rigore volumetrico, trova una perfetta integrazione con il luogo attraverso la forma del tetto e l’ampia terrazza in facciata; ma anche la Villa presso Innsbruck di Holzmeister, chiusa in un volume stereometrico, bianco, con poche e misurate aperture, rigorosamente simmetriche, che aprono la casa al paesaggio, nei limiti imposti dal clima. Riferimenti ai quali, peraltro, si richiama anche Pagano nel progetto di Villa Colli, impostato, in parte, sugli stessi presupposti e sugli stessi caratteri.
Ed è interessante tornare all’articolo e al numero di «Casabella» che Pagano dedica alle ville,12 in
quanto, anche se pubblicato nel 1933, a distanza di circa tre anni dal progetto di Villa Colli e dagli articoli sopra citati, sintetizza e chiarisce la sua posizione rispetto al progetto di questa tipologia abitativa, fornendoci spunti e riferimenti al quale lui stesso si richiama. Articolo che, come altri su cui torneremo più avanti, diventa anche testimonianza del panorama architettonico internazionale del momento, in relazione ad uno specifico tema.13
Pagano, chiarendo i caratteri del tipo della villa, destinato alla villeggiatura in luoghi immersi nel paesaggio naturale, ribadisce come questa tipologia abitativa torni ad essere tema di ricerca e di misura dell’architettura moderna, solo a partire dalla fine dell’Ottocento.
Facendo riferimento alla razionalità delle ville romane, infatti, insita nella distribuzione degli spazi, nella tecnica costruttiva, ma soprattutto nella chiarezza ed essenzialità, lontane dalla volontà rappresentativa e monumentale, l’autore afferma che solo gli inglesi, dopo diciannove secoli, tornano ad un «programma funzionale della villa», analogo a quello dell’architettura classica, quale testimonianza dell’affermarsi di uno «spirito nuovo».
E ne dà una dimostrazione citando gli esempi realizzati dai più importanti architetti moderni: la villa di Behrens a Darmstadt, le ville di Olbrich, la «grande villa Stoclet» a Bruxelles costruita da Josef Hoffmann e quelle «tanto sconcertanti per la loro profetica anticipazione», costruite dall’americano Frank Loyd Writght tra il 1901 e il 1911.14
Ma è interessante vedere come, anche Pagano, leghi indissolubilmente il progetto della villa a due elementi essenziali: da una parte la funzionalità nel soddisfare lo scopo per cui viene realizzata, cioè il riposo fisico e mentale, la comodità, il godimento della natura per rifuggire la città; dall’altra le esigenze specifiche del committente che rappresenta non solo «un mecenate», ma anche un fautore del progetto, un collaboratore dell’architetto nella realizzazione della propria casa.
Per questo critica la borghesia italiana che si mostra ancora legata ad un’estetica della villa quale espressione di un «rifacimento stilistico» che recupera nella tradizione classica o romantica le forme, le decorazioni, gli elementi, senza capirne l’essenza e che, per questo, diventa la causa primaria dell’arretratezza dell’architettura moderna italiana, rispetto alle altre nazioni.
E gli esempi che mostra, appartenenti al panorama internazionale, confermano come la villa diventi espressione dei principi della nuova architettura: dalle ville di campagna, alle ville nelle periferie urbane, alle ville in montagna, a quelle per il fine settimana.
Ciascun progetto risolve in modo diverso il tema, in funzione del luogo, del committente e della poetica personale dell’architetto, rispondendo però, in maniera chiara, alle esigenze del vivere «di una famiglia civile evoluta» e ad un linguaggio dichiaratamente ‘moderno’.
In particolare Pagano mette in evidenza diversi modi di rapportarsi al luogo in cui si colloca la villa, entrambi validi, riferiti, rispettivamente, ai progetti di Merril e di De Koninch: da una parte la volontà di integrazione quasi totale al paesaggio, risolta attraverso l’articolazione di più volumi semplici, separati per funzioni, raccolti attorno ad un cortile e aperti al verde retrostante; dall’altra l’intenzione di astrarsi dal luogo, attraverso forme geometriche pure e rigorose, chiuse in se stesse e aperte al paesaggio solo tramite ampie vetrate. Nel primo caso è evidente, scrive Pagano, il riferimento all’architettura rurale, alla «bonaria geometria della architettura rusticana», spontanea e naturale; nell’altro, invece, emerge il «valore di una astrazione geometrica, di una coraggiosa ricerca verso forme primordiali e pure».15
Tra gli altri, l’autore presenta anche un progetto di villa in montagna dell’architetto Lois Welzembacher, «ben inserita nel luogo» e «perfettamente funzionale»,16 che si mostra nella sua
autenticità senza cedere al folclore del formalismo storicistico, quale espressione di una chiara razionalità.
2.1.2. Progetti di ville alla IV Triennale di Monza Nel maggio del 1933 si apre a Monza, nella Villa Reale, la quarta Triennale, ex Biennale, con il titolo di «Esposizione di arte decorativa ed industria moderna» che identifica il chiaro indirizzo cui si orienta l’evento, quale «espressione del tempo».17 L’esposizione, infatti, nata
nel 1923 come Biennale di arti applicate con l’intento di mostrare al pubblico il rinnovamento negli arredi e negli oggetti d’uso, inizia a cambiare indirizzo a partire dal 1927, con l’arrivo di Ponti nel 5. Lois Welzembacher, Villa in Montagna
consiglio artistico che, tra l’altro, trasferisce la sede da Monza a Milano a partire dal 1933. Inizialmente si cerca una apertura maggiore alle esperienze artistiche più avanzate applicate all’industria, quale testimonianza di un rinnovamento del gusto nelle arti applicate; successivamente, già a partire dal 1930, la Triennale cerca un coinvolgimento sempre maggiore dell’architettura quale disciplina chiave della testimonianza di un nuovo ‘Stile’.18
In questa quarta edizione l’architettura non risulta ufficialmente all’interno del programma, ma il direttorio formato da Sironi, Alpago Novello e Ponti, sente la necessità di volgere lo sguardo anche verso questa disciplina, ormai oggetto centrale dei dibattiti culturali del periodo, rivolti all’affermazione di un rinnovamento sociale e politico, prima che architettonico.
E all’interno di questo, la costruzione della ‘casa razionale’ rappresenta il tema centrale della ricerca architettonica, non solo italiana, rispetto al quale anche le Triennali si orientano.19
La IV Triennale pone in luce il tema sotto due diversi aspetti: l’aspetto più ‘sperimentale’, legato a nuovi tipi di abitazione che seguono da vicino le innovazioni tecniche e le nuove esigenze dell’abitare, e l’aspetto più ‘tradizionale’ che si lega alla tipologia della villa. In relazione al primo, vengono realizzati nel parco della Villa Reale, due prototipi di casa, la Casa per vacanze progettata da Ponti e da Lancia e la Casa Elettrica di Figini e Pollini, con la collaborazione di Bottoni, Libera e Frette per gli arredi. Quest’ultima, in particolare, diventa uno degli elementi di novità e di maggiore interesse all’interno della Triennale, in quanto si incentra sull’applicazione delle ricerche razionaliste verso la casa economica, minima e standardizzata, ancora distante, però, dalle più avanzate ricerche europee. Per quanto riguarda, invece, il secondo aspetto relativo alla villa, Ponti invita gli architetti italiani a sperimentare nuove soluzioni per una «villa moderna», i cui progetti, dopo essere stati valutati e selezionati da una Commissione, vengono esposti all’interno della sezione architettura della mostra curata da Griffini e Caneva.
«La nostra casa deve darci, e questa è una condizione indispensabile, materiali comodità ed igiene e fin qui l’Architettura è uno studioso servizio, ma ancora deve dare un agio morale per la nostra vita stessa ed una ospitalità sicura e duratura per il nostro spirito e per la sensibilità onde cultura ed esperienza lo hanno nobilmente arricchito, e qui l’Architettura è un’Arte».20
Questo scrive Ponti presentando il catalogo della mostra dedicata ai progetti di concorso, confermando come la villa rappresenti ancora la misura del rinnovamento architettonico, in quanto «tema di largo interesse» e «diretto documento delle tendenze che caratterizzano da noi l’attuale momento dell’Architettura».21
I progetti presentati, infatti, mostrano due diversi indirizzi «stilistici» che vedono soluzioni più «tradizionali» affiancarsi a soluzioni più innovative, quali applicazioni delle «tecniche costruttive d’oggi», mettendo in luce la distanza tra il Novecento e il Neoclassico lombardo, in piena affermazione, e le più audaci ideologie portate avanti dai razionalisti.22
Modi diversi di interpretare l’abitazione moderna, quindi, che Ponti ribadisce essere specchio della vita dell’uomo e di una civiltà, anticipando ciò che Pagano scrive nel ’33.
Nello specifico il tema proposto da Ponti, come si legge nella presentazione del catalogo, riguarda il progetto di «una villa moderna per l’abitazione di una famiglia, escludendo gli estremi della villetta economica e della villa sontuosa, lasciando libere, entro ragionevoli limiti, l’ampiezza e la destinazione (cittadina, in montagna, al mare, ecc.)».23 Tra i progettisti selezionati si leggono nomi
di architetti che, di lì a poco, si affermano nel panorama nazionale, e non solo, come rappresentanti dell’architettura razionalista: Albini, Palanti, Bottoni, Frette, Griffini, Lancia, Ponti, Portaluppi, nell’area milanese; Aloisio, Cuzzi, Diulgheroff, Pagano, Levi Montalcini, Sartoris, nell’area torinese. Ed è interessante vedere invece, come, il resto dei progetti elaborati mostri ancora un forte legame con una concezione ‘più tradizionale’ della villa, evidente sia nella soluzione della pianta, sia nella soluzione degli esterni.
Ripercorrere i progetti significa ricostruire un determinato clima architettonico a cui si lega il progetto della villa nei primi anni Trenta; clima all’interno del quale si colloca anche il progetto di Villa Colli.
Tre essenzialmente i tipi di ville proposti: la villa al mare o al lago, la villa in collina o in montagna, la villa cittadina, con caratteri diversi in funzione proprio della loro collocazione.
Tra il gruppo delle ville al mare o al lago, va evidenziata la volontà, in quasi tutti i lavori, di una semplificazione linguistica, volta all’essenzialità, incentrata sull’uso di materiali e di tecniche costruttive nuovi e sull’uso di determinati elementi architettonici (terrazze, tetti piani, ballatoi, finestre orizzontali) che contribuiscono ad aprire la casa al luogo. Le soluzioni della pianta, invece, restano in molti casi ancora vincolate ad una distribuzione e concezione degli spazi di tipo tradizionale. Tra questi rientra il progetto di Albini e Palanti, la cui pianta «a esedra» si allunga per inserirsi nel luogo, una stretta striscia di costa ligure ai piedi della montagna.
L’impianto, rigorosamente simmetrico, è risolto secondo una distribuzione degli spazi ancora di tipo tradizionale, caratterizzata da una serie di stanze in successione.
La distribuzione della pianta evidenzia una suddivisone funzionale in due fasce, una destinata agli spazi serventi esposti a nord, l’altra destinata agli spazi serviti, affacciati a sud verso il mare. La compattezza della pianta si riflette anche nel volume e nel disegno delle facciate, caratterizzate da aperture ad arco e dall’orizzontalità, dovuta anche alla copertura piana destinata ai «bagni di sole».24 La ricerca di ‘novità’ riflessa nella forma planimetrica, non trova corrispondenza nella
distribuzione degli spazi e nella composizione dei prospetti, ancora vincolati ad un’impostazione simmetrica di tipo tradizionale.
Il progetto di Villa latina proposto da Bottoni, invece, rappresenta una assoluta novità, non solo dal punto di vista estetico – formale, ma anche nella concezione degli spazi e nella loro distribuzione, nonché nell’applicazione delle tecniche costruttive più avanzate.
Richiamandosi allo «spirito delle costruzioni latine» la villa si configura come ‘casa aperta’ alla natura, caratterizzata da una serie di spazi di vita all’aperto, costituiti da logge, terrazze e atri, tipici, come Bottoni evidenzia, «dei popoli mediterranei».25
Il volume, racchiuso in una pianta doppia stretta ed allungata, composta da un rettangolo centrale e da due semicerchi simmetrici ai lati, si conforma in funzione dell’«andamento longitudinale della marina», senza privilegiare alcuna direzione o alcun fronte al fine di consentire una piena e completa vista e apertura al mare.
Le piante ai vari piani riflettono questa volontà di apertura al luogo: l’atrio aperto al piano terra, «tradizionale della casa latina», introduce alla hall semicircolare a doppia altezza dalla quale si irradiano gli spazi essenziali della casa, distribuiti sui vari piani.
Una dimostrazione chiara della volontà di rapportare la casa al luogo e alla natura, recuperando i caratteri della tradizionale casa mediterranea, riletti però attraverso un volume rigorosamente geometrico ed essenziale, razionale nella soluzione planimetrica e nel carattere che identifica la villa.
Una variante della villa al mare, distante dalla concezione più tradizionale di questa tipologia, è rappresentata dal progetto di Cuzzi che mostra un evidente richiamo all’architettura futurista, insito nell’immagine della casa assimilabile ad una nave, non soltanto nelle forme, ma anche nella distribuzione planimetrica. Una pianta allungata con un lato semicircolare, caratterizzata da terrazze a ballatoio che, come pontili, fasciano la villa su tre lati, distribuendone gli spazi.
Più razionale nello studio planimetrico, la villa sul lago progettata da Guido Frette che si imposta su una pianta asimmetrica, composta da volumi diversi destinati a specifiche funzioni, di cui, in particolare, si distingue il corpo dei servizi che risulta indipendente dal resto dell’abitazione, anche in funzione di un proprio ingresso nascosto dal fronte principale.
L’ingresso padronale, invece, collocato in facciata e rialzato su un basamento, introduce agli spazi di soggiorno, pensati in funzione della flessibilità, in quanto aperti, integrati l’uno con l’altro, ma
10, 11. Guido Frette, Villa sul lago
suddivisibili attraverso pareti scorrevoli. Una serie di finestre orizzontali al piano terra e la lunga terrazza al primo piano, aprono la casa al paesaggio circostante. Un modo nuovo di concepire la villa, quindi, strettamente connesso con le nuove esigenze abitative e il luogo in cui si inserisce. Anche il progetto proposto da Minnucci si caratterizza per la semplificazione dei volumi, privi di qualsiasi elemento decorativo (torrette belvedere, balconi, coperture a falde, cornici) che, come lo stesso autore afferma, sono «abusati in tutti gli stili del villino e della villa». 26
La pianta, rigorosamente simmetrica, si imposta sulla figura del rettangolo che, al piano terra e a quello interrato, si suddivide internamente in due fasce, una destinata agli spazi di servizio, l’altra, sulla facciata principale, agli spazi principali della casa: soggiorno, pranzo e biblioteca. La volontà