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Come si è veduto, non mancavano a Genova m anifestazioni anche notevoli di spiritualità svincolate, in vario m odo, dalle parrocchie. T u t­

tavia il canale normale, più facile e, secondo i responsabili ecclesiali, di gran lunga preferibile per lo sviluppo religioso era, in d u b b iam en te, quel­

lo parrocchiale. Il pontificato di Pio X I era anzi caratterizzato proprio dalla direttiva di m ettere in valore l ’istituto parrocchiale com e fulcro della partecipazione del laicato alla vita ecclesiale1. N o n o sta n te le p ro ­ fonde trasformazioni avvenute nella tram a politico-sociale, si pensava ge­

neralm ente che questa antica cellula di vita com unitaria fosse ancora la più adatta a rispondere alle esigenze delle popolazioni m o derne. I n m o­

do particolare sembrava che la comunità parrocchiale rispondesse egual­

m ente bene sia alle domande dell’ambiente cittadino e m etro p o litan o , sia a quelle del piccolo centro o del villaggio di campagna p u rch é, con in­

cessante lavoro di ricerca, si adottassero i necessari aggiustam enti.

L ’impostazione generale del pontificato di Pio X I, tesa alla valoriz­

zazione della parrocchia, era condivisa dall’arcivescovo M in o re tti con una adesione che andava ben al di là del suo dovere d ’ufficio. N o n bisogna dim enticare che egli stesso, in precedenza, era stato u n o dei più ener­

gici sostenitori della parrocchia, sia come parroco di Seregno, sia come vescovo di C rem a2. In queste sue esperienze, egli aveva concepito e

1 Sono le idee espresse, in quel tomo di tempo, anche da P . M azzolari, Diario (1925 -1 9 2 6 ) e Lettere a V. Fabrizi De Biane 1974, e poi sistem ate in P . M azzolari, La parrocchia, Vicenza 1977.

2 Cfr. appunto tratto dall’archivio della diocesi di G enova, relativ o al « corso

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m atu ra to il concetto della parrocchia come centro vivo e autosufficiente di v ita n o n so ltan to religiosa, ma anche sociale. Essa doveva andare ol­

tre al tem p io e al servizio sacro, per com prendere anche quelle istitu ­ zioni eg u alm en te necessarie a favorire l ’aggregazione dei fedeli: ricreatori, o ra to ri, te a tri, laboratori, campi sportivi, attrezzature per giochi, e scuole, o ltre che di catechism o e di cultura religiosa, anche di addestram ento pro fessionale e di aggiornam ento culturale in un diuturno contatto con la c u ltu ra laica. Al suo arrivo a Genova, mons. M inoretti si accorse che esisteva u n grande vuoto da colmare ed im partì subito le necessarie di­

re ttiv e. E gli in fa tti non mancò di notare, con disappunto, che la realtà p arrocchiale era di solito costituita dal solo tem pio (spesso anche sprov­

visto di casa ca n o n ic a ). C onvinto che fosse necessario un intervento in p ro fo n d ità , il nuovo arcivescovo si preoccupò di spostare circoscrizioni parrocchiali, di togliere titoli laddove, come nel centro storico, fossero so v ra b b o n d an ti, per trasferirli, con nuove costruzioni, laddove, come in p eriferia, fossero insufficienti.

D u ra n te il suo episcopato, il territorio urbano e suburbano della diocesi divenne un vero cantiere in costruzione. M ons. M i­

n o re tti n o n si accontentò che fossero colmate le lacune più gra­

vi. V olle anche che il progetto di costruzione di ogni nuova chiesa com­

pren d esse sem p re aree, coperte o scoperte, per le cosiddette « opere par­

rocchiali ». M irò inoltre, facendo valere in m odo particolare l ’esperienza che aveva m a tu ra to in Lom bardia, che ogni complesso parrocchiale fosse d o ta to di re la tiv a au tosufficienza3. M inori risultati ottenne però il suo te n ta tiv o di trasform are le stru ttu re in com unità viventi di culto, date le

apologetico », te n u to a Seregno n el 1910; e l ’appunto « I n sacra pastorali visita­

tio n e » r e d a tto d a M in o retti, vescovo di Crema, nel 1918, sem pre tra tto dallo stes­

so arch iv io diocesano genovese.

