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4.3 I FILM DI S HURAYUKI HIME

4.3.5 Yuki, la figlia di uno shura

Yuki viene spesso definita con l'appellativo di shura no ko (lett. "figlia di uno shura") o di ashura237 (lett. "demone infuriato"), soggetto di una nascita infelice consumata dal rancore e dal sentimento di vendetta. La natura violenta e letale della protagonista ben si discosta dal ruolo tradizionalmente attribuito alla donna. Per meglio dire, Yuki ha, senza dubbio, le sembianze di una bellissima donna - è quello il suo involucro - ma all'interno però è nascosta l'anima di un demone e il wagasa che l'accompagna, ovvero l'ombrello in cui è nascosta la spada238, diventa la metafora della sua stessa natura: bella, delicata e dalle eleganti movenze, ma fatale al momento di colpire il nemico. La sua aura demoniaca traspare, tuttavia, dagli occhi (e la Kaji è

bravissima nel mostrare tutto questo

attraverso la recitazione; il suo, è sicuramente uno tra gli sguardi più letali del cinema giapponese), freddi e senza traccia di compassione, ma allo stesso tempo ardenti di rabbia, come due fiamme incorniciate da un viso bianco porcellana. Sono anche occhi che comunicano il dolore e il peso di dover mantenere una promessa fatta ad una madre che non ha mai conosciuto.

Come altri antieroi nati dalla penna di Koike quali, per esempio i protagonisti di Kozure Ōkami e di Goyōkiba, anche Yuki è un'antieroina feroce e estrema; al pari di Ogami Ittō vive la sua vita come un ashura, è un'assassina letale più dei suoi nemici, ma il pubblico spera che abbia la meglio perché la sua è una storia estremamente

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Il termine ashura deriva dal sanscrito asura e indica una particolare categoria di divinità. Nonostante la derivazione del termine sia ambigua, in una delle varie interpretazioni gli viene attribuita una connotazione negativa: asura starebbe per a-sura, ovvero "privo del carattere divino, opposto alla divinità", indicando, appunto, la sua natura demoniaca.

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Dettaglio accurato dal punto di vista storico dato che, al tempo, per le donne era vietato portare con sé un'arma in pubblico.

tragica. In Shurayuki hime la retorica del samurai viene spazzata via e Yuki si identifica quasi con la figura del rōnin, samurai errante senza padrone.

Gli anni settanta vedono la nascita di due tipi di film sulla vendetta, poiché esistono due tipi di vendicatori: quelli come Ogami Ittō, uomini che si votano alla vendetta sanguinaria dopo la morte di coloro che hanno amato. Il protagonista di Kozure Ōkami, infatti, non sarebbe portato a compiere atti violenti in condizioni normali e lo stesso vale anche per antieroine come Inoshika Ocho di Sex and Fury, la quale cerca vendetta dopo aver assistito all'assassinio del padre. E poi c'è Yuki, unica nel suo genere: ancora prima di venire al mondo il suo scopo nella vita era già stato deciso. Forgiata sin da piccola per portare a termine la sua missione, nonostante non abbia mai conosciuto l'amore di una vera famiglia, si fa carico di un rancore che non è nemmeno il suo, accettando di abbandonare tutta la sua umanità per diventare strumento di vendetta. Qui si capisce realmente l'importanza della pietà filiale discussa nel primo capitolo e di quanto sia davvero inscindibile il rapporto padre- figlio, in questo caso il rapporto tra una madre e una figlia. Proprio come il filosofo Mencio il quale, riguardo alle sue teorie sul rapporto tra uomo di valore e sovrano, affermava che la virtù della lealtà fosse necessaria per una concreta realizzazione di sé stessi, così Yuki adempie ciecamente al suo dovere ed è disposta a rinunciare a tutto, proprio per arrivare a completare sé stessa: solo così lei può esistere nel mondo. Inoltre, in un senso più ampio, Yuki è la personificazione di un puro meccanismo karmico di redenzione, che agisce non solo verso gli effettivi responsabili della morte della sua famiglia, ma anche nei confronti dell'intero sistema della vendetta. Sempre nel primo capitolo, infatti, abbiamo visto che molto spesso i vendicatori abbandonano la loro ricerca portando così il rancore fin nell'aldilà, ma Yuki diventa lo strumento attraverso il quale la madre si ribella a questo meccanismo, riuscendo a portare a termine la sua vedetta in questa vita.

