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ZONE MIGRANTI: VIVERE IN CITTÀ

2 ZONE MIGRANTI: LE PRATICHE DELL’ABITARE MIGRANTE

2.3 ZONE MIGRANTI: VIVERE IN CITTÀ

Nell’analisi delle zone migranti vicine alle città, si prenderanno in esame due tipi di appartamento: il primo situato al piano terra che di fatti è un ex-garage adibito ad abitazione ed un altro in un appartamento al primo piano. Queste due dimore sono situate in zone centrali delle città, ma all’interno del contesto cittadino si può rilevare che la gestione della popolazione attraverso lo sfruttamento dello zooning etnico, sembra svelare, al contrario delle aspettative, che non si tratta di raggruppamenti della stessa comunità di origine ma di gruppi di popolazione appartenenti alla stessa classe sociale, quella esclusa ai margini delle politiche governative. In questo senso, lo zooning etnico sembra funzionare, attraverso un'osservazione più approfondita, come uno zooning di classe. I migranti continuano ad occupare i gradini più bassi della scala sociale. In questo casi però l'intreccio tra etnicizzazione e differenza di classe diventa ancora più stringente (De Biase, 2012), in favore della seconda. Inoltre gli abitanti migranti di queste zone riescono ad avere un impiego più stabile degli altri, infatti nei due casi riportati, gli abitanti hanno un “posto fisso”. J. dice:

Io sto con lui al lavoro. Qua paghiamo 220 euro e non abbiamo neanche la doccia. Sembra di essere a tornati all’epoca (riferito a San Nicola Varco). Riscaldiamo l’acqua e ci laviamo in quel bagno. Ringrazio Dio che adesso ho un lavoro fisso ed un contratto. Lavoriamo in una fabbrica alimentare. Qua non è importante padre, fratello o amico se vuoi vivere devi avere un lavoro fisso. Gli amici ti possono aiutare una volta due poi ti dicono vai a lavorare. [Intervista a H. dicembre 2016].

Nella residenza fronte strada dove vivono J. e K., la casa è situata alle spalle di diverse attività commerciali a circa 100 metri dal piazza principale. Essa confina con il retro bottega di una bar dove il barista è solito accumulare la spazzatura. L’ingresso, invece, è delimitato da una saracinesca e da una porta bianca opaca, mentre l’interno (un unico ambiente soppalcato) divide la zona relax e da pranzo con quella da letto-divano in cui dormono entrambi. Il soppalco funge in qualche misura anche da divisore tra il bagno e

il cucinino (come mostra la riproduzione di seguito). Nonostante i migranti all’interno dei luoghi pubblici siano presi di mira, in special modo da alcuni gruppi razzisti, le zone migranti sono “tollerate” sia all’interno del tessuto produttivo che nell’urbano territoriale. Essi oltre a garantire manodopera a basso prezzo migrante permettono il fitto di luoghi inabitabili a prezzi molto al di sopra del mercato. 400 euro per un monolocale in una frazione senza autobus e senza servizi. K. Mi spiega che ormai i proprietari gli fittano i box a 150 -250 euro al mese. Sono i datori di lavoro che mediano il rapporto abitativo tra migrante e affittuario evasore. J. mi spiega che gli italiani lo guardano sempre male, ma non parlano mai, quasi sembrano offesi dalla presenza dei migranti. Ma poi spiega che lui tutto questo non importa,

Sono ipocriti, io conosco quello che fanno nella piana. Ho visto tante cose io. Conosco i poveri, i ricchi, conosco, conosco tutti. Non pagano le tasse, non pagano niente e poi vogliono fare la morale a noi. Se ci ferma la polizia, gli dici vedi che io lavoro con lui, loro rispondo ok tutt’a posto. Qua tutti sanno tutto e non fanno niente, altro che denuncia per il caporalato o per i fitti abusivi [Intervista a H. dicembre 2016].

Tutte le declinazioni di posto domestico sono accomunate dal fatto che essi non costituiscono un riferimento nella costruzione individuale dell’identità storica e sociale migrante che, in quanto tale, rimanda alla continua congiunzione di passato e futuro (Marrone, 2013, p.84). Non a caso, la casa rappresenta per loro luogo di espressione e identità e riflette la caratteristica di “doppia assenza”. Il posto in cui vivono non rappresenta la società d'origine e nemmeno il posto in cui desiderano risiedere (Sayad, 2002). Questo appare evidente anche nella testimonianza di migrazioni di successo. Solo apparentemente, nella casa di P. si è assistito a un processo di identità ed estensione del sé rispetto al contesto abitativo. La casa, al primo piano di un condominio, è stato affittata da una famiglia di 4 persone (padre, madre, figlio maggiorenne e figlia neonata). La residenza presenta degli spazi ben definiti (come si può vedere dalla riproduzione sottostante). In differenti parti della casa ci sono richiami al Marocco, tappeti e diverse ceramiche colorate adornano le pareti. Risulta essere, inoltre, l’unico appartamento in cui è presente una finestra, sebbene piccola.

Nonostante una situazione abitativa migliore, le condizioni lavorative ancorano anche questi residenti alle gerarchie più basse del mondo del lavoro (Sayad, 2004). Sia il padre che il figlio maggiorenne lavorano. P fa domestico, X è un bracciante, ma il sabato sera fa anche il lavapiatti. Il padre spiega che vivono da molti anni a Battipaglia, e che nel palazzo si sta molto bene. P. fa il domestico e si sposta per 23 Km prende il pullman e poi un passaggio dal datore di lavoro che giudica una brava persona. X., suo figlio si definisce e dichiara di non voler rilevare la propria identità perché:

Non voglio dire il nome, potrebbero riconoscermi e togliermi il lavoro al ristorante. In Marocco andavo a scuola fino a 17 anni quando sono arrivato qui ho smesso. Voglio andare via dall’Italia, ma sono ancora troppo piccolo e devo lavorare per mettere da parte un po’ di soldi. Appena ci riuscirò andrò nel Nord Europa. Qui lavoro nella terra, in un’azienda agricola che fa insalata. Vado a lavorare con la bicicletta, anche se piove. Quest’anno lavoro fisso, gli altri anni prima da una parte poi dall’altra. Mi arrangio. Inizio alle 7 e finiscono alle 14.30. lavoro per 7 ore per trenta euro, a volte mi mettono a posto, per esempio, ho il contratto ma dichiarano una cosa e me ne mettono un’altra [Intervista a P. e X. abitante della Casa 4 dicembre 2015].

In tale rilevazione etnografica X. ha sottolineato più volte la volontà a non utilizzare alcun nome, sebbene gli fosse stato detto che sarebbero stati utilizzati nomi di fantasia. Allo stesso modo P. non ha svelato quanto fosse il costo dell’affitto dell’appartamento o se avesse un contratto, sottolineando più volte i buoni rapporti con il proprio datore di lavoro perché:

I padroni di casa, a volte, sono elastici non ti chiedono subito i soldi. La mentalità è cambiata perché siamo di più, la nostra criminalità è diminuita. E poi molti anziani sono tornati qui perché erano immigrati anche loro e ti trattano meglio perché si ricordano. I giovani invece spesso sono bulli [Intervista a P. e X. abitante della Casa 4 dicembre 2015].

Inoltre, l’atteggiamento di P. verso l’esterno sembra essere di estrema chiusura. La descrizione delle relazioni sociali con gli italiani sembrano essere orientate al distacco. Non a caso ripete che ha con gli italiani ha pochissimi rapporti, sebbene, abiti al centro di un comune medio-grande come Battipaglia. Dichiara di non avere molti rapporti con i locali e di non volerne. Le sue relazioni con loro appaiono mediati esclusivamente da processi di lavoro e si caratterizzano da un muro di sottile invisibilità:

Con i vicini come il rapporto è ok?. Nessun problema. Noi torniamo da lavoro e poi ri-andiamo a lavorare nessuno ci da problemi e noi non ne diamo. Qua chi fa casino e chi beve. Noi non beviamo, fumiamo, fumo per scacciare i pensieri. Conosciamo persone del vicinato ma è buongiorno, buongiorno e basta. Pure a lavoro, buongiorno, ordini di servizio e stop! Voglio stare tranquillo, si lavora e poi si torna a casa. Io personalmente penso che dagli italiani è meglio stare lontani. Danno un sacco di problemi [Intervista a K., abitante della Casa, 3 novembre 2015].

Anche con i suoi connazionali P. sembra avere un atteggiamento scostante, non vede di buon occhio l’arrivo in Italia, infatti dichiara: «Adesso stanno arrivando molti connazionali marocchini che però prima andavano in Germania poi sono successi i casini e adesso tornano qui. Molti sono arrivati con i siriani, non ci saranno tempi facili» [Intervista a P. e X. abitante della Casa 4 dicembre 2015].

Le maggiori preoccupazioni di P. risiedono nel non voler più vivere lo stato d’eccezionalità prodotto dall’incertezza per la concessione del permesso di soggiorno. Non a caso, lo subisce e lo combatte chiudendosi in casa.