3 C fr. le tte r a pastorale del 14 o tto b re 1925, in R D G , X V (1925), pp. 153 - 161; le p a ro le riv o lte d all’arcivescovo n e ll’adunanza dei parroci del 16 novem bre 1926, ib id e m ( X V I ) , pp. 2 0 9 -2 3 9 ; A i parroci e ai sacerdoti, ibidem (X V I I, 1927), p p . 5 7 - 6 3 ; om elia collegiale dei vescovi della Liguria, ibidem (X V III, 1928), p p . 2 5 8 - 2 6 7 ; le tte r a pastorale p er la quaresim a del 1928, ibidem , pp. 1 1 -2 2 ; ai p arro ci d ella diocesi riu n iti il 1° o tto b re 1931, in A D G A M ; I l beato A n to n io G ia n elli, d isco rso te n u to a Bobbio il 13 maggio 1934; ibidem-, discorso tenuto a L oano in occasione del terzo centenario della fondazione della chiesa parrocchiale, ibidem .

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resistenze delle tradizioni genovesi che sem bravano, al m om ento, insu­

perabili 4.

S oprattutto, intendeva « parrocchializzare » il suo clero. N o n era im­

presa facile, in una città e in una diocesi ricche di ordini religiosi di ogni genere, tenacem ente attaccati alle loro tradizioni, ai lo ro privilegi e alle loro eccezionis. Al M inoretti dispiaceva che a questo num eroso clero non parrocchiale poco premesse, anche a m otivo di vischiosi interessi , la cura spirituale dei la ic a to 7. L ’arcivescovo intendeva invece che le per­

sone consacrate, appartenenti al clero secolare come a q uello regolare o alle num erose famiglie di religiosi e di religiose, non perd essero di vi­

sta la loro funzione prim aria, quella del servizio alle diverse categorie del laicato, dovunque esso agisse, vivesse o si p resentasse, m a soprat­

tu tto nella sua sede naturale, quella parrocchiale8.

P ertan to , fin dal primo m omento del suo arrivo a G en o v a, appro­

vò e incoraggiò l ’iniziativa dei gruppi, delle congregazioni e degli ordini religiosi che anteponevano l ’interesse delle anime alla v ita contem plativa.

Particolare favore incontrò presso di lui l ’arrivo a G e n o v a di u n grup­

po di religiose che avevano come scopo precipuo e caratterizzan te il ser­

4 Cfr. l ’omelia collettiva dei vescovi della Liguria del 1928, cit.; discorso te n u to in occasione del terzo centenario della parrocchia di L oano, cit.

5 M inoretti, scrivendo alla Santa Sede il 19 marzo 1932, no tav a che « in G e nova vivono ventisei ordini religiosi con sessantatré case e con q u a tto rd ic i par rocchie affidate a religiosi » e che questi religiosi « da più di u n an n o h an n o ere du to bene di riunirsi in una specie di sindacato per difendere i p ro p ri d iritti ».

(cfr. A D G A M ).

6 N ell’appunto citato, il cardinale si lam entava dei fenom eni « di schietta in­

disciplina e di grettezza « m ostrati da codesti religiosi, n o n o stan te che le m igliori e più ricche parrocchie sono quelle dei religiosi », con im barazzo del p o polo, che si vedeva im porre « tasse esagerate » e del clero secolare (ib id em ).

7 Cfr. lettera del card. M inoretti alla Santa Sede del 16 o tto b re 1930 sul­

l ’opposizione dei padri domenicani alla costruzione di una nuova parrocchia a Cor- nigliano, la quale avrebbe leso « i loro interessi » (ibidem ).

