Contratto valido e responsabilità precontrattuale. 2.1. Le conseguenze risarcitorie della violazione della buona fede. 3 Danni esistenziali e responsabilità precontrattuale.
Premessa.
Nel secondo capitolo si è messa in evidenza l’idoneità della responsabilità precontrattuale a regolare situazioni di accentuato contatto sociale.
La giurisprudenza, nell’ammettere la possibilità di estendere le regole della responsabilità contrattuale anche alle ipotesi in cui non sia ravvisabile un accordo nel senso tradizionale del termine, ha accolto l’idea del rapporto obbligatorio come struttura complessa nella quale, accanto all’obbligazione principale, figurano i c.d. obblighi di protezione non oggetto di contrattazione ma imposti per legge alle parti470.
Sono state in tal modo attratte all’interno dell’area contrattuale vicende che sarebbero state ricondotte, altrimenti, nell’alveo della responsabilità aquiliana. Come visto, il primo esempio, in ordine di tempo, è stato quello della responsabilità medica471, uno degli ultimi ha riguardato, invece, la mediazione tipica472. Entrambi i casi hanno posto in primo piano l’obbligo per le parti (medico e mediatore) di comportarsi in buona fede in virtù della clausola generale di correttezza di cui all’art. 1175 c.c. estrinsecantesi, in specie, nell’obbligo di una corretta informazione473.
Il presente capitolo vuole ora sottolineare i profili di quella che è stata definita la nuova stagione della responsabilità precontrattuale sotto il profilo della sua sopravvivenza alla conclusione di un contratto valido ed efficace ma pregiudizievole per una delle parti.
Negli ultimi quarant’anni, con forza sempre crescente, la normativa nazionale e internazionale, la dottrina e la giurisprudenza hanno evidenziato che il valore della persona umana rappresenta il punto di riferimento comune per la costruzione del sistema giuridico, anche civilistico.
470
Vedi C.CASTRONOVO, Obblighi di protezione, in Enc. giur., cit., 1 ss.; su questo tema si vedano
inoltre L.MENGONI, Obbligazioni di «risultato» e obbligazioni di «mezzi», cit., 185 ss., 280 ss. e 366 ss.; e E. BETTI, Teoria generale delle obbligazioni, I, Milano, 1953, 99 ss.
471
Cassazione, 22 gennaio 1999, n. 589, in Foro it., 1999, I, 3332 ss.
472
Cass., 14 luglio 2009, n. 16382, in Red. giust. civ. mass. 2009, 7-8.
473
Cassazione, 14 luglio, n. 16382, in Obbl. e contr. 2010, 11, 755 ss. Sull’estensione della regola della buona fede in senso oggettivo a tutte la fonti delle obbligazioni ex art. 1173 c.c., compreso l’atto giuridico non negoziale, vedi Cassazione, 9 marzo 2005, n. 5140, in Giust. civ. mass. 2005, 3.
La necessità di ripensare schemi logici e categorie formali della dogmatica civilistica, che si manifestino incompatibili con il valore persona, ha trovato notevole spinta nell’incremento, all’interno del mercato nazionale ed europeo, di rapporti contrattuali caratterizzati da forti disparità di poteri e conoscenze che hanno fatto nascere la fondamentale esigenza di tutelare il contraente debole.
Il presente studio ha permesso di accertare che nei settori dove le posizioni delle parti sono squilibrate e asimmetriche vi è una crescente sensibilità per i doveri di informazione quale misura di tutela preventiva e specifica.
Nell’ambito del complesso e articolato sistema delle fonti normative è emersa con evidenza l’insufficienza della disciplina generale del contratto e la conseguente necessità di una stretta integrazione di questa con le discipline di settore474, in modo da trarne principi e regole in grado di offrire soluzioni adeguate agli interessi coinvolti.
Ciò ha determinato una rimeditazione dei profili fondamentali della vicenda contrattuale. Hanno assunto nuova luce non soltanto le tradizionali questioni teoriche e pratiche inerenti al contratto, ma si sono aperte, sotto diversi aspetti ed in piú direzioni, nuovi percorsi di indagine.
