• Non ci sono risultati.

La vita di un tempo: la scuola

La scuola era molto diversa da quella di oggi. A scuola si andava sempre a piedi; anche quelli che abitavano lontano si facevano chilo-metri per raggiungerla.

Le classi scolastiche erano cinque, ma erano pochi i bambini che potevano permettersi di terminare la scuola elementare o continuare gli studi, poiché la maggior parte doveva andare a lavorare dopo la terza elementare per aiutare economicamente la famiglia.

La maestra disponeva gli alunni tra le file dei banchi in base alla loro bravura: nelle prime file c’erano gli scolari più bravi e nelle ultime quelli meno bravi; gli ultimi banchi venivano chiamati quelli degli asini. C’era una sola maestra che insegnava tutte le materie.

La ginnastica era mirata soprattutto a far imparare la marcia fascista, compreso l’attenti, il saluto e il riposo, veniva praticata nel cortile della scuola o in piazza.

C’era un libro per tutte le materie. La maestra non dava mai molti compiti, ma tante poesie da studiare a memoria.

Si scriveva con un pennino bagnato di inchiostro nel calamaio e ci si posava sopra al foglio della carta assorbente per asciugare e non fare pasticci.

Nelle scuole di una volta la disciplina era molto importante: infatti, se sporcavano in terra dovevano pulire e, prima di poter parlare, bisognava alzare la mano e aspettare il consenso della maestra.

Gli insegnanti erano molto severi: chi non studiava o si compor-tava male, veniva punito con una bacchettata sulle mani o doveva inginocchiarsi sui sassolini, o andare in punizione dietro la lavagna, o addirittura, girare per tutte le classi con un cartello sulla schiena con scritto “asino” e indossando delle orecchie da asino. I bambini non andavano a raccontarlo ai genitori, perché loro davano sempre ragione ai maestri e non come oggi che i genitori si lamentano se i figli ricevono una nota sul diario ...

A quei tempi, gli insegnanti bocciavano facilmente e se, alla fine dell’anno scolastico, un alunno aveva nella pagella uno o due voti minori del sei, veniva rimandato e doveva sostenere un esame per poter passare alla classe successiva.

Una volta non c’erano i soldi per comprare tutti i libri e i quaderni che servivano, ma c’era il Patronato Scolastico che dava i libri in prestito ai bambini che appartenevano a famiglie con reddito basso.

Alcune maestre regalavano i quaderni ai bambini. Per non sciupare i libri si incartavano con la carta dello zucchero.

L’attività delle maestre era controllata da un ispettore che veniva nelle scuole una volta al mese e verificava che le insegnanti seguis-sero correttamente il programma scolastico.

La scuola a quei tempi era molto rigida, ma ha insegnato a vivere bene insieme agli altri; si andava a scuola con un po’di paura, ma anche con rispetto e questa è ciò che manca in molti giovani di oggi.

Marta Ambrosini

Intervista a mia nonna Mariella

Mia nonna Mariella è nata ad Ancona quando la sua mamma aveva ventitrè anni.

Mia nonna andava a scuola a piedi ed ha frequentato poco volen-tieri fino all’età di diciassette anni. Scriveva con la matita e la penna stilografica, aveva con sé pochi libri tenuti con una cinta elastica.

Aveva un buon rapporto con le insegnanti e ricorda di non aver mai ricevuto punizioni.

La sua mamma non lavorava e quindi stava a casa con mia nonna e con i suoi fratelli.

Mia nonna aveva pochi amici, un’amica in particolare e il punto di incontro era la pasticceria e si incontravano circa una volta a settimana.

Lei non giocava molto con i suoi amici, perchè molto spesso doveva accudire la casa e i suoi due fratelli. Era suo compito lavare i piatti e pulire i pavimenti. Lei aveva pochi vestiti.

Mi racconta che di solito mangiava le fettine di carne, la polenta e i “frescarelli”: una polenta con farina e riso.

Mia nonna da giovane andava in villeggiatura con la sua fami-glia sempre nella località di Cingoli e ha iniziato a viaggiare dopo il matrimonio all’età di 27 anni.

Ha iniziato a lavorare all’età di 18 anni dopo aver terminato gli studi nella scuola per l’avviamento professionale allora esistente:

era segretaria nell’officina del padre e teneva la contabilità. Tra il lavoro dell’officina e quello della casalinga praticamente lavorava tutto il giorno senza grandi guadagni.

In casa ci si riscaldava con la stufa a legna, c’era il bagno in casa con l’acqua corrente e si faceva il bagno in una tinozza. Le condi-zioni sanitarie erano precarie e le medicine scarse. C’era tuttavia il

medico di famiglia.

Mia nonna non vorrebbe assolutamente tornare a quell’epoca per il disagio di quel periodo.

Un episodio particolare della vita di mia nonna è il ricordo che andava a mangiare la polenta a casa di una sua amica perché non le piaceva quella che veniva preparata a casa sua.

Mio nonno Antonio racconta ...

Mio nonno Antonio è nato ad Ancona quando la sua mamma aveva ventisette anni.

Mio nonno andava a scuola poco volentieri ed ha terminato gli studi a sedici anni.

Aveva una sola anziana maestra che gli spiegava tutte le materie.

Portava con sé il pennino e il calamaio, due quaderni, il sillabario e durante il tragitto da casa a scuola, fatto a piedi, teneva questi oggetti in mano. Quando non studiava, la maestra gli metteva le note sul quaderno, ma nonostante questo i rapporti con l’insegnante erano buoni e tutti avevano per lei molto rispetto e soggezione.

La sua mamma non lavorava e quindi stava in casa con mio nonno e con sua sorella.

Mio nonno aveva molti amici e il punto di ritrovo era la piazzetta del rione sotto casa sua; si incontravano tutti i giorni per giocare con le “grette”, cioè tappi di metallo, lanciati con “schicchere”, ossia schioccate con le dita per seguire una pista disegnata con il gesso sulla strada. Si poteva giocare per strada perché transitavano pochis-sime macchine. A volte andavano anche al cinema

Mio nonno aveva un vestito per tutti i giorni della settimana, poi la domenica si cambiava e indossava un vestito più curato, tutti gli abiti erano cuciti e aggiustati dalla zia.

Di solito mangiavano: minestroni, verdura, frutta e talvolta la carne

In casa si riscaldavano con la stufa a legna, ma solo quando vi erano i soldi per comprare la legna. Avevano un “lusso” il bagno in casa, provvisto sia di lavandino che di water, mentre per farsi il bagno si usava una tinozza.

Ha iniziato a lavorare a dodici anni facendo il tipografo. Poi, dopo la maggiore età, è stato assunto dalle Ferrovie dello Stato dove è rimasto fino all’età della pensione. Lavorava dalle otto alle dieci ore al giorno e guadagnava trenta, quaranta lire la settimana.

Le condizioni sanitarie erano precarie, gli ospedali poco suffi-cienti, ma si poteva far ricorso al medico di famiglia.

Mio nonno ha fatto molti viaggi, ma solo da adulto ed e’andato in Egitto, in Turchia, Algeria, Kenya, Bangladesh, Londra e in Terra Santa.

Lui non vorrebbe assolutamente tornare a quell’epoca, ma rimpiange i tempi in cui giocava con gli amici.

Un episodio particolare della vita di mio nonno e che ha segnato la sua adolescenza è stata la morte di suo padre in ospedale per una malattia. All’età di 11 anni, mio nonno, trovandosi senza un papà, si è sentito una grande responsabilità nei confronti della sorella più piccola di lui.

Dario Apolloni