• Non ci sono risultati.

Imre Toth e i nuovi spazi epistemici delle geometrie non euclidee

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Imre Toth e i nuovi spazi epistemici delle geometrie non euclidee"

Copied!
103
0
0

Testo completo

(1)

1

A mio nonno,

perché mi ha mostrato

come un uomo vive e

(2)

2

INDICE

INTRODUZIONE ………... pag. 3

I. LA SCOPERTA DELLE GEOMETRIE NON - EUCLIDEE

1. Breve nota storica ………....……… pag. 7 2. Geometria assoluta, immaginaria ed ellittica ……….. pag. 29 3. Possibilità logica della geometria non euclidea ………... pag. 45

II. IL NUOVO PARADIGMA DELLE GEOMETRIE NON EUCLIDEE NEL PENSIERO DI TOTH: ANALISI DEL CORPUS ARISTOTELICUM

1. L’assiomatica e la via verso le archai ……….……… pag. 50 2. Passi non euclidei del Corpus Aristotelicum: analisi e commento ………. pag. 59 3. Imre Toth: la libertà del soggetto e la coscienza infelice dello spirito geometrico...pag. 64

III. DA EUCLIDE AD HILBERT: CONFRONTO TRA L’ASSIOMATICA CLASSICA E L’ASSIOMATICA MODERNA

1. Gli Elementi di Euclide e loro contesto storico ………. pag. 68 2. David Hilbert e la rifondazione della geometria ……… pag. 85 3. David Hilbert e le rappresentazioni isomorfe: il problema della coerenza ………..pag. 94

APPENDICE ……… pag. 99

CONCLUSIONE ………. pag. 101

(3)

3

INTRODUZIONE

Il proposito che si è inteso perseguire in questa trattazione concerne tematiche riguardanti le fondamenta del pensiero matematico. In particolare, si è voluto porre in risalto le problematiche scaturenti da una specifica scoperta: le geometrie non euclidee. Non è altresì obiettivo della presente ricerca effettuare un’analisi tecnica che trascini il lettore in un discorso squisitamente matematico; non lo permettono i limiti della mie conoscenze al riguardo e la difficoltà intrinseca del tema. Ciò che è parso opportuno ritenere oggetto d’analisi è invece il modo di esistenza delle geometrie non euclidee intese come teoria matematica. Per teoria si vuole qui intendere in modo approssimativo ciò che viene assunto in un ottimo saggio da Lorenzo Magnani: “un sistema

aperto di proposizioni compatibili fra loro che enunciano e concatenano le proprietà di un

dominio di oggetti definiti e posti in rapporto a certe relazioni esplicitamente formulate”.1

Partendo da questa definizione si potrà coltivare l’intento di trattare una teoria matematica dotata di una sua “storia” e di suoi caratteristici “prodotti” teorici come un universo codificato di segni da essa prodotti e che sono sensibili di rinnovamento. Il percorso che pertanto si è venuto delineandosi esige necessariamente come punto di origine un’analisi, seppur superficiale, al testo degli Elementi di Euclide riguardante il postulato delle parallele. Nella prima parte della nostra analisi, infatti, si cercherà di delineare brevemente il percorso storico riguardante la suddetta teoria, mettendo in risalto le principali problematiche dirette alla comprensione di quello che potremmo definire uno slittamento di paradigma in relazione al pensiero matematico.

1

Le geometrie non euclidee – testi di Euclide, Saccheri, Kant, Lobacevskij, Riemann, Beltrami, Helmotz, Milhaud, Poincarè, Bachelard, Nagel, a cura di Lorenzo Magnani, Bologna, Zanichelli, 1978

(4)

4

La seconda parte invece volge il suo interesse alle ricerche effettuate da Imre Toth, un filosofo della matematica, riguardanti il discorso matematico all’interno dell’Accademia platonica ed in particolare alle ricerche sulla fondazione assiomatica della geometria ivi svolte. Si porrà l’accento sull’originalità delle ricerche di Toth evidenziando e commentando di pari passo con l’autore i passi da egli individuati all’interno del Corpus Aristotelicum che presentano delle tracce di concetti non euclidei, a dimostrazione del fatto che le tematiche inerenti questo particolare discorso matematico erano oggetto di dibattito sebbene, ovviamente, non slegate dallo specifico contesto storico. Inoltre, per rendere merito alla continuità del discorso sostenuto in questa parte, verrà esposta e trattata la concezione che Toth presenta del pensiero matematico come espressione della libertà dell’ individuo e come carattere poietico dell’uomo, partendo appunto da ciò che significa ed ha significato la scoperta delle geometrie non euclidee.

Infine, nella terza ed ultima parte, è parso opportuno tracciare un confronto tra l’assiomatica classica e l’assiomatica moderna, prendendo come estremi e termini di paragone Euclide ed il suo sistema per l’una ed Hilbert ed il suo sistema per l’altra. Ciò perché è stato giudicato inerente alle esigenze di fondazione concernenti il pensiero matematico che si palesa in entrambi i sistemi e perché vi è inoltre un indubbio filo conduttore che li lega e li mette in relazione. Nel procedere in questa analisi, verranno poste in risalto brevemente le problematiche che Hilbert ha dovuto affrontare nel suo tentativo di rifondazione della geometria, evidenziando le complessità palesatesi di pari passo con le nuove idee ed i nuovi concetti che nel corso dei secoli sono subentrati al testo di Euclide.

In chiusura, mi sarebbe più facile elencare i difetti ed i vizi di questa trattazione che non i suoi meriti e qualità. Nonostante ciò posso garantire di aver affrontato il progetto con entusiasmo, non pretendendo di dire qualcosa di nuovo né di dare a ciò che si sa un’interpretazione originale. Ma non me lo sono nemmeno proposto. La mia ambizione tuttavia è stata quella di fornire a chi

(5)

5

legge un mezzo per avvicinarsi alle tematiche esposte ed al pensiero di un autore originale, quale è considerato Imre Toth.

(6)

6

I

LA SCOPERTA

DELLE GEOMETRIE NON

EUCLIDEE

(7)

7

1. BREVE NOTA STORICA

Il capitolo riguardante questa trattazione palesa l’intento di delineare il percorso storico delle geometrie non euclidee. Al fine di rendere merito alla continuità del testo, ritengo opportuno effettuare delle considerazioni preliminari. La prima riguarda l’espressione “non euclidee”; la seconda la pluralità intesa con “geometrie non euclidee”.

Non considero triviale partire dalla definizione “non euclidea” che è stata assegnata ad una determinata scienza geometrica, poiché ritengo altresì essenziale rintracciare già in questa definizione l’universo concettuale che essa implica. Il termine “non euclideo” è stato introdotto nel linguaggio geometrico da Carl Friedrich Gauss e con esso viene annunciata esplicitamente la

negazione categorica di una concezione geometrica data e già stabilita. Questa negazione

possiede una connotazione storica e teoretica multiforme e di forte potere espressivo. Per poterne meglio comprendere l’origine, bisogna tener presente ciò che essa si proponeva di negare, cioè un particolare postulato della geometria euclidea e per estensione la geometria euclidea in se stessa. Il testo fondamentale in cui è esposta la geometria euclidea, considerata l’unica valida e possibile durante l’arco di due millenni, è gli Elementi di Euclide. Un’analisi approfondita di questo testo sarà oggetto di trattazione nell’ultimo capitolo della presente ricerca ma è necessario, in via preliminare, sapere che il primo Libro degli Elementi consta di 23 definizioni, 5 postulati e 5 “nozioni comuni” (assiomi)2

. Il postulato oggetto della nostra analisi è per la precisione il quinto, che si riporta di seguito insieme agli altri quattro postulati:

2

Una distinzione generale, non più riconosciuta dalla logica moderna, indica gli assiomi come proposizioni primitive che enunciano affermazioni ritenute evidentemente vere in generale, indipendentemente cioè dal campo particolare cui vengono applicate (es. “il tutto è maggiore della parte” che è il quinto assioma euclideo); i postulati invece sono proposizioni primitive la cui verità è assunta come evidente, ma la cui validità viene limitata al campo specifico che li assume.

(8)

8

1. Risulti postulato: che si possa condurre una linea retta da un qualsiasi punto ad ogni altro punto;

2. E che una retta terminata (= finita) si possa prolungare continuamente in linea retta; 3. E che si possa descrivere un cerchio con qualsiasi centro ed ogni distanza (= raggio); 4. E che tutti gli angoli retti siano uguali tra loro;

5. E che, se una retta venendo a cadere su due rette forma gli angoli interni e dalla

stessa parte minori di due retti (= tali che la loro somma sia minore di due retti), le

due rette prolungate illimitatamente verranno ad incontrarsi da quella parte in cui

sono gli angoli minori di due retti (= la cui somma è minore di due retti). 3

Il sistema dei teoremi non euclidei in seguito sviluppatosi, si basava dunque sulla negazione formale della proposizione assiomatica euclidea, figurante negli Elementi come quinto postulato. Questa negazione deriva dal tentativo secolare di dimostrare il celebre postulato, oggetto di analisi già immediatamente dopo Euclide.

Una breve periodizzazione storica dei vari tentativi, fino all’effettivo atto di fondazione delle geometrie non euclidee individuabile fra il 1823 ed il 1829 è stata sistemata in modo eccellente da Roberto Bonola4, in un lavoro che è divenuto un classico in relazione alle tematiche trattate; ed è al lavoro di Bonola che si fa riferimento in questa trattazione per quel che riguarda la scansione temporale che giunge fino all’inizio dell’Ottocento. Egli infatti delinea tre gruppi fondamentali nel percorso storico che ha portato alla nascita delle geometrie non euclidee:

I dimostratori del V postulato euclideo: in cui sono annoverati coloro che proposero i tentativi di dimostrazione del postulato delle parallele dai Greci fino al XVII secolo;

3

Il testo preso in considerazione è: Euclide, a cura di Attilio Frajese e Lamberto Maccioni, Elementi, Utet, 1970.

4

Roberto Bonola, La geometria non euclidea: esposizione storico - critica del suo sviluppo, Cornell Univesity Library, 1906.

(9)

9

I precursori della geometria non euclidea: in cui compaiono coloro che volendo dimostrare il postulato delle parallele, hanno posto le basi per le speculazioni successive che portarono all’effettivo conoscimento di una scienza geometrica in sé consistente, cioè i geometri francesi di fine Settecento ed in primis Gerolamo Saccheri, Johann Heinrich Lambert e Adrien Marie Legendre;

I fondatori della geometria non euclidea: in cui vi sono coloro che presero coscienza della necessità di rifondare il sistema geometrico tradizionale e attribuirono validità ed indipendenza a proposizioni derivanti dai tentativi di dimostrazione del postulato delle parallele, riconoscendo in esse uno statuto di legittimità scientifica. Il Bonola però divide questo gruppo in due parti, inserendo nella prima Gauss, Schweikart e Taurinus e nella seconda Lobacevskji e Janos Bolyai, ponendo infine in un ultimo gruppo, come sviluppo successivo della geometria non euclidea, l’indirizzo metrico differenziale proprio di Bernard Riemann.

Tenendo presente questa suddivisione storica, in questo paragrafo si è inteso trattare in ordine: il primo gruppo, ossia quello comprendente i dimostratori del postulato delle parallele, al fine di rendere al lettore la continuità storica riguardante il discorso geometrico generato dagli Elementi di Euclide che Imre Toth definisce in modo felice una oratio continua5; il secondo gruppo, ossia quello comprendente i precursori della geometria non euclidea, mettendo in risalto soprattutto la figura di Gerolamo Saccheri, perché considerato punto di svolta decisivo all’interno dello sviluppo della storia non euclidea; ed infine il terzo gruppo, in cui sono compresi i fondatori della geometria non euclidea, ponendo l’accento sulla figura di Gauss quale introduzione a

5

Il testo cui si fa riferimento è: Imre Toth, De Interpretazione: la geometria non euclidea nel contesto della oratio

(10)

10

coloro che hanno effettivamente ratificato in sistema le proposizioni non euclidee, ossia Lobacevskji, Janos Bolyai e Bernard Riemann.

Per quel che riguarda il primo gruppo, dunque, bisogna prendere in considerazione il fatto che già i più antichi commentatori del testo di Euclide ritennero che il V postulato non fosse abbastanza evidente da essere accettato senza dimostrazione. Ciò portò come si è detto ai molteplici tentativi di dimostrarlo. Una fonte preziosa che ci permette di conoscere questi tentativi è Proclo, che nel suo Commento al I primo libro di Euclide, passa in rassegna le prime prove fatte in proposito. Fin da subito si è individuato nel concetto di parallelismo e nella sua conseguente definizione il nodo gordiano da sciogliere; infatti riporta Proclo che Posidonio (I secolo a.C.) propose di definire parallele due rette complanari ed equidistanti ma lo stesso Proclo nota successivamente che queste due caratteristiche non sono conseguenti e facendo riferimento ad una trattazione di Gemino (I secolo a.C.) porta gli esempi dell’iperbole, della concoide6

e del loro comportarsi in relazione ai propri asintoti, volendo mostrare che vi potrebbero essere linee parallele nel senso euclideo, ossia che prolungate all’infinito non si incontrano e tuttavia non parallele nel senso che intendeva Posidonio, ossia non equidistanti. A detta di Proclo, Gemino considerava questo fatto il “più paradossale della geometria”. Inoltre vi sarebbe una petitio

principii poiché se si segue il proposito di accordare la definizione di Euclide con quella di

Posidonio è necessario dimostrare che due rette complanari che non si incontrano tra loro sono equidistanti: cioè che il luogo dei punti equidistanti da una retta è una retta; e tale dimostrazione in Euclide poggia sul suo stesso postulato. Sempre Proclo riporta il tentativo effettuato da Claudio Tolomeo (II secolo d.C.), il quale prova a dimostrare il V postulato deducendolo dalla proposizione che vuole che la somma degli angoli interni di un triangolo sia uguale a due retti. In effetti da questa proposizione il postulato euclideo è facilmente ottenibile,

6Per chi fosse digiuno di geometria elementare, per concoide si intende letteralmente “a forma di conchiglia”. In

matematica, data una curva c, rispetto ad un punto O, la concoide della curva c è così definita: su una retta uscente da O, a partire dalle intersezioni M con la c, si riporta (da una parte e dall’altra) un segmento MP (intervallo) di lunghezza s prefissata; concoide della curva c è il luogo dei punti P al variare della retta per O.

(11)

11

ma Tolomeo per dimostrare la proposizione di partenza ipotizza che se quel caso si verifica per un triangolo lo stesso si verifica per tutti, la quale ipotesi è in verità così poco evidente tanto quanto lo stesso postulato euclideo. Proclo da par suo, nel proporre la propria soluzione al problema rifiuta di assumere come postulato una proposizione (quella euclidea) la cui inversa è un teorema. Egli nota infatti che la proposizione inversa del V postulato euclideo corrisponde alla diciassettesima del libro I degli Elementi, la quale afferma che la somma di due angoli interni di un triangolo è minore di due angoli retti. La dimostrazione di Proclo riposa dunque sulla seguente proposizione, assunta come evidente: la distanza tra due punti situati su due rette intersecantesi può rendersi grande quanto si vuole, prolungando sufficientemente le due rette.7 Da questa proposizione trae il lemma: una retta che incontra una di due parallele incontra necessariamente anche l’altra. Tuttavia Proclo introduce l’ipotesi che la distanza tra le due parallele rimane finita, potendo così dedurre logicamente il postulato euclideo ma senza contare il fatto che già l’assunzione del nuovo postulato ricavato da un passo di Aristotele non risulta certamente più evidente di quello euclideo.

Interessanti, nello sviluppo storico – critico di questo quadro, sono i tentativi offerti dai commentatori arabi del testo di Euclide. In questa sede ci limitiamo a ricordare il commento di Al Narizi (IX secolo d.C.) in sostanza fedele al procedimento adottato da Posidonio, fondando cioè la presunta dimostrazione sull’esistenza di rette parallele equidistanti; ed il commento di Nasir ed Din (XIII secolo d.C.), il quale trarrebbe validità dall’ipotesi che sia possibile derivare immediatamente che la somma degli angoli interni di un triangolo è uguale a due retti e da questo risultato ottenere il postulato euclideo, che ne è l’equivalente. Preme infine notare che il Bonola nel suo esauriente saggio ha escluso, per quanto riguarda l’elenco dei commentatori arabi, la figura di Thabit ibn Qurra (X secolo d.C.), noto all’occidente medioevale come Thebit. Egli infatti, noto al suo tempo per i suoi studi di meccanica, astronomia, matematica pura e

(12)

12

geometria, propose teorie che in seguito incrementarono il bagaglio di conoscenze che permisero la nascita delle geometrie non euclidee. Inoltre è sua una traduzione degli Elementi di Euclide. Dopo questo periodo alquanto prolifico per quel che riguarda la critica al testo euclideo, bisogna giungere alla seconda metà del XVI secolo per veder rifiorire i commenti al riguardo. Ciò perché vi fu la stampa, nel 1533 a Basilea, del Commento di Proclo nel testo originale e come versione latina a Padova nel 1560. Dei commentatori di questo periodo basti menzionare soltanto i nomi, poiché i loro tentativi, seppur discostandosi di poco, richiamavano quelli degli antichi; infatti Commandino, Clavio, Cataldi e Borrelli propongono soluzioni che gravitano sempre sul concetto di equidistanza e non apportano significativi progressi per la risoluzione del problema.

Il primo punto di svolta è dato da John Wallis (1616 – 1703), il quale giudicata infruttuosa la via tentata dai suoi predecessori, fondata sul concetto di equidistanza, propone l’assioma secondo il quale, data una figura, ne esiste un’altra ad essa simile e di dimensioni arbitrarie. Ma Wallis assume questa proposizione solo per il caso dei triangoli ed in seguito Gerolamo Saccheri dimostrerà che assumere questa proposizione equivale ad assumere l’ipotesi dell’angolo retto, ossia quello euclideo. Inoltre in questa argomentazione è sotteso il concetto di “forma” che a sua volta rimanda alla nozione di “similarità”, nozione non semplice che avrebbe bisogno di una ulteriore chiarificazione preliminare. Con Wallis si è convenuto chiudere l’elenco del primo gruppo, ossia quello dei dimostratori del V postulato, poiché successivamente ad esso spicca la figura di Gerolamo Saccheri, giustamente considerato uno dei precursori, se non il principale, delle geometrie non euclidee.

Si è così giunti al XVIII secolo, dove vi si possono collocare gli esponenti del secondo gruppo in cui è stata suddivisa questa esposizione storico – critica, ossia al secolo dei precursori delle geometrie non euclidee. In modo del tutto originale, considerato il percorso fin qui giunto, figura tra i commentatori Gerolamo Saccheri. Egli fu padre gesuita, insegnò dunque a Milano presso i collegi dei Gesuiti e in seguito fu professore di matematica nell’Università di Pavia dal 1699.

(13)

13

Oltre ai suoi lavori sulla geometria, si impegnò nell’organizzare la logica sillogistica aristotelica con l’opera intitolata Logica demonstrativa del 1697. Ma la sua opera principale e che ci interessa più da vicino è l’Euclides ab omni naevo vindicatus: sive conatus geometricus quo

stabiliuntur prima ipsa universae Geometria Principia stampata a Milano e datata 1733. Questa

opera segna il punto di rottura decisivo con i commentari precedenti, e possiamo individuare il carattere di originalità di questo testo in due punti fondamentali:

1. Il problema è affrontato da un punto di vista logico, in relazione alle ricerche effettuate da Saccheri nella Logica demonstrativa, cioè non cerca di sostituire il postulato con una ipotesi differente o cerca una diversa definizione di parallelismo, ma applica il metodo di ragionamento già usato nell’opera citata per dimostrare che il V postulato è una conseguenza logica dei primi quattro. Il ragionamento consiste nel negare il postulato delle parallele e di ottenere da questa negazione tutte le conseguenze logiche necessarie fino ad incontrarne una che risulti in contraddizione con il sistema dei primi quattro postulati di Euclide. Così facendo si sarebbe dimostrato che conseguenza degli assiomi e della negazione del V postulato è un assurdo.

2. L’operare di questo approccio porta Saccheri ad essere il primo a prendere in esame tutte le possibilità che la negazione del V postulato comporta, tale che può essere considerato, con il senno di poi, il precursore di entrambe le due successive geometrie non euclidee scoperte, quella ellittica e quella iperbolica.

Non bisogna altresì dimenticare che la configurazione del sapere geometrico del tempo è permeata da un sistema di giustificazione ancora legato alla tradizione. I teoremi euclidei erano considerati, dallo stesso Saccheri, delle verità incontrovertibili. Inoltre la fruizione della geometria nelle pratiche quotidiane, intese come processi produttivi, ne forniva un’immagine di utilità sociale e ne confermava la “verità”. Per questo l’opera di Saccheri, ponendo alla base

(14)

14

alcuni postulati di fatto non euclidei, porta a richiedere la produzione di una catena operatoria non euclidea ( es. nuova definizione di parallelismo). Il punto di svolta è dunque l’aver reso fruibile una catena operatoria non euclidea in contesti scientifici posteriori.

Analizzando il ragionamento di Saccheri, si nota come egli prenda le mosse dalla considerazione di una figura fondamentale: il quadrilatero birettangolo isoscele, ottenuto innalzando dagli estremi A e B della base AB due lati AD e BC uguali fra loro e perpendicolari alla base. Quindi dimostra che i due angoli in C e in D sono uguali (γ = δ). Se questi angoli sono a loro volta angoli retti ci troviamo nell’ipotesi euclidea, invece se assumiamo che essi siano o entrambi acuti o entrambi ottusi neghiamo implicitamente in entrambi i casi il V postulato di Euclide.

Figura 1.

D C

A B

Si delineano quindi tre ipotesi:

1. Ipotesi dell’angolo retto: γ = δ = 90° 2. Ipotesi dell’angolo ottuso: γ = δ > 90° 3. Ipotesi dell’angolo acuto: γ = δ < 90°

L’ipotesi dell’angolo retto ci porta alla validità della proposizione euclidea; per quel che riguarda invece l’ipotesi dell’angolo ottuso, Saccheri afferma che “distrugge se stessa”, poiché egli aveva dimostrato in precedenza che il V postulato è vero nel caso dell’ipotesi dell’angolo retto e in

δ γ

(15)

15

quella dell’angolo ottuso; basti allora considerare che valgono anche tutti i teoremi deducibili da quel postulato, in particolare quello che afferma la somma degli angoli del quadrilatero essere pari a quattro retti; viene dunque a cadere la 2 la quale richiede che questa somma sia maggiore di quattro retti da cui se ne deriva che è vera l’ipotesi dell’angolo retto. In realtà il procedimento di Saccheri non è corretto, poiché così facendo prova soltanto la non compatibilità dell’ipotesi dell’angolo ottuso con il sistema complessivo delle premesse della geometria che egli ha assunto. Comunque, Saccheri procede nel tentativo di confutare la seconda ipotesi, cioè quella dell’angolo acuto. Data come ipotesi l’esistenza di due rette complanari non incidenti e prive di perpendicolare comune, Saccheri dimostra che tali rette tendono sempre più ad avvicinarsi tra loro e che la loro distanza arriva ad essere minore di un segmento piccolo a piacere. In poche parole, se esistono due rette complanari non incidenti prive di perpendicolare comune, esse debbono comportarsi asintoticamente tra loro. Al fine di provare l’esistenza di rette asintotiche Saccheri argomenta nel modo seguente: Le rette di un fascio di centro A possono, rispetto ad una retta b complanare al fascio e non passante per A, ripartirsi in due gruppi:

1. Rette del fascio incidenti a b;

2. Rette del fascio che ammettono con b una perpendicolare comune;

In virtù del principio della continuità esistono due rette p, q che dividono il fascio in due parti: alla prima parte appartengono le rette incidenti a b, alla seconda le rette non incidenti a b ed aventi con b una perpendicolare comune. Per quanto riguarda le rette p e q si dimostra che esse non appartengono a nessuna delle due parti. Infatti che p non sia incidente a b è evidente. Per provare che p non ammette perpendicolare con b si ragioni per assurdo; sia PB l’ipotetica perpendicolare alle due rette p e b. Tracciata da A la perpendicolare AM su b e preso su b il punto B´, da banda opposta di M rispetto a B si elevi la B´P´ perpendicolarmente a b, poi si tracci la perpendicolare AP´ su B´P´. La retta AP´ non è incidente a b perché ammette con b una perpendicolare comune ed incontra la PB in un punto R. L’angolo ARB supplementare

(16)

16

all’angolo acuto BRP´ è ottuso, perciò il raggio AR cadrà nell’angolo MAP. Ma allora AR sarebbe ad un tempo secante e non secante rispetto a b. Questa contraddizione fa crollare l’ipotesi di una perpendicolare comune a b e p. Si concluda pertanto che le rette p e q sono asintotiche alla retta b.

A questo punto Saccheri conclude riponendo fiducia più che alla logica, alla fede nella validità del V postulato, chiosando che l’ipotesi dell’angolo acuto è assolutamente falsa perché “ripugna

alla natura della linea retta”. Comunque, pur venendo meno al suo proposito, l’opera di

Saccheri è di importanza capitale poiché non avendo scoperto delle contraddizioni nell’ipotesi dell’angolo acuto, ha dato luogo all’edificazione di un sistema geometrico logicamente conseguente, ed ha altresì istillato il dubbio che il postulato euclideo fosse indimostrabile. Inoltre quest’opera ebbe una discreta diffusione dopo la sua pubblicazione. Prova ne è il fatto che sia citata in due storie delle matematiche, rispettivamente di Johann Christoph Heilbronner (Lipsia, 1742) e di Montucla (Parigi, 1758). Ciononostante subì un periodo di oblio e fu riproposta all’attenzione generale da Eugenio Beltrami8

solo nel 1889, in un suo intervento all’Accademia dei Lincei.

Gli altri commentatori pressappoco contemporanei di Saccheri e che hanno avuto una certa risonanza sono indubbiamente Johann Heinrich Lambert e Adrien Marie Legendre. L’opera principale di Lambert è Teoria delle parallele edita postuma nel 1782 da Bernoulli e Hindenburg. Essa consta di tre parti, di cui la terza è quella oggetto di maggiore interesse, in quanto richiama il lavoro svolto precedentemente da Saccheri, ossia basa il suo metodo d’indagine sull’analisi delle tre ipotesi dell’angolo retto, ottuso e acuto. Seppur con delle

8

Eugenio Beltrami (1835 – 1900) è stato un matematico italiano, noto per l’importanza dei suoi studi riguardo le geometrie non euclidee e l’elettromagnetismo. A lui va indubbiamente il merito di aver fatto si che in Italia si ponesse attenzione alle teorie di Bolyai e Lobacevskij ed inoltre fu traduttore in italiano degli studi di Gauss sulla rappresentazione conforme. Dai suoi studi sulle superfici a curvatura negativa giunge dunque al suo risultato più importante e noto: Saggio sopra un’interpretazione della geometria non euclidea, del 1868.

(17)

17

differenze formali, quali la scelta di figure diverse rispetto a Saccheri per sostenere le tre ipotesi, Lambert giunge ai medesimi risultati dell’italiano.

Una scoperta degna di rilievo invece, si riferisce alla misura delle grandezze geometriche. Essa nota che nella geometria che viene ricavata dalla terza ipotesi (angolo acuto), si può conferire un significato assoluto alla misura dei segmenti; mentre nella geometria ordinaria alla misura dei segmenti compete solamente un significato relativo alla scelta di una particolare unità. Ci troviamo di fronte quindi ad una necessaria chiarezza da fare riguardo la distinzione presentata tra assoluto e relativo. In generale, riguardo una qualsivoglia data questione, si può supporre che gli elementi dati si possano dividere in due gruppi, in modo che si considerino appartenenti al primo gruppo quegli elementi fissi in tutto il campo delle nostre considerazioni, mentre quelli appartenenti al secondo gruppo sono considerati liberi di variare in una molteplicità di casi possibili. Posta in questo modo la questione, si è soliti considerare ciò che dipende dai dati del secondo gruppo (variabili) come relativo e ciò che dipende dai dati del primo gruppo (fissi) come assoluto.

Rivolgendo la nostra attenzione alla geometria, è evidente che in ogni studio concreto è possibile supporre come date certe figure e quindi di conseguenza le grandezze dei loro elementi. Ovviamente questi sono dati variabili (del secondo gruppo), che è possibile scegliere in modo arbitrario; ma oltre ciò è altrettanto evidente che è sempre presupposta l’aggiunta delle figure fondamentali, quali possono essere rette, piani, fasci etc. che sono dati fissi (del primo gruppo). Allora ogni costruzione, ogni misura, dovrà ritenersi come relativa se concerne i dati variabili; dovrà invece dirsi assoluta se concerne soltanto i dati fissi (le figure fondamentali di cui sopra), oppure può apparentemente dipendere dai dati variabili se enunciata in rapporto ad essi, rimanendo però fissa al variare di quest’ultimi. Considerata in questo senso ne deriva che nella geometria ordinaria la misura dei segmenti ha necessariamente un significato relativo. Infatti per esempio le trasformazioni per similitudine non ci permettono in alcun modo di individuare la

(18)

18

grandezza di un segmento rispetto alle figure fondamentali (retta, piano, fascio etc.). Per quanto riguarda l’angolo invece, è possibile scegliere un modo di misura che ne possa esprimere una proprietà assoluta: bisogna infatti considerare il suo rapporto all’angolo di un giro, ossia all’intero fascio, che è una figura fondamentale.

Per quanto concerne il pensiero di Lambert e nello specifico la geometria derivante dall’ipotesi dell’angolo acuto, notiamo come egli considera possibile far corrispondere ad ogni segmento un angolo determinato; ciò porta ogni segmento ad essere in relazione con la figura fondamentale

fascio. Ne consegue che nella nuova ed ancora “ipotetica” geometria si può attribuire un

significato assoluto alla misura dei segmenti. Molto brevemente e nella speranza di rendere con chiarezza il procedimento di Lambert esposto sopra, ossia la possibilità di costruire, dato l’angolo, l’unità assoluta dei segmenti, riteniamo opportuno riportare come esempio chiarificatore la risoluzione di un problema geometrico strettamente correlato che è espresso come segue: Si costruisca, nell’ipotesi dell’angolo acuto, un triangolo equilatero di assegnata

deficienza. Ora, considerati α, β, e γ le misure in radianti del triangolo equilatero ABC, Lambert

definisce deficienza di ABC il numero positivo δ = π - (α + β + γ).

Si dimostra che: l’area di un triangolo è proporzionale alla deficienza δ.

Tale risultato comporta delle conseguenze molto importanti. In particolare, viene “distrutto” il concetto di similitudine; infatti due triangoli simili, nella geometria euclidea, hanno angoli congruenti e aree diverse (e precisamente proporzionali ai quadrati dei lati); tale possibilità, nell'ipotesi dell'angolo acuto, non è più ammessa: due triangoli aventi angoli congruenti, avendo eguale deficienza, hanno necessariamente la stessa area e perciò non esistono triangoli simili!

Tale risultato inoltre, pur non contraddicendo di fatto i primi quattro postulati di Euclide e non essendo in sé contraddittorio, è rifiutato dalla nostra intuizione geometrica la quale fa si che la misura assoluta di tutte queste grandezze geometriche ci sembri impossibile. Per cui, negando l’esistenza

(19)

19

dell’unità assoluta per i segmenti, si potrebbe, come fece appunto Lambert, rigettare l’ipotesi dell’angolo acuto. Ma lo stesso Lambert lasciò la questione in sospeso, essendo perfettamente conscio del carattere arbitrario della precedente affermazione. Chiudiamo dicendo che così come per Saccheri, l’opera di Lambert pur essendo per il suo autore un fallimento, in quanto non dimostrò il V postulato e soprattutto non riuscì nell’intento dichiarato di trovare almeno una contraddizione nelle ipotesi contrarie ad esso, è pur tuttavia un testo molto importante e come si è potuto notare, ricco di spunti originali. Ciò però non permette di considerare le ricerche di Saccheri e Lambert come prove dell’indimostrabilità dell’ipotesi euclidea; nondimeno, scevre della preoccupazione saccheriana di scoprirvi delle contraddizioni, esse costituiscono in linea storica una tappa fondamentale per la conquista dell’indimostrabilità del V postulato e per la scoperta delle geometrie non euclidee.

Prima di trattare più da vicino il lavoro di Legendre, autore con il quale chiudiamo l’elenco di coloro i quali sono stati considerati da Roberto Bonola i precursori delle geometrie non euclidee nel suo ottimo saggio già citato, preme ricordare che vi furono svariati altri autori, soprattutto in Francia verso la fine del XVIII secolo, che si cimentarono in tentativi riguardanti le problematiche proprie del V postulato. Al fine di non stilare un inutile elenco di nomi e di non dilungare ulteriormente questa breve nota storica, basti sapere che questi autori tennero vivo il discorso intorno le questioni oggetto di questa trattazione. Intanto è bene notare che, dato il generale insuccesso delle ricerche che erano finora state condotte, nella seconda metà del XVIII secolo prendeva sempre più corpo la convinzione che si dovesse ammettere senza dimostrazione il V postulato euclideo o qualsiasi altro postulato equivalente: ciò non è una considerazione da poco, poiché si è ben potuto vedere quanto abbia influito sulle opere precedenti la profonda ed a volte “irragionevole” fede nella esclusiva validità dell’ipotesi euclidea e nella conseguente “veridicità” di essa nel descrivere lo spazio fisico che ci circonda.

Quale ultimo esponente di rilievo della corrente di pensiero tradizionalista, che mirava dunque alla dimostrazione del V postulato, ci pare d’obbligo considerare l’opera di Adrien Marie Legendre. Questi raccolse le numerose indagini rivolte verso lo studio della teoria delle parallele nell’opera

(20)

20

intitolata Elementi di geometria, che ebbe la fortuna di ben dodici edizioni, distribuite dal 1794 al 1823. Il punto cardine del suo lavoro poggia sul tentativo di ridurre il V postulato a teorema, ossia di fornirne una dimostrazione. Nei suoi diversi tentativi di dimostrazione, è comune il punto di partenza: ossia dimostrare il postulato delle parallele ricavandolo dalla proposizione (che deve essere dimostrata in via preliminare) che la somma degli angoli interni di un triangolo è uguale a due angoli retti. Egli perciò scarta l’ipotesi dell’angolo ottuso alla stessa maniera di Saccheri o potremmo dire alla stessa errata maniera di Saccheri, poiché giudica la somma degli angoli interni di un triangolo minore o uguale a due retti, deducendo invece una contraddizione dai teoremi conseguenti l’ipotesi dell’angolo ottuso. Ma come per Saccheri, ciò dimostra solo la non compatibilità di questa ipotesi con il sistema complessivo delle premesse del sistema geometrico assunto. Tuttavia Legendre giunge a confutare l’ipotesi dell’angolo acuto alla stessa maniera di Lambert, ossia basandola sull’impossibilità di

un’unità assoluta di lunghezza. Ma abbiamo visto come lo stesso Lambert nutrisse dei dubbi su questa

proposizione, poiché era consapevole del carattere di arbitrarietà che essa aveva. Pur tuttavia Legendre giudicò valida l’affermazione di Lambert e se ne servì per refutare l’ipotesi dell’angolo acuto. Stabilita dunque la validità dell’ipotesi dell’angolo retto, Legendre derivò il postulato delle parallele nella forma dell’unicità, ossia “dimostra” la proposizione: se la somma degli angoli interni di un triangolo

è uguale a due retti, per ogni punto di un piano può condursi una e una sola parallela alla retta data.

Nelle molteplici dimostrazioni effettuate, Legendre assume delle ipotesi equivalenti al postulato euclideo o certamente non più evidenti di esso, del tipo:

1. Preso un punto nella porzione di piano determinata da un angolo, è possibile tracciare una retta secante i due lati dell’angolo;

2. La scelta dell’unità di lunghezza non incide sulla verità di ciò che viene dimostrato (esistono figure simili di dimensione arbitraria);

(21)

21

Ciò dimostra che Legendre non ha portato un effettivo contributo alla scoperta delle geometrie non euclidee, poiché ancora pervaso dalla corrente di pensiero tradizionalista volta al tentativo di dimostrare il postulato euclideo e per personale parere dello scrivente ha dimostrato anche un certo minore senso critico rispetto agli illustri predecessori quali Saccheri e Lambert; però gli va riconosciuto un importantissimo ruolo all’interno di quella che, come abbiamo già avuto modo di dire precedentemente in questo scritto con la felicissima espressione di Imre Toth, si definisce una oratio continua riguardante il discorso non euclideo. Poiché è innegabile che egli abbia contribuito in modo preponderante alla diffusione delle problematiche trattate, anche in ambito scolastico.

Siamo giunti finalmente seguendo la suddivisione adottata, aderente in massima parte a quella del Bonola, agli esponenti del terzo gruppo, ossia a coloro definiti i fondatori della geometria non euclidea. Come si è specificato all’inizio di questa trattazione, il Bonola divide questo gruppo in due parti, considerando nella prima autori quali Gauss, Schweikart e Taurinus e nella seconda Lobacevskji, Janos Bolyai e infine Bernard Riemann. Seguiremo ovviamente questa procedura che abbiamo deciso di condividere, poiché porta a delle considerazioni non pleonastiche. Formalmente infatti, l’atto di nascita della geometria non euclidea è sancito dagli studi di Lobacevskji e Janos Bolyai. Tuttavia il fatto che il Bonola comprenda tra i fondatori Gauss, Schweikart e Taurinus ha una ragione concreta. Abbiamo già avuto modo di accennare che verso la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo vi era un clima di rigoroso rinnovamento e di critica riguardante la fondazione della matematica. In questo clima tuttavia, le inutili ed infruttuose ricerche sul V postulato indussero molti geometri nella convinzione che l’assetto definitivo della teoria delle parallele fosse un problema irresolubile. Una delle scuole più vivaci, quella di Gottinga, aveva ufficialmente dichiarato la necessità di rassegnarsi all’ipotesi euclidea. Nondimeno l’interesse verso il nostro argomento fu sempre vivo e portò alla scoperta di nuovi

(22)

22

sistemi geometrici. Le difficoltà maggiori però, per chi volesse aderire al nuovo ordine di idee derivavano dall’allora dominante filosofia kantiana.

In questo contesto, emerge la figura di Karl Friedrich Gauss (1777 – 1855). Egli prese interesse al problema dell’indipendenza del postulato delle parallele mentre era ancora studente a Gottinga, ponendosi sulla scia degli studiosi che l’avevano preceduto. Forse complice l’influenza della filosofia kantiana dello spazio egli provò a dimostrare il V postulato, rendendosi ben presto conto che vi è un’impossibilità intrinseca di dimostrarlo e prese corpo nella sua mente la legittimità della costruzione di un sistema geometrico che si fondi sulla sua negazione. Giunge pertanto, con consapevolezza, all’idea di una geometria non euclidea. I documenti che riportano una ricostruzione delle ricerche gaussiane sono principalmente le corrispondenze che ebbe con Wolfgang Bolyai (padre di Janos Bolyai), Olbers, Schumacher, Gerling, Taurinus e Bessel. Da questi documenti emerge che Gauss giunse alla concezione di una geometria non euclidea non senza un lungo e faticoso lavoro. Una domanda che uno storico del problema debba porsi è se Gauss conoscesse nel primo periodo dei suoi studi le opere di Saccheri e Lambert e se si, quale influenza ebbero su di esso. Il professor Corrado Segre nelle sue “Congetture”9 ci fa notare che sia Gauss (dal 1795 al 1798) quanto Wolfgang Bolyai (1796 al 1799) durante il loro soggiorno a Gottinga ebbero modo di occuparsi delle parallele. È dunque possibile che essendo a Gottinga e trattando questi temi, entrambi sotto l’influenza di due eminenti conoscitori del problema quali Kaestner10 e Seyffer11, venissero a conoscenza delle opere di Saccheri e Lambert, anche se non si hanno dati storici che permettono di perorare questa tesi. Comunque la data spartiacque nel lavoro gaussiano è il 1813. In tale data infatti, da quanto risulta dai numerosi carteggi, Gauss vinse le reticenze iniziali e iniziò a sviluppare i teoremi fondamentali di una nuova geometria, da

9

Corrado Segre: «Congetture intorno alla influenza di Girolamo Saccheri sulla formazione della geometria non

euclidea», Atti Acc. Scienze di Torino, t. XXXV III, 1903.

10 Abraham Gotthelf Kaestner (1719 – 1800), autore dell’opera: “De habitu matheseos et physicae ad religionem,

1752.

11

(23)

23

egli chiamata in primo luogo antieuclidea (in una lettera a Watcher), poi geometria astrale (in accordo con Schweikart) ed infine non euclidea (lettera a Schumacher). Formò quindi il pensiero che la geometria non euclidea non avesse nulla di contraddittorio benché apparisse paradossale. Tuttavia non pubblicò mai i risultati delle sue ricerche, perché come ebbe a dire in una lettera a Bessel nel 1829, temeva le “strida dei beoti”. Questa forte espressione di Gauss è la rappresentazione perfetta di come fosse il clima dell’epoca. Benché nell’aria infatti circolassero le nuove idee, c’era ancora una forte diffidenza da parte di tutto l’ambiente scientifico. Gauss ormai era convinto che la geometria non euclidea, sebbene apparentemente paradossale e totalmente non intuitiva, poteva riflettere proprietà intrinseche dello spazio reale. Per questo nel 1831 decise di raccogliere le proprie riflessioni in alcuni scritti che avrebbe forse anche pubblicato, quando nel medesimo periodo ricevette da Wolfgang Bolyai l’opera: “Tentamen

juventutem studiosa in elementa matheseos” contenente in appendice il lavoro del figlio Janos

dove viene presentato un sistema di geometria non euclidea iperbolica. Gauss desistette dal pubblicare i suoi scritti e riconobbe che gli studi effettuati in quell’opera coincidevano in larga parte con quelli che egli aveva fatto durante l’arco della sua vita.

Consideriamo brevemente e senza pretesa di profondità scientifica particolare il punto di partenza degli studi di Gauss, al fine di cogliere quantomeno il punto cruciale delle sue teorie. Esse furono sviluppate, come detto, sottotraccia e lungo un ampio periodo di studio della sua vita; egli muove dunque dalla seguente definizione di parallelismo:

“Se due rette complanari AM e BN non si incontrano, mentre d’altra parte ogni retta tracciata per A fra AM e AB incontra BN, allora AM si dice parallela a BN”

(24)

24 Figura 2.

B N

A M

La differenza con la definizione euclidea di parallelismo risulta evidente; secondo questa definizione infatti, se non si accetta il postulato euclideo abbiamo infinite rette passanti per A che non incontrano BN, cioè sono parallele ad essa in senso euclideo. Gauss dimostra quindi che la relazione definita in questo modo è simmetrica, indipendente dalla scelta dei punti A e B sulle rispettive rette e transitiva, ossia che se una retta è parallela ad altre due quest’ultime sono parallele tra loro. Inoltre introduce il concetto di punti corrispondenti su due parallele AA’ e BB’ denominando questi due punti A e B quando la retta AB forma angoli alterni interni uguali con le parallele dalla medesima parte.

Figura 3. A A’ α β α = β B B’

(25)

25

In virtù dell’introduzione di questo concetto, Gauss può giungere a definire la circonferenza come il luogo dei punti sulle rette di un fascio12 corrispondenti ad un punto stabilito. Se il centro di tale fascio tende all’infinito, ossia le rette appartenenti al fascio sono parallele, si avrà nell’ipotesi euclidea che tale luogo è una retta (potendo essere concepita come una circonferenza con raggio infinito); invece, nell’ipotesi dell’angolo acuto per esempio, si avrà come luogo una curva avente alcune proprietà in comune con una circonferenza euclidea pur tuttavia non essendo una circonferenza. Questo luogo geometrico sarà rilevante nei sistemi della geometria iperbolica di Lobacevskji e Janos Bolyai, ed è oggi conosciuto con il nome di oriciclo13.

Una importantissima nota di Gauss relativa a questo tipo di geometria, riguarda la questione delle unità di lunghezza. Gauss infatti, in una geometria così costruita, è in grado di stabilire l’esistenza di una unità di lunghezza assoluta (si pensi al lavoro di Lambert, in primis), e in più nelle formule che adotta compare una costante k dalla quale è possibile derivare la risoluzione di qualunque dei problemi inerenti una geometria non euclidea così costruita. Senza entrare nel merito strettamente scientifico, ricordiamo che in quest’ottica, il sistema geometrico gaussiano

contiene la geometria euclidea come caso particolare, ponendo k = ∞. Come detto in precedenza,

Gauss non proseguì la sua redazione, perché nel 1832 ricevette l’opera di Wolfgang Bolyai con la preziosa appendice del figlio Janos, nella quale si parlava di geometria assoluta. Comunque risulta palese l’incisività di Gauss riguardo il problema delle parallele e l’importanza che ebbe il suo pensiero nel rivedere il rapporto che intercorre tra la geometria e lo spazio fisico e fino a che punto questa descriva sufficientemente quello. Tutto ciò avendo la “forza” mentale di rendere scevro dall’atto puramente intuitivo il nostro giudizio al riguardo.

12

Si intende, per fascio di rette, l’insieme di tutte le rette del piano passanti per un punto fisso del piano stesso; tale punto è definito “centro” oppure “sostegno” del fascio. Qualora il centro del fascio fosse all’infinito, le rette costituenti lo stesso risulterebbero essere parallele, portando a definire tale fascio “improprio”.

13

Nello specifico, nella geometria piana iperbolica, linea che taglia ortogonalmente tutte le rette di un medesimo fascio improprio.

(26)

26

Fra coloro che subirono l’influenza di Gauss, vi è sicuramente Ferdinand Karl Schweikart (1780 – 1859). Le sue ricerche, contemporanee ed indipendenti a quelle di Gauss, verterono in principio sulla teoria delle parallele, fondandola sul concetto di parallelogramma, in particolare nell’opera “La teoria delle parallele col proposito di eliminarla dalla geometria” datata 1807. In seguito però, a Marburg nel Dicembre del 1818, sviluppa una teoria indipendente dall’ipotesi euclidea ed invia a Gauss un “memorandum” di una sola pagina nel quale sostiene l’esistenza di due tipi differenti di geometria: la geometria euclidea e la geometria astrale, nella quale sviluppa l’ipotesi dell’angolo acuto. Nel foglio che arrivò a Gauss c’erano pressappoco queste indicazioni:

“Esistono due tipi di geometrie, una geometria in senso ristretto, euclidea; ed una geometria astrale. I triangoli in quest’ultima hanno la particolarità che la somma dei loro tre angoli non è uguale a due angoli retti. Ciò posto, si può dimostrare rigorosamente:

1. che la somma dei tre angoli di un triangolo è minore di due angoli retti;

2. che questa somma è tanto più piccola quanto più grande è l’area del triangolo;

3. che l’altezza di un triangolo rettangolo isoscele, pur crescendo col crescere dei lati,

tuttavia non può superare un certo segmento, che io chiamo costante.

Se questa costante fosse per noi il semiasse terrestre, essa sarebbe infinitamente grande, rispetto

alle dimensioni che si presentano nella vita quotidiana. La geometria euclidea vale nell’ipotesi che la costante sia infinitamente grande. Solo allora è vero che la somma dei tre angoli d’ogni triangolo è uguale a due retti, e ciò si lascia dimostrare facilmente soltanto se si ammette per

dato che la costante sia infinitamente grande.”

Non c’è dubbio che la geometria non euclidea di Gauss e la geometria astrale di Schweikart corrispondano fedelmente al sistema di Saccheri e Lambert dell’ipotesi dell’angolo acuto. Schweikart inoltre è convinto che nello spazio reale per distanze astronomiche, valga una

(27)

27

geometria differente da quella euclidea, e che quest’ultima sia la geometria che maggiormente si adatta alle distanze più piccole. Un altro punto, infine, che accomuna i due percorsi di ricerca è che entrambi gli autori scelsero di non pubblicare i rispettivi lavori.

Per quanto riguarda Schweikart, va detto che oltre ad occuparsi direttamente del problema delle parallele, ebbe il merito di coinvolgere con profitto in questi studi suo nipote, Franz Adolf Taurinus (1794 – 1874). Schweikart portò Taurinus a rivolgere l’attenzione alla sua geometria

astrale ed al giudizio positivo che Gauss ebbe di essa. Tuttavia, quando nel 1824 Taurinus

cominciò a lavorare sull’argomento, nutriva delle vedute nettamente diverse da quelle dello zio. Infatti egli era e fu sempre persuaso della validità del V postulato e coltivava la speranza di poterlo dimostrare. Ovviamente fallì nel suo proposito e pur non vedendo intaccata la sua fede nella validità dell’ipotesi euclidea, si accinse sotto pressioni dello zio e di Gauss a considerare il problema con un’altra prospettiva. Nel 1825 quindi pubblicò l’opera “Teoria delle parallele” nella quale si pone in linea con i sistemi di Saccheri e Lambert e rifiuta l’ipotesi dell’angolo ottuso. In questo lavoro egli ritrova la costante che già Gauss e Schweikart avevano ritrovato, denominandola però “parametro”14, ma poiché essa implicherebbe l’esistenza di un’unità assoluta di lunghezza, rigetta tale ipotesi poiché contraria alla nostra intuizione di spazio pur osservando che essa è logicamente in accordo con il resto dei postulati euclidei. Il lavoro indubbiamente più importante di Taurinus vede la luce l’anno dopo (1826) a Colonia ed è intitolato “Geometriae prima elementa”. Qui egli migliora i suoi precedenti studi e dimostra concretamente come si possa costruire un sistema geometrico sotto l’ipotesi dell’angolo acuto. Il suo procedimento in particolare muove da una formula fondamentale della geometria sferica:

cos 𝑎 𝑘 = cos 𝑏 𝑘 cos 𝑐 𝑘 + 𝑠𝑒𝑛 𝑏 𝑘 𝑠𝑒𝑛 𝑐 𝑘 cos 𝛼 14

È bene precisare che la costante C di Schweikart non coincide con la costante k di Gauss. Le due costanti sono in relazione tra loro in questo modo:

𝑘 = 𝐶 log⁡(1 + 2)

(28)

28

Quindi assume come immaginario il raggio k della sfera denominandolo ik (con i = −1) e trova la formula fondamentale di quella che egli ebbe a denominare geometria logaritmico –

sferica. In questa geometria, la somma degli angoli interni di un triangolo, in genere minore di

due angoli retti, tende a 180° quando i lati del triangolo tendono a zero. Non ci tratterremo oltre sugli sviluppi strettamente matematici di questa geometria, basti ricordare che Taurinus in essa individua quello che Lobacevskji chiamerà angolo di parallelismo. Infine, Taurinus riconobbe che la geometria logaritmico – sferica rappresenta quel sistema valido per l’ipotesi dell’angolo ottuso, pur non riconoscendola valida sul piano; la geometria euclidea inoltre risulta essere una specie di passaggio fra la geometria sferica e la geometria logaritmico – sferica: tale passaggio è possibile facendo variare il “parametro” (raggio k) con continuità dal campo reale al campo puramente immaginario, attraverso l’infinito.

Con Taurinus chiudiamo la prima parte del terzo gruppo, ossia dei fondatori della geometria non euclidea. Come si è avuto modo di notare Gauss, Schweikart e Taurinus giunsero sostanzialmente ad un sistema di geometria non euclidea, ampliando ed arricchendo le intuizioni ed i lavori di Saccheri e Lambert.

La partizione del Bonola a questo punto, mostra coloro i quali non solo giunsero ad un sistema di geometria non euclidea, bensì resero pubbliche le loro ricerche, facendo si che l’atto di “scoperta” delle geometrie non euclidee fosse sancito in modo definitivo ed inequivocabile. Pur rispettando quindi il procedimento del Bonola, riteniamo più consono chiudere qui questa breve nota storica e dedicare una parte a se stante ai principali autori della scoperta non euclidea definitiva. Pertanto gli studi e le problematiche sollevate da Janos Bolyai, Nikolaj Lobacevskji ed in ultimo Bernard Riemann, saranno oggetto di trattazione nel paragrafo successivo.

(29)

29

2. GEOMETRIA ASSOLUTA, IMMAGINARIA ED ELLITTICA

Poichè, come risulta dalla breve esposizione del paragrafo precedente, si era giunti alla consapevolezza di nuovi sistemi geometrici, è doveroso e lecito interrogarci sulle nuove interpretazioni che essi suscitano; ossia, sui nuovi spazi epistemici che essi offrono. Nel fare ciò pare opportuno ricordare che per una analisi epistemologica soddisfacente, occorre attingere ad un certo repertorio teorico – ideologico che soltanto i testi nei quali si manifesta la produzione della nuova geometria (non euclidea) possono dare. In generale, leggere un testo è avviarne l’analisi epistemologica. Il lavoro derivante da tale lettura comporta una cernita degli oggetti posti in analisi ed impone una loro sistemazione in base ad un nuovo livello di organizzazione concettuale. Effettuare tale analisi significa prendere in considerazione le condizioni reali di uno o più linguaggi e le variabili che in esso operano. Nel nostro caso, nel linguaggio geometrico di Lobacevskji e Janos Bolyai coesistono proposizioni geometriche nuove e proposizioni geometriche già strutturate in altri contesti. Esplicitamente, ci riferiamo al corpus geometrico euclideo più la catena di significanti prodotti nei tentativi di renderlo più preciso (cioè tutti i tentativi di dimostrare il V postulato e quindi di chiarire il problema delle parallele).

Detto ciò, ci troviamo a constatare che l’universo non euclideo vede alla sua origine un corpo di teoremi esportati dal contesto nel quale sono stati prodotti ed elaborati indipendentemente dalle reali situazioni teoriche in cui erano stati sviluppati. Ciò ha portato allo sviluppo di sistemi geometrici nuovi e strutture prima sconosciute. Ma, degno di nota, è prendere coscienza dell’origine operatoria della geometria non euclidea. Con il termine operatoria, intendiamo una pratica prettamente matematica di sradicamento continuo di corpi di enunciati e del loro riconferimento di senso. Ossia la capacità della matematica di rinnovare continuamente il suo linguaggio senza uscire da esso. È tuttavia una modalità produttiva sempre riscontrabile nella storia della matematica. In questo modo, un’ampia parte della geometria euclidea tramite

(30)

30

l’aspetto puramente tecnico della teoria delle parallele e di tutto ciò che ne è conseguito, viene sradicata dall’aspetto originario nel quale nacque e si trasforma in geometria non euclidea.

Grazie a ciò avviene quindi la produzione di nuovi linguaggi (geometria assoluta, immaginaria, ellittica, differenziale etc.) nei quali il modus operandi proprio della geometria euclidea (metodo deduttivo – intuitivo originario, forma delle dimostrazioni etc.) scompare lasciando il posto al nuovo campo concettuale. Questo nuovo campo concettuale, dato dall’apporto innovatore in

primis di Lobacevskji e Janos Bolyai, ci induce a sollevare due possibilità epistemologiche:

1. Possibilità di stabilire una visione continuista del manifestarsi dei concetti non euclidei; cioè la novità teorica corrisponderebbe ad una normale evoluzione dei concetti antichi, che la contenevano già in forma primordiale. Questa interpretazione, ovviamente, elimina il carattere di rottura epistemologica delle geometrie non euclidee;

2. La concezione filosofico – metafisica dello spazio di derivazione kantiana, in particolare nei contesti culturali della seconda metà dell’Ottocento, accoglie la modalità interpretativa precedente; la geometria non euclidea è un mero ampliamento tecnico, una questione di geometria astratta, completamente inutile per la nozione fisica di spazio.

Quello che, dunque, nelle immediate interpretazioni filosofiche della nuova geometria viene perduto, è il significato eversivo nei confronti della nozione tradizionale ed intuitiva di spazio. In questa particolare contingenza storica, la complessa situazione epistemologica resta sopita e soprattutto la questione che vede queste nuove geometrie articolarsi sulla relazione geometria – spazio fisico. L’immagine frequente della geometria non euclidea come pura “invenzione” matematica, frutto del libero gioco dei significanti scientifici, deriva (spesso ancora oggi!) dalla relazione “geometria – spazio fisico”. È stato necessario pertanto rimettere in discussione l’apparato concettuale sottogiacente, basato sulla doppia relazione “geometria – intuizione” e

“geometria – fisica”, modificato il quale, vi può essere un livello di astrazione che legittima la

(31)

31

Quando, dunque, si è gradualmente preso coscienza che il problema delle parallele potesse diventare un problema “scientifico” e “matematicamente definibile”, il contesto culturale era pressappoco di tale consistenza. Volgendo l’interesse verso la contestualizzazione storica della problematica, è possibile notare che al tempo di Gauss e successivamente, le linee di ricerca sulla teoria delle parallele presentava in due centri istituzionali i maggiori focolari: l’Università di Kazan, dove imperversava la problematica kantiana ed antikantiana; l’Università di Gottinga, che rappresentava in sostanza l’area culturale della matematica tedesca. La prima scuola è stata la matrice culturale da cui proveniva Nikolaj Lobacevskji; la seconda è stata l’humus culturale in cui ha operato Gauss, come già visto, e da cui proveniva Janos Bolyai.

Lobacevskji e Janos Bolyai giunsero rispettivamente ad un sistema di geometria immaginaria (nome dato da Lobacevskji alla sua geometria) e di geometria assoluta15 (nome che Janos Bolyai assegna al suo sistema geometrico) contemporaneamente ed in modo indipendente l’uno dall’altro. Il loro risultato deriva direttamente da quelli di Gauss, Schweikart e Taurinus e corrisponde all’ipotesi dell’angolo acuto di Saccheri e Lambert. In seguito, è obiettivo della presente trattazione fornire una schematica esposizione di alcuni punti fondamentali dei due sistemi geometrici citati. Nel fare ciò è parso opportuno non esporre in modo dettagliato e tecnico i risultati cui giungono tali ricerche; quanto più invece si è considerato importante ai fini di tale lavoro mostrare lo “sforzo logico” che gli autori in esame in questo paragrafo hanno dovuto affrontare e le motivazioni che li portarono a tale scoperta. È bene notare subito, in accordo con il già citato Bonola, che è possibile individuare due differenti tipi di impostazione riguardo il problema in esame da parte dei due autori: per quanto riguarda Lobacevskji, la sua

geometria immaginaria, presenta un più completo sviluppo analitico; invece Janos Bolyai, nella

15 I due sistemi citatati, verranno considerati parte della geometria iperbolica, termine introdotto dal matematico

Felix Christian Klein (1849 – 1925), professore di matematica a Erlangen (1872), Monaco (1875), Lipsia (1880) e Gottinga (1886). Fu socio straniero dell’Accademia dei Lincei (1883). Il termine “iperbolico” in greco significa “eccesso” ed è stato dato perché ricorda che vi è un eccesso di parallele rispetto a quanto considerato in

precedenza. Klein ebbe il merito di ampliare i sistemi geometrici di Lobacevskji e Janos Bolyai. Quindi le similitudini che accomunano tali sistemi permettono di unificarli sotto un’unica denominazione, quella di geometria

(32)

32

sua geometria assoluta punta con maggior decisione sulla questione della dipendenza od indipendenza dei teoremi della geometria dal V postulato. Cioè, mentre Lobacevskji cerca di costruire la sua geometria sulla negazione del V postulato, Janos Bolyai porta in evidenza le proposizioni e le costruzioni dell’ordinaria geometria che ne sono indipendenti. Tali proposizioni che egli chiama assolutamente vere fanno parte della scienza assoluta dello spazio.

Cogliamo dunque l’occasione, per approfondire, per quanto ci è concesso dal fine ultimo di questa trattazione, la geometria assoluta di Janos Bolyai. La pubblicazione della “Scientia spatii

absolute vera” risale dapprima al 1831. Mentre, invece, venne aggiunta come appendice al Tentamen di suo padre Wolfgang Bolyai nel 1832. In quest’opera, Janos Bolyai indicava la

geometria non euclidea con il termine neutrale Systema S e la geometria euclidea con l’espressione altrettanto neutrale Σύστημα Σ.

Ora, per poter comprendere il lavoro di Janos Bolyai occorre chiarire alcuni concetti. Consideriamo l’assioma euclideo delle parallele e la sua negazione. Il sistema dei teoremi non euclidei viene generato tramite inferenza logica da un gruppo di assiomi, uno dei quali rappresenta la negazione formale di una proposizione assiomatica che compare negli Elementi di Euclide e porta in se il carattere peculiare di euclidicità. Ovviamente la proposizione cui ci riferiamo è il V postulato. Janos Bolyai la cita spesso come “assioma XI” perché in alcune edizioni antiche era erroneamente indicata in questo modo. Sorprendentemente, il postulato noto come postulato delle parallele, non concerne il parallelismo (almeno direttamente), bensì il suo contrario, cioè l’incidenza di coppie di rette complanari. Tale notissimo postulato esprime la proprietà semplice e chiarissima all’intuizione, che due rette complanari hanno, di incontrarsi da qualche parte in un punto se una è in posizione obliqua rispetto all’altra e si avvicina sempre di più ad essa, ossia: la convergenza delle rette implica la loro inevitabile incidenza. Ad onor di precisione, Euclide formula: “se due rette complanari, a e b, sono tagliate da una terza retta, e se le due rette formano, sul medesimo lato della secante comune c, angoli interni che insieme sono

(33)

33

minori di due retti, allora le due rette date sono incidenti”. Si noti che il punto d’incidenza C può trovarsi anche ad una distanza inaccessibile alla percezione immediata, tale da renderci incapaci di stabilirne subito l’esistenza. La sicurezza che il postulato ci offre sul comportamento delle rette ci è data da un’unica proprietà locale e metrica, cioè sulla base della grandezza misurabile di un angolo. Tutte le rette sono incidenti se formano con una secante comune, da uno dei suoi lati, angoli interni che insieme misurano meno di due retti. Ciò garantisce l’esistenza di un punto d’incidenza. Si noti anche, che il V postulato è una proposizione esistenziale. Invece, i primi tre postulati esprimono ognuno una costruzione (di un segmento di retta, di una retta, di un cerchio), sebbene possano essere formulati anch’essi come proposizioni esistenziali. Ma la particolarità del V postulato è che non può essere formulato come esprimente una costruzione16. L’esistenza del punto d’incidenza può essere affermato, ma non si può determinare con una costruzione. Un’altra particolarità della formulazione linguistica del V postulato è che non solo afferma l’esistenza di un punto d’incidenza, ma fa riferimento anche alla sua posizione. Il punto d’incidenza si trova dallo stesso lato della secante comune, giace dunque sullo stesso semipiano (dove i due angoli interni sono minori di due retti). Tale aggiunta può sembrare superflua dal punto di vista teoretico, ma non lo è sotto l’aspetto storico, perché come si vedrà in seguito, il suo valore storico ci è dato analizzando con Imre Toth un passo non euclideo del corpus

aristotelicum, ossia il passo 66 a 9-15 di Analitici Primi, II 17, dove Aristotele tratta del teorema

fondamentale secondo il quale non esistono rette parallele se i tre angoli interni di un triangolo sono insieme maggiori di due retti.

Comunque, possiamo esporre in modo ancora più conciso il V postulato, se chiariamo molto brevemente il concetto di coortogonalità17. Siano dette coortogonali due rette che formano

angoli retti con almeno una secante comune. Ne deriva che sono non coortogonali le coppie di

16 L’impossibilità di determinare il punto di incidenza C tramite una costruzione finita, richiede l’introduzione di un

assioma indipendente, che affermi la pura esistenza di un punto di intersezione e ne garantisca la realtà oggettiva.

17

Coortogonale non è assunto, in generale, come termine tecnico della geometria, ma rende con più facilità l’argomento trattato.

(34)

34

rette che non hanno nessuna perpendicolare comune (molto banalmente, rette oblique una rispetto all’altra). Il postulato euclideo, si può riformulare sotto queste condizioni come segue: “tutte le coppie di rette non coortogonali sono incidenti”. Al fine di snellire l’argomentazione si indichi d’ora in poi tale proposizione con E.

La negazione formale di E risulta di semplice formulazione: “non tutte le coppie non

coortogonali sono incidenti”. Si indichi tale negazione con non – E. Da questa proposizione

negativa segue l’affermazione dell’esistenza di coppie di rette non coortogonali ed allo stesso tempo non incidenti. È dimostrabile che tali coppie di rette non incidenti e non coortogonali con nessuna secante comune, convergono l’una verso l’altra asintoticamente. Tale dimostrazione si ebbe per la prima volta per merito del già citato Saccheri18. Le proposizioni E e non - E sono tra di loro in relazione di contraddizione formale. Quando Gauss ha denominato il frutto delle sue ricerche come geometria non euclidea ha espresso chiaramente la pura negatività che vige tra le due proposizioni E e non – E su di un piano strettamente logico.

Bisogna, a questo punto, essere sicuri che non – E possa sussistere indipendentemente accanto ed insieme ad E nello stesso universo concettuale. Ciò non è possibile, se non – E porta ad una contraddizione logica, ossia se non – E congiunta ai restanti assiomi della geometria porta a conseguenze che si contraddicono una con l’altra: vorrebbe dire che non – E è stata ridotta ad assurdo ed estromessa dal discorso geometrico.

I restanti assiomi, che consideriamo premesse di un ragionamento inferenziale, costituiscono una geometria a se stante, che non contiene la proposizione E. Tra questi assiomi due hanno un particolare significato per il nostro argomentare:

1.

Ciascuna coppia di punti del piano definisce un unico segmento di retta;

Riferimenti

Documenti correlati

– nell vecchie CPU come l'8086 venivano utilizzate solo 

Permission is granted to copy, distribute and/or modify this document under the terms of the GNU Free Documentation License, Version 1.2 or any later version published by the

P ed P' non coincidono, ma sono due punti distinti: due rette hanno perciò sempre due punti in comune e si intersecano in una coppia di punti distinti: questo sistema viene

matematica è il problema della dimostrabilità del V postulato del I libro degli Elementi, cioè la possibilità di provare tale postulato sfruttando esclusivamente gli altri

Polizzi: In short, you gave a revolutionary reading of the mathematical thought in Aristotle and Plato, not just contributing to a radical modification of the vision of

E quindi alcuni teoremi validi nella geometria euclidea non saranno validi nelle geometrie non euclidee; come ad esempio il teorema sulla somma degli angoli interni di un

proposizioni che negli Elementi precedono il postulato delle parallele. Egli decide di sviluppare il seguente ragionamento. Ammettiamo i primi quattro postulati di Euclide e,

problema dei quattro colori (risolto nel 1976) postulato delle parallele (geometrie non euclidee) l'ultimo teorema di Fermat (risolto nel 1995) cosa è l'infinito. diversi tipi