La nascita stessa di Yuki rappresenta un momento-chiave del film, in cui viene esplicitato il potere della figura femminile: la madre, non potendo portare avanti la

sua vendetta di persona, accetta di morire, ma riesce comunque a perpetuare la missione di morte attraverso sua figlia con la modalità che più definisce l'essenza di una donna: la capacità di portare la vita nel mondo. Spunto di riflessione, questo, riguardo anche al potere del corpo della donna la quale, in caso di necessità (in questo caso di disperata necessità), riesce ad usarlo in modi differenti per raggiungere il suo scopo. Ciò non implica, dunque, esclusivamente risvolti sensuali, ma è indice anche di astuzia e intelligenza, qualità che Yuki usa, insieme alla sua tenacia, per ottenere vendetta.

Non importa quanto sangue versi, Yuki rimane decisamente una donna e agisce decisamente come una donna. Uccide ed è sempre attorniata da un'aura di vendetta, ma rimane allo stesso tempo una donna e mostra qualità femminili in modo molto marcato. E' ancora una bambina quando viene allenata duramente dal maestro Dōkai che vuole trasformarla in una macchina ed eliminare in lei ogni traccia di femminilità. Intransigente e severo Dōkai la mette alla prova in tutti i modi possibili, arrivando persino a farla rotolare giù da una collina in una botte di legno e punendola per ogni minimo sbaglio; allenandola a schivare i colpi e a non avere paura del nemico, ma a guardarlo sempre fisso negli occhi. Ad un certo punto il maestro le dice: «sei una bambina che viene dall'aldilà, non fai parte del mondo terrestre, sei un demone che segue le regole del mondo dell'aldilà, una bestia, un diavolo travestito da umano, un essere così malvagio che nemmeno Buddha può

salvare». 239 Nel caso di Yuki, tuttavia, la femminilità che Dōkai non è riuscito a reprimere, non è connessa al concetto di debolezza. Restando fedele al manga, il personaggio di Yuki non è stato concepito come una donna che combatte con caratteristiche maschili, ma la sua forza proviene proprio dalla sua innata femminilità. Yuki si muove leggiadra sul campo di battaglia, proprio

239 Questa affermazione rimanda al meifumadō, termine buddhista per indicare l'inferno, usato, peraltro, in Kozure

come la neve che cade sul terreno. E' durante la scena del confronto con Dōkai nel corso di un allenamento che possiamo notare il passaggio da essere fragile e indifeso, ad allieva pronta ad imparare a combattere per diventare un demone: lo sguardo nei suoi occhi è totalmente diverso e esemplificativo è il gesto di leccarsi il sangue dal graffio sul braccio - simbolo della sua sete di vendetta - dopo aver evitato il colpo del maestro con una mossa aggraziata che solo una donna può compiere. La dualità della natura di Yuiki, forte ed elegante, si collega al discorso sulla figura della bad girl nei pinky violence, pericolosa e sovvertitrice dell'ordine sociale proprio perché possiede dentro di sé le caratteristiche di entrambi i sessi.

Nel film ci sono, tuttavia, dei brevi momenti in cui si nota che dietro la fredda facciata di Yuki si nasconde tutto il dolore che ha dovuto sopportare, privata di un'adolescenza serena e che, in fondo, un briciolo di umanità le è rimasto. Nella scena in cui fa visita alla tomba della madre prima di partire per uccidere Banzō, una lacrima le solca il viso e la voce narrante pronuncia queste parole: «Anche se nata e cresciuta come la figlia di uno shura, la compassione umana non aveva abbandonato il suo cuore...i ricordi del volto della madre la riempivano di tristezza...ancora una volta doveva percorrere la strada della dannazione».240Anche quando viene a conoscenza del fatto che Kobue, la figlia di Banzō, si prostituisce per mantenere il padre, prova compassione per lei e le offre aiuto tramite Kiku, l'unica persona rimasta in vita che Yuki può considerare in

qualche modo sua parente. Oppure, ancora, quando esita prima di essere costretta ad dover uccidere coloro che l'hanno aiutata nel compiere la sua vendetta, Ryūrei nel primo film e Shusuke nel secondo, ma l'incertezza non dura che un istante, nulla e nessuno può fermarla.

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