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B. TERAPIA ANTIVIRALE IN MEDICINA VETERINARIA

3. Virus animali come modello nello studio di farmaci antiviral

Fino ad ora lo studio degli antivirali applicato alla veterinaria è per lo più avvenuto nell’ambito di ricerche in cui gli animali erano utilizzati come modello di studio di patologie od infezioni umane. L’utilizzo degli animali avviene però in due contesti diversi. Da un lato ci sono animali impiegati ai fini sperimentali che vengono infettati con virus patogeni per l’uomo e successivamente trattati con molecole antivirali. In questo caso si cercano di mimare la patogenesi e la sintomatologia della malattia così come esse sono note nell’infezione naturale nell’uomo. Questo utilizzo degli animali come modello di studio riconosce come limite la difficoltà di riprodurre fedelmente la malattia e di non offrire alcun vantaggio nello studio di antivirali efficaci verso patogeni animali. Questo approccio viene seguito durante la sperimentazione di molecole antivirali nei primi test in vivo, per accertarne per esempio l’efficacia dopo prove eseguite in vitro, per valutare effetti tossici indesiderati e per verificare la via di

somministrazione del farmaco più appropriata. Il topo viene da tempo utilizzato come modello nello studio dell’efficacia di composti antivirali verso il vaccinia virus e il cowpox virus (Roy et al., 2003; Neyts et al., 2004). In entrambi i casi a seconda della via d’ingresso del virus cambia la patogenesi della malattia e quindi cambiano i parametri da considerare nella valutazione dell’efficacia dell’antivirale. Il topo è anche molto utilizzato nei primi test in vivo di farmaci antivirali nei confronti del virus dell’immunodeficienza dell’uomo HIV (Spitzenberger et al., 2006).

Accanto ad un utilizzo puramente sperimentale degli animali, esiste invece un approccio molto più dinamico ed interdisciplinare che offre cioè spunti interessanti per la ricerca non soltanto in medicina umana ma anche in veterinaria. In questo caso infatti, vengono utilizzati animali che sono identificati come modello in quanto soggetti ad infezioni comuni all’uomo o comunque causate da patogeni strettamente correlati a quelli noti in medicina umana. E’ il caso per esempio del virus della diarrea virale bovina (BVDV) che viene riconosciuto come modello nello studio di molecole ad efficacia antivirale nei confronti del virus dell’epatite C (HCV) (Tabarrini et al., 2006). Il BVDV e il HCV sono entrambi pestivirus e sono strettamente correlati da un punto di vista genetico, inoltre condividono molti aspetti di biologia molecolare alla base della replicazione virale. Essi condividono quindi proteine strutturali e ad attività enzimatica che vengono identificati come possibili target di agenti antivirali. Un altro fattore che giustifica l’uso del BVDV in studi di efficacia in vitro, deriva dalla maggiore maneggevolezza in coltura di ceppi citopatogeni rispetto al HCV.

Nell’ambito delle ricerche sui papillomavirus dell’uomo (HPVs) un’importanza elevata è stata svolta dalle conoscenze acquisite nei confronti dei papillomavirus animali sul tema della patogenesi, del ruolo della risposta immunitaria dell’ospite e dei fattori ambientali nello sviluppo dei tumori. In particolare, il coniglio, il bovino e il cane e i rispettivi papillomavirus sono stati assunti da anni come modello di studio dello sviluppo dei papillomi (Campo, 2002). In particolare, il papillomavirus del coniglio (CRPV) e il suo ospite recettivo rappresentano anche un modello da utilizzare nello studio di efficacia di molecole antivirali (Christensen, 2005). Questo modello animale è già stato utilizzato per esempio durante sperimentazioni in vivo di nucleosidi aciclici fosfonati (tra cui anche il Cidofovir) (Christensen et al., 2000). In queste prove, i composti sono stati somministrati per via topica in crema o introdotti all’interno della

lesione papillomatosa, e il Cidofovir inclusi altri nucleosidi hanno dimostrato una notevole attività, andando a ridurre le dimensioni e la crescita della lesione. Il modello CPRV/coniglio rappresenta un sistema molto versatile nel saggio pre-clinico di molecole antivirali, ma anche nell’approfondimento delle conoscenze in merito all’interazione virus-ospite. Molte delle molecole testate nei confronti del CPRV, si sono poi dimostrate attive anche nei confronti dei HPVs (Christensen, 2005).

Il virus dell’immunodeficienza felina (FIV) provoca nei gatti una sindrome molto simile a quella nota nell’uomo e causata dal virus dell’immunodeficienza umana (HIV), ed è per questi aspetti comuni che da tempo il FIV e il gatto sono stati assunti come modello nello studio della patogenesi, dello sviluppo di vaccini o di farmaci antivirali (Burkhard e Dean, 2003). In bibliografia sono presenti diversi esempi circa l’utilizzo del FIV per test antivirali in vitro (D’Ursi et al., 2006) o in vivo (Uckun et al., 2003). Ad esempio, studi recenti sono stati condotti per testare in vitro molecole come gli inibitori della fusione del virus alla cellula ospite: i risultati ottenuti sono stati promettenti e sottolineano l’importanza della ricerca di molecole anti-retrovirali aventi nuovi target nel ciclo replicativo virale (D’Ursi et al., 2006). Le prove in vivo condotte su gatti infettati sperimentalmente con il virus FIV, hanno lo scopo di confermare l’attività di molecole antivirali con efficacia nota in vitro o in altri modelli animali come il topo infettati con il virus HIV; nel caso del modello FIV/gatto, il vantaggio è utilizzare un sistema in cui poter valutare l’andamento dell’infezione tra il virus e il proprio ospite naturale (Uckun et al., 2003).

Studi di efficacia in vitro di molecole antivirali sono stati anche condotti nei confronti del coronavirus felino, l’agente eziologico della peritonite infettiva felina. Recentemente maggiore interesse è stato rivolto a questo virus in seguito alla comparsa e alla conseguente emergenza sanitaria della SARS causata da un coronavirus umano. Studi comparati di efficacia in vitro di molecole ad attività antivirale sono stati eseguiti utilizzando il virus della FIP e quello della SARS (Balzarini et al., 2006).

C. POXVIRUS