• Non ci sono risultati.

ZOSIMO, SINESIO E LA TRADIZIONE EGIZIANA

§1.L’ALCHIMIA GRECA E L’EGITTO

L’alchimia greca, almeno nella forma che oggi è possibile riconoscere e studiare attraverso il Corpus tramandato dai manoscritti medievali, compare in Egitto nei primi secoli d.C. Tuttavia, i legami tra l’antica terra dei faraoni e la scienza in questione, che sembrano lasciare una traccia nello stesso nome con cui essa viene oggi indicata1, sono difficilmente indagabili a causa della scarsità delle fonti in nostro possesso. Da un lato, infatti, all’interno dell’antica produzione in lingua egiziana, non è conservato alcun testo alchemico o metallurgico2 che permetta un confronto diretto con le opere greche conservate; dall’altro, la principale fonte per tentare una

1 Nel Corpus alchemicum greco la scienza alchemica è detta, per lo più, ƒer¦ kaˆ qe…a tšcnh. Il

termine ‘alchimia’, invece, deriva dai latini alchemia/alchymia, archimia/archemia/archymia, varianti attestate a partire dal XII sec., quando in Occidente si tentarono le prime traduzioni di trattati arabi (cf. Mandosio 2005, 139): sarà facile riconoscervi l’articolo arabo al ed una radice, sulla cui etimologia gli studiosi non sono concordi. Punto di partenza saranno le forme chme…a (Zos. Alch. CAAG II 213,15), chm…a (Steph. Alch. II 208,28 e 209,5 Ideler), cume…a (Olymp. Alch. CAAG II 94,17), cum…a (Cosmas Alch. CAAG II 442,3), varianti dovute all’itacismo, che compaiono anche in vari autori bizantini (cf. Halleux 1979, 45 n. 15): ad esse si legano anche cumeut»j (Philos. Anon. Alch. CAAG II 441,21), cumeutikÒj (Philos. Anon. Alch. CAAG II 220,12 e 437,10 e 439,6; CAAG II 353,19), chmeutikÒj (Olymp. Alch. CAAG II 80,13), Cum»j o Cim»j, eroe eponimo dell’arte alchemica (Zos. Alch. CAAG II 169,9 e 172,17 e 183,22), e Chmeà, che in Sincello (p. 14, ll. 12s. Mosshammer) indica il più antico scritto sull’argomento (versione siriaca in Berthelot-Duval 1893, 238; cf. Mertens 1995, XCIV-XCV). Come illustra Halleux (1979, 45-47, con ricca bibliografia; cf. anche Lindsay 1984, 81-101), questa famiglia di termini è stata variamente interpretata: da alcuni è messa in relazione con la radice cu/ce#/co#, da cui derivano sia cumÒj, ‘succo, liquido’ sia cÚma, ‘lingotto’: del resto, lo stesso verbo cšw indica in modo generico il versare dei liquidi e, in senso più specifico, la fusione dei metalli. Altri, invece, insistono sulla forma chm…a che, in base a Plut. De Is. 364C 5, costituiva l’antico nome dell’Egitto: il termine, da mettere in relazione con il copto KHME o CHMI (antico egiziano kmt), farebbe riferimento al colore nero della terra egiziana, e potrebbe essere stato ripreso dagli alchimisti per indicare la prima fase cromatica (mel£nwsij-nigredo) della trasmutazione.

2 Cf. Daumas 1982, 117.

ricostruzione storica della disciplina è costituita dallo stesso Corpus

alchemicum, che conserva testi relativamente tardi e permeati da una

tendenza costante alla mitizzazione dell’arte. L’utilizzo di simili opere per indagare le origini e lo sviluppo dell’alchimia richiederà, dunque, una grandissima cautela: si è portati a dubitare ogni volta della veridicità delle informazioni tramandate, che sconfinano sovente nel leggendario. Numerosi elementi su cui insistono le fonti sembrano ormai sclerotizzati in finzioni narrative ripetitive, refrattarie ad un’indagine volta a determinare la base storico-sociale su cui esse potrebbero poggiare. Tuttavia, nonostante tali perplessità, ritengo possibile isolare qualche fattore che racchiuda ancora degli indizi – ai quali sarà mia intenzione solamente accennare – riconducibili con maggiore verosimiglianza al milieu nel quale operarono i più antichi alchimisti greco-egiziani.