Tali percorsi hanno riguardato, in particolare, la fase precontrattuale sulla quale incidono la previsione di una serie di informazioni e il necessario rispetto del principio di trasparenza.
Con riferimento al tema delle trattative precontrattuali il nostro ordinamento detta molteplici norme di settore. Si pensi, ad esempio, ai regolamenti emanati in attuazione dei testi unici sulle tradizionali attività finanziarie475 che dettano specifiche disposizioni sulla condotta precontrattuale della banca, dell’intermediario finanziario o dell’assicuratore (artt. 27 e ss. Delib. CONSOB 16190/07, c.d. regolamento intermediari; artt. 46 e ss. Reg. ISVAP n. 5/2006).
Pur nella diversità apparente delle formulazioni, entrambi i regolamenti appena ricordati pongono a carico dell’intermediario (finanziario od assicurativo) precisi doveri di:
- trasparenza, intesa quale obbligo di riferire la propria qualità ed i propri legami con l’impresa preponente;
474
Vedi il Codice del Consumo o il t.u.f. o, ancora, le Carte internazionali e i codici deontologici in materia medica caratterizzati dall’imposizioni di obblighi informativi nella fase precedente alla conclusione del contratto. In giurisprudenza, con riferimento alla integrazione della disciplina generale vedi Corte d’Appello di Milano 15 aprile 2009 secondo la quale le norme del TUF e dei regolamenti Consob integrano la disciplina codicistica e pongono a carico dell’intermediario un dovere di correttezza e di informazione che non si esaurisce nella fase prodromica alle trattative ma che si estende per l’intera durata del rapporto, al fine di consentire all’investitore l’adozione di decisioni meditate e consapevoli. Sul rapporto fra disciplina generale e di settore G. VETTORI, Il contratto del terzo millennio, in Persona e Mercato 2010, 3, 216 ss.
475
V. anche art. 21 Decreto legislativo, 24 febbraio 1998, n. 58. Il settore dell’intermediazione finanziaria è stato interessato da recenti importanti sentenze di legittimità (Cass. civ., S.U., 26724- 26725/2007) che hanno offerto “un ripensamento decisivo sul rapporto fra regole di responsabilità e regole di validità e sull’obbligo di buona fede nella fase precontrattuale”.
- correttezza, intesa quale obbligo di attivarsi per salvaguardare gli interessi del consumatore (c.d. know your customer rule);
- adeguatezza, intesa quale obbligo di fornire o proporre prodotti o servizi effettivamente utili per il consumatore (c.d. suitability rule);
- informazione, intesa quale obbligo di illustrare in modo chiaro e comprensibile contenuto ed effetti del contratto.
Il dovere di “parlar chiaro”, imposto dai testi unici in materia assicurativa e finanziaria, è stato esteso dalla giurisprudenza anche ad ambiti negoziali diversi e, segnatamente, ai rapporti tra consumatori e liberi professionisti.
In un primo tempo, come visto nel precedente capitolo, l’obbligo di fornire un’informazione chiara, esaustiva, completa e comprensibile sulla natura, sui rischi e sulle possibilità di successo dell’intervento venne imposto nel settore della responsabilità medica476.
Il settore medico, tuttavia, è solo uno degli ambiti in cui è stata avvertita la necessità di prevedere dei meccanismi informativi di natura preparatoria a tutela della parte debole477. Ed infatti il principio del “consenso informato” è stato applicato anche alla responsabilità del notaio, tra i cui obblighi è stato ritenuto fondamentale quello di informare il cliente di qualsiasi circostanza possa essere rilevante per l’utilità e la validità dell’atto478
Quindi è stata la volta della responsabilità dell’avvocato, a carico del quale è stato ritenuto sussistere un analogo dovere di informare correttamente e tempestivamente il cliente delle caratteristiche del giudizio e delle scelte che è necessario compiere a pena di decadenza affinché possa regolare la propria condotta conformemente agli interessi sostanziali coinvolti nel processo479.
