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5. Gruppi d’Acquisto Solidale: alcune visioni possibili

5.3 La visione dei produttori

La posizione dei produttori nei confronti dei GAS si può porre tra due estremi: da una parte si possono collocare i soggetti che aderiscono in modo netto al sistema valoriale condiviso dai gruppi, dall’altra chi considera i gruppi come un’opportunità commerciale, al pari di altre possibilità, conveniente dal punto di vista economico e soddisfacente per la relazione con i consumatori e per l’apprezzamento conquistato dai prodotti proposti.

Generalmente, i produttori si mantengono in una posizione di

equilibrio tra questi estremi, riconoscendo la validità

dell’opportunità commerciale e apprezzando, al contempo, il percorso di riflessione intrapreso dai gruppi.

Raccogliendo il punto di vista dei produttori, quelli che vedono i GAS come una nuova nicchia di mercato in espansione non riferiscono particolari osservazioni a carico dei consumatori, che assicurano un rapporto di lunga durata, con volumi di acquisto abbastanza costanti e, in alcuni casi, con la possibilità di ottenere un prefinanziamento.

Al contrario, quei soggetti che vedono nella relazione con il GAS una modalità di consumo che esprime un sistema di principi e di valori, rilevano elementi di criticità, alcuni dei quali molto evidenti.

Chi fa parte dei GAS deve avere un contatto molto diretto con l’azienda, capire le scelte dell’azienda e mettersi nei panni. Questo succede, ma la discussione o la contraddizione può succedere, se però ci si chiedono i motivi (perché è successa questa cosa, andiamo a vedere l’azienda, le difficoltà, la rete di produttori che si vuole costruire) . Ci sono varie cose che un GAS deve fare, se vuole essere solidale: deve vivere a stretto contatto con l’azienda, visitarla, esserci dentro. Non si può dire se l’azienda lavora bene o male, solo guardando la busta, in base a quello che c’è dentro. Si può dire come sta lavorando l’azienda se la vivi, altrimenti rischiano di presentarsi incomprensioni. Posso fare degli esempi validi per una persona, tipo che l’insalata è sciupata, o che non è lavata bene, o che c’è una chiocciola, o che la busta era leggera. Una volta un consumatore mi ha telefonato dicendo “per 7€ mi hai mandato 1,5kg di roba. Se ti sembra questo il modo di lavorare?!”. Ho detto che sicuramente era stato fatto un errore, ma il modo di comunicare, se la persona è veramente solidale, mi chiama e mi espone il problema. Dopo gli ho mandato 2 buste enormi…forse c’è rimasto quasi peggio!

Dipende anche da noi aziende che non riusciamo bene a comunicare, questo sicuramente, però ci deve essere la volontà di tutti. (dall’intervista al produttore Pi1)

L’aspetto più importante riguarda il reale livello di

coinvolgimento dei consumatori nella vita dell’azienda.

Nonostante siano rari gli atteggiamenti descritti dal produttore Pi1, in cui si palesa un atteggiamento di diffidenza, assolutamente contrario allo spirito che muove il GAS, da alcuni produttori è stato lamentato lo scarso interesse alla reale conoscenza diretta, attraverso le visite in azienda, quindi attraverso lo spostamento fisico delle persone dalla città verso l’ambiente rurale, che consentirebbe una maggiore comprensione delle difficoltà incontrate nella produzione.

Questo atteggiamento è sottolineato anche dal produttore Li1, che evidenzia, nella sua esperienza, anche l’eccessiva attenzione al prezzo e la scarsa volontà nel costruire rapporti di familiarità.

Ci sono clienti che fanno parte di qualche GAS e proprio quelli sono da prendere con le pinze, è la cosa più antipatica perché prima di tutto c’è un responsabile che si prende la briga di

contattarti e questo si sente responsabile, inoltre poi in linea di massima sono dei GA e non dei GAS, si dimenticano la “S” infatti la prima cosa che ti dicono è “…così la pago di meno...” ma non sempre la paghi di meno …. ad esempio loro dicono la pasta la devo pagare meno che alla grande distribuzione, ma quello che ti fa una pasta con un sistema artigianale non ti può mettere un prezzo inferiore al pacchetto… non puoi pretendere di pagarlo meno … Noi abbiamo un’incidenza di costi maggiori, loro partono dal concetto di dover spendere meno.

Siamo riusciti a trascinare qui, invitandoli a pranzo, il gruppo di clienti, dove c’era un GAS che però adesso si è sciolto. Li abbiamo invitati più volte a visitare l’azienda, ma per far venire solo una parte, perché non tutti sono venuti nonostante li avessimo invitati a pranzo e avessi insistito “…guardate paghiamo noi!!..”; ci aspettavamo di essere invasi da tutte le famiglie ed invece non è stato così sono venuti solo una piccola parte. Questa cosa comunque ci dà l’idea di un certo distacco; è vero che abbiamo comunque un rapporto sicuramente migliore rispetto ad altre forme di vendita … ma è difficile che vengano qui e cerchino di avere un contatto con la nostra azienda. Noi abbiamo dovuto fare un pranzo per portare qui solo alcuni dei nostri clienti. Anche i GAS ti parlano di riunioni “organizziamo e veniamo a vedere ….” ma non si vede nessuno.

Con alcuni abbiamo rapporti di amicizia,ma con la maggior parte no “…buongiorno, buonasera, grazie, alla prossima settimana…” e basta lì.

Inoltre alcuni non hanno sufficiente tolleranza su alcune verdure che magari non sono esteriormente fatte bene .. Diciamo che non c’è ancora una mentalità sufficientemente aperta a queste cose, preferiscono ancora le forme uniformi, belline, senza l’insettino … io mi preoccuperei se non ci fosse l’insettino nella roba bio! (dall’intervista al produttore Li1)

Entrambi i produttori fanno, inoltre, riferimento alla percezione della qualità e agli standard richiesti da parte dei consumatori. Nonostante i GAS, come altre forme di prossimità scelti per la commercializzazione, rendano i produttori soddisfatti della valorizzazione dei propri prodotti, alcuni consumatori si dimostrano ancora poco preparati e troppo condizionati dalle caratteristiche imposte dalla grande distribuzione, in termini di estetica del prodotto e di standardizzazione delle dimensioni. Il percorso che può portare verso il cambiamento di questo approccio richiede tempo e interesse da parte dei consumatori, ma anche dei produttori, che devono farsi carico della

trasmissione di conoscenze reali, di informazioni circostanziate, rompendo gli schemi che chiudono il mondo rurale in un contesto romantico, perché possa rispondere ad un immaginario precostituito e difficile da intaccare.

Una cosa che i GAS capiscono poco e le associazioni ancora meno è che il consumatore da solo non ha gli strumenti per capire quello che compra, non ce li può avere perché dovrebbe averci una conoscenza tale che è già tanto se ce l’ha un produttore per il prodotto che lui fa… Come l’altro giorno una m’ha fatto: l’ho guardato negli occhi e ho capito che mi potevo fidare. Cioè questa era una che vendeva non solo prodotti suoi, ma anche di un altro, che le è bastato guardarlo negli occhi per fidarsi…non ci credo! Non funziona così:

l’agricoltura biologica richiede delle cose precise, il

consumatore medio non lo riconosce…c’è questo mondo che va verso una specializzazione bestiale…bisogna che il GAS si appoggi ad un’associazione che raccoglie i produttori e che gli può dare informazioni non solo tecniche…

Il rapporto tra l’agricoltore e l’utenza, cioè il cittadino, perché il bacino d’utenza dei produttori è sempre la città, è un rapporto che c’ha una storia, dove la persona che vive in città che ha un’idea di quello che è buono che è diversa da quella che in realtà avviene in campagna, cioè la mela che per te è buona e bella, io me la vado a scegliere un po’ meno bella però sono sicura che è più saporita…siccome in agricoltura il contadino deve per forza vendere al cittadino e deve cercare di andare incontro a quello che il cittadino gli chiede…il cittadino ha la presunzione di sapere che uno, il contadino lo vuole sicuramente fregare in qualche modo, per cui lui deve fare di tutto per non essere fregato, secondo, ha voglia di trovarsi davanti un personaggio che in qualche modo soddisfa il suo immaginario. Per cui gli agricoltori per necessità si sono dovuti adattare…e quell’approccio se fa contenti i consumatori fa contenti tutti, ma è un approccio non corretto.

Io penso che la chiarezza sia la cosa fondamentale. Una cosa che si impara subito sia quando compri che quando vendi è che te non vendi mai un articolo, ma l’immagine e l’articolo, quello che si porta via è il souvenir dell’immagine che si è fatto. E l’agricoltura attualmente funziona così.

L’utente si fa questa immagine e allora il prodotto ritorna ad essere il souvenir dell’immaginario che ti porti a casa… l’agricoltura è un insieme di valori, di storia, da cui bene o male si proviene tutti…non è uno scherzo. E se si vuole che l’agricoltura recuperi credibilità, importanza, spessore, non si può fare con i parametri vecchi, ma in base ad una qualità

nuova, all’immagine nuova di un operatore agricolo..non dico che debba essere più tecnologico, ma più autentico. (dall’intervista al produttore Pi4)

In relazione a questi aspetti, emerge quale sia l’importanza della relazione autentica per la costruzione di un rapporto durevole e autentico, basato su reciproche attenzioni. Da una parte, il produttore che comprende le difficoltà del consumatore e cerca di trasmettere gli strumenti necessari per iniziare a cambiare la percezione della realtà, educandolo ad un consumo che sia davvero consapevole. Dall’altra, il consumatore che, attraverso la fiducia concessa ai produttori, la condivisione delle

responsabilità e l’acquisizione della consapevolezza di

condividere un progetto che coinvolge più attori, può indurre i produttori a cambiare il proprio approccio al mercato.