Tutti i testi tramandati dal Corpus insistono sul carattere sacro dell’arte alchemica, proiettando gli antichi adepti all’interno dell’ambiente cultuale dei templi. L’opera pseudo-democritea – il testo alchemico più antico da noi conosciuto, di cui i codici riportano soltanto un’epitome – sancisce la nascita della disciplina con un atto fortemente sincretico: un filosofo greco, Democrito, viene iniziato nel tempio di Menfi dal mago persiano Ostane, assieme a tutti i sacerdoti egiziani3. Tra questi, in base a fonti successive, vi sarebbero anche Maria l’Ebrea, Pammene4 e Pibechio5. Tre differenti tradizioni culturali – quella propriamente egiziana, quella persiana e quella ebraica – risultano già completamente intrecciate in uno schema narrativo di cui Festugière6 ha dimostrato la fortuna in età ellenistica e romana. All’interno di un simile caleidoscopio sarà difficile isolare con sicurezza gli

3 Cf. Infra, Syn. Alch. ll. 5-16 con il relativo commento. Nell’epitome pseudo-democritea è

conservato il racconto dell’iniziazione dell’autore in un tempio non specificato (CAAG II 42-43): tuttavia, si può dubitare dell’originalità di questo passo. Sicuramente autentica, invece, è la frase con cui lo Pseudo-Democrito probabilmente apriva il libro sulla fabbricazione dell’oro (CAAG II 43,22-24): “Hkw dł k¢gë ™n A„gÚptJ fšrwn t¦ fusik£, Ópwj tÁj pollÁj perierge…aj kaˆ sugkecumšnhj Ûlhj katafron»shte. La medesima espressione, infatti, è citata anche da Sinesio (cf. Syn. Alch., ll. 61-63).

4 Syncell. pp. 297,24 – 298,1 Mosshammer = Bidez-Cumont 1938, II, 311 fr. A 3. 5 Psell. CMAG VII 9s. = Bidez-Cumont 1938, II, 309 fr. A 1.

6 Festugière 1950, 229s.

apporti di ciascuna cultura: sarà sufficiente, per il presente studio, insistere sul fatto che proprio la terra bagnata dal Nilo, nella quale tali tradizioni si erano incontrate ben prima del periodo ellenistico-imperiale7, sarà il luogo in cui il confluire di variegate tendenze darà origine all’alchimia. A questo riguardo risulterà particolarmente interessante un testo di Zosimo che riflette sul rapporto tra quest’arte e l’Egitto, conservando memoria di elementi tipici del millenario passato faraonico. Nell’opera intitolata

Prîton bibl…on tÁj teleuta…aj ¢pocÁj toà Zws…mou Qhba…ou8, infatti, l’alchimista panopolitano afferma esplicitamente che le tecniche tintorie e l’arte dell’estrazione dei minerali auriferi e della loro raffinazione costituivano gli elementi essenziali su cui si basava la ricchezza egiziana: esse erano sottoposte ad un rigido controllo statale, e solamente i sacerdoti

7 Ad esempio, sulla possibile penetrazione di influenze babilonesi nell’antico Egitto, Daumas

1982, 110s. scrive: «Il est certain que la chimie a été pratiquée en Mésopotamie comme en Égypte. Les Accadiens connurent même la fabrication des pierres précieuses artificielles, come les Égyptiens, et l’on a retrouvé des recettes de fabrication des verres sur des tablettes cunéiformes. [...] D’ailleurs on a l’impression, jusqu’à plus ample informé, que les contacts entre Égypte et Accad ou Assyrie ont été plus fréquents et nombreux qu’on ne l’imaginerait à priori. La Syrie et le Liban ont joué aussi comme intermédiaires un rôle important. [...] Les civilisations perse et égyptienne ont eu, au cours des vicissitudes historiques, bien des occasions de se compénétrer. La présence de médecins égyptiens à la cour du Grand Roi nous est attestée par Hérodote [III 129- 137], lorsqu’il nous conte l’histoire de Démocèdés et les inscriptions d’Oudjahorresné, médecin de haut rang, qui, après un séjour en Iran, reconstitua avec la protection de Cambyse la Maison de Vie de Saïs et son École de Médecine, viennent confirmer les rapports étroits qui existèrent antre ces deux grands pays de l’Orient, à partir au moins du Ve siècle avant notre ère».

8 Il più antico testimone dell’opera, pubblicata in CAAG II 239-246, è A 251v 20-255r 26.

L’attribuzione del trattato a Zosimo è confermata da una lunga citazione fatta da Olimpiodoro (cf.