8 Cfr. lettera dell’arcivescovo al card. D onato S barretti, p re fe tto della Sacra congregazione del concilio, del 26 gennaio 1928 (ibidem ), dove si deplorava il fat­

to che « i religiosi, in numero davvero imponente, non si p re sta n o al servizio do­

menicale » e si proponeva « una specie di mobilitazione festiva d ei sacerdoti », ri­

chiesta « al m inistero sacerdotale del bene del popolo ».

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vizio nei co n fro n ti del laicato e la promozione della vita parrocchiale.

M in o re tti n o n solo prom osse con ogni agevolazione l ’im pianto a G enova di q u esto gru p p o , che aveva il titolo significativo di “M issionarie del p o p o lo ” , m a procurò anche che fosse conosciuto dagli am bienti ecclesia­

stici e dal grosso pubblico attraverso la pubblicazione di una rivista, m u­

n ita della p ro p ria approvazione e presentazione9. Secondo quanto dice­

vano di sé, le "M issionarie del popolo” erano « volontarie al servizio di D io e delle anim e; senza assumere speciale divisa si raccolgono a vita com une e si stabiliscono in centri parrocchiali o interparrocchiali per a rriv are a q u elle form e di bene e di apostolato che localm ente si rendo­

n o più u rg e n ti ». In tale funzione, e in tale spirito, si offrivano « a col­

lab o rare a tu tte le iniziative preesistenti dell’Azione cattolica; a prestare la lo ro collaborazione ai parroci per il catechismo, canto sacro, ricreatori, scuole p arrocchiali, ecc., ad aiutare m alati e sofferenti, a com piere le opere di m isericordia più urgenti nelle località in cui hanno le loro sedi »10.

Q u e sto gruppo, anche per assicurare una maggiore agilità ed effi­

cacia di azione, aveva rinunciato all’im pianto di gerarchie e aveva rid o t­

to al m in im o le necessità di organizzazione, che faceva capo alla “ Pia società delle M issionarie del p opolo ”, il cui regolam ento non poteva es­

sere p iù sem plice e schem atico 11. Esso indicava sem plicem ente che « la

“ Società delle M issionarie del p opolo” è u n ’accolta di pie persone le qua­

li, lib ere da im pegni di famiglia, si dedicano alla santificazione propria e a ll’ideale d e ll’apostolato cristiano », applicandosi « alle più svariate ini­

ziative religiose e sociali con spiccato carattere di parrocchialità, stabi­

lendo le lo ro sedi in centri parrocchiali o interparrocchiali ». L ’impegno di q u este d o n n e , per quanto privilegiasse la parrocchia, non poteva e non doveva esau rirsi nella collaborazione a questo istitu to considerato come fin e a se stesso , ma doveva rivolgersi al laicato « sorpreso » nel suo luo­

go di v ita e di attività. P ertan to non era l ’istituto oggetto della loro at­

tenzion e, m a l ’uom o, il laico d ell’età contem poranea. In fa tti, lo schema di re g o la m en to proposto dalle missionarie del popolo si preoccupava di

9 C fr. P resentazione, FC, 15 maggio 1927.

10 C fr. C h i sono le M issionarie del popolo, FC, 1° giugno 1927.

11 C fr. S ch em a d i regolamento della Pia società delle missionarie del popolo, F C , agosto 1927.

sottolineare che, « oltre all’attività che svolgono nelle lo ro sedi e secon­

do le loro particolari attitu dini, possono entrare come im p ieg ate ed ope­

raie negli uffici e nei laboratori, nelle case e nelle scuole com e istitutrici e m aestre, nelle cliniche, operaie e case private com e in ferm iere ecce­

tera ». Esse si preoccupavano anche di far presente che la lo ro c a n ta « vie­

ne praticata senza riguardo al ceto, al partito, alla religione di coloro di cui si vuole il bene »: pur non venendo mai meno « n el suo spirito, nel suo program m a, nella sua applicazione » alla « più asso lu ta dipendenza dalla Santa Chiesa cattolica e dalla sua gerarchia ». L ’a ttiv ità esteriore non poteva prescindere dall’adesione allo spirito cristiano: m a il loro mo­