La responsabilità precontrattuale rappresenta un fenomeno strettamente connesso con la tematica della conclusione del contratto che trova il proprio referente normativo nell’art. 1337 c.c. ai sensi del quale “le parti, nello svolgimento delle trattative e nella
formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede”.
476
Cass. 25.11.1994 n. 10014, in Nuova giur. civ. comm., 1995, I, 937 ss.; Cass. 15.1.1997 n. 364, in Foro it., 1997, I, 772 ss.; Cass. 28.11.2007 n. 24742, in Giust. civ. mass., 2007, 11; Cass. 26.9.2006 n. 20832, in Giust. civ. mass. 2006, 10.
477
L’analisi condotta in tema di responsabilità medica ha fatto emergere tratti di affinità anche con la disciplina consumeristica che costituisce un chiaro esempio di compenetrazione tra disciplina generale e speciale. A questo proposito recentemente la Corte di Cassazione (Cass., (ord.) n. 8093/2009, in Rass. dir. farmaceutico 2009, 5, 1053) ha avanzato l’ipotesi di una sua possibile influenza sul diritto sanitario offrendo spunti di riflessione in ordine alle possibili relazioni tra le due branche di diritto speciale. A questo proposito si vedano i commenti di A. M. BENEDETTI. - F. BARTOLINI, Utente vs Servizio Sanitario: il “no” della
Cassazione al foro del consumatore, in Danno e resp., 2010, 1, 62 ss.; F. LUCCHESI, Foro del consumatore: riconosciuta l’applicazione anche al c.d. contratto di spedalità, in Obbl. e contr., 2008, 5, 397 ss. (nota a Trib. Napoli 6 dicembre 2007); C. MIRIELLO, Questioni attuali in punto di responsabilità medico-sanitaria (parte prima), in Resp. civ., 2010, 7, 531 ss.
478
Cass., sez. III, 06-04-2001, n. 5158, in Giust. civ. mass., 2001, 736; Cass. 28.11.2007 n. 24733, in Vita not., 2008, 1, 356 ss.
479
Tale disposizione individua al suo interno una norma di condotta che si riferisce alla buona fede intesa in senso oggettivo quale criterio di valutazione del comportamento del soggetto sopra il quale grava il detto dovere.
Uno fra i molteplici problemi che si pongono in tema di responsabilità precontrattuale concerne la individuazione dei comportamenti che i soggetti sono tenuti ad osservare in ossequio al precetto che caratterizza l’art. 1337 c.c.
Se da un lato, infatti, se ne vuole circoscrivere la portata alle fattispecie contrarie a buona fede e correttezza che siano espressamente previste dalla legge, dall’altro lato, si propende per l’estensione della clausola generale di cui all’art. 1337 a qualsiasi condotta scorretta tenuta nella fase antecedente alla conclusione del contratto. È proprio quest’ultima tendenza a prevalere anche nella recente giurisprudenza dove si supera l’idea che circoscriveva gli obblighi precontrattuali a quelli, tradizionali, di non recedere dalle trattative senza giusta causa e di comunicazione delle cause di invalidità del contratto. Con riguardo ai doveri di informazione, si è detto, il vero nodo da sciogliere è dato dalla
sovrapposizione tra le norme della responsabilità e quelle che regolano i vizi del consenso480.
Si tratta di stabilire se questi due tipi di regole siano reciprocamente autonome oppure se possano tra loro interferire.
Tradizionalmente, in ossequio al principio di non interferenza, esse sono state collocate su piani distinti, in ragione della diversa funzione e del diverso statuto normativo. Ed infatti, le regole di validità, attenendo alla fattispecie del contratto e alla sua struttura, stabiliscono le condizioni in presenza delle quali l’atto è vincolante per le parti. Le regole di comportamento mirano, invece, ad assicurare la correttezza e la moralità delle contrattazioni attraverso la prescrizione di una condotta ispirata a buona fede.