CAAG II 90 n. 15), che ripropone la prima parte dell’estratto in una forma più completa rispetto a

quella tramandata da A (il testo di tale citazione, omesso in CAAG II 90, è riportato da Festugière 1950, 363 e da Letrouit 1995, 19s.). Il trattato è stato più volte riedito e tradotto: si vedano Scott 1936, 111-112 (ed. parziale) e Festugière 1950, 363-368 (testo greco, con traduzione francese e commento alle pp. 275-281). In italiano si potranno consultare: Luck 1999, 260-263 (ed. e trad. parziali, corrispondenti a CAAG II 239s.); Tonelli 2004, 185-197 (ed. completa, con trad. e note) e Pereira 2006, 34s. (trad. solo della prima parte, basata su Letrouit 1995, 19s.). Per una breve analisi dell’opera, si veda anche Mertens 1995, LXV-LXVII.

ne conoscevano i segreti, che era rigoro- samente vietato rivelare9. A tali restrizioni dovevano sottoporsi anche gli antichi alchimisti: essi, tra cui in

primis Democrito, «poiché erano amici dei re dell’Egitto ed avevano

l’onore di occupare il primo posto nella cerchia dei profeti » (f…loi Ôntej tîn basilšwn A„gÚptou10 kaˆ t¦ prwte‹a ™n profhtikÍ aÙcoàntej)11, non potevano diffondere i segreti della lavorazione dei metalli. Solo alcuni ebrei – aggiunge Zosimo – tra cui Maria e Teofilo12, scrissero di nascosto su questi argomenti. Tuttavia, il vero segreto dell’arte non fu divulgato apertamente né dai greci né dagli ebrei: esso fu inciso nei meandri più nascosti dei templi, in caratteri indecifrabili per chiunque fosse anche riuscito a penetrarvi.

Innanzi tutto, Zosimo insiste sul rigoroso controllo statale e militare

9 Il passo, nella traduzione proposta da Tonelli 2004, 185-187, recita: «Tutto il reame d’Egitto, o

donna, sussiste in virtù di queste due arti: quella delle tinture ottenute operando secondo il momento opportuno e quella dei minerali naturali. L’arte che noi chiamiamo divina, cioè l’arte dogmatica alla quale si dedicano tutti coloro che indagano le creazioni artificiali e le arti nobili, le quattro veramente efficaci, è stata concessa soltanto ai sacerdoti. In quanto al trattamento dei minerali naturali, esso era monopolio regale [...] . Infatti, come gli artigiani che sanno coniare le monete regali non le coniano per conto proprio, perché verrebbero puniti, così sotto i re dell’Egitto, coloro che praticano la cottura, anche se conoscono i processi di lavaggio delle sabbie minerali e la sequenza delle operazioni, non le eserciterebbero per conto proprio. È appunto per questo motivo che venivano arruolati come operatori presso i tesori regali. Ai tesori, inoltre, venivano preposti dei capi particolari e degli archistrateghi, e vi era ogni sorta di regola tirannica sul procedimento di cottura. Secondo una legge dell’Egitto, era proibito divulgare per iscritto queste conoscenze».

10 L’espressione f…loi tîn A„gÚptou basilšwn sembra indicare un titolo onorifico: cf.

Festugière 1950, 277 n. 1.

11 Trad. Tonelli 2004, 187; testo greco in Tonelli 2004, 186, ll. 17-19 = Festugière 1950, 364, ll.

24s. (= CAAG II 240,12).

12 Secondo la testimonianza di Zosimo, Teofilo avrebbe descritto Óla t¦ tÁj crusograf…aj

cruswruce‹a, «tutte le miniere d’oro che compaiono nelle mappe» (cf. anche Letrouit 1995, 21). Quest’autore compare anche nella lista di alchimisti tramandata da M 7v (CAAG I 110), in un altro estratto di Zosimo (CAAG II 198,2) e nella IX Lezione di Stefano (II 246,12 Ideler). Tonelli (2004, 187 n. 8) sottolinea che QeÒfiloj non è un nome ebraico: secondo lo studioso, dunque, non solo alcuni ebrei, ma anche alcuni greci divulgarono di nascosto questi aspetti dell’arte (nel testo greco, p. 186, ll. 22-23, lo studioso integra: mÒnoij dł 'Iouda…oij <kaˆ “Ellhsi> ™xÕn Ãn l£qra taàta poie‹n kaˆ gr£fein kaˆ ™kdidÒnai).

sotto cui avvenivano l’estrazione e la lavorazione dei minerali auriferi, notizie in parte confermate da alcuni estratti di Agatarchide, riportati da Fozio (Bibl. cod. 250, 447b 6 – 449a 10 e 457b 35 – 458b 1)13 e da Diodoro Siculo (III 12,1-6)14. Lo sguardo vigile del faraone e delle autorità competenti sulle attività estrattive, a partire dalle prime fasi di esplorazione del territorio e di apertura delle miniere, è testimoniato anche da numerose fonti egiziane antiche. Come sottolinea Aufrère15, l’atto stesso del penetrare all’interno della montagna, luogo sacro in cui si manifestava la potenza divina, poteva costituire la violazione di uno spazio soprannaturale: solo il faraone poteva autorizzarne l’apertura (che sicuramente era sancita da un rito religioso), poiché i prodotti estratti costituivano come «l’objet d’un échange entre le roi et le dieu»16. Una numerosa équipe di esperti in differenti discipline era preposta all’esplorazione del territorio ed allo scavo delle miniere: tra questi Aufrère17 ricorda i smn·tjw, ‘esploratori’, che erano probabilmente dei dignitari d’alto rango, organizzati in corporazioni, «qui pouvaient travailler directament pour le compte de domaines divins»18. Zosimo, naturalmente, scrive ormai in piena età imperiale, quando l’Egitto è da tempo una provincia romana: l’esplorazione delle miniere in questo periodo è ben documentata e l’organizzazione delle pratiche estrattive è organizzata in base ad un complesso sistema amministrativo e militare, come stanno mettendo in luce gli studi condotti sulle più recenti scoperte archeologiche19. Tuttavia, non si può escludere che le notizie riportate dal

13 Questi estratti sono tramandati anche dal codice M 138r 4-140v, ed il primo di essi è presente

anche in A 249v 1-19 (= CAAG II 26,7-27,3). Cf. Letrouit 1995, 66-68.

14 Cf. Halleux 1975, 79-102. 15 Aufrère 1991, I, 59-92. 16 Aufrère 1991, I, 60.

17 Aufrère 1991, I, 71 scrive: «[...] On peut imaginer que ceux-ci devaient reconnaître de nouveaux

lieux où l’on pût installer une exploration, en un mot, chercher des ressources en eau, en combustible et en minéraux, avec une spécificité pour l’or. Il y a des grandes possibilités que cette corporation établissait également l’équivalent des cartes etc.».

18 Aufrère 1991, I, 72.

19 Particolarmente significativo è, a questo riguardo, lo studio della cava di “granito del foro” (in

realtà una grano-diorite: cf. Peacock et al. 1994, 209-230), detta Mons Claudianus. La scoperta e l’analisi del sito, nel quale sono stati ritrovati numerosissimi ostraca, (pubblicati da Bingen et al. 1992; 1997; Cuvigny 2000) hanno permesso di ricavare interessanti notizie sull’organizzazione

Panopolitano conservino il ricordo anche di tradizioni più antiche, che legavano strettamente tali attività al faraone ed alla classe sacerdotale.

Proseguendo nell’analisi del testo, l’alchimista ricorda che anche la battitura delle monete era rigorosamente controllata dai re d’Egitto, verosimilmente per evitare le contraffazioni, ottenibili tramite processi che svilivano le leghe aurifere o argentifere, aumentando la percentuale dei metalli meno preziosi: si tratta, in sostanza, della tecnica della d…plwsij20, descritta più volte anche in numerosi testi alchemici21. La notizia, riportata da varie fonti tardo-antiche e bizantine22, seconda la quale Diocleziano avrebbe fatto bruciare i libri perˆ chme…aj crusoà kaˆ ¢rgÚrou – dai quali gli Egiziani avevano tratto le ricchezze con cui sostentare la rivolta

della cava, che sembra «essere stata sfruttata in funzione solo dell’architettura imperiale di Roma» (Pensabene 1999, 721). L’attività estrattiva, cominciata verosimilmente in età giulio-claudia, continuò fino alla prima metà del III sec. d.C. Sappiamo che in età traianea, nelle adiacenze della miniera, era situato un centro abitato fortificato, nel quale vi era un tempio a tre celle, in posizione dominante, dedicato a Zeus Helios Serapide (Pensabene 1999, 723s.). L’estrazione, la lavorazione ed il trasporto del granito erano sottoposti ad un rigoroso controllo amministrativo (rappresentato dalle figure del conductor metallorum e del procurator metallorum) e militare (il distaccamento militare era comandato dall’ ˜katont£rchj o centurio): cf. Maxfield 2001, 147-155.

20 Cf. Berthelot 1891, 150-153 e 158-161; Halleux 1991, 39.

21 Keyser (1996, 209-234) evidenzia la composizione di 17 monete antiche – databili dal IV sec.

a.C. al III sec. d.C. (lista alle pp. 217-220) – sulla base del confronto con alcune ricette alchemiche (soprattutto quelle pseudo-democritee e quelle del papiro di Leida), ed ipotizza che alcune di queste possano essere state battute in base alle tecniche ivi descritte.

22 Cf. Giovanni di Antiochia in FGH IV 601 fr. 165 Müller (da Const. VII Porph. Exc. De Virt. et

Vit. I 196,3-16 Roos; cf. anche Suda d 1156 Adler, s.v. DioklhtianÒj e c 280, s.v. chme…a): [...]

t¦ perˆ chme…aj ¢rgÚrou kaˆ crusoà to‹j palaio‹j aÙtîn gegrammšna bibl…a diereunhs£menoj œkause prÕj tÕ mhkšti ploàton A„gupt…oij ™k tÁj toiaÚthj perig…nesqai tšcnhj ktl., «[...] ricercò e bruciò [scil. Diocleziano] i libri sulla fusione dell’argento e dell’oro scritti dagli antichi Egiziani, affinché essi non traessero più denaro da una simile arte etc.»; Atti di

S. Procopio in Acta Sanctorum Julii 1721, t. II., p. 557 par. 4: t¦j b…blouj Ósai perˆ chme…aj

¢rgÚrou te kaˆ crusoà to‹j palaiotšroij tîn A„gupt…wn kat¦ spoud¾n ™gr£fhsan, ¢n£lwma purÕj aÙt¦j œqhken, e†rgwn A„gupt…ouj porismoà crhm£twn: éste m¾ ™k tÁsde tÁj tšcnhj eÙkopèpata crhmatizomšnouj ·vd…wj prÕj newterismoÝj Øp£gesqai, quotquot

ab antiquioribus Aegyptiis de modo fundendi argentum et aurum, exstabant libri, studiose conscripti, igne consumpsit, premens Aegyptios opum penuria, ne huius artis subsidio expeditissime rem facientes, facile ad novitates redirent.

contro l’impero23 – seppure tarda, sembra confermare l’utilizzo di ‘tecniche alchemiche’ nella falsificazione delle monete almeno a partire dai primi secoli d.C. Non è facile, tuttavia, stabilire in quale rapporto si debba porre la produzione dei testi tramandati dal Corpus alchemicum e queste infor- mazioni riguardanti l’Egitto. Infatti, soprattutto per quanto concerne i trattati tecnici ed i ricettari, la distinzione tra falsificazione ed alchimia resta imprecisa24, data la commistione di elementi tipici di una semplice pratica artigianale-metallurgica e frammenti di una riflessione teorica sui proce- dimenti descritti. Il fatto che sia proprio un alchimista a legare una determinata condizione storico-politica dell’Egitto ad alcune consuetudini degli autori alchemici, quale in primis la segretezza dell’insegnamento25, può autorizzare a contestualizzare gli antichi adepti in una realtà dove le metodologie descritte trovavano, almeno in parte, una realizzazione pratica. Tuttavia, risulta estremamente difficile precisare meglio le modalità di tali applicazioni e l’effettivo impatto sociale che esse potevano avere: solo una chiara definizione storica delle figure dei primi alchimisti, sui quali abbiamo notizie scarse e spesso immaginifiche, potrebbe aprire nuovi spiragli.

Le medesime problematiche si ripropongono anche nell’analisi dello ultimo elemento deducibile dalla suddetta testimonianza di Zosimo, ovvero del rapporto tra gli antichi alchimisti, la classe sacerdotale ed i templi egiziani, che, come abbiamo visto, rappresenta un tema ricorrente nei testi presi in considerazione. I sacerdoti sono spesso gli interlocutori ai quali si rivolgono gli adepti26 ed i luoghi di culto rappresentano la cornice ideale

23 Halleux (1981, 23s.) collega questa notizia al rafforzamento della legislazione contro la

falsificazione delle monete, attuato all’inizio del IV sec. d.C.

24 Cf. Halleux 1981, 24-30.

25 In relazione a determinate ingiunzioni al silenzio, a volte presenti nei ricettari antichi, Halleux

1981, 28 scrive: «A propos d’une pourpre très belle, Holm. (106,727-729) reccomande le secret, mais c’était la seule façon de conserver la propriété d’un procédé à une époque où les brevets n’existaient pas».

26 Lo Pseudo-Democrito, ad esempio, afferma che l’alchimista Pammene insegnò un particolare

trattamento del piombo a tutti i sacerdoti egiziani (cf. CAAG II 48,8s. da intendere in base ai suggerimenti di Pizzimenti 1573, 8v 28s. e di Hammer-Jensen 1921, 88: «questa tecnica è di Pammene, che la insegnò ai sacerdoti egiziani»); secondo un passo citato dal Philos. Anon. Alch.

CAAG II 427,2-6, lo stesso Pseudo-Democrito si rivolge al basileÚj ed ai profÁtai e ƒere‹j

dove scoprire antichi tesori27. Tali elementi rientrano sicuramente all’inter- no di un leitmotiv proprio di buona parte della letteratura di età imperiale; essi ricorrono spesso anche nei cosiddetti Hermetica filosofici28, tanto che Fowden scrive: «Les diverses références aux prêtres, aux entretiens dans les temples, etc. [...] frappent, il est vrai, par leur dimension plutôt décorative»29. Tali elementi possono risolversi in semplici espedienti per dare maggiore prestigio ai testi, la cui autorità era per così dire garantita dall’ambiente sacro e sapiente per antonomasia, nel quale essi sarebbero stati concepiti30: la ben nota saggezza egiziana – impersonificata dalla classe sacerdotale custode di antichi segreti, di fronte alla quale già Erodoto31 e Platone32 avevano mostrano un grande rispetto – doveva necessariamente contenere anche la scienza alchemica. D’altro canto, il termine prof»thj, del quale si fregiano spesso gli antichi alchimisti, in età imperiale indicherà, secondo le parole di Festugière, «non plus seulement ‘interprète des oracles’, à côté de m£ntij, comme dans la Grèce classique

d’Egitto (cf. anche Zos. Alch. CAAG II 158,3). Anche Sinesio, infine, struttura il suo trattato come un dialogo con Dioscoro, sacerdote del Serapeo di Alessandria.

27 Zosimo (VII 7-10 Mertens = CAAG II 224,4-6) racconta di aver visto nell’antico santuario di

Menfi un forno ormai distrutto, che nessuno degli adepti era in grado di ricostruire (Mertens 1995, 187-189). Ma i templi custodivano anche altri segreti, quali gli scritti segreti degli antichi maestri (cf., ad es., CAAG II 43,11-18 e 350,6): si tratta di un tema piuttosto diffuso non solo nella letteratura alchemica, ma anche in quella magica ed astrologica (cf. Festugière 1950, 319-324). Secondo Daumas (1982, 111s.), simili finzioni, attestate anche nella letteratura in lingua egiziana, potrebbero derivare proprio dall’antica tradizione della valle del Nilo; al riguardo si veda anche Fowden 2000, 92-108.

28 Sulla distinzione fra le opere dell’Ermetismo popolare, tra cui sono annoverati anche i testi

alchemici, e quelle dell’Ermetismo sapiente, ben più ricche sul piano dottrinario e filosofico, si veda Festugière 1967, 30s.

29 Fowden 2000, 243. Per i riferimenti al Corpus Hermeticum si veda la n. 34 assieme a Mertens

1989, 263s.

30 La nascita di simili tematiche si lega, secondo Festugière, al declino del razionalismo classico: il

sempre maggior scetticismo verso la possibilità della ragione di comprendere la realtà e di giustificare l’operato umano lascia spazio alla diffusione di messaggi rivelati, che traggono sostentamento dall’autorità di sapienze straniere dal passato mitico. cf. Festugière 1950, 1-44 (in particolare 19-31).

31 Cf., ad es., Hdt. II 143s. 32 Cf., ad es., Plat. Tim. 21e ss.

[...], ni ‘membre de la classe sacerdotale la plus élevée’, comme dans l’Égypte hellénistique33, mais ‘révélateur de toute vérité en contact