dello spirituale doveva rispondere alla vocazione specificam ente sociale del loro apostolato: pertanto « la pietà delle m issionarie sarà em inente­

m ente liturgica: esse si immedesimeranno dello spirito della Chiesa ed escluderanno le forme di religione egoistica e personale che sono il tos­

sico della vera pietà ». Le fonti di questa spiritualità sociale erano co­

stituite dalla « lettura del Vangelo, dalla soda cultura religiosa, dall esem­

pio dei santi ». La loro devozione era rivolta « in m odo particolarissim o al Cuore adorabile di Gesù » e ai protettori « la V ergine santissim a e S. G iuseppe », ai quali, almeno per la casa di G enova, si deve aggiun­

gere Santa Teresa n .

Le socie dovevano avere la qualificazione necessaria p e r 1 esplicazio­

ne del loro apostolato: di conseguenza, dovevano « possedere qualche di­

ploma o titolo di studio, oppure comprovare la loro ido n eità a qualcuna delle mansioni inerenti alla vita casalinga ». P ur non essendo legate ad alcun vincolo religioso di natura giuridica, e pur conservando form al­

m ente il loro status laicale, le socie dovevano osservare le regole della vita comune. Il punto più qualificante dell’organizzazione era però la mancanza di « distinzione di gradi e di categorie », allo scopo di o tte ­ nere il massimo di rendim ento e di responsabilità u . A ltro p u n to quali­

ficante del programma era l’affermazione della « com pleta autonom ia » di ogni casa rispetto alle altre. Essa era appena scalfita d a ll’esistenza di

12 Cfr. Per una cappella a Santa Teresa del Bambin G esù, FC , settem b re 1927;

padre P etelot, Santa Teresa del Bambin Gesù. La gioia della sofferenza, FC , 15 o t­

tobre 1928. In o ltre, la casa madre di Genova delle Missionarie del p o polo era in­

tito lata proprio a Santa Teresa M artin.

13 Cfr. Schema di regolamento cit.

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« una direzione centrale da cui dipenderanno tu tte le singole case per ciò che si riferisce al program m a di azione » e da cui em aneranno gli altri organi centrali d ell’organizzazione, la presidente generale, il consi­

glio e l ’assem blea generale. P iù che il rapporto verticale, alle « socie » interessava invece il rapporto orizzontale o locale: p ertanto le m issiona­

rie si dichiaravano soggette, in prim o luogo, all’« ordinario locale ». Le sedi sociali erano particolarm ente attrezzate di tu tto ciò che fosse di vantaggio al laicato, specialmente giovanile: in esse vi erano in fatti

« scuole di m odisteria, di taglio e confezione (da uom o e da d o n n a ), corsi com pleti di preparazione al diploma, corsi di lingua, ricamo, p it­

tu ra , d attilo g rafia » e vi si im partivano « ripetizioni in tu tte le m ate­

rie ». Le m issionarie del popolo « ospitavano signore e signorine, stu­

d entesse, im piegate » e « le bam bine di Santa Teresa, orfane e bisogno­

se ». A G en o v a, le missionarie del popolo fondarono due case con re­

lativa colonia balneare 14.

Se la sp iritu alità delle missionarie del popolo procedeva sui binari della trad iz io n e tridentina (lo conferm avano in fatti la devozione spe­

ciale al Sacro Cuore e il riferim ento al messaggio di Santa M aria M ar­

g h erita A lacocque) 1S, il loro apostolato era però di avanguardia, almeno in Ita lia , e rappresentava un tentativo di decisa ro ttu ra con l ’interp re­

tazione statica della tradizione degli ordini e delle congregazioni religio­

se. N el lo ro d iu tu rn o contatto con il laicato, e specialmente con le classi p o p o lari e con la piccola borghesia, m ostrarono di condividerne le esi­

genze m ateria li e spirituali. Il culto di Santa Teresa del Bambino Gesù era in d u b b iam en te un m odo di avvicinarsi alla spiritualità dei semplici e degli um ili, come anche di penetrare nel loro spirito. In questo con­

te sto , speciale cura veniva dedicata alla spiritualità della famiglia: e ai suoi p ro b lem i più specifici, quali la fecondità 16 e la miseria ,7. Eviden­

te era il te n ta tiv o di proporre un nuovo tipo di santo m oderno, la cui v ita p otesse essere proposta come esempio alle nuove generazioni, co­

14 C fr. Casa d i Santa Teresa del Bam bin G esù. Colonia balneare, FC, 15 m aggio 1928.

15 C fr. Schem a d i regolamento cit.; Perché non andare tu tti i giorni alla san­

ta m e ssa ì, F C , maggio 1928.

16 C fr. C ase senza bim bi, FC, aprile 1929.

17 C fr. J . C attaneo, La miseria, FC, agosto 1928.

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me quella del santo medico napoletano G iuseppe M oscati E d eviden­

te era anche il tentativo di fondare le stru ttu re di u n a c u ltu ra popolare alternativa a quella laicizzante corrente, con im pegno partico larm en te at­

tento di com porre « pièces », poesie, « accademie », te sti filodram m ati­

ci e così via.

N on sappiamo fino a qual punto il tentativo d elle m issionarie del popolo trovasse rispondenza nell’ambiente diocesano e specialm ente nel­

l ’im plicito interlocutore, il clero parrocchiale: nella riv ista e nella stam­

pa parrocchiale non abbiamo cioè indicazioni sull’utilizzazione concreta della disponibilità di questo gruppo informale di religiose d ed ite al ser­

vizio del laicato e in particolar modo della stru ttu ra parrocchiale. Non sappiamo neppure se la mancanza di qualsiasi concreta indicazione di­

penda dalla carenza di utilizzazione oppure dal desiderio delle missiona­

rie di non pubblicizzare la loro attività. Resta il fa tto che a Genova operarono, con il consenso dell’arcivescovo e in s tre tta com unanza di scopi con i sacerdoti aventi cura d ’anime, donne p artico larm en te adde­

strate all’apostolato laicale 19.

N el tentativo di valorizzare la vita parrocchiale, i responsabili de­

nunciavano in primo luogo un fenomeno che, in alcune località cittadi­

ne o di periferia operaia, sembrava assumere dim ensioni macroscopiche:

la diserzione dalla propria parrocchia20, che aveva come sbocco o la fre­

quenza di altri templi per qualche motivo più g r a d iti21 o, più spesso, l ’abbandono dell’ordinaria pratica religiosa 22. L ’appello allo spirito di cor­

po non era però che il primo passo per la valorizzazione e la restaura­

18 C fr. I santi moderni: dott. Giuseppe Moscati, FC, o tto b re 1931. Sul M o­

scati si veda la voce di F. Barra in Dizionario storico del m ovim ento cattolico in Italia cit., I I I / 2 , Le figure rappresentative, pp. 580-581.

19 Cfr. Una missionaria, La parrocchia, FC, ottobre 1929.

20 Cfr. I n casa nostra, AF, agosto 1934; MN, luglio 1933; Rio Palm a (P.

M arazzi), D opo una bella f u n z i o n e ..., VA, febbraio 1938; S i fr e q u e n ti la parroc­

chia, SMRS novem bre 1935; Il parroco, La parrocchia, SL, o tto b re 1936; Am iam o la nostra parrocchia, ER, aprile 1932; Ritorniamo alla parrocchia, C D , settem bre 1936; A i margini della parrocchia, VDM, giugno e luglio 1934; L e freq u en ze in parrocchia, V D M , aprile 1937.

21 Cfr. A i margini della parrocchia, VDM, giugno e luglio 1934.

22 Cfr. Rio Palma, Dopo una bella fu n zio n e . . . , VA, febbraio 1938.

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zione della v ita parrocchiale 23 : in genere si cercava di ottenere m ete più am biziose e sostanziose che non la pura frequenza m ateriale della chie­

sa parrocchiale o l ’abbellim ento del tempio 24. P er sensibilizzare 1 opinio­

ne p u b b lica sul valore della vita parrocchiale, m olti parroci prom ossero in te rv e n ti prom ozionali quali settim ane della parrocchia o altre iniziati­

ve a n a lo g h e 25. L ’arcivescovo però, sulla scorta delle sue esperienze lom ­ bard e, n u triv a m olta fiducia nei bollettini parrocchiali come strum enti di com unicazione del parroco con i suoi fedeli e come tram ite di circo­

lazione della vita della parrocchia. P er m ostrare anche tangibilm ente il suo g ra d im e n to per tali form e di pubblicistica religiosa, e per indicare il suo p en siero sui criteri che dovevano presiedere alla stesura dei bol­

le ttin i, n o n m ancava di m unire i prim i num eri editi da una parrocchia o da u n a chiesa di una sua presentazione e di un suo augurio 26.

N el 1931, quando il movim ento dei bollettini parrocchiali si era su ffic ie n tem en te radicato anche nella diocesi di Genova, egli si servì di q u esti fogli p e r m anifestare i propri intendim enti, sottolineando soprat­

tu tto ciò che gli stava più a cuore, il legame tra questi nuovi strum enti

23 C fr. La parrocchia, BSS, novem bre 1938; FF, La m ia parrocchia, M GS o tto b re 1928; C h i è il parroco, M G S, dicem bre 1932; Il parroco, I nostri im pegni con la parrocchia, M SG , giugno 1934; Il parroco, Le tappe della nostra ascensione, M G S , n o v e m b re 1934; Il parrocchiano esemplare, SB, dicem bre 1933; N el mio decennio d i parrocchia, V D F, novem bre 1933; A uguri del parroco, M M , dicem­

b re 1935; Q u a n d o si com prende, SL, gennaio - febbraio 1937.

24 In n u m e re v o li erano gli interventi e gli appelli dei parroci, in genere co­

ro n a ti d a am p ia corrispondenza della popolazione, per dotare la chiesa di suppel­

le ttili sacre, a rre d i, cam pane, orologi, altari, immagini e così via: si può dire che no n vi sia n u m e ro di bollettino parrocchiale che non contenga iniziative o offerte del g enere.

25 C fr. S ettim a n a della parrocchia e consacrazione al Sacro Cuore, A F, luglio - agosto 1937; L a giornata sacerdotale e parrocchiale, VA, dicem bre 1928.

26 U n o d e i prim i docum enti ufficiali em anati da M inoretti prim a ancora di p re n d e re p o ssesso della nuova diocesi conteneva la raccom andazione di pubblicare e leggere i b o lle ttin i parrocchiali come indispensabili « sussidi all’azione pastorale » (cfr. R D G , X V , 1925, pp. 1 2 - 1 4 e 60 - 6 2 ). Cfr., per il nostro argom ento, La parola d e ll’arcivescovo in favore del bollettino parrocchiale, SL, febbraio 1935; L ’ar­

civescovo b en e d ic e il bollettino parrocchiale, V D F, gennaio 1926; Ib id e m , M G S, gen­

naio 1927; L a parola del cardinale per i nostri bollettini, V D M , febbraio 1931;

L ’arcivescovo e i bollettini parrocchiali, ESQ , marzo 1927.

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di comunicazione e la restaurazione della vita parrocchiale: « così fosse il bollettino parrocchiale l ’amico di tu tte le famiglie cristiane, e quasi fam iliare campana parrocchiale, che indica a tu tti la voce del pastore, sicché la parrocchia sia, o meglio torni ad essere, la g ran de fam iglia che si raccoglie intorno all’altare e al pulpito ». P er l ’arcivescovo, il bollet­

tino parrocchiale, rispondendo alle esigenze della vita sp iritu ale del cri­

stiano, alla vita sociale e alla circolazione della vita ecclesiale, doveva

stiano, alla vita sociale e alla circolazione della vita ecclesiale, doveva

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