Questa diversità si riflette anche sul piano dello scopo. Mentre infatti le prime sono concepite per garantire la certezza dei traffici giuridici, le seconde, invece, mirano a perseguire scopi di giustizia sostanziale.
Orbene, a questo punto due sono le questioni che si pongono. Da un primo punto di vista si tratta di appurare se la violazione delle regole di buona fede possa incidere sulla validità del contratto; da altro punto di vista occorre, invece, stabilire se l’accertamento della conformità in concreto del contratto alle regole di validità tolga ogni spazio ad un eventuale giudizio di responsabilità precontrattuale.
1. Violazione della buona fede e invalidità del contratto.
Per quanto concerne il primo problema, l’accoglimento del tradizionale principio di non interferenza porta a negare che la violazione della buona fede possa determinare l’invalidità del negozio, salvo che sia la stessa legge a prevedere questo tipo di sanzione.
480
A. MUSY, Responsabilità precontrattuale (culpa in contrahendo), in Dig. disc. Priv. Sez. civ. XVII, 405.
Tuttavia, di recente, sia in dottrina che in giurisprudenza si sono registrate posizioni contrastanti.
Per quanto riguarda la dottrina, alcuni Autori, rimasti fedeli alla tradizione, contrapponendo il piano dell’atto a quello del comportamento, hanno rilevato che il principio di separazione fra regole di validità e di condotta (buona fede) costituisce il riflesso del rapporto intercorrente tra la sfera riservata al legislatore e quella riservata al giudice481.
Altri, invece, hanno proposto di rimeditare il c.d. principio di non interferenza sostenendo che, in seguito all’equiparazione da parte della Cassazione tra dolo omissivo e dolo commissivo482, non può più scandalizzare l’idea che alla violazione della regola di buona fede precontrattuale possa conseguire, in base all’art. 1418 c.c., comma 1°, la nullità o l’inefficacia del contratto o, ai sensi dell’art. 1419 c.c., di singole sue clausole483
Vi è stato, inoltre, chi, superando la distinzione fra regole di validità e di comportamento, ha considerato direttamente inefficace il contratto derivante da un comportamento scorretto tenuto in sede di formazione, ponendosi in tal modo in sintonia con le recenti tendenze evolutive che recepiscono i dettami del diritto comunitario e che assegnano alla responsabilità precontrattuale un ruolo centrale nel diritto dei contratti484.
Sul versante giurisprudenziale la Suprema Corte di Cassazione, con sentenza del 29 settembre 2005, n. 19024 ha confermato il tradizionale principio di non interferenza affermando che “I comportamenti tenuti dalle parti nel corso delle trattative o durante
l'esecuzione del contratto rimangono estranei alla fattispecie negoziale e s'intende, allora, che la loro eventuale illegittimità, quale che sia la natura delle norme violate, non può dar luogo alla nullità del contratto… a meno che tale incidenza non sia espressamente prevista dal legislatore” 485. Mentre dunque i doveri di comportamento attengono alla vicenda del
481
G.D’AMICO, La responsabilità precontrattuale, cit., 1003-1004.
482
Cass., 26 ottobre 1995, n. 11151, in Giur. com., 1996, 329 ss.
483
. F.GALGANO, Squilibrio precontrattuale malafede del contraente, in Contr. impr., 1997, 3, 417 ss. L’A. sostiene che l’equiparazione, operata dalla Corte di Cassazione, fra dolo omissivo e commissivo, permette di affermare che la buona fede precontrattuale possa avere un effetto invalidante del contratto.
484
Vedi R. SACCO, Il contratto, Torino, 1975, 672 ss.; G. VETTORI, Anomalie e tutele nei rapporti di
distribuzione fra imprese. Diritto dei contratti e regole di concorrenza, Milano, 1983, 83 ss.
485
Cassazione, 29 settembre 2005, n. 19024, in Foro it., 2006, I, 1105 ss. con nota di E. SCODITTI, Regole di comportamento e regole di validità: i nuovi sviluppi della responsabilità precontrattuale, in Foro it., 2006, I, 1108 ss.; e in Corr. giur., 2006, 5, 669 nota di G.GENOVESI, Limiti alla “nullità virtuale" e contratti su strumenti finanziari. Nello stesso senso Cass., 18 ottobre 1980, n. 5610, in Giust. civ. mass., 1980, fasc. 10, secondo la quale disposizione dell'art. 1337 c.c. è una norma meramente precettiva dettata a tutela ed a limitazione degli interessi privatistici nella formazione ed esecuzione dei contratti, e non può, perciò, essere inclusa tra le "norme imperative" di cui all’art. 1418 c.c. aventi invece contenuto proibitivo e la cui violazione determina la nullità del contratto anche quando tale sanzione non sia espressamente comminata.
Il principio è stato enunciato anche da cassazione, 30 dicembre 1997, n. 13131, in Giur. it., 1998, 1644 ss., secondo cui “Quanto agli artt. 1175 e 1375 cit., il ricorrente sembra sostenere l'applicabilità dei principi di correttezza e buona fede non solo nel momento delle trattative precontrattuali o dell'interpretazione ed esecuzione del contratto, ma anche nel momento della formazione della volontà negoziale (conclusione del contratto) e cono riferimento al contenuto del negozio medesimo. Dalla normativa sul punto, ed in
rapporto obbligatorio tra le parti, le regole di validità, invece, ineriscono ai requisiti di struttura della fattispecie negoziale e alla disciplina dell'atto e dei suoi effetti486.
Un diverso orientamento è stato espresso dalla Suprema Corte con ordinanza 16 febbraio 2007, n. 3683, secondo la quale la mancanza di un’esplicita previsione legislativa sarebbe irrilevante ogni qualvolta un negozio giuridico fosse in contrasto con norme imperative. Il primo comma dell’art. 1418 c.c., infatti, rappresenterebbe un principio generale rivolto a prevedere e disciplinare proprio quei casi in cui alla violazione dei precetti imperativi non si accompagna una previsione di nullità487.
particolare dagli artt. 1337 (concernente una responsabilità extracontrattuale: v: fra le altre Cass. 9157-95), 1366 e 1375 C.C. si evince invece che i doveri di correttezza e buona fede sono stati affermati come principi di carattere generale dal legislatore con riferimento ai rapporti precontrattuali, ed all'interpretazione ed esecuzione del contratto, ma non con riferimento al contenuto del medesimo, nel senso che (eccezion fatta per l'eventualità che la violazione di detti doveri si trovi ad integrare anche una delle specifiche ipotesi previste dalla normativa in tema di nullità o annullabilità) i contraenti possono comporre i loro contrapposti interessi come meglio credono concordando liberamente detto contenuto contrattuale; e proprio in ragione di tale libertà non possono poi (dopo la stipulazione) far valere l'asserita contrarietà di una o più clausole ai doveri in questione (salvo che nei casi estranei alla fattispecie - specificamente stabiliti dal legislatore). In altri termini non esiste certamente un principio generale di applicabilità dei principi di correttezza e buona fede anche nel momento genetico del negozio e con riferimento al suo contenuto. Né tantomeno esiste un principio generale secondo il quale la violazione di tali principi produce di per sè nullità od annullabilità”. Per la giurisprudenza di merito si veda Trib. Bari, 4 dicembre 2006, in giurisprudenzabarese.it 2006, secondo cui “Costituisce principio generalmente condiviso quello di non interferenza delle regole di comportamento con le regole di validità. Le regole di validità, in quanto disciplina dell'atto, prevedono oneri dal cui mancato assolvimento deriva solo l’improduttività di effetti giuridici. La violazione dei doveri di comportamento ha invece conseguenze esclusivamente sul piano risarcitorio, e non può determinare l’invalidità dell'atto. Mancando la compenetrazione "ex lege" di regola di validità e regola di comportamento, all'inottemperanza ai doveri comportamentali, e segnatamente agli obblighi informativi cui è tenuta la Banca che agisce quale intermediario finanziario, non può essere ricondotta la sanzione della nullità del contratto, o della singola operazione di acquisto. Il rimedio è quello che l’ordinamento normalmente prevede per la violazione di doveri di comportamento, e dunque innanzitutto il rimedio risarcitorio, per responsabilità precontrattuale ai sensi dell'art. 1337, con riferimento al comportamento tenuto in sede di stipulazione del contratto quadro …”
486
Concordano con la soluzione della Corte di Cassazione V. ROPPO -G.AFFERNI, Dai contratti
finanziari ai contratti in genere: punti fermi della Cassazione su nullità virtuale e responsabilità precontrattuale, in Danno e resp., 2006, 1, 31, alla quale riconoscono una funzione pedagogica. La riaffermazione del principio di non interferenza sottende il messaggio educativo, rivolto ai giudici di merito, che per addivenire ad una soluzione corretta e giusta bisogna seguire la strada tecnicamente più corretta e non quella più facile. Secondo gli autori “La pronuncia di nullità è via corta e facile, soprattutto grazie all’automatismo del meccanismo restitutorio: per il giudice è più comodo disporre che il risparmiatore recuperi esattamente la somma investita presso l’intermediario (oltre interessi), piuttosto che onerarsi di difficili calcoli sul quantum di danni e relativi risarcimenti. Farsi carico di accertare la portata di scorrettezze precontrattuali o di inadempimenti contrattuali, e liquidare i danni corrispondenti, è più faticoso: ma più appropriato alla fattispecie”. Già precedentemente alla pubblicazione di Cass. 19024/2005, V.ROPPO, La tutela del risparmiatore fra nullità e risoluzione (a proposito di Cirio bond & tango bond), in Danno e resp., 2005, 6, 628 ss., nel commentare alcune decisioni di merito che si occupavano del famoso caso della compravendita delle obbligazioni Cirio e che avevano adottato i rimedi della nullità dei contratti di investimento ha ritenuto la soluzione della responsabilità precontrattuale la più coerente con la specifica natura e funzione delle norme violate. L’A. considera, a questo proposito, gli obblighi informativi della banca, contrattuali dal punto di vista della loro fonte in quanto derivavano dal contratto-quadro intercorrente tra banca e cliente, ma precontrattuali sul piano della funzione in quanto strumentali alla conclusione del diverso contratto di acquisto di strumenti finanziari ordinati dal cliente.
487
In particolare si è sostenuto che la nullità del contratto può derivare anche dalla violazione di norme imperative che non attengano ad elementi intrinseci della fattispecie negoziale relativi alla struttura ed al contenuto del contratto, ma che pongano limiti all'autonomia delle parti sotto il profilo delle qualità soggettive di determinati contraenti e dell'esistenza di specifici presupposti488. Sono stati richiamati, a questo proposito, molteplici indici normativi in grado di dimostrare un tendenziale inserimento del comportamento contrattuale delle parti tra i requisiti di validità del contratto489.
Il contrasto fra gli opposti orientamenti è stato composto dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con le sentenze del 19 dicembre 2007, nn. 26724/26725, che hanno riaffermato la netta distinzione fra regole di comportamento e validità490.
488
La Suprema Corte, con ordinanza del 16 febbraio 2007, n. 3683 in Foro it., 2007, I, 2093 ss. ha contestato quanto affermato dalla sentenza del 29 settembre 2005, n. 19024, in Danno e resp., 2006, 1, 27 ss., la quale esclude che la violazione dei doveri di comportamento possa incidere sulla validità del contratto. Su questo punto l’ordinanza esprime un esplicito dissenso facendo leva su una serie di indici di diritto positivo che attesterebbero una tendenza normativa volta a far rientrare il comportamento contrattuale delle parti nel novero dei requisiti di validità del contratto.
489
Ordinanza del 16 febbraio 2007, n. 3683, in Foro it. 2007, 7-8, 2093 ss.: “Tuttavia una pluralità di indici pone in evidenza un tendenziale inserimento, in sede normativa, del comportamento contrattuale delle parti tra i requisiti di validità